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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi- dal 2010-04-15 ad oggi 2010-07-26 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)2010-05-13 Solo con le intercettazioni si può vincere la guerra contro gli evasori Se le parlo da ufficiale, le dico che il paese è sano. Rappresentando l’istituzione non posso darle risposte troppo brutte… In confidenza le direi che quasi tutti gli operatori economici evadono il fisco, che non evade solo chi non è capace. Il paese è sano? Un corno. L’evasione fa paura…". Grazie. Lo dice uno che al fisco non ha rubato neanche un centesimo e ammira la Guardia di Finanza come si può ammirare l’angelo vendicatore e sterminatore. L’ufficiale delle Fiamme gialle che mi parla, due lauree, una in scienze politiche, un’altra in giurisprudenza, un master alla Bocconi, scuole di specializzazione, indagini dagli esiti clamorosi (ci sono Berlusconi e Mediaset nel suo libro nero), mi racconta il suo mestiere. Si spiega subito e trascrivo: "Le verifiche fiscali vengono effettuate in presenza di elementi che già si hanno agli atti, perché quando si inizia una verifica cosiddetta di iniziativa senza avere elementi in mano è difficile che si riesca a individuare qualche cosa che vada al di là delle semplici irregolarità formali". Non c’è il cadavere in strada. |
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2010-05-04 L'annuncio in Conferenza stampa. la procura di perugia: "non è indagato"Scajola si dimette: "Devo difendermi" Berlusconi: "Ha senso dello Stato" Il ministro dello Sviluppo economico dice addio al governo: "Sto soffrendo". Il premier: "Ministro capace" 8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto Scajola, il ministro che si dimise 2 volte Il titolare dello Sviluppo Economico aveva abbandonato l'incarico anche nel 2002 quando era titolare dell'Interno 8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto 2010-05-02 il ministro per la Semplificazione Legislativa alla trasmissione "in Mezz'ora"Calderoli: Berlusconi può andare avantiIn alternativa ci sono solo le elezioni Su Fini: "Perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo". Unità d'Italia: "Non so se saremo a celebrazioni" MILANO - "Il governo ha i numeri per andare avanti e fare le riforme, in alternativa ci sono solo le elezioni". Lo afferma Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione legislativa, ospite della trasmissione "In mezz'ora". A una domanda dell'Annunziata sulla possibilità che la Lega partecipi a un governo tecnico per fare le riforme guidato da Giulio Tremonti, la risposta è netta: "No. L'elettorato ha dato il proprio consenso a una persona che è Berlusconi. E poi la prima persona che sarebbe contraria è Tremonti stesso". 2010-04-30 2010-04-25 LIBERAZIONE Celebrato il 25 aprile, Berlusconi sceglie la tv "Scriviamo assieme una nuova pagina di storia" Il capo dello Stato all'Altare della Patria: "Il clima sia sereno". A Roma Contestata la Polverini Zingaretti la difende. A Milano fischi per la Moratti. Sequestrati 4000 manifesti con l'effige del duce Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile" 24 aprile 2010 Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile" Berlusconi sul 25 aprile: ora scrivere pagina condivisa Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna" 150 anni Italia Napolitano scrive a Berlusconi: "Serve chiarimento" Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa" La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile" Fini: non esco e non starò zitto Il doppio incarico dell'onorevole a volte diventa triplo 23 aprile 2010 Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera" Sulle riforme istituzionali "ognuno deve rinunciare a piantare la propria bandiera" e questo "vale tanto per il centrodestra quanto per il centrosinistra". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un intervento all'Istituto Stensen di Firenze. Intervistato dal docente di Relazioni Internazionali, Luciano Bozzo, Fini ha spiegato che "questo dibattito oggi non appassiona più perché non ha dato frutti. "Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini di Elysa Fazzino "Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini Una scena "senza precedenti", un "match urlato", una "rottura in diretta tv". La stampa straniera ne ha certamente viste tante in Italia, ma lo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl ha sorpreso anche gli osservatori più blasé. "La faida interna di Berlusconi esplode in uno scontro tv" è uno dei titoli sul sito web del Financial Times. Le divisioni nel partito sono esplose in un congresso "degenerato in un match urlato", scrive Guy Dinmore. 17 aprile 2010 Berlusconi in visita al Salone del mobile a Milano Il Times elogia Tremonti, "buon candidato a miglior ministro delle finanze europeo" Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto "Opa" di Bossi sulle banche del Nord Alfano non esclude il voto e dice che con Fini serve una soluzione definitiva 2010-04-16 PDL DIVISO Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi Duro faccia a faccia tra il premier e l'ex leader di An che invita "a non appiattirsi sulla Lega" "Berlusconi deve governare, ma Pdl badi alla coesione nazionale". Il Cavaliere chiede 48 ore Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi ROMA - E' scontro aperto tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. La giornata che doveva servire al chiarimento finisce con parole che suonano come minacce e ultimatum ai limiti della crisi istituzionale. |
Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..
Il Mio Pensiero
(Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):Il Ministro Scagliola si è dimesso motivando le dimissioni con il dubbio sorto in questi giorni che qualcuno possa aver pagato, a sua insaputa, una parte della casa di 180 m2 da lui acquistata nel 2004 nei pressi del Colosseo.
Il valore che il Ministro dice di aver pagato di tasca propria per quella casa è pari a quella di una casa del Centro Storico di Martina Franca, una Cittadina del meridione di 50000 abitanti.
Ma come può aver vissuto per oltre 5 anni il Ministro senza rendersi conto del valore reale della casa da lui acquistata ?
Se non è stato capace di valutare economicamente il valore della sua casa, come può essere ritenuto capace di svolgere le sue funzioni di Ministro, ed in particolare del Ministro dello Sviluppo Economico dell'Italia ?
Come si può pensare che sia capace di pensare ad una politica Energetica Nazionale, che sia capace di sapere quali sono i costi reali del Nucleare, delle dismissione del Vecchio Nucleare, dei Costi del Deposito delle Scorie fino ad oggi e nei millenni a venire, del Ponte di Messina, di quanto è costata l'Alta Velocità, il cui costo avrebbe dovuto essere dei privati, ma che in realtà è stato a carico dello stato, con una quadruplicazione dei costi oltre agli altri 30 Mld. di indebitamento finanziario che peseranno per sulle spalle dei cittadini per altri 30 anni.
Per non parlare di quali capacità abbia per valutare gli accordi sul Nucleare di Vecchia o Nuova Generazione.
E' chi lo doveva controllare non si è mai accorto di quello che stava succedendo nella lievitazione abnorme delle spese ?
Purtroppo ci sono stati altri esempi nella aggiudicazione di lavori per il G8 e delle emergenze, chi doveva controllare le spese non si è mai accorto che i prezzi lievitavano in maniera talmente spropositata, che invece qualsiasi direttore ed assistente dei lavori se ne sarebbe accorto, e avrebbe, disgusatato, rigettato i nuovi prezzi e li avrebbe denunziati pubblicamente, escludendo gli appaltatori disonesti dai futuri appalti .
Lo stesso è capitato nella Mala Sanità Lombarda, vantata come eccellenza, per interventi da day ospital che diventavano da ricovero, di operazioni non necessarie che mettevano a rischio la vita dei pazienti, ecc. Se il metro della Buona Sanità è quello dei costi della Sanità Lombarda, poveri noi.
Il metro della buona Sanità va visto con i costi di una Eccellenza Oculista quale è l'Ospedale Pubblico S. Maria degli Angeli di Putignano, dove per 2 volte mi hanno salvato la vista senza essere stato io paziente del primario di ieri e di quello di oggi, dove il tutto si svolge in una struttura degli anni '50, dove c'è il pienone senza che le liste di attesa siano spropositate, ma anzi vengono valutate attentamente, accelerando quelle urgenti, e dove stanno attuando quello che andrebbe fatto a Taranto, ovvero utilizzare la nuova legge sull'Edilizia, merito, questo si del Presidente Berlusconi, per ampliare e ristrutturare l'esistente, ed adeguarlo alla realtà Professionale dei Medici e del personale ausiliario, veramente eccellenti, tanto che per i degenti sembra essere in un albergo di 3 categoria, e non in un'Ospedale.
Nel Frattempo però qualcuno sta anche cercando di far passare per Buona Sanità quella di portare la Sanità privata a Taranto, con investimento da 250 Mld, mentre ne basterebbe investire 100 nelle strutture esistenti (ospedale S. Annunziata nel centro della Città per servirte egregiamente la Città senza disagi per i cittadini, ed ospedale Nord, sottoutilizzato male da 20 anni al 30 % delle capacità, decentrato forse per interessi privati o incapacità di giudizio in un una zona assurda. Con il risparmio dei restanti 150 Mld si potrebbe fare vera Prevenzione Sanitaria, quale quella del disinquinamento e riduzioni delle Emissioni tossiche, aiutando l'ILVA, invece di chiederne la chiusura come qualcuno vorrebbe fare con un referendum ( bastano appena 1000 firme per indire il referendum su una popolazione interessata di oltre 400000 abitanti), e mettendo a posto anche i depuratori che non funzionano.
Che iattura tremenda sarebbe chiudere l'ILVA, significherebbe mandare sul lastrico oltre 20000 famiglie, indebitarsi con costi sociali enormi, oltre che danneggiare l'intera economia Tarantina e Pugliese, ma anche quella Italiana che ha bisogno dell'Acciaio, il cui utilizzo viceversa andrebbe accentuato in periodo di crisi favorendone l'uso nell'edilizia.
Perché non si chiede inoltre di utilizzare parte dei terreni interni dello stabilimento per altre iniziative industriali sane, non inquinanti, utilizzando i servizi energetici dell'ILVA e la professionalità esistente, adottando anche strumenti di recupero e risparmio energetico, oltre che l'uso di energie alternative ?
E per Bari, perché sperperare 750 Mln per l'interramento della Ferrovia, quando ne basterebbero meno di 100 per incrementare i servizi di trasporto pubblici. Fra l'altro andrebbero adottate le metropolitane di superfice a costo zero, dimezzando i tempi di percorrenza (p.e. Martina-Bari) dimezzando le fermate, alternandole per servire tutti i paesi, spendendo pochissimo per trasformare il servizio, quadruplicando il traffico dei treni con conseguente enorme riduzione di quello privato su gomma, e grandissimi ritorni e vantaggi per la collettività, studenti, imprenditori, lavoratori, con un incremento degli scambi socio-economici e culturali.
Gli altri 650 Mln si potrebbero spendere proficuamente per:
C'è TANTISSIMO ALTRO DA DIRE E SOPRATTUTTO FARE CONCRETAMENTE,
Per. Ind. Giacomo Dalessandro
Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-15 ad oggi 2010-07-26 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it/2010-07-26 26 luglio 2010 ROMA Corruzione, in manette giudice e due avvocati Un giudice onorario del Tribunale civile di Roma, un imprenditore, la moglie e i due figli, entrambi avvocati, sono stati arrestati dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria di Perugia. Sono accusati a vario titolo di falso materiale in atto pubblico commesso da privato, e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale, corruzione in atti giudiziari e abusi in atti d'ufficio. Due persone sono state arrestate a Roma e sono state trasferite in carcere a Perugia mentre altre tre sono state fermate in Sardegna e si trovano ora nel carcere di Tempio Pausania. Il magistrato arrestato è un giudice onorario che opera presso il Tribunale civile e si chiama Giovanni Dionesalvi. Quanto agli altri arrestati, sono l'imprenditore Giampaolo Mascia, i suoi figli Vittorio e Gianmarco, entrambi avvocati e la loro madre Piera Balconi. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. In particolare i due avvocati avrebbero dato o promesso utilità al giudice Dionesalvi in relazione ad alcune esecuzioni immobiliari affinchè fossero ritardate o quantomeno non eseguite. L'indagine dei giudici di Perugia si basa su un carteggio che la Procura di Roma aveva inviato nel capoluogo umbro dopo aver ricevuto una segnalazione da parte dell'Avvocatura dello Stato.
25 LUGLIO 2010 INCHIESTA L’Aquila, sulla ricostruzione l’ombra del lavoro nero Al’Aquila una ditta su due non è in regola e un operaio su tre neanche. Il 12 per cento poi è totalmente in nero. Nella città delle impalcature, le mille facce dei forestieri che, alle prime luci dell’alba, vedi aggirarsi nella via dei caporali o davanti ai cantieri ad elemosinare la giornata, fanno rumore quanto i numeri del dipartimento provinciale per il lavoro (Dpl). Così si scoperchia un vaso di Pandora che rende i racconti della disperazione tutt’altro che meteore. Nei primi sei mesi dell’anno, infatti, il 50% delle aziende della ricostruzione controllate è irregolare, una tendenza già evidenziata nell’ultimo semestre 2009, che però non accenna a fermarsi. Sulle 237 imprese ispezionate, infatti ben 148 sono fuori norma per la sicurezza nel cantiere o per la posizione contrattuale. Se si guarda agli operai, poi, su 411 controllati 123 hanno contratti irregolari e 53 sono addirittura senza contratto. E a poco serve sventolare che anche il lavoro nero qui è al 10%, in linea dunque con la media nazionale (9,6%). L’Aquila è il più imparagonabile scenario lavorativo d’Italia per grandezza e profondità di interventi. Lo precisa anche il direttore ispettivo del Dpl Maria Carmela Vecchio "C’è un’irregolarità non di poco contro – ammette. – I controlli ci sono, ma all’Aquila si incontra un cantiere aperto ogni dieci passi". Quasi a sminuire una situazione allarmante (e ad accennare, tra le righe, che è impossibile fare controlli abnormi con organici nella norma) aggiunge: "Non c’è mai stato un numero così elevato di aziende al lavoro qui finora". In sostanza, cioè, non si può controllarle tutte senza rinforzi. Ma alla parzialità dei dati si affianca il mondo taciuto, celato, e sfuggito ai controlli, delle centinaia di lavoratori giunti da tutta Italia attirati dal profumo dei soldi. Una ricostruzione in nero, insomma. "C’è la crisi, non c’è più lavoro per te qui; vai in Abruzzo lì ce n’è per tutti", così si è sentito dire Alì un mese fa dal suo datore di lavoro in Veneto. E lui, con speranza di mandare qualche risparmio alla famiglia in Tunisia, sono due settimane che girovaga per i cantieri dell’Abruzzo. "Mi pagano 40 euro al giorno – dice – l’importante è dire di avere una sistemazione all’Aquila altrimenti non ti prendono". Fa spallucce quando gli si chiede dove abbia passato la notte. La paura di rivelare un nido abusivo è grande quando il morso allo stomaco che ha al passaggio di una volante della polizia. Ma adesso è anche un altro il suo timore, quello di non essere di nuovo pagato; "l’impresa dice di passare domani per i soldi, poi se ne va, prende un altro cantiere e non sai dove ritrovarla", chiosa. Gli angeli della rinascita, però, parlano anche italiano e li vedi dividersi le brande nei punti di raccolta; qui per meno di trenta euro i privati offrono un posto letto senza chiedere troppi documenti. Gino e Rosario arrivano dalla Sicilia, consigliati da amici di amici. Dormono cinque ore a testa per pagare solo un letto nei container in periferia; sono in nero, ma non si lamentano. "Dalle nostre parti – dicono – non avremmo mai guadagnando cento euro al giorno, le ditte ci fanno i soldi, ma noi almeno prendiamo qualcosa in più per vivere". Come dire no al lavoro, anche irregolare, mormorano "quando l’offerta di lavoro è dieci volte più grande della domanda". Alessia Guerrieri
25 luglio 2010 Inaccettabile lo sfruttamento dei lavoratori Spazzare tutte le ombre da un intervento modello Niente giustifica il mancato rispetto delle leggi. A maggior ragione di quelle che tutelano i lavoratori, la loro sicurezza, il loro diritto a un regolare contratto, a un giusto salario, a un trattamento corretto. Diritti fondamentali dai quali nulla può far derogare. Neanche la comprensibile necessità di fare in fretta, per ridare una casa a chi l’ha persa drammaticamente. Scopriamo invece che accade all’Aquila nei cantieri della ricostruzione, così come in quelli alla Maddalena, prima per il G8, poi trasferito proprio in Abruzzo, e oggi per la Vuitton World Series. I cantieri dell’emergenza, quella vera del terremoto e quella più labile dei grandi eventi. Nel capoluogo abruzzese sono state trovate irregolarità nel 50 per cento delle imprese edili controllate nel primo semestre di quest’anno e in un terzo dei lavoratori. Addirittura 53 manovali, più del 10 per cento, erano totalmente in nero. Numeri ufficiali, forniti dal dipartimento provinciale per il lavoro, che chiunque può chiedere e andare a leggere. Molto simili a quelli riscontrate nei cantieri della Maddalena e comunicati addirittura dal governo. Ma, dato ancor più preoccupante, le percentuali di irregolarità sono praticamente uguali a quelle riscontrate nel 2009. Malgrado le tante rassicurazioni che quei cantieri sarebbero stati super controllati. E malgrado i riflettori mediatici costantemente accesi. Invece c’è chi vergognosamente approfitta di coloro che hanno bisogno di lavorare, italiani o stranieri che siano. Risparmia sulla loro pelle e sulla loro vita, obbligandoli a ricorrere al sostegno delle iniziative Caritas. Lavoratori, ma poveri. Perché bisogna fare in fretta (è giusto) e fare soldi (molto meno). In questi mesi abbiamo imparato che dietro le emergenze più o meno reali ci sono tante deroghe, da leggi e contabilità. In nome dei tempi rapidi, per superare intralci burocratici o assurde inefficienze. Per aiutare meglio, e in fretta, chi si trova in difficoltà. Ma abbiamo, purtroppo, appreso che in alcuni casi queste deroghe sarebbero servite alla "cricca" per ben altri scopi. Interessi privati con strumenti pubblici. Ora scopriamo che qualcuno, all’Aquila come alla Maddalena, ha pensato bene di derogare dalle norme sul lavoro, al punto di giungere a casi di vero sfruttamento. Imprese che non danno il giusto, che non rispettano gli orari e la sicurezza nei cantieri, e "caporali" che forniscono manodopera a prezzi stracciati. E meno male che sono stati smascherati. Ma queste imprese come sono state scelte, che garanzie di correttezza e legalità avevano dato? L’efficienza e la rapidità non possono bastare. Una recente operazione contro il clan dei casalesi ha confermato le mire della potente cosca camorristica sui cantieri della ricostruzione. Non solo ipotesi: i magistrati della Dda di Napoli hanno spiegato che le ditte colluse hanno operato davvero. Ma evidentemente non ci sono solo le azioni eclatanti della "cricca" e dei mafiosi, a speculare sulla ricostruzione. C’è un’illegalità meno "rumorosa", quotidiana, e per questo ancora più pericolosa e drammaticamente squallida. Sfruttare vite, anche se per alleviare le difficoltà di altre, è inaccettabile. Servirebbero maggiori controlli. Eppure, benché l’Aquila sia la città con più cantieri aperti d’Italia, gli ispettori destinati alle verifiche sono troppo pochi. Ecco, questi sì sarebbero soldi ben spesi. Per gli aquilani. E per chi sta rimettendo in piedi la loro città. Antonio Maria Mira
2010-07-22 22 Luglio 2010 POLITICA & INFORMAZIONE Berlusconi: contro di me campagna mediatica Il Tg1 anticipa il messaggio, è polemica "In questi giorni sono riprese contro il governo e contro il Popolo della libertà furibonde campagne mediatiche". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lancia "l'operazione memoria" con un messaggio inviato a tutto il popolo del Pdl e ai simpatizzanti, invitandoli alla mobilitazione. Un messaggio parzialmente anticipato dal sito del Tg1. Quanto basta a scatenare una polemica interna all'opposizione, l'Idv in primis che annuncia iniziative a San Macuto e "in ogni sede competente" contro le scelte del direttore del Tg1 Augusto Minzolini: il messaggio infatti è stato annunciato e in parte anticipato in apertura della homepage. Il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, dal canto suo, osserva che "è quanto meno singolare che il sito internet del principale tg del servizio pubblico dia spazio in apertura ad una lettera di propaganda, pubblicitaria, di partito del presidente del Consiglio". Immediata la replica del tg della rete ammiraglia di Viale Mazzini proprio dal sito: "A chi ha criticato la tempestività con cui abbiamo dato la notizia del messaggio di Berlusconi, rispondiamo che il nostro sito è abituato a dare le notizie. Possibilmente prima degli altri. Cosa che succede spesso. Oggi – prosegue il Tg1 – è capitato con un messaggio di Berlusconi. Che, per inciso, subito dopo è diventato l'apertura dei maggiori siti d'informazione italiani. Domani speriamo che capiti con un messaggio o una qualunque altra iniziativa di Pier Luigi Bersani o Antonio Di Pietro. Questo è quello che dovrebbe fare ogni organo di informazione, cominciando da quello che è investito del compito di fare servizio pubblico. Tutto qui".
2010-07-17 17 luglio 2010 P3 Cosentino interrogato: "Mai screditato Caldoro" L'ex sottosegretario all'economia Nicola Cosentino è sotto interrogatorio alla Procura di Roma nel'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3: Cosentino viene sentito da circa due ore in qualità di indagato per associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete.
Il gruppo di Flavio Carboni, arrestato nelle scorse settimane, aveva puntato su Cosentino per la candidatura alla presidenza della Regione Campania al posto dell'attuale governatore StefanoCaldoro. "Penso di avere chiarito tutto quello che c'era da chiarire. I magistrati sono stati gentili e disponibili". e "Non ho in alcun modo tentato di screditare Stefano Caldoro". Ha detto al termine dell'interrogatorio.
Nessun commento da parte del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo salvo che l'atto istruttorio "non ha riguardato la parte relativa al contenuto delle intercettazioni telefoniche poichè quelle relative a parlamentari non sono utilizzabili".
16 luglio 2010 SPORT INQUINATO Le mani della mafia sul calcio Sono più di 30 i club coinvolti Partite truccate, scommesse clandestine, presidenti prestanome: le mafie hanno messo le mani sul mondo del calcio, perchè, come spiega Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera "si garantiscono visibilità e presidio nel territorio e opportunità di riciclare denaro e arruolare nuove leve". In Lombardia, in Campania, Basilicata, Calabria, sono più di trenta i clan contati da Libera direttamente coinvolti o contigui al potere della criminalità organizzata e censiti per inchieste giudiziarie per infiltrazioni malavitose. "È uno spaccato inquietante - ha sottolineato Don Ciotti - ma non c'è da stupirsi". È la denuncia dell'associazione Libera, che ha presentato il dossier "Le mafie nel pallone - Storie di criminalità e corruzione nel gioco più truccato al mondo. Potenza Calcio: il caso limite", un'anticipazione del libro "Le mafie nelPallone", di Daniele Poto, in uscita a settembre. Già tre anni fa Libera aveva denunciato che nella piana di Gioia Tauro i clan sono entrati nei piccoli club, in quell'occasione "il mondo del calcio si è indignato, ma è una realtà che le mafie siano "nel pallone"". I collaboratori di giustizia, ha ricordato il fondatore di Libera, da anni "dichiarano che i presidenti dei club hanno offerto loro posti di lavoro, che hanno scoperto solo dopo essere manovalanza per le organizzazioni criminali". Il caso di Giorgio Chinaglia, tutt'ora latitante per la tentata scalata alla Lazio, quello dei giocatori del Potenza che non gioiscono per il gol dei propri compagni di squadra perchè sui risultati delle partite erano stati scommessi migliaia di euro in collusione con la 'ndrangheta, sono solo episodi limite. Il dossier, preparato da Libera, e che verrà pubblicato in settembre, ne cita altri.
2010-07-16 16 luglio 2010 CORRUZIONE E POLITICA Alfano: "Niente caccia alle streghe" "Abbiamo una certezza: che il sistema-giustizia ha dentro di sè tutti gli anticorpi per reagire". Così il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sull'inchiesta P3 e il coinvolgimento di magistrati. "Non si può fare di tutta un'erba un fascio e non si può dare la caccia alle streghe", aggiunge. Parlando a Bruxelles, a margine al Consiglio Giustizia della Ue, Alfano premette che non intende commentare un'inchiesta in corso. "Ciascuno faccia il proprio dovere - ammonisce - Sia dal punto di vista inquirente che dal punto di vista di chi è chiamato a difendersi". ll Guardasigilli esclude in maniera categorica che la tenuta del governo si a rischio. "Perchè dovrebbe? Ho letto ipotesi di cambiamenti di governo, di governi di transizione", dice Alfano, sottolineando come nel nostro paese siano "difficili da accettare le regole delle democrazie occidentali, che chi vince le elezioni governa, chi non vince le elezioni non può governare". "Nel nostro paese -continua il responsabile della Giustizia - si confondono la politica e la democrazia con i videogame, ma non è un gioco per cui hai un telecomando e cambi". Il governo italiano, rivendica Alfano, ha vinto le elezioni nel 2008, le europee nel 2009 e le regionali nel 2010, è sempre stato confermato dagli italiani e "continuerà a governare nella certezza che gli italiani hanno che a presiedere questo governo c'è Berlusconi, che sta bene di suo e non ha certo bisogno di mettersi in tasca i soldi della politica, anzi ci ha rimesso".
15 luglio 2010 INDAGINE Eolico, bufera sui giudici coinvolti Il Csm trasferisce Marra La Procura generale della Corte di Cassazione, titolare dell'azione disciplinare assieme al ministro della Giustizia, rende noto - con un comunicato - di aver avviato "sin dal 12 luglio scorso, una indagine di natura disciplinare" in merito ai "fatti emergenti dall'ordinanza di custodia cautelare" emessa dal gip di Roma nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti nell'eolico e sulla associazione segreta denominata P3. La nota della procura generale della Suprema Corte non cita i nomi dei magistrati su cui sta compiendo accertamenti. Nell'ordinanza di custodia cautelare si fanno i nomi del presidente della Corte di Appello di Milano Alfonso Marra (su cui la prima commissione del Csm ha oggi avviato una istruttoria per il trasferimento per incompatibilità ambientale), del capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller (magistrato fuori ruolo su cui possono intervenire a livello disciplinare il ministro della Giustizia e il pg della Cassazione, ma non il Csm), dell'avvocato generale in Cassazione Antonio Martone (che ha presentato la scorsa settimana domanda di pensionamento). Il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, anch'egli magistrato fuori ruolo fino a qualche mese fa, il cui nome figura nell'inchiesta, è andato in pensione da poco e dunque non è più passibile di accertamenti disciplinari. CSM APRE PROCEDURA DI TRAASFERMIENTO PER MARRA All'indomani della richiesta di dimissioni dell'Anm ai magistrati coinvolti nella vicenda della cosiddetta "P3", la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ha aperto oggi una procedura di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di Alfonso Marra, presidente della Corte d'Appello di Milano, il cui nome era comparso in alcune intercettazioni dell'inchiesta su presunti illeciti in appalti per l'eolico. "Sono contento per l'apertura del procedimento del Csm perchè cosi si chiarirà la mia posizione", ha detto Marra a Milano parlanco coi giornalisti. Oltre a Marra, tra i magistrati coinvolti - ma non indagati - nella vicenda ci sono Antonio Martone, presidente della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, e Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministero della Giustizia.
2010-07-15 15 luglio 2010 INDAGINE Eolico, bufera sui giudici coinvolti Il Csm trasferisce Marra La Procura generale della Corte di Cassazione, titolare dell'azione disciplinare assieme al ministro della Giustizia, rende noto - con un comunicato - di aver avviato "sin dal 12 luglio scorso, una indagine di natura disciplinare" in merito ai "fatti emergenti dall'ordinanza di custodia cautelare" emessa dal gip di Roma nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti nell'eolico e sulla associazione segreta denominata P3. La nota della procura generale della Suprema Corte non cita i nomi dei magistrati su cui sta compiendo accertamenti. Nell'ordinanza di custodia cautelare si fanno i nomi del presidente della Corte di Appello di Milano Alfonso Marra (su cui la prima commissione del Csm ha oggi avviato una istruttoria per il trasferimento per incompatibilità ambientale), del capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller (magistrato fuori ruolo su cui possono intervenire a livello disciplinare il ministro della Giustizia e il pg della Cassazione, ma non il Csm), dell'avvocato generale in Cassazione Antonio Martone (che ha presentato la scorsa settimana domanda di pensionamento). Il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, anch'egli magistrato fuori ruolo fino a qualche mese fa, il cui nome figura nell'inchiesta, è andato in pensione da poco e dunque non è più passibile di accertamenti disciplinari. CSM APRE PROCEDURA DI TRAASFERMIENTO PER MARRA All'indomani della richiesta di dimissioni dell'Anm ai magistrati coinvolti nella vicenda della cosiddetta "P3", la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ha aperto oggi una procedura di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di Alfonso Marra, presidente della Corte d'Appello di Milano, il cui nome era comparso in alcune intercettazioni dell'inchiesta su presunti illeciti in appalti per l'eolico. "Sono contento per l'apertura del procedimento del Csm perchè cosi si chiarirà la mia posizione", ha detto Marra a Milano parlanco coi giornalisti. Oltre a Marra, tra i magistrati coinvolti - ma non indagati - nella vicenda ci sono Antonio Martone, presidente della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, e Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministero della Giustizia.
15 luglio 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Eolico, Cosentino lascia "Così tutelo il governo" Quello che Silvio Berlusconi non sopporta di tutta questa avvilente e contorta vicenda è di doverla dare vinta a Gianfranco Fini ancora una volta. Dopo Brancher, anche Nicola Cosentino si dimette da sottosegretario per evitare la conta interna: la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni sarebbe stata votata mercoledì della prossima settimana, come deciso in piena autonomia dal presidente della Camera. Una mossa a sorpresa, quella del numero uno di Montecitorio, che scatena una reazione inevitabile per la tenuta della maggioranza e del governo. E nel tardo pomeriggio da Palazzo Chigi, dove è riunito il vertice del Pdl, non può che arrivare la conferma: Cosentino si arrende, su richiesta del premier. Resterà alla guida del partito in Campania. La vicenda Caliendo è rinviata a settembre, mentre nulla si dice dell’altro indagato Verdini, se non che – come anticipa il ministro degli Esteri Frattini – ad agosto il Cavaliere ha convocato "alcuni di noi per fare una riflessione sull’organizzazione del partito". Riflessione che potrebbe preludere alla scelta del coordinatore unico. Di fatto tutto nasce dalla contestata calendarizzazione del presidente della Camera che, in assenza di una decisione dei capigruppo, fissa le mozioni nell’agenda di mercoledì, senza curarsi dell’insorgere di Pdl e Lega, pure questa favorevole alle dimissioni dei sottosegretari sotto inchiesta. Una prova di forza che si fa sentire. Il presidente della Camera insiste sul "progetto ambizioso" del Pdl, dal quale non intende affatto sfilarsi. Parla di confronto necessario, "aspro ma doveroso", ricorda la necessità delle riforme e insiste sulla legalità. Berlusconi convoca immediatamente Verdini e Cosentino, insieme con i fedelissimi. Fa pressione, malgrado fino all’ultimo dichiari di non voler cedere al giacobinismo di chi emette una sentenza prima ancora del processo. Ma la strategia di Fini ha messo all’angolo il capo del governo, che si ritrova con le mani legate. L’unico modo per liberarsi dalla morsa è offrire la testa del sottosegretario al Tesoro. Cosentino si piega e mette giù il suo comunicato: "Ho deciso di concerto con il presidente Berlusconi di rassegnare le mie dimissioni da sottosegretario per potermi completamente dedicare alla vita del partito, particolarmente in Campania". Berlusconi esaurisce con poche parole il suo commento: "Ho condiviso la decisione di Nicola Cosentino di dimettersi da sottosegretario. Ho altresì avuto modo di approfondire personalmente e tramite i miei collaboratori la sua totale estraneità alle vicende che gli sono contestate". Di qui la certezza, dice "che la sua condotta durante la campagna elettorale è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro". Una resa ma condizionata. Subito dopo però inizia la battaglia al veleno. Cosentino si toglie tutti i sassolini: le accuse sono rivolte a Fini e al suo "braccio armato" Bocchino che, secondo il Cosentino-pensiero, "da anni, senza successo, tenta di incidere sul territorio non già per interessi del partito bensì per mere ragioni di potere personale e che alla prova elettorale è sempre stato sconfitto". Altro che questione morale, si sfoga sarcastico l’ex sottosegretario, che sottolinea come per quattro volte sia stata presentata una mozione contro di lui, con gli stessi argomenti. "Il presidente della Camera con solerzia degna di miglior causa, ha ritenuto di volerle calendarizzare in tempi brevissimi basandosi quindi soltanto su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa". Parole che lasciano "del tutto indifferente" Fini. La scelta dell’agenda rientra nelle prerogative del presidente della Camera, ricordano nell’entourage finiano. Quanto al co-fondatore del Pdl, pronto l’apprezzamento per la scelta di Cosentino: "Dimettersi anche per difendersi in sede giudiziaria era per l’onorevole Nicola Cosentino un indispensabile e doveroso atto di correttezza istituzionale, anche per una evidente e solare questione di opportunità politica". La Lega tace: "C’è un’inchiesta in corso, no comment", sono le parole del ministro Maroni. Ma tira un sospiro di sollievo, preoccupata dalle vicende giudiziarie che travolgono l’esecutivo. E Berlusconi medita la prossima mossa. Roberta D'Angelo
15 luglio 2010 Governo, sottogoverno, dimissioni Non si può cedere alla logica dell'intrico Si susseguono scandali, reali o gonfiati per interessi politici, che coinvolgono quello che una volta si chiamava il "sottogoverno": cioè attività, manovre, incontri e (in qualche caso) atti collusivi con poteri economici o persino criminali, esercitati da personaggi che hanno funzioni non proprio centrali nell’esecutivo, ma che hanno uno status di rilievo e finiscono col coinvolgere il governo nelle loro responsabilità. Naturalmente, le eventuali responsabilità penali – che debbono essere accertate e che per ora non lo sono affatto – sono comunque personali, e chiunque deve essere considerato innocente fino a sentenza definitiva. Sul piano politico va però notato che certi tentativi di influenzare organi istituzionali o giudiziari potrebbero forse rivelarsi alla fine un non-crimine, ma sicuramente rappresentano una serie di errori piuttosto marchiani e sono, comunque, sintomo di supponenza e d’incapacità di valutare la situazione e la reattività (anche elettorale) dell’opinione pubblica. Le dimissioni di ieri sera del sottosegretario Nicola Cosentino in qualche modo lo certificano. E dicono anche dell’altro. Il "sottogoverno" è sempre esistito – ed esiste, purtroppo – sotto tutti i cieli. È un problema che si fa grave e insopportabile se diventa tanto folto e intricato da rendere difficile, ostacolandola, l’effettiva attività di governo. Come accennato, non è solo un problema italiano: il fatto che i giornali francesi nel momento in cui il ministro del Lavoro di Parigi propone una storica riforma delle pensioni si occupano, invece, del suo ruolo di amministratore del partito di maggioranza fa capire come i problemi creati dal "sottogoverno" finiscano con l’oscurare scelte di governo anche obiettivamente assai impegnative, nel bene o nel male. È importante che sia chi governa sia chi si oppone sappia mantenere il senso delle proporzioni: chi governa dimostrando che la determinazione nelle scelte politiche di fondo non è influenzata da manovrette sotterranee, che vanno anche prontamente stroncate; chi si oppone distinguendo tra le schermaglie costruite su vicende specifiche e personali, ovviamente lecite ma non decisive, e il confronto necessario sulle scelte che determinano il futuro del Paese. Il continuamente ribadito appello del Quirinale a riconoscere coralmente le esigenze di risanamento della finanza pubblica, pur nella dialettica dei rimedi e delle soluzioni prospettate, suona anche un richiamo a mettere al primo posto quel che conta davvero. In ogni caso, però, non si può dimenticare che chi ha le massime responsabilità ha anche il massimo dovere di chiarezza. Difendere i collaboratori che si sono scelti, non accettare senza contrastarle tutte le accuse mediatiche, è ragionevole, ma anche per il governo, e per chi lo guida, vale la regola della priorità politica. Se, indipendentemente dalle responsabilità individuali, il "sottogoverno" rende più traballante il percorso del governo, se il sottobosco troppo rigoglioso impedisce al bosco di vivere, bisogna potare quel che va potato, per complicato o doloroso che sia (o appaia). Per chiedere, com’è giusto, agli altri di usare corrette priorità, bisogna agire nello stesso senso. Il passo indietro dell’ex sottosegretario Cosentino è un segnale che può essere letto in questa chiave. Non si tratta, ovviamente, per il presidente Berlusconi di cedere a "campagne" considerate infondate e strumentali, ma di prendere atto che ci sono anche rimostranze, preoccupazioni e allarmi diffusi, comprensibili e giustificati. Non si può cedere alla logica dell’intrico. Sergio Soave
15 luglio 2010 LA GUERRA ANTICRIMINE Gli appalti della 'ndrangheta bombe ecologiche nei cantieri Pur di lucrare il più possibile sui soldi che arrivavano dagli appalti, la cricca collusa con i boss della ’ndrangheta era disposta a tutto. Anche a mettere a rischio la salute pubblica. Perché l’organizzazione era sicura di farla franca, grazie all’imponente giro di conoscenze politiche di cui potevano disporre. Non solo, stanchi di vivere di subappalti e di taglieggio ai piccoli imprenditori, le cosche avevano pensato di puntare in alto attraverso l’uso di società capaci di vincere da sole importati appalti pubblici, come per esempio la Perego Strade, poi Perego general conctrator. "Gli scavi effettuati dalla Perego - la quale, si rammenti, ha lavorato in cantieri per la realizzazione di opere pubbliche di notevole importanza - sarebbero pieni di sostanze notoriamente inquinanti e pericolose, come l’amianto". Così ha scritto nell’ordinanza, il gip di Milano Giuseppe Gennari e che martedì all’alba ha portato in carcere oltre 160 persone solo in Lombardia (305 in tutta Italia) tra cui Ivano Perego, presidente della Perego Strade, poi diventata Perego general conctractor, e il boss Salvatore Strangio. Proprio Strangio aveva acquisito per conto "delle ’ndrine di Platì e Natile di Careri la gestione e comunque il controllo delle attività economiche" prima di una poi dell’altra società di Perego, tra le maggiori in Lombardia, nel settore del movimento terra. E della presunta esistenza di sostanze inquinanti e pericolose nei cantieri in cui ha lavorato la Perego, come si legge nell’ordinanza, ne parla in un interrogatorio un ex dipendente della società, sentito dagli inquirenti. "Quello che posso dire – ha spiegato l’ex dipendente – è che in tutti i cantieri dove ha lavorato la Perego nel corso degli anni sono stati utilizzati per le opere di riempimento materiali fortemente inquinanti, come eternit, amianto e in genere materiali provenienti da demolizioni indifferenziate". Nell’ordinanza il giudice ha sottolineato che la Perego, all’epoca (2008-2010) delle indagini era presente tra l’altro a Milano sui cantieri di Citylife, nella realizzazione del nuovo edificio da adibire a uffici giudiziari, davanti al palazzo di giustizia di Milano, del deposito automobilistico Atm e della polizia municipale di Milano. E l’altro canale che serviva era appunto il contatto politico. Esponenti locali avvicinati da faccendieri, attraverso lo strumento delle cene elettorali. "Devo organizzarti una cena elettorale ... Io ti presento le persone ... dopodiché sei tu che mi dici: allora a questo qui diamogli spazio, a quest’altro non glielo diamo". Così l’ex assessore provinciale milanese Antonio Oliverio, indagato pure lui nell’inchiesta della Dda di Milano, parlava a Perego. Il mestiere di imprenditore di Perego, secondo Oliverio, "consente a me di stare lì a rompermi i "c....oni"...con la politica e a pagarmi lo stipendio a fine mese ci pensi tu". Anche se ieri Oliverio ridimensiona questi fatti. Il 19 maggio 2009 un altro episodio. Viene organizzata in casa di Andrea Pavone, arrestato e accusato di associazione mafiosa, una cena a cui è stato invitato anche Emilio Santomauro, per due volte consigliere comunale a Milano ed ex esponente dell’Udc. "Cena andata alla grande", racconta Pavone, intercettato, e parlando di Santomauro aggiunge: "È ben inserito anche lui in tutto a Milano, Nord Italia". In un altra intercettazione del 18 giungo 2009, Oliverio dice a Perego che devono andare a Milano per salutare, come spiega il gip nell’ordinanza "Zambetti Domenico, assessore regionale all’Artigianato e Servizi". Quest’ultimo è solo un tentativo di contatto, andato pure a vuoto, ma che dà l’idea di come la cricca cercasse in ogni modo di infiltrarsi nel sistema degli appalti. E su questa rete di contatti e sulle infiltrazioni della ’ndrangheta il Partito democratico presente nel Consiglio regionale della Lombardia, ha richiesto la convocazione di una seduta straordinaria e la presenza del presidente della Commissione antimafia Giuseppe Pisanu. Davide Re
14 luglio 2010 APPALTI IN SARDEGNA Eolico, Cosentino si dimette dall'incarico di sottosegretario "Ho deciso di concerto con il presidente Berlusconi di rassegnare le mie dimissioni da sottosegretario per potermi completamente dedicare alla vita del partito, particolarmente in Campania, anche al fine di contrastare tutte quelle manovre interne ed esterne poste in essere per fermare il cambiamento". Con queste parole, al termine di un incontro con il presidente del Consiglio e dello stato maggiore del Pdl, Nicola Cosentino ha annunciato le proprie dimissioni da sottosegretario all'Economia. Poco dopo l'annuncio, sulla vicenda interviene anche Silvio Berlusconi: "Ho condiviso la decisione di Nicola Cosentino di dimettersi da sottosegretario. Ho altresì avuto modo di approfondire personalmente e tramite i miei collaboratori la sua totale estraneità alle vicende che gli sono contestate". Il presidente del Consiglio ha poi precisato di essere certo che la condotta di Cosentino durante la campagna elettorale per la regione Campania "è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro" Oltre a ribadire la propria innocenza (Cosentino è coinvolto nelle indagini della Procura di Roma sull'eolico in Sardegna ed è accusato di essere l'ispiratore del falso dossier su Caldoro, ndr) l'ex sottosegretario ha attaccato il presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Vuole ottenere il potere nel partito tramite l'onorevole Bocchino". In un lungo comunicato si leva anche qualche sassolino nella scarpa. "Il presidente della Camera -scrive Cosentino- con solerzia degna di miglior causa, dopo che già per due volte proprio alla Camera dei deputati analoghe mozioni erano state votate e respinte con larga maggioranza, così come anche una al Senato, ha ritenuto di volerle calendarizzare in tempi brevissimi basandosi quindi soltanto su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa" "Quale atteggiamento -sottolinea- ben si comprende ove si onoscano le dinamiche politiche in Campania e coloro che sono i più stretti collaboratori di Fini, quale Bocchino che da anni, senza successo, tenta di incidere sul territorio non già per interessi del partito bensì per mere ragioni di potere personale e che alla prova elettorale è sempre stato sconfitto". LE REAZIONI "Dimettersi anche per potersi meglio difendere in sede giudiziaria era per l'onorevole Cosentino un atto indispensabile e doveroso di correttezza istituzionale per una evidente e solare questione di opportunità politica". Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Esulta il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro: "Era ora. Cosentino non poteva fare altrimenti. Adesso chiediamo, come abbiamo fatto oggi in Aula, che la Camera autorizzi il suo arresto, come ha già chiesto l'autorità giudiziaria" "E sono tre. Dopo Scajola e Brancher arrivano anche le dimissioni del sottosegretario Cosentino. È un governo in agonia, travolto dagli scandali e dalle guerre intestine della maggioranza e il premier è costretto a usare tutta la sua moral suasion per evitare che la crisi politica esploda in Parlamento", è il commento del presidente del Pd, Rosy Bindi. Dal vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino un ringraziamentoa Berlusconi "per aver ascoltato il nostro grido d'allarme rispetto al danno elettorale che la permanenza al governo di Nicola Cosentino stava provocando al Pdl". EVITATO IL VOTO DI SFIDUCIA La decisione di fare un passo indietro permette alla maggioranza di tirare un sospiro di sollievo: è saltata infatti la "conta" sulla mozione di sfiducia (presentata da Pd, Udc e Idv) che in mattinata era stata calendarizzata alla camera per mercoledì prossimo. La decisione era stata presa dal presidente della Camera Gianfranco Fini accogliendo la richiesta dell'opposizione. Una scelta che aveva fatto salire notevolmente la tensione all'interno della coalizione di governo. Una decisione che aveva suscitato la dura la reazione di alcuni esponenti della maggiornaza: "La decisione di Fini è grave perchè contrasta con la maggioranza del Parlamento", ha detto il capogruppo della Lega Marco Reguzzoni, mentre Fabrizio Cicchitto ha manifestato "netto dissenso sulla calendarizzazione".
14 luglio 2010 INCHIESTA EOLICO L'Anm: i magistrati coinvolti si dimettano "Bisogna avere la capacità e il coraggio di farsi da parte. Quando il sospetto sulla tua persona getta ombra sulla categoria della è necessario lasciare libera l' istituzione": lo ha detto il segretario dell' Anm, Giuseppe Cascini nel corso della riunione del comitato direttivo. "È necessario un segnale forte" , ha sottolineato, lla luce delle ultime vicende giudiziarie che hanno visto coinvolto magistrati ed ex magistrati. È necessario quindi, secondo Cascini, che i magistrati lascino il loro incarico. "Poi - ha aggiunto - per questi magistrati c' è la presunzione di innocenza, la disciplinare, primo grado, appello e Cassazione con tutte le tutele. Ma noi abbiamo il dovere di dare risposte chiare e prendere le distanze". Secondo il segretario dell' Anm, "il tentativo di sottolineare la gravità della vicenda è una linea pericolosa perchè questa ha le caratteristiche analoghe a quelle degli anni ottanta. Le differenze riguardano solo aspetti più grotteschi e poco istituzionali anche rispetto alla loggia P2 ma il rischio maggiore è proprio quello di sottovalutare la gravità del fenomeno". Cascini sottolinea che "i fatti che emergono sono chiarissimi, per questo noi abbiamo espresso subito la nostra indignazione".
2010-07-12 12 LUglio 2010 INCHIESTA Eolico, Carboni tentò di avvicinare pm G8 Indagati Dell'Utri e Cosentino Il senatore Marcello Dell'Utri e il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino sono indagati nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in carcere nei giorni scorsi Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. A iscrivere i due politici nel registro degli indagati è stato il pubblico ministero Rodolfo Sabelli al quale è affdata l'indagine stralcio dall'inchiesta sull'eolico. I reati ipotizzati per Dell'Utri e Nicola Cosentino, come per Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino sono quelli di associazione per delinquere semplice e violazione degli articoli 1 e 2 della legge Anselmi che vieta la ricostituzione delle società segrete. Nelle intenzioni di Claudio Carboni, Arcangelo Martino e Raffaele Lombardi, arrestati nei giorni scorsi per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, ci sarebbe stata anche l'intenzione di prendere contatti con i magistrati che a Firenze indagavano sul G8 e sugli eventi affidati alla Protezione civile. L'avvicinamento dei magistrati fiorentini sarebbe dovuto avvenire attraverso l'attività del Centro studi giuridici per l'integrazione europea diritti e libertà, centro che doveva agevolare l'acquisizione di notizie provenienti dagli ambienti politici e della magistratura. Il progetto però non andò in porto perchè fu annullato allorchè fallì l'intervento per fare accogliere il ricorso elettorale della lista 'Per la Lombardià di Roberto Formigoni. Intanto sarà interrogato domani dai magistrati ai quali è affidata l'inchiesta sull'eolico in Sardegna il presidente dell'Arpas Ignazio Farris, indagato nell'inchiesta che coinvolge anche Arcangelo Martino, Pinello Cossu, Pasquale Lombardo, Flavio Carbone, Denis Verdini e Ugo Cappellacci, presidente della Sardegna. Fu lui secondo quanto ritengono i magistrati romani ad agevolare la nomina di Farris all'incarico di presidente dell'Arpas così come avrebbe richiesto Flavio Carboni. E ciò allo scopo di avere una persona di fiducia in previsione della realizzazione del progetto dell'eolico. L'iscrizione di Cappellacci per corruzione e abuso d'ufficio nel registro degli indagati sarebbe proprio conseguente a questo suo intervento. Domani era previsto l'interrogatorio di Cappellacci che è stato però rinviato a richiesta dei suoi difensor
12 luglio 2010 INCHIESTA SULL'EOLICO Tensione nel Pdl, Verdini indagato per associazione segreta Il caso Verdini agita il Pdl. Lo stato maggiore del partito difende il coordinatore coinvolto nell'inchiesta sugli appalti per l'eolico e indagato per associazione segreta. Ma i finiani, con Italo Bocchino, ne chiedono le dimissioni. "Mi auguro che Verdini sappia dimostrare la sua innocenza - dice il vicecapogruppo Pdl alla Camera - ma dal punto di vista politico c'è un enorme problema di opportunità che il premier non può far finta di non vedere. Il Berlusconi "ghe pensi mi" come ha risolto il caso Brancher, deve risolvere il caso Verdini". Parole che infiammano il partito e vengono definite "sciacallaggio politico" da ex aennini come Amedeo Laboccetta ed Edmondo Cirielli, che chiedono piuttosto la cacciata di Bocchino dal partito, "avendo lui l'unico obiettivo di distruggere l'immagine del Pdl". Ma l'ex vicecapogruppo vicario denuncia "un problema della classe dirigente nel Pdl", con operazioni di dossieraggio contro esponenti di partito che dovrebbero portare alle dimissioni anche dell'assessore regionale Ernesto Sica e di Nicola Cosentino, sottosegretario all'economia e segretario regionale del Pdl. Ma in favore del coordinatore del partito si levano gli scudi nel Pdl, che a vari livelli esprime solidarietà e sostegno. "La cultura del Pdl non è il giustizialismo, nè la condanna preventiva emessa sui mezzi di comunicazione, ma il rispetto della dignità di ogni persona", affermano Sandro Bondi ed Ignazio La Russa, ministri e coordinatori del Pdl insieme a Verdini. Maria Stella Gelmini protesta invece contro i resoconti giornalistici che parlano di un attacco a Verdini nella convention di Liberamente, ieri a Siracusa. Ed anche il ministro Michela Brambilla osserva che "in certi casi è sempre più dignitoso e serio tacere che esprimere giudizi affrettati ed ergersi a rappresentanti di metodi giustizialistì. Gettare fango su Verdini è stato un comportamento grave, strumentale e sospetto". LASCIANO SICA E MARTONE Antonio Martone lascia la magistratura, l'assessore della Regione Campania Ernesto Sica si dimette. Entrambe travolti dall'inchiesta della Procura di Roma sull'associazione a delinquere messa in piedi dall'imprenditore sardo Flavio Carboni, nata da una costola delle indagini sugli appalti dell'eolico in Sardegna. Sia Martone che Sica infatti apparivano nell'inchiesta romana che ha portato nei giorni scorsi all'arresto di Flavio Carboni, dell'ex esponente della Dc campana, Pasquale Lombardi, e dell'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino. Inchiesta nella quale risulta indagato anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini con l'accusa di avere violato la legge Anselmi sulla costituzione delle associazioni segrete. Secondo le carte dell'inchiesta romana Martone avrebbe partecipato ad una cena a casa di Verdini nel corso della quale si sarebbe discusso di un tentativo di avvicinamento dei giudici della Consulta che dovevano decidere sul Lodo Alfano. Una cena che avrebbe visto attorno al tavolo commensali illustri come il senatore Pdl Marcello Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller, oltre allo stesso Carboni. L'assessore campano dimissionario Sica invece è iscritto nel registro degli indagati della Procura capitolina e, secondo i pm, avrebbe avuto un ruolo nel presunto complotto preparato ai danni dell'attuale governatore della Campania Caldoro per screditarne la candidatura alle recenti Regionali e favorire quella dell'attuale sottosegretario all'economia Nicola Cosentino.
12 Luglio 2010 INCHIESTA ROS Traffico droga, Ganzer condannato a 14 anni Il generale dei carabinieri Giampaolo Ganzer, comandante del Ros, è stato condannato oggi a 14 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. La Procura di Milano aveva chiesto la condanna a 27 anni di reclusione. Secondo l'accusa, Ganzer, con una serie di illeciti, avrebbe creato e favorito traffici di droga per poi poterli reprimere per produrre risultati nella sua attività investigativa. L'inchiesta, nata a Brescia nel 1997, ha avuto un lungo e complicato iter giudiziario, con oltre 160 udienze. "Nessun commento. Questo è il mio commento". Così si è espresso l'avvocato Tiburzio De Zuani, difensore del comandante del Ros, lasciando l'aula dell'VIII sezione penale di Milano dopo la lettura della sentenza. "Nessun commento", ha ribadito più volte l'avvocato De Zuani ai cronisti che gli chiedevano di commentare la sentenza che ha condannato Ganzer a 14 anni di carcere, pur assolvendolo dal reato di associazione per delinquere che gli veniva contestato in relazione ad irregolarità in operazioni antidroga condotte negli anni Novanta. "Le sentenze non si possono che rispettare. Aspettiamo le motivazioni". Lo ha detto il generale Ganzer dopo la sua condanna a 14 anni di reclusione. La sentenza è stata emessa dai giudici dell'ottava sezione penale al termine del processo che vede il comandante del Ros imputato con altre 17 persone per presunte irregolarità in operazioni antidroga negli anni Novanta. I giudici non hanno però riconosciuto l'associazione per delinquere, accusa da cui tutti gli imputati tra cui Ganzer sono stati assolti con la formula "perché il fatto non sussiste". Il vice di Ganzer, il generale Mauro Obinu, è invece stato condannato a 7 anni e 10 mesi di carcere e 35mila euro di multa. Entrambi i generali sono stati dichiarat interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena. Nei loro confronti il pm Laura Zanetti aveva chiesto 27 anni di carcere, ma i giudici, oltre a escludere l'associazione per delinquere, hanno dichiarato prescritte alcune accuse di falso e peculato e hanno assolto gli imputati da alcuni episodi.
2010-07-11 10 luglio 2010 BLITZ DELLA FINANZA Bancarotta, arrestati i vertici dell’Eutelia Sono più di sessanta i finanzieri impegnati, dalle prime ore di ieri, nel caso "Agile-Eutelia", dal nome del grosso gruppo di società di telecomunicazioni: 22 perquisizioni in case e uffici in tutta Italia, mentre otto indagati sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Secondo la Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Roma, avrebbero organizzato "un articolato sistema di frode che ha portato l’importante gruppo societario ad una situazione di gravissimo dissesto economico-finanziario" e di "insolvenza per milioni di euro anche nei confronti di migliaia di lavoratori". In pratica, gli arrestati avrebbero acquistato numerose società con migliaia di dipendenti, finendo con il provocare una "colossale operazione dolosa" volta tra l’altro a "cagionare il fallimento della società Agile per spogliarla dei suoi asset e sottrarre la garanzia ai creditori più importanti, i circa 2.000 dipendenti". L’inchiesta ha coinvolto i vertici di tre società: Samuele Landi e Leonardo Pizzichi, presidenti dei consigli di amministrazione di Agile ed Eutelia, Pio Piccini, presidente e amministratore delegato di Omega e amministratore unico di Eutelia, Claudio Marcello Massa, amministratore di Agile, Marco Fenu, dirigente di Agile e tesoriere del gruppo Omega, Salvatore Riccardo Cammalleri, procuratore di Agile, Antonangelo Liori, dominus del gruppo Omega e Isacco Landi, consigliere di amministrazione di Eutelia. Avrebbero provveduto alla sottrazione di oltre 11 milioni di euro dalla Agile S.r.l. e crediti della stessa società, "ceduti senza corrispettivo a garanzia di obbligazioni assunte da altri soggetti, per un valore pari a oltre 5 milioni e mezzo di euro". L’attività investigativa, iniziata dopo la cessione di Agile da parte dell’Eutelia, ha accertato che le società acquirenti erano riconducibili ad alcuni soggetti che, nello stesso periodo "avevano avviato numerose trattative finalizzate ad acquisire altri gruppi societari in situazione di grave crisi", sempre operanti nei settori delle telecomunicazioni, dell’information technology, della logistica e dell’immobiliare. Gli arrestati dovranno ora rispondere del reato di bancarotta fraudolenta in concorso. Ieri, intanto, è stato convocato il tavolo al ministero dello Sviluppo economico per discutere la vertenza: al termine, al termine del quale è stato annunciata l’ammissione di Eutelia alla procedura di amministrazione straordinaria ex legge Prodi. Soddisfatto il capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, soprattutto in previsione di un nuovo incontro alla presidenza del Consiglio. "L’attenzione all’evoluzione della vertenza - ha dichiarato - va mantenuta, dopo questo primo passo in avanti, fino al raggiungimento dell’obiettivo della garanzia di un futuro industriale e di certezza occupazionale per i lavoratori". Andrea D’Agostino
2010-07-08 8 luglio 2010 APPALTI Eolico in Sardegna, tre arresti in manette Flavio Carboni L'imprenditore Flavio Carboni è stato arrestato oggi a Roma dai carabinieri nell'ambito di un'inchiesta su presunti appalti illeciti in Sardegna legati alla realizzazione di impianti eolici, in cui risulta indagato anche il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini. Oltre a Carboni è stato arrestato anche Pasquale Lombardi, magistrato tributario. Entrambi, come Verdini (che si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda), sono indagati per corruzione. L'inchiesta della procura romana riguarda un presunto comitato d'affari che avrebbe gestito l'assegnazione di una serie di appalti pubblici in Sardegna per la realizzazione di parchi eolici. Il legale di Carboni, Renato Borzone, ha fatto sapere che presenterà immediato ricorso al Tribunale della libertà contro il provvedimento che gli è stato appena notificato Oltre a Carboni e Lombardi, i carabinieri del nucleo investigativo di Roma, coordinati dal maggiore Bartolomeo Di Niso, hanno arrestato a Napoli, anche l'imprenditore Arcangelo Martino, ex assessore comunale del capoluogo partenopeo. Il fascicolo che ha portato agli arresti nasce da uno stralcio, aperto quest'anno, dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico in Sardegna in cui è coinvolto, tra gli altri, anche il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellaci. La richiesta d'arresto di Carboni e dell'ex esponente della Dc Campana, Pasquale Lombardi, è stata fatta dal pm della procura di Roma, Rodolfo Sabelli e accolta dal gip Giovanni De Donato. Carboni, che ha 78 anni, è stato trasferito alle prima luci dell'alba, dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, presso il carcere di Regina Coeli mentre Lombardi, che vive ad Avellino, si trova attualmente nella casa circondariale irpina di Bellizzi. L'ipotesi di reato è quella di associazione a delinquere e di violazione degli articoli 1 e 2 della "legge Anselmi" sulle associazioni segrete. "Un'associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti" caratterizzata "dalla segretezza degli scopi" e volta "a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali nonchè degli apparati della pubblica amministrazione". È quanto scrive il Gip del Tribunale di Roma, Giovanni De Donato, nel capo di imputazione dell'ordinanza (circa 60 pagine) di arresto per l'imprenditore Flavio Carboni, di Pasquale Lombardi, ex esponente della Dc e dell'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino. Inoltre, in base a quanto emerso dall'indagine, fra settembre e ottobre 2009 i tre arrestati, tentarono di avvicinare giudici della Corte Costituzionale allo scopo di influire sull'esito del giudizio sul cosiddetto lodo Alfano, la legge che prevedeva la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato. Lo afferma il gip Giovanni De Donato, nell'ordinanza con cui ha disposto l'arresto per Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Per il gip i tre hanno "sviluppato una fitta rete di conoscenze nei settori della magistratura e della politica da sfruttare per i fini segreti del sodalizio e ciò anche grazie alle attività di promozione di convegni e incontri di studio realizzate tramite una associazione denominata '"Centro studi giuridici per l'integrazione europea Diritti e Libertà". L'associazione era gestita da Lombardi in qualità di segretario e da Martino quale responsabile dell'organizzazione. Una struttura, scrive il gip, "di fatto finanziata e gestita in modo occulto da Carboni". Per il magistrato i tre "approfittavano delle conoscenze per acquisire informazioni riservate e influire sull'esercizio delle funzioni pubbliche rivestite dalle personalità avvicinate dai membri dell'associazione". L'INCHIESTA Il filone di indagine che ha portato all'arresto dei tre è collegato all'inchiesta della procura capitolina su un presunto comitato d'affari che avrebbe gestito l'assegnazione di una serie di appalti pubblici in Sardegna per la realizzazione di parchi eolici. A fine aprile vi era stato un un blitz dei carabinieri del Nucleo operativo di Roma nel palazzo di viale Trento della Regione Autonoma della Sardegna. I militari, su incarico del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, avevano acquisito tutti i progetti sull'eolico presentati all'Assessorato regionale dell'Industria e l'operazione si era svolta nel massimo riserbo senza alcuna comunicazione ufficiale alla magistratura cagliaritana che indaga, come si appreso successivamente, su analoghe vicende legate alla presentazione di progetti per le energie rinnovabili. Nella sede dell'Assessorato erano state acquisite tutte le pratiche riguardanti domande presentate da privati a partire dal 2009. Dal canto suo l'attuale Giunta regionale, guidata da Cappellacci (Pdl), ha messo in atto già da tempo una serie di iniziative per evitare speculazioni da parte dei "signori del vento". È stato approvato nel 2009 anche un provvedimento che blocca le domande dei privati, mentre a inizio 2010 sono state approvate delibere che escludono impianti eolici off shore lungo le coste sarde ed è stata decisa la creazione dell'Agenzia regionale che dovrebbe gestire la programmazione degli impianti a terra.
8 luglio 2010 NAPOLI Tangenti in Trenitalia, il procuratore: "Il cardinale Sepe del tutto estraneo" "L'indagine che stiamo conducendo su Trenitalia non riguarda assolutamente il cardinale Crescenzio Sepe". Lo ha detto oggi a Napoli il procuratore della Repubblica, Giovandomenico Lepore, a margine di una manifestazione sulla sicurezza stradale organizzata dall'Aci. "Il suo nome è stato fatto in una intercettazione telefonica tra due persone estranee - ha continuato Lepore -: non è stato intercettato mica Sepe". Secondo il procuratore, l'accenno che si fa al cardinale"dimostra anzi che, premesso che lui non è indiziato di reato per alcunché, la sua condotta è stata perfettamente corretta".
2010-06-28 28 Giugno 2010 NOTA DELLA SALA STAMPA La Santa Sede: "Ecco cosa è veramente Propaganda Fide" NOTA DELLA SALA STAMPA IN MERITO ALLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI Davanti alle notizie che da tempo si continuano a diffondere sul conto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (anticamente detta "De Propaganda Fide"), si ritiene necessario richiamare alcuni dati oggettivi a tutela della buona fama di tale importante organismo della Santa Sede e della Chiesa Cattolica. La Congregazione è l’organo che ha il compito di dirigere e coordinare in tutto il mondo l’opera dell’evangelizzazione e la cooperazione missionaria (cfr. Cost. ap. Pastor Bonus, 85). Il primo e fondamentale scopo è dunque quello di guidare e sostenere le giovani Chiese, situate in territori di recente o scarsa evangelizzazione, territori che per lunga tradizione sono soggetti alla competenza del Dicastero per tutti gli aspetti della vita ecclesiale. Per tale motivo esso coordina la presenza e l’azione dei missionari nel mondo, sottopone al Santo Padre i candidati all’Episcopato, ha la responsabilità per la formazione del clero locale, dei catechisti, degli operatori pastorali. Tale funzione di indirizzo viene esercitata al più alto livello dai Membri della Congregazione, in maggioranza Cardinali, molti dei quali provenienti dagli stessi Paesi di missione, che si riuniscono periodicamente. Nella gestione ordinaria il Dicastero è diretto dal Cardinale Prefetto e dagli altri Superiori, secondo le rispettive funzioni. Al fine di assolvere al proprio compito, la Congregazione dirige e mantiene in Roma una vasta serie di strutture a servizio della formazione, tra cui spiccano la Pontificia Università Urbaniana (circa 1.400 alunni nel corrente anno accademico) e diversi Collegi, nei quali studiano attualmente circa 150 seminaristi, 360 sacerdoti, 150 tra religiose e laici inviati dai cinque continenti. Tale vasta opera, che richiede una quantità non indifferente di risorse finanziarie, costituisce solo una parte dell’impegno della Congregazione. È noto infatti che essa elargisce ogni anno alle Chiese dei territori ad essa soggetti (1.080 circoscrizioni) un sussidio finanziario ordinario, che in molti casi rappresenta la principale o una delle principali fonti di introito per le diocesi, i vicariati apostolici, le prefetture, le missioni sui iuris ecc. Accanto a ciò la Congregazione invia annualmente sussidi per la formazione del clero locale, che per la Santa Sede è strumento imprescindibile per la crescita e la maturazione di queste Chiese, che sono tra le realtà più vitali e promettenti per il futuro della Chiesa Cattolica. Grazie all’aiuto della Congregazione e di altre innumerevoli opere di sostegno alle missioni da parte dei cattolici di tutto il mondo un notevole numero di sacerdoti, seminaristi e altri operatori pastorali può studiare a Roma, accanto al Successore di Pietro, vivendo un’esperienza formativa unica, tipica della cattolicità, capace di segnare in maniera indelebile il futuro servizio alle rispettive comunità. Oltre a ciò, viene distribuita annualmente una quantità di aiuti per progetti in favore della costruzione di nuove chiese, istituzioni pastorali, opere di alfabetizzazione, strutture ospedaliere e sanitarie, in particolare a favore dell’infanzia, nonché educative, spesso in regioni che sono tra le più povere della terra. Tutta questa serie di iniziative, e numerose altre, sono promosse e coordinate dalle Pontificie Opere Missionarie, in seno al Dicastero. Se si considera il rapporto tra la quantità del personale impiegato e le risorse distribuite, si potrà verificare con facilità che i costi di gestione sono di gran lunga inferiori a qualsiasi organizzazione internazionale impegnata nel campo della cooperazione (e ciò grazie alla collaborazione diretta e gratuita, in tutto il mondo, da parte di Vescovi, Nunziature Apostoliche, organizzazioni cattoliche). La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ricava le sue risorse principalmente dalla colletta della Giornata Missionaria Mondiale, interamente distribuita tramite le Pontificie Opere Missionarie nazionali, e, in secondo luogo, dai redditi del proprio patrimonio finanziario ed immobiliare. Il patrimonio si è formato nel corso dei decenni grazie a numerose donazioni di benefattori di ogni ceto, che hanno inteso lasciare parte dei loro beni a servizio della causa dell’Evangelizzazione. La valorizzazione di tale patrimonio è naturalmente un compito impegnativo e complesso, che si deve avvalere della consulenza di persone esperte sotto diversi profili professionali e che, come tutte le operazioni finanziarie, può essere esposto anche ad errori di valutazione e alle fluttuazioni del mercato internazionale. Cionondimeno, a testimonianza dello sforzo per una corretta gestione amministrativa e della crescente generosità dei cattolici, tale patrimonio ha continuato ad incrementarsi. Al tempo stesso, nel corso degli ultimi anni, si è progressivamente fatta strada la consapevolezza della necessità di migliorarne la redditività e, a tale fine, sono state istituite strutture e procedure tese a garantirne una gestione professionale e in linea con gli standard più avanzati. Con la presente nota si intende richiamare a tutti l’identità, il valore e il profondo significato di un’istituzione vitale per la Santa Sede e per l’intera Chiesa Cattolica, che risponde al comandamento di Gesù: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura" (Mc 16,15). Essa ha meritato e merita il sostegno di tutti i cattolici e di quanti hanno a cuore il bene dell’uomo e il suo sviluppo integrale.
2010-06-22 21 Giugno 2010 INCHIESTA PERUGIA Sepe: "Regole rispettate nella massima trasparenza" L’affetto dei napoletani non è venuto meno, il rispetto delle istituzioni è fermo, ma ai magistrati della procura di Perugia, che lo accusano di corruzione, bisogna rispondere e il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, lo farà in settimana, probabilmente in una sede neutrale. Ma ha voluto anticipare quanto esporrà ai magistrati, sinceramente e semplicemente, in una "Lettera alla città" poiché "fondamento di ogni speranza è la verità e la verifica più impegnativa riguarda il legame di un vescovo con la sua gente", ha sottolineato nel documento letto ieri in arcivescovado. "Ho fatto tutto secondo le regole, nella massima trasparenza, vado avanti sereno, accetto la croce e perdono dal profondo del cuore quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi" ha dichiarato. Fiducioso Bruno von Arx, legale del cardinale: "Nulla di penalmente rilevante. Ho l’impressione che sarà una difesa poco impegnativa perché mancano gli elementi per ipotizzare la corruzione: qui si confondono tempi e circostanze". Rivolgendosi alla Chiesa, ai fedeli e alla comunità, l’arcivescovo di Napoli ha quindi spiegato gli episodi che gli vengono contestati in qualità di Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, dal 2001 al 2006, per la la gestione del patrimonio immobiliare. Patrimonio che, ha precisato, "ho cercato di inventariare, recuperare e valorizzare per rispetto a quanti nel tempo ne sono stati i donatori e per tutelare le finalità rappresentate dal sostegno alle attività missionarie nei Paesi più poveri e dimenticati della terra". Il primo dei rilievi mossi al cardinale Sepe riguarda la concessione in uso dell’alloggio in via Giulia a Guido Bertolaso "la cui esigenza – ha raccontato il presule confermando la versione del capo della Protezione civile – mi venne rappresentata dal dottor Francesco Silvano. In prima istanza gli feci avere ospitalità presso il seminario, ma c’era una inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso Silvano di trovare altra soluzione della quale non mi sono più occupato, né sono venuto a conoscenza, sia in ordine all’ubicazione, sia in ordine alle intese e alle modalità". Il secondo caso riguarda la vendita, secondo i magistrati a prezzo di favore, nel 2004 all’allora ministro per le infrastrutture Pietro Lunardi, di un palazzetto in via dei Prefetti, a Roma. Il cardinale ha spiegato come l’immobile presentasse da tempo "segni di vecchiaia e di precarietà", ma i lavori sarebbero stati troppo gravosi per la Congregazione, "per cui venne presa in considerazione l’opportunità della vendita ponendo a carico del futuro acquirente l’onere della ristrutturazione. Solo successivamente mi fu riferito che l’onorevole Lunardi aveva espresso il proprio interesse. La somma venne trasferita all’Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica (Apsa), perché fosse destinata a tutta l’attività missionaria nel mondo". Il terzo episodio su cui i magistrati gli muovono addebiti riguarda i lavori di messa in sicurezza statica di un lato del palazzo di Propaganda Fide in Piazza di Spagna a Roma che, ha sottolineato il cardinale, "aveva subìto una modificazione strutturale causata da infiltrazioni di acqua e dalle continue vibrazioni della vicina metropolitana. Fu accertata – ha precisato – la competenza dello Stato Italiano e furono eseguiti i lavori di ripristino e ristrutturazione con onere parzialmente a carico della Pubblica Amministrazione". A chiusura della lettera il cardinale ha aggiunto: "Accolgo la prova che oggi mi tocca, ma accanto ad essa avverto la forza di una serenità che non può nascere a caso, maturata via via attraverso i passaggi che da sacerdote mi hanno condotto all’ordinazione episcopale". Valeria Chianese
Home Page Avvenire > Interni > SEPE: GLI ADDEBITI E LE RISPOSTE Interni * * stampa quest'articolo segnala ad un amico feed 22 giugno 2010 INCHIESTA PERUGIA SEPE: GLI ADDEBITI E LE RISPOSTE 1 - La casa di via Giulia abitata da Bertolaso per alcuni anni. Il primo caso riguarda la concessione in uso di un alloggio al dottorre Guido Bertolaso, la cui esigenza mi venne rappresentata dal dottore Francesco Silvano (strettissimo collaboratore di Sepe, ndr). In prima istanza, gli feci avere ospitalità presso il Seminario, ma mi furono rappresentati problemi di inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso dottore Silvano di trovare altra soluzione, della quale non mi sono più occupato, né sono venuto a conoscenza. 2 - Il palazzetto venduto a Pietro Lunardi. Si trattava di un immobile che presentava, in maniera evidente e seria, segni di vecchiaia e di precarietà, rappresentati più volte anche dagli stessi inquilini (...) Fu disposto un sopralluogo ricognitivo eseguito dai tecnici della Congregazione, i quali fecero anche una valutazione dei lavori necessari, preventivando anche la spesa che fu ritenuta troppo onerosa (...) per cui venne presa in considerazione l’opportunità della vendita. Solo successivamente mi fu riferito che l’onorevole Lunardi aveva espresso il proprio interesse. 3 - La ristrutturazione del Palazzo di Propaganda in piazza di Spagna. Era stato registrato un notevole distacco della parete determinato, secondo gli accertamenti tecnici effettuati, da infiltrazioni di acqua sotto il fabbricato e dalle continue vibrazioni causate dal passaggio della vicina metropolitana. Fu accertata la competenza dello Stato Italiano e furono eseguiti lavori di ripristino e ristrutturazione, con onere parzialmente a carico della pubblica amministrazione.
22 GIUGNO 2010 RAPPORTO Authority, allarme appalti: "Corruzione deprime onesti" "Il mancato rispetto delle regole e la presenza radicata e diffusa della corruzione è causa di una profonda e sleale alterazione delle condizioni concorrenziali che può contribuire ad annientare le imprese oneste, costringendole ad uscire dal mercato". È l'allarme lanciato dal presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Luigi Giampaolino, che nella relazione annuale al Parlamento, sul 2009, ha rilevato "l'insorgere, all'interno della pubblica amministrazione, di gravi episodi di corruzione ed illegalità". "Il sistematico ricorso a provvedimenti di natura emergenziale" preoccupa l'Autorità di vigilanza sugli appalti che, nella relazione annuale al Parlamento, si è soffermata sul'affidamento di lavori pubblici gestito dalla protezione civile, dai "grandi eventi" (G8, mondiali di nuoto, celebrazioni per l'Unità d'Italia...) al terremoto in Abruzzo. C'è "il timore", avverte l'Authority, di "una sistematica ed allarmante disapplicazione delle norme del codice degli appalti".
Per l'Autorità "il continuo riproporsi dell'emergenza" fa cadere i requisiti di eccezionalità e imprevedibilità, che giustificherebbero poteri straordinari e ordinanze in deroga alle regole su procedure di gara a affidamenti, e comporta "una dilatazione dei tempi dell'intervento straordinario oltre ogni riferimento logico e funzionale legato all'emergenza stessa". La nozione di "grande evento", sottolinea poi l'Autorità, "è stata applicata a fattispecie assai disomogenee e in ogni caso prive dei requisiti di imprevedibilità e urgenza".
Nella relazione annuale L'Authority ha preso in esame anno per anno, dal 2001, l'andamento degli appalti gestiti "in regime di emergenza" con ordinanze di protezione civile. Ed ha rilevato una "tendenza all'incremento" raggiungendo nel 2009 il picco più alto per numero (49 ordinanze) e spesa globale (3,94 miliardi). Picco che "si giustifica prevalentemente" con l'emergenza del terremoto in Abruzzo.
Negli ultimi dieci anni, sottolinea il presidente dell'Authority, Luigi Giampaolino, "una fetta rilevante di spesa pubblica è stata impiegata per per investimenti relativi a contratti sottratti in tutto o in parte non solo all'osservanza delle procedure previste dal Codice dei contratti degli appalti ma, in alcuni casi di non poca rilevanza e specialmente nell'ambito dei "grandi eventi", anche ad ogni attività di rilevazione e controllo da parte dell'Autorità di vigilanza".
22 giugno 2010 ROMA Fisco, è caccia grossa In Italia 4000 evasori totali Nel primi 5 mesi del 2010 la Guardia di Finanza ha scoperto redditi non dichiarati al fisco per 22,2 miliardi di euro, a cui devono aggiungersi omessi versamenti di Iva per 3,1 miliardi di euro. Inoltre ha individuato 3.790 evasori totali che non avevano mai presentato le dichiarazioni occultando redditi per 7,9 miliardi di euro. Lo ha reso noto la Gdf tracciando il primo bilancio sull'attività 2010.
Sono inoltre stati individuati filoni di evasione fiscale internazionale per 4,3 miliardi di euro, posti in essere mediante trasferimenti fittizi della residenza di persone fisiche e società o attraverso esportazioni di capitali nei paradisi fiscali. Le Fiamme gialle hanno inoltre identificato 12.927 lavoratori irregolari, di cui 8.937 completamente in nero, impiegati da 3.477 datori di lavoro; e hanno accertato un'evasione all'Iva per 1,4 miliardi d'imposta derivante da frodi "carosello", realizzate mediante l'interposizione di imprese "cartiere" (costituite cioè al solo scopo di far girare fatture false) che acquistano merci da altri Paesi comunitari e da San Marino in sospensione d'Iva, le rivendono ai reali destinatari applicando l'imposta, ma poi omettono di versare le somme all'erario, svanendo nel nulla dopo poco tempo.
La Guardia di finanza ha tracciato un primo bilancio della propria attività in occasione della celebrazione della Fondazione del Corpo che oggi compie 236 anni.
21 Giugno 2010 INCHIESTA PERUGIA Padre Lombardi: la situazione si chiarirà Bagnasco:"Vicinanza affettuosa" Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, nella tarda mattinata di domenica ha letto un breve testo a proposito della vicenda giudiziaria che coinvolge anche il cardinale Crescenzio Sepe, all'epoca dei fatti prefetto di Propaganda Fide. La Santa Sede ha espresso solidarietà e stima al cardinale Crescenzio Sepe, ha auspicato che tutte le ombre sulla sua persona e sulle istituzioni ecclesiastiche siano "pienamente" e "rapidamente" eliminate; ha confermato la volontà del cardinale di essere ascoltato dalla magistratura italiana. "Naturalmente", ha aggiunto padre Lombardi, la collaborazione di Sepe con le indagini dovrà avvenire in un quadro di "corretti rapporti" procedurali e giurisdizionali tra Italia e Santa Sede. "Il cardinale Sepe è una persona che ha lavorato e lavora per la Chiesa e per il popolo che gli è affidato in modo intenso e generoso, e ha diritto ad essere rispettato e stimato", ha detto. "Auspichiamo tutti e abbiamo fiducia - ha aggiunto - che la situazione venga chiarita pienamente e rapidamente, così da eliminare ombre, sia sulla sua persona, sia su istituzioni ecclesiali. Il cardinale Sepe, come ha già detto egli stesso, collaborerà ovviamente per parte sua a questo chiarimento. Naturalmente - ha sottolineato - bisognerà tenere conto degli aspetti procedurali e dei profili giurisdizionali impliciti nei corretti rapporti tra Santa Sede e Italia, che siano eventualmente connessi a questa vicenda". Bagnasco. Il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, ha espresso telefonicamente al card. Crescenzio Sepe la sua "vicinanza affettuosa in questo particolare momento", confermando "stima per la sua intensa attività pastorale nella diocesi partenopea ed auspicando che il sollecito accertamento dei fatti ad opera della competente autorità giudiziaria porti piena luce sull'accaduto". È quanto ha riferito interpellato dai giornalisti, monsignor Domenico Pompili, sottosegretario e portavoce della Conferenza episcopale italiana. Il card. Bagnasco ha infine assicurato a Sepe - ha detto ancora monsignor Pompili - "il suo costante ricordo nella preghiera".
21 Giugno 2010 INCHIESTA PERUGIA Chiesta l'autorizzazione a procedere nei confronti di Lunardi L'autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro Pietro Lunardi è stata chiesta dai pm di Perugia che indagano sugli appalti per i grandi eventi. Nel capoluogo umbro l'ex responsabile delle infrastrutture è indagato per corruzione. La richiesta di autorizzazione a procedere è stata depositata sabato scorso al tribunale dei ministri di Perugia, contestualmente all'invio a Lunardi di una informazione di garanzia. E' stato il suo difensore, l'avvocato Gaetano Pecorella, a sostenere che la posizione del suo assistito dovesse essere valutata dal tribunale dei ministri. Il legale aveva comunque sottolineato che dovrà essere il suo assistito a scegliere se sollecitare questa strada, non escludendo quindi la possibilità che Lunardi possa comunque presentarsi ai pm di Perugia per chiarire la sua posizione.
2010-06-18 18 Giugno 2010 INCHIESTA Appalti G8, "uso spregiudicato sistema" La cricca coinvolta negli appalti per la scuola dei marescialli dei carabinieri di Firenze e per altre opere, si muoveva in una "situazione in attuale divenire, caratterizzata dall'utilizzazione spregiudicata di un sistema di relazioni professionali e personali che ha realizzato una rete di interessi intrecciati" non legittimi. Lo sottolinea la Cassazione che ha appena depositato le motivazioni della decisione con la quale lo scorso 10 luglio ha deciso il trasloco dell'inchiesta fiorentina a Roma confermando le misure cautelari per Fabio De Santis, Guido Cerruti, e Francesco De Vito Piscicelli. Dall'indagine in corso a Perugia sulla presunta cricca degli appalti, intanto, emerge come Diego Anemone "considerasse le società come cosa propria, disponendo in pieno di esse". Lo ha scritto il gip Massimo Ricciarelli motivando il divieto applicato a quattro società del costruttore di contrattare con la pubblica amministrazione. Il giudice ha invece respinto la richiesta dei pm di nominare un commissario giudiziale. Provvedimento che riguarda Anemone costruzioni, Tecnocos, Redim 2002 e Appalti lavori progetti internazionale. Il gip ha comunque limitato il divieto di contrattare - si legge nel provvedimento - "alla sola assunzione di appalti al di fuori di gare a evidenza pubblica tali da garantire la concorrenza e la segretezza delle offerte". Il giudice ha tra l'altro rilevato che i reati contestati nell'ordinanza nei confronti della presunta cricca "siano stati commessi nell'interesse dell'intero sistema di società facenti capo all'Anemone e a concreto vantaggio delle quattro società cui la richiesta del pm si riferisce".
2010-06-17 17 giugno 2010 INCHIESTA GRANDI OPERE Bertolaso: mai gestito appalti Lo faceva Balducci "Non mi sono mai occupato della gestione degli appalti, con la sola eccezione di quelli per il G8 che doveva tenersi alla Maddalena". Davanti ai pm di Perugia, Guido Bertolaso aggrava la posizione di Guido De Santis e Angelo Balducci, al quale aveva rinnovato "stima e amicizia". Il capo della protezione civile ha raccontato di essersi accorto che i costi per il vertice in programma in Sardegna (poi trasferito a l’Aquila) stavano andando fuori controllo. "Intervenni sostituendo come soggetto attuatore Fabio De Santis (ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana, ora in carcere, ndr) con Gian Michele Calvi nel novembre del 2008". Per gli altri appalti il capo della protezione civile ha confermato ai pm perugini che a occuparsene era l’allora presidente del consiglio superiore dei Lavori pubblici, Angelo Balducci. Precisazioni che in parte si legano alle parole pronunciate appena dopo l’interrogatorio di martedì: "Mi auguro che si arrivi ad una rapida definizione della mia posizione processuale avendo dimostrato la mia totale estraneità alle accuse che mi sono state mosse". I pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, non commentano. Intanto incassano una buona notizia. Il giudice sammarinese Rita Vannucci ha aperto un fascicolo su alcune operazioni sospette avvenute in conti bancari di San Marino. L’indagine sulla "cricca" che vede impegnate quattro procure italiane – Firenze, Perugia, l’Aquila e Roma –, inaspettatamente trova ora nei magistrati del Titano la quinta colonna dell’inchiesta. A tal punto che gli inquirenti della Serenissima Repubblica si sono attivati con una loro rogatoria per acquisire documentazione presso i colleghi italiani, con la concreta possibilità che possano firmare mandati di cattura internazionale. Il tracciato delle operazioni bancarie avvenute su conti di deposito milionari si interseca infatti con movimenti riconducibili ai protagonisti dell’inchiesta umbra. Tra essi il coordinatore del Pdl Denis Verdini, l’ex procuratore aggiunto Toro, e poi Balducci, il costruttore Diego Anemone, il suo ufficiale pagatore Angelo Zampolini, il commercialista Stefano Gazzani e l’ex commissario dei mondiali di nuoto di Roma Claudio Rinaldi. L’ipotesi di reato sulla quale indaga San Marino è quella di riciclaggio di denaro. L’interrogatorio di Bertolaso ha lasciato in sospeso più di una domanda. Perché – si chiedono gli inquirenti – un uomo come lui dovrebbe mentire su un episodio facilmente riscontrabile, rischiando di essere sbugiardato poco dopo?. Insomma, per dirla con una fonte investigativa: "Qualcosa ancora ci sfugge". Il capo della Protezione civile solo martedì sera aveva assicurato di avere preso casa per qualche tempo a Roma, in via Giulia, su interessamento – ha dichiarato Bertolaso – di un collaboratore di Propaganda Fide consigliatogli dall’allora presidente della congregazione, il cardinale Crescenzio Sepe. Bertolaso trovò alloggio presso una casa che sarebbe poi stata acquistata dal regista Raffaele Curi. Il capo della protezione civile sostiene di essere stato ospite, non avendo mai pagato l’affitto ma solo le utenze. Ma proprio Curi, poco dopo ha però ribadito che la pigione veniva versata da Angelo Zampolini, l’architetto tuttofare alle dipendenze di Anemone. Le date però non corrispondono. L’affitto sarebbe stato pagato da Zampolini fino al 2007, ma Bertolaso avrebbe liberato l’immobile almeno due anni prima. Perciò si sta cercando di capire a chi davvero Anemone, attraverso il suo architetto, pagasse l’affitto. Non è questo l’unico rebus dell’inchiesta. Contro l’ex ministro Claudio Scajola ci sono le ammissioni dell’onnipresente Zampolini e delle venditrici dell’appartamento acquistato secondo l’accusa con l’aiuto di Anemone. I magistrati perugini stanno cercando la prova di un eventuale contropartita concessa da Scajola ad Anemone: un appalto, una raccomandazione, un incarico importante, una firma su un documento qualsiasi. Solo quando questo riscontro dovesse arrivare l’esponente del Pdl potrà essere indagato. In caso contrario, Scajola non andrebbe incontro ad alcun processo. Nello Scavo
2010-06-15 15 Giugno 2010 INCHIESTA G8, indagati a Roma Balducci e Verdini Sono sette gli indagati nel fascicolo aperto dalla Procura di Roma riguardo l'inchiesta sull'appalto della scuola marescialli di Firenze dopo che la Cassazione ha disposto la trasmissione degli atti da Firenze a Roma. Al momento l'unico documento presente nel fascicolo è proprio l'estratto della pronuncia della Cassazione. Tra gli indagati l'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Il procuratore capo di Roma Giovanni Ferrara e l'aggiunto Alberto Caperna, per "atto dovuto", hanno disposto l'iscrizione nel registro degli indagati di tutte le persone coinvolte nell'accertamento che era stato sviluppato dai pm fiorentini. Si tratta anche di coloro che sono sottoposti a misure cautelari. Oltre a Verdini e Balducci sono indagati il presidente del consiglio dei lavori pubblici della Toscana, Fabio De Santis, l'imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli, l'avvocato Guido Cerruti e i due imprenditori Roberto Bartolomei e Riccardo Fusi. Per i sette il reato ipotizzato è concorso in corruzione. Intanto restano in carcere Angelo Balducci e Fabio De Santis, arrestati nell'ambito dell'inchiesta sull'appalto Scuola marescialli. Lo ha deciso il tribunale di Firenze, discutendo le istanze presentate dai due imputati che, sulla base della sentenza della Corte di cassazione di giugno chiedevano l'inefficacia della misura cautelare. E' attesa la decisione del tribunale del riesame di Firenze, che ieri si è riunito per discutere i ricorsi di Balducci e De Santis contro il no pronunciato dal gip di Firenze il 5 marzo scorso alle richieste di scarcerazioni. La decisione del giudice del riesame non dovrebbe arrivare prima di domani. Presidenza del Consiglio parte civile La Presidenza del consiglio chiederà di costituirsi parte civile per danno all'immagine al processo che si apre stamani a Firenze per l'appalto della scuola Marescialli dei carabinieri, filone toscano dell'inchiesta sui Grandi eventi. Lo ha detto l'avvocato dello Stato, Massimo Giannuzzi, intrattenendosi con i giornalisti prima dell'inizio dell'udienza. "Fra gli imputati ci sono funzionari che erano in servizio presso il dipartimento dello Sviluppo, della presidenza del Consiglio. Se i reati saranno accertati questa vicenda lede l'immagine dell'amministrazione". Lo ha detto l'avvocato dello Stato, Massimo Giannuzzi parlando della richiesta della presidenza del Consiglio di costituirsi parte civile al processo che si apre stamani a Firenze per l'appalto sulla scuola marescialli. Gli imputati sono l'ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, Angelo Balducci, l'ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana, Fabio De Santis e l'avvocato Guido Cerruti. "Il danno attualmente non è quantificato - ha spiegato Giannuzzi - ma riguarderebbe l'immagine della presidenza del Consiglio. Per costituirsi parte civile serve l'autorizzazione della presidenza del Consiglio. In genere questi atti li firma Letta. Stavolta è stato firmato da Berlusconi".
2010-06-02 2 Giugno 2010 DA BERTOLASO A DI PIETRO Appalti, pioggia di smentite dopo le rivelazioni di Zampolini Il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha detto oggi che non fu Diego Anemone -- il costruttore accusato di corruzione e considerato una delle figure centrali nell'inchiesta della procura di Perugia sugli appalti per le Grandi opere -- a mettergli a disposizione l'appartamento romano di via Giulia, come riportano oggi i principali quotidiani italiani. Anche il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha smentito le notizie di stampa secondo cui, quando era ministro delle Infrastrutture nel governo guidato da Romano Prodi, ebbe due case in affitto a Roma -- una per il partito e una per la figlia -- da Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del ministero ora in custodia cautelare in carcere. Bertolaso ha detto in una nota che "tale appartamento mi venne messo a disposizione gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto, non era Diego Anemone". Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, l'architetto Angelo Zampolini, già coinvolto nella vicenda dell'acquisto di un appartamento da parte dell'ex ministro Claudio Scajola e collaboratore di Anemone, il 18 maggio scorso ha detto ai magistrati di Perugia di aver versato l'affitto al proprietario della casa di via Giulia per conto del costruttore -- che aveva anche provveduto a ristrutturala --, che gli forniva i 1.500 euro necessari in contanti. "Pur non essendo un addetto ai lavori escludo che tale immobile fosse stato appena ristrutturato come confermo di non ricordare di aver mai conosciuto l'architetto Zampolini", aggiunge Bertolaso nella nota, spiegando di essersi avvalso dell'appartamento per un breve periodo verso la fine del 2003, "ben prima quindi di qualsiasi rapporto di lavoro, ancorché indiretto, con l'impresa Anemone". Il capo della Protezione Civile, che nella vicenda dei grandi appalti è indagato per corruzione, spiega poi di non voler rendere pubblico il nome dell'amico che gli mise a disposizione l'appartamento "per non esporlo alla macelleria mediatica in atto", e di aver chiesto ai magistrati di Perugia di poter essere ascoltato "su questa e le altre vicende che mi riguardano appena possibile". QUERELE DA PRODI E VELTRONI Secondo il Corriere, nell'interrogatorio del 18 maggio Zampolini glissò sui rapporti tra Di Pietro e Balducci, ma quattro giorni dopo chiese di essere nuovamente interrogato e rivelò ai pm che l'ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici gli fece avere in affitto due case di proprietà della congregazione Propaganda Fide. "Non è vero nel senso materiale del termine ed ho la prova documentale di quanto affermo. Prova che sono ben felice di consegnare alla magistratura e all'opinione pubblica", ha dichiarato oggi in una nota il leader dell'Italia dei Valori. Zampolini, secondo il quotidiano di via Solferino, nell'interrogatorio ha descritto anche le dinamiche del sistema di gestione dei lavori per il G8 alla Maddalena, raccontando che durante il governo Prodi i suoi progetti vennero scartati perché "venivano privilegiati altri... Stefano Boeri che era amico di Prodi e Rutelli. E l'architetto Napoletano che era amico di Walter Veltroni". Sia l'ex premier Romano Prodi che l'ex segretario del Pd Walter Veltroni hanno annunciato una querela. "Ho già dato incarico di sporgere querela nei confronti di questo signore, per grave calunnia e con richiesta di risarcimento danni... Si tratta di affermazioni deliranti: non so di che cosa si stia parlando, e non mi sono mai occupato di queste cose", ha dichiarato in una nota Veltroni.
2010-05-13 13 MAGGIO 2010 INCHIESTA G8 Più di 400 nomi nella lista Anemone Ora sono in molti a tremare: nell'inchiesta della procura perugina sugli appalti spunta una lista di nomi, che sarebbe stata sequestrata dalla Guardia di Finanza in un computer di Diego Anemone nel 2009. Un elenco - trovato nel corso delle indagini sui mondiali di Nuoto a Roma - che allora non aveva avuto particolare rilevanza investigativa e che invece oggi, alla luce degli ultimi riscontri ottenuti dagli investigatori sui fondi del 'riciclatorè Angelo Zampolini, utilizzati per coprire parte dell'acquisto di abitazioni di personaggi importanti tra cui l'ex ministro Scajola, assume tutt'altro rilievo. La lista, secondo quanto è stato possibile ricostruire, conterrebbe diverse decine di nominativi ai quali sarebbero associati dei lavori svolti dalle imprese di Anemone, considerato dai magistrati una delle figure chiave della cricca. Non sarebbero segnati, invece, gli importi pagati per i servizi ottenuti dal gruppo. I magistrati perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi vogliono ora chiarire se quei nominativi abbiano avuto lo stesso 'trattamentò ottenuto da coloro che sono già stati tirati in ballo. In procura a Perugia sono convinti che il vero ammontare del giro di soldi messo in moto da Anemone - secondo l'accusa per compensare i funzionari pubblici che avrebbero favorito le aziende della cricca negli appalti pubblici - sia ancora tutto da quantificare e comunque di molto superiore ai quasi tre milioni scoperti su un conto della Deutsche Banke intestato a Zampolini. Un fiume di denaro che gli investigatori perugini stanno cominciando a rintracciare nei 1.143 rapporti bancari, di cui 263 conti correnti, intrattenuti da Balducci, Anemone, dai loro rispettivi familiari, dagli intermediari e dalle società a loro riferibili.
Nei prossimi giorni gli ulteriori accertamenti svolti dalla guardia di Finanza su una serie di operazioni sospette segnalate dalla Banca d'Italia, nonchè sui conti correnti intestati innanzitutto a Zampolini ma anche ad Alida Lucci, la segretaria di Anemone. Intanto il legale di Peter Paul Pohl, l'immobiliarista altoatesino legale rappresentante della Schlanderser Bau Srl, la società che ha venduto l'immobile alla Immobilpigna di cui era legale rappresentante Diego Anemone e fiduciari i due figli di Angelo Balducci, Lorenzo e Filippo.
13 Maggio 2010 PALERMO Mani della mafia sui rifiuti siciliani Nuovo tassello nella difficile inchiesta sulle presunte infiltrazioni mafiose nell’affare della costruzione dei termovalorizzatori in Sicilia. La guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Palermo, ha eseguito ieri perquisizioni in tutta Italia nelle sedi di tutte le associazioni temporanee di impresa, delle società consortili e delle agenzie pubbliche interessate alla costruzione degli inceneritori. Sotto la lente di ingrandimento delle Fiamme gialle sono passate tutte le società che facevano parte delle quattro Ati aggiudicatarie della gara, nel 2007 annullata dalla Corte di Giustizia Europea per difetto di pubblicizzazione. Le perquisizioni sono avvenute a Milano, Roma, Palermo, Cagliari, Caltanissetta, Enna e Agrigento, e sono stati sequestrati numerosi documenti relativi alla gara. Gli inquirenti avrebbero già riscontrato alcune anomalie nell’ambito degli ingenti flussi finanziari attorno all’operazione dei termovalorizzatori e adesso stanno indagando per verificare non solo l’esistenza di infiltrazioni della mafia, ma anche di eventuali episodi di corruzione e altre irregolarità. Perquisite, tra le altre, la Altacoen, ditta ennese, ammessa alla gara anche se priva di certificato antimafia, la Falck, che capeggiava tre dei quattro raggruppamenti di impresa assegnatari dell’appalto, la Daneco Gestione Impianti e l’ente appaltante, l’Arra, l’Agenzia regionale rifiuti e acque. Una vicenda, quella dei termovalorizzatori in Sicilia, su cui si sono consumati duri scontri politici e che risulta particolarmente attuale alla luce della grave emergenza rifiuti che l’isola si trova a vivere in questi mesi. A causa dell’inadeguatezza delle discariche e delle gravi inefficienze nel servizio di raccolta, spesso gestito da società in cronica situazione debitoria, come l’Amia a Palermo, la Sicilia rischia di trasformarsi in un altro caso Campania. L’indagine giudiziaria, oltre che su presunte infiltrazioni mafiose nell’affare termovalorizzatori, cerca di far chiarezza sulla regolarità della gara e sull’eventuale esistenza di accordi di cartello tra le Ati aggiudicatarie che, con la compiacenza di funzionari pubblici a cui sarebbero andate tangenti, si sarebbero spartite a tavolino i lavori e poi, dopo la bocciatura europea, avrebbero fatto andare deserte le gare successive per indurre la Regione ad abbandonare la strada del bando pubblico. L’avviso per la realizzazione dei termovalorizzatori venne pubblicato nel 2002 dall’allora commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione siciliana. Le gare furono aggiudicate a quattro associazioni temporanee di impresa, costituite da varie società di tutta Italia interessate alla costruzione dei termovalorizzatori a Bellolampo a Palermo, a Casteltermini, in provincia di Agrigento, a Paternò, nel Catanese, e ad Augusta, in provincia di Siracusa. Un progetto fortemente voluto dal governo regionale presieduto dall’ex governatore Salvatore Cuffaro, ma che, dopo le dimissioni dell’esponente Udc, il nuovo esecutivo guidato da Raffaele Lombardo ha deciso di abbandonare, forte anche di un pronunciamento dell’Alta Corte europea che ha rilevato anomalie nei bandi di gara. Nei giorni scorsi Lombardo ha presentato alla Procura di Palermo un dossier sul business dei termovalorizzatori. Anzi, questo è uno degli argomenti forti che il governatore, coinvolto nell’inchiesta di Catania, sostiene come prova della sua politica di contrasto alla criminalità organizzata. Il presidente della Regione sarà sentito oggi, alle 16, dai pm titolari dell’inchiesta sui termovalorizzatori, i sostituti Nino Di Matteo e Sergio De Montis e l’aggiunto Leonardo Agueci. Il governatore viene sentito come persona informata sui fatti. Sul suo blog fa una stima del giro d’affari illeciti che sarebbe stato contrastato con l’annullamento della gara: "La mafia si è infilata in un sistema che le avrebbe consentito ... un affare che avrebbe fruttato, chi dice cinque, chi dice sette miliardi di euro, e una rendita annua di centinaia di milioni di euro per i prossimi 20-30 anni". Alessandra Turrisi
2010-05-11 10 MAGGIO 2010 INCHIESTA G8 Scarcerato Anemone: "Ho sempre lavorato onestamente" "È mio prioritario interesse fare luce su ogni fatto e ci riuscirò", continua Anemone. "Tutti i fatti che mi si addebitano saranno certamente smentiti e chiariti nelle sedi competenti". "Intendo ripristinare la mia dignità - aggiunge il costruttore - e quella del nome della mia famiglia che ha sempre goduto di stima e di rispetto da più generazioni, costruendo con duro lavoro e sacrificio una ineccepibile reputazione. Accanto a mio padre ho imparato ad essere infaticabile. Dopo questa esperienza sono ancora più convinto che si possa sopravvivere a tutto". Anemone affida il ripristino della sua "dignità al corretto operato della Magistratura, sicuro dell'onestà e della serietà del mio lavoro che mi ha reso forte con la coscienza di essere meritevole della fiducia e della stima ricevuta negli anni, pronto ad affrontare anche questa esperienza traumatizzante ma con la consapevolezza che le accuse rivoltemi non abbiano fondamento nè il benchè minimo riscontro. Le imprese di costruzione Anemone hanno sempre operato nel rispetto della legalità. La attenta valutazione delle procedure osservate farà emergere come le opere siano state tutte eseguite con tempismo, con straordinario sacrificio e hanno raggiunto il migliore dei risultati visibili a tutti". Ieri il ministro Sandro Bondi aveva dichiarato: "Alcuni quotidiani danno il meglio di sè nell'esercizio di lordare anche la mia onestà. Avrò il tempo per medicare le ferite alla mia onorabilità che, attraverso alcuni articoli, mi sono state inferte". Il ministro dei Beni culturali, prende le distanze da presunti coinvolgimenti nelle inchieste di questi giorni su appalti e grandi opere e rivendica "non ho nulla a che fare con faccende e faccendieri di cui si parla". "Desidero rivendicare il merito - osserva Bondi - di aver proceduto al commissariamento dell'area archeologica di Pompei, dei Fori Romani, di Brera e degli Uffizi. Per quanto riguarda il Museo degli Uffizi - puntualizza - appena ho avuto conoscenza delle indagini della magistratura, ho revocato immediatamente il commissariamento per agevolare il lavoro della magistratura stessa, proprio perchè - rileva - non ho nulla a che fare con faccende e faccendieri di cui si parla".
2010-05-09 ANEMONE DOPO LA SCARCERAZIONE "Ho sempre lavorato onestamente sono innocente e lo dimostrerò" L'imprenditore parla di esperienza "sconvolgente": "Per fortuna non ho letto i giornali" "Ho sempre lavorato onestamente sono innocente e lo dimostrerò" Diego Anemone
ROMA - Piu' magro e senza cravatta, così è apparso Diego Anemone, l'imprenditore al centro dello scandalo del G8 liberato per la scadenza dei termini di carcerazione preventiva a Rieti 1. Anemone in serata ha rilasciato un lungo comunicato all'Ansa: ""Ho sempre lavorato onestamente, con tenacia, senza risparmiarmi e nel massimo rispetto di tutti i miei collaboratori". Anemone si dice certo "che la Giustizia, nella quale continuo ad avere grande fiducia, farà chiarezza sulla mia totale innocenza". "Lavorerò sodo - aggiunge - per far emergere la verità rispetto le vicende delle quali mi si accusa ingiustamente e le carte processuali lo dimostreranno". LE PRIME FOTO DOPO LA SCARCERAZIONE 2 "Ad un orario imprevisto sono tornato in libero. L'aria libera dopo alcune ore di procedure, notifica di atti processuali e dichiarazioni da rendere mi ha sconvolto e reso come un automa. Poi la realtà, gli affetti più cari e le notizie". Per Diego Anemone, riacquistare la libertà dopo tre mesi di carcere è stata un'esperienza, nel bene e nel male, "sconvolgente". "Sono grato a chi mi ha consigliato di non leggere i giornali durante gli ultimi tre mesi. Mi accorgo di essere stato infamato e diffamato", dice, pur rispettando "il sacrosanto diritto all'informazione e dovere di cronaca, convinto che debbano basarsi sulle verità processuali nel rispetto della persona e della sua dignità ". "Ho vissuto un periodo molto doloroso - aggiunge Anemone - soprattutto pensando alla mia famiglia e ai miei bambini. Sono grato e ringrazio pubblicamente tutto il personale penitenziario che ha avuto garbo e umanità e mi ha alleviato i momenti più duri di questa esperienza agghiacciante". "Intendo ripristinare la mia dignità - sostiene il costruttore - e quella del nome della mia famiglia che ha sempre goduto di stima e di rispetto da più generazioni, costruendo con duro lavoro e sacrificio una ineccepibile reputazione. Accanto a mio padre ho imparato ad essere infaticabile. Dopo questa esperienza sono ancora più convinto che si possa sopravvivere a tutto".
Le imprese di costruzione Anemone hanno sempre operato nel rispetto della legalità. La attenta valutazione delle procedure osservate farà emergere come le opere siano state tutte eseguite con tempismo, con straordinario sacrificio e hanno raggiunto il migliore dei risultati visibili a tutti". Il G8, ricorda Anemone "è stato poi annullato per i fatti drammatici sopravvenuti ed imprevedibili", mentre "i lavori di ampliamento del Circolo sportivo sono stati realizzati sostenendone integralmente i costi, nel rispetto della procedura. La realizzazione ha contribuito in modo determinante a rendere possibile l'evento dei Mondiali di Nuoto a Roma; le Società sportive esclusivamente di proprietà mia e di mio fratello hanno dato solo lustro al mondo dello sport con la continua ricerca dell'eccellenza e tutti i numerosissimi soci e frequentatori ne sono stati e ne sono testimoni diretti quotidiani". "Continuerò a tenere fermo il convincimento - conclude Anemone - che le vicende giudiziarie debbano essere giudicate dalla competenza della Magistratura e collaborerò con i miei difensori: sono innocente". (09 maggio 2010)
INCHIESTA G8 Scarcerato Diego Anemone l'imprenditore della 'banda delle emergenze' Scadevano oggi i termini di custodia cautelare disposta dal gip per il costruttore Scuole, piscine e ospedali nel giro di affari grazie agli appalti per i grandi eventi Scarcerato Diego Anemone l'imprenditore della 'banda delle emergenze' Diego Anemone RIETI - Questa mattina Diego Anemone, il costruttore considerato una delle figure centrali dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i grandi eventi attraverso la Protezione civile, è tornato in libertà. Oggi sono scaduti i termini di custodia cautelare disposti dal Gip di Perugia. Anemone ha lasciato il carcere di Rieti nelle ore scorse nel massimo riserbo. Ha raggiunto una località che viene mantenuta riservata e comunque non a Roma. Per il momento, Anemone non intende avere contatti con i mezzi di informazione. Sempre oggi è prevista la scarcerazione del funzionario pubblico Mauro Della Giovanpaola, detenuto nel carcere di Terni. (09 maggio 2010)
IL RETROSCENA E i Nuovi Uffizi furono affidati a un manager di parrucchieri Con il placet del ministro della Cultura Sandro Bondi. Anche De Santis si sfogò: è troppo DI CARLO BONINI E i Nuovi Uffizi furono affidati a un manager di parrucchieri Sandro Bondi ROMA - Con buona pace di Guido Bertolaso e del set allestito venerdì a Palazzo Chigi per restituire onore e lustro alla Protezione civile, c'è una storia (documentata negli atti depositati dalla Procura di Firenze per il giudizio immediato di Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco De Vito Piscicelli e l'avvocato Guido Cerreti) che torna a raccontare le mosse storte della Cricca. E uno dei suoi miracoli negli appalti per le Grandi opere. Parliamo della decisione che, nel dicembre del 2009, con il placet del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, promuove a direttore dei lavori di restauro dei Nuovi Uffizi un tale Riccardo Micciché, ingegnere agrigentino non solo in odore di mafia, ma soprattutto ricco di una competenza maturata nel ramo del management di aziende specializzate nella "preparazione dei terreni per erbe e piante officinali", e nella "attività di parrucchiere per donna, uomo, bambino, di manicure e pedicure". Epperò, già collega di cantiere, alla Maddalena, di Francesco Piermarini, il cognato di Guido Bertolaso. Micciché e i Nuovi Uffizi, dunque. Per l'appalto, che vale 29 milioni e mezzo di euro (e di quelli in elenco per i 150 anni dell'Unità d'Italia), nel dicembre del 2009, un'ordinanza di "Protezione civile" della Presidenza del Consiglio dei Ministri raccomanda che sia scelto quale direttore dei lavori, "un soggetto di elevata e comprovata esperienza". E così, quando il 22 dicembre, Salvo Nastasi, capo di gabinetto del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, comunica ad Angelo Balducci che la scelta è caduta sull'ingegnere Micciché, persino ad un tipo con due dita di pelo sullo stomaco come Fabio De Santis, sembra troppo. Al telefono con il suo amico e collega Enrico Bentivoglio, De Santis, allora provveditore per le Opere pubbliche della Toscana, dice: "Come cazzo si chiama... Micciché. Non ci posso credere... Non ci posso credere (ride)... Ma li mortacci. Quando lo vedo gli dico: "Siamo proprio dei cazzari... Siete proprio dei cazzari. Andate in giro a rompere il cazzo... Ma ti rendi conto? Quando siamo andati che ci stava pure Bondi, abbiamo fatto la riunione, siamo tornati in treno e ci stava pure Salvo Nastasi. Stavamo da soli e gli ho fatto: "Ma siamo sicuri di coso... il siciliano? Siamo sicuri che questo riesce a mettere d'accordo tutti? Perché un conto è fare un grande successo... La Maddalena per carità d'Iddio... un conto è fare il direttore degli Uffizi".
Evidentemente, però, l'agrigentino ha amici di peso. Sicuramente - per quel che si legge nelle intercettazioni telefoniche di De Santis - ha l'appoggio di Mauro Della Giovampaola. Certamente, ha un peso decisivo aver lavorato alla Maddalena con Francesco Piermarini, il cognato di Bertolaso, quale "rappresentante della struttura di missione" e avere avuto un qualche legame con il costruttore Diego Anemone (visto che il cellulare di Micchiché, come quello di Piermarini, in quel periodo sono in carico a una delle aziende che lavorano in subappalto per il costruttore romano). In ogni caso, annotano i carabinieri del Ros nella loro informativa del 4 gennaio 2010, "l'ingegnere non appare essere munito di particolare esperienza per condurre i lavori degli Uffizi". Se non altro, per aver seduto nel cda della società "Erbe Medicinali Sicilia" (le piante officinali) ed essere socio della "Modu's Atelier" (parrucchiere e manicure). Ma quel che è peggio - e sono ancora i carabinieri ad annotarlo - è che il fratello di Riccardo Micciché, Fabrizio, è responsabile tecnico della ditta "Giusylenia srl", impresa "sotto il controllo di esponenti della Cosa nostra agrigentina", accusati di aver favorito la latitanza di Giovanni Brusca e dunque sotto il tallone di Bernardo Provenzano. Non è dato sapere se in quel dicembre 2009, il ministro Bondi conosca le competenze di Riccardo Micciché e il contesto familiare mafioso che lo definisce. Se lo abbia informato il suo capo di gabinetto o lo abbia fatto il capo della Protezione civile Guido Bertolaso. È un fatto che Micciché diventa direttore dei lavori di restauro e che le conclusioni del Ros appaiono su questa circostanza radicali: "Si ritiene che l'affidamento dei lavori degli Uffizi sia gestito in una più ampia cornice di interscambio di favori, con la conseguenza che l'importante direzione dei lavori venga affidata a un tecnico che, da un lato non sembra essere un soggetto di elevata e comprovata responsabilità, e dall'altro ha contatti con soggetti iscritti in un contesto di condizionamento mafioso". (09 maggio 2010)
INCHIESTA G8 Battuta di Bertolaso su Clinton Frattini: "Il governo si dissocia" Il capo della Protezione civile aveva detto che sia lui sia l'ex presidente Usa hanno "un problema che si chiama Monica". Il ministro degli Esteri prende le distanze a nome dell'esecutivo e poi precisa: "Non era offensiva" Battuta di Bertolaso su Clinton Frattini: "Il governo si dissocia" ROMA - "La Farnesina e il Governo si dissociano pienamente dal linguaggio e dalle affermazioni" del capo della Protezione civile Guido Bertolaso "che non riflettono in alcun modo il pensiero del Governo italiano, il quale in maniera ferma e compatta riafferma la massima stima e considerazione nei confronti dell'ex presidente americano Bill Clinton". Lo afferma il ministro degli Esteri Franco Frattini, interpellato sulla battuta pronunciata ieri da Bertolaso 1 sul fatto di aver avuto "un problema che ha lo stesso nome: Monica". Il capo della diplomazia italiana poi dice, "a chiarimento definitivo", che quella di Bertolaso è stata "una battuta certo non offensiva e non indirizzata in alcun modo a mettere in dubbio l'amicizia e la stima profonda del governo e del popolo italiano nei confronti dell'ex presidente americano Bill Clinton". Nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, organizzata per difendersi dalle accuse che gli vengono mosse nell'inchiesta sugli appalti per il G8 della Maddalena, Bertolaso ha, tra l'altro, fatto riferimento ai complimenti ricevuti dall'ex presidente Usa per quanto fatto dall'Italia ad Haiti. Ed ha aggiunto: "Quando ho visto Clinton alla fine di marzo mi era venuta voglia di fargli una battuta che poi non ho fatto: gli volevo dire che lui ed io abbiamo un problema che si chiama Monica, poi ho evitato di farla perché mentre io non credo di avere avuto problemi reali con questa Monica, lui probabilmente invece qualche problemuccio lo ha avuto". VIDEO La conferenza stampa di Bertolaso 2 La Monica cui fa riferimento Bertolaso è la massaggiatrice brasiliana del Salaria Sport Village che in un'intercettazione pubblicata nell'ambito dell'inchiesta sul G8 racconta di aver "fatto vedere le stelle" al capo della Protezione Civile. (08 maggio 2010)
2010-05-06 Berlusconi: "Mai parlato di congiura" Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega Il premier smentisce le dichiarazioni riportate ieri dalla stampa e parlando dell'interim allo Sviluppo economico assicura: "Sarà breve". Bossi: "Forse Galan al posto di Scajola e un leghista all'Agricoltura". Il ministro della Difesa: "Sarà un politico del Pdl". Anm al premier: "Facciamo solo il nostro dovere" Berlusconi: "Mai parlato di congiura" Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega Silvio Berlusconi ROMA - "Non ho mai parlato di congiure e complotti. Il termine congiura lo avete scritto voi, penso di non averlo mai detto in vita mia, è un vocabolo che non mi appartiene" ha detto il premier Silvio Berlusconi conversando con i giornalisti smentendo le dichiarazioni riportate ieri 1 e replicando a chi gli faceva notare che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avesse preso le distanze da un'ipotesi del genere. Il premier ha quindi esposto il suo pensiero: "Penso che tutto va avanti come è sempre andato avanti, e cioè con alcuni magistrati politicizzati e basta. Io di natura credo di non avere mai detto congiura in vita mia. Mai, non è assolutamente un mio vocabolo". E dunque, ha concluso, "non ho mai detto né congiura né complotto". A queste parole ha risposto l'Associzione nazionale dei magistrati: "Ci sono delle inchieste giudiziarie, i giudici hanno un compito da svolgere che gli assegna la Costituzione, di accertare appunto se determinati fatti costituiscono reato". Premier: "Interim sarà breve". Poi, parlando dell'interim allo Sviluppo economico, Berlusconi ha assicurato che "sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo". "E' un incarico - ha precisato - diciamo così, tecnico. Durerà giorni". Berlusconi ha aggiunto che sulla scelta del successore di Scajola, serviranno dei giorni perché "devo consultarmi anche con gli alleati, all'interno del governo e mi sono preso qualche giorno di tempo per una decisione che deve essere ponderata". Nomi in campo? "Ci sono alcuni nomi che ho in mente", ha risposto il premier. Chi sostituirà Scajola? Umberto Bossi ragiona, con i cronisti a Montecitorio, del dopo-Scajola. Si parla di Giancarlo Galan al posto di Claudio Scajola al ministero dello Sviluppo economico e di un leghista al dicastero dell'Agricoltura di Luca Zaia. Uno scenario possibile secondo il leader del Carroccio. "Potrebbe anche essere", replica il senatur. Ma dal Pdl arriva uno stop. "Abbiamo appena fatto un riequilibrio con la Lega - dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa dopo la riunione tenutasi a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi ed i vertici del Pdl - Io penso che gli equilibri all'interno della coalizione siano già corretti. Non ci saranno drammi ma credo che sarà un politico del PdL e non un tecnico". Schifani: "Sul ddl anticorruzione fare presto". Intanto oggi il presidente del Senato, Renato Schifani, ha sollecitato, con una lettera, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia "a una definizione in tempi brevi" del ddl anticorruzione "per consentire una sollecita calendarizzazione del provvedimento in Assemblea". (06 maggio 2010)
Berlusconi: "Mai parlato di congiura" Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega Il premier smentisce le dichiarazioni riportate ieri dalla stampa e parlando dell'interim allo Sviluppo economico assicura: "Sarà breve". Bossi: "Forse Galan al posto di Scajola e un leghista all'Agricoltura". Il ministro della Difesa: "Sarà un politico del Pdl". Anm al premier: "Facciamo solo il nostro dovere" Berlusconi: "Mai parlato di congiura" Sul dopo Scajola La Russa frena la Lega Silvio Berlusconi ROMA - "Non ho mai parlato di congiure e complotti. Il termine congiura lo avete scritto voi, penso di non averlo mai detto in vita mia, è un vocabolo che non mi appartiene" ha detto il premier Silvio Berlusconi conversando con i giornalisti smentendo le dichiarazioni riportate ieri 1 e replicando a chi gli faceva notare che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avesse preso le distanze da un'ipotesi del genere. Il premier ha quindi esposto il suo pensiero: "Penso che tutto va avanti come è sempre andato avanti, e cioè con alcuni magistrati politicizzati e basta. Io di natura credo di non avere mai detto congiura in vita mia. Mai, non è assolutamente un mio vocabolo". E dunque, ha concluso, "non ho mai detto né congiura né complotto". A queste parole ha risposto l'Associzione nazionale dei magistrati: "Ci sono delle inchieste giudiziarie, i giudici hanno un compito da svolgere che gli assegna la Costituzione, di accertare appunto se determinati fatti costituiscono reato". Premier: "Interim sarà breve". Poi, parlando dell'interim allo Sviluppo economico, Berlusconi ha assicurato che "sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo". "E' un incarico - ha precisato - diciamo così, tecnico. Durerà giorni". Berlusconi ha aggiunto che sulla scelta del successore di Scajola, serviranno dei giorni perché "devo consultarmi anche con gli alleati, all'interno del governo e mi sono preso qualche giorno di tempo per una decisione che deve essere ponderata". Nomi in campo? "Ci sono alcuni nomi che ho in mente", ha risposto il premier. Chi sostituirà Scajola? Umberto Bossi ragiona, con i cronisti a Montecitorio, del dopo-Scajola. Si parla di Giancarlo Galan al posto di Claudio Scajola al ministero dello Sviluppo economico e di un leghista al dicastero dell'Agricoltura di Luca Zaia. Uno scenario possibile secondo il leader del Carroccio. "Potrebbe anche essere", replica il senatur. Ma dal Pdl arriva uno stop. "Abbiamo appena fatto un riequilibrio con la Lega - dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa dopo la riunione tenutasi a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi ed i vertici del Pdl - Io penso che gli equilibri all'interno della coalizione siano già corretti. Non ci saranno drammi ma credo che sarà un politico del PdL e non un tecnico". Schifani: "Sul ddl anticorruzione fare presto". Intanto oggi il presidente del Senato, Renato Schifani, ha sollecitato, con una lettera, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia "a una definizione in tempi brevi" del ddl anticorruzione "per consentire una sollecita calendarizzazione del provvedimento in Assemblea". (06 maggio 2010)
INCHIESTA APPALTI Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia" Escluse le dimissioni: "Da cosa mi dimetto?" Intervenuto a "La telefonata" di Mattino5, per il coordinatore nazionale del Pdl si tratta di "un altro processo mediatico". "Avrò fatto qualche telefonata. Ma nulla di sostanziale, non avevo nessuna responsabilità di governo. Io non posso fare niente di concreto" Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia" Escluse le dimissioni: "Da cosa mi dimetto?" Denis Verdini ROMA - Denis Verdini nega, non sa di essere indagato per corruzione 1 nel business degli appalti dell'eolico in Sardegna, ribadisce che il suo presunto coinvolgimento "è una follia". Intervenuto a "La telefonata" di Maurizio Belpietro a Mattino5, il coordinatore nazionale del Pdl ha dichiarato: "Avvisi di garanzia non ne ho ricevuti. Dicono che sono indagato ma io non so niente". Per Verdini si tratta di un processo mediatico, una gogna pubblica. "Mi sembra una follia quello che sta accadendo, un'operazione di violazione costante del segreto istruttorio, ti espongono a processi mediatici a quali non voglio stare - ha detto nell'intervento -. Si reclama che i politici vogliono sfuggire ai processi, invece i processi vengono fatti altrove. Mi sento tranquillo e mi attengo ai fatti". "Quando uno fa politica - ha aggiunto durante il programma - può fare delle cose ma nessuna illegitimità. Avrò fatto qualche telefonata ma non c'è nulla di sostanziale, non avevo nessuna responsabilità di governo o funzioni, non posso fare niente di concreto. Sono opinioni dei magistrati con cui voglio confrontarmi". Verdini ha aggiunto che "nessuno mi ha detto niente, ho letto solo sui giornali. Anemone non lo conosco, mai visto. Ci sono altre persone con cui ho parlato, ma solo quello. Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia, è un'inchiesta vecchia, ma io non so nulla". Per Verdini pensare al complotto è legittimo: "Ci sarà una congiura? Non lo so ma certo si ripetono sempre gli stessi fatti e con puntualità - ha detto -. E quando una cosa si ripete puntualmente diventa scientifica ed è legittimo anche sospettere delle cose". Ma nessuna dimissione all'orizzonte, secondo Verdini quello di Scajola è stato infatti "un gesto significativo, se no la gente non è contenta di niente. Io da che mi dimetto? Non ho responsabilità di governo, solo di organizzazione del partito". E sulle possibili ripercussioni all'interno del Pdl, invece, secondo Verdini "possono prestare il fianco all'avversario vero, che vuole che il paese resti dove è invece di fare le riforme vere. Se cadesse il governo è logico che si dovrebbe andare al voto, poi ci sono delle regole da seguire ma non vedo questa questione perchè la maggioranza e il governo sono forti". (06 maggio 2010)
2010-05-05 CENTRODESTRA Caso Scajola, Berlusconi grida al complotto Fini e Bossi lo stoppano: "Non è vero" Il Cavaliere ha assunto l'interim e le opposizioni attaccano: "Enorme conflitto di interessi". Il presidente della Camera: "Nessuna congiura". Il leader leghista: "I magistrati fanno il loro lavoro" Caso Scajola, Berlusconi grida al complotto Fini e Bossi lo stoppano: "Non è vero" ROMA - "Per ora prendo l'interim, ma è chiaro che c'è una congiura contro il governo". Secondo l'agenzia Agi Silvio Berlusconi si sarebbe rivolto così ad un gruppo di senatori del Pdl a palazzo Grazioli. Il giorno dopo le dimissioni del ministro dell' Attività produttive Claudio Scajola 1 (che "ha creato un precedente pericoloso perché chiunque ora potrà chiedere le dimissioni di un ministro") il Cavaliere evita di sostituire il ministro ed assume sulle sue spalle la carica. Non rinunciando, però, a gridare al complotto. Ma questa volta nessuno segue il premier: né Gianfranco Fini, e questo era scontato, e nemmeno Umberto Bossi. Il presidente della Camera, intervistato da Sky, prende le distanze: "Non c'è nessuna congiura o accanimento dei giudici contro il governo, è un dovere di tutti tutelare il valore della legalità. Acceleriamo sul ddl anticorruzione". E lo stesso fa il leader della Lega: "Congiura? I magistrati fanno il loro lavoro". Fini a Sky ha parlato anche degli attacchi subìti dal Giornale. "Il problema è l'evidente conflitto di interessi in cui si trova l'editore". In serata il Cavaliere ha cercato comunque di recuperare con Fini. Ha convocato alcuni senatori della corrente del presidente della Camera ai quali avrebbe rivolto l'invito a riprendere il dialogo. "E' stato un incontro - aggiungono le stesse fonti - molto positivo". "Mi prendo l'interim". "Per ora prendo l'interim. C'è da portare avanti il discorso del nucleare che è stato impostato bene" dice Berlusconi, mettendo da parte l'ipotesi di sostituire il titolare del dicastero delle Attività produttive. Non è la prima volta che il premier decide in questo modo. Nel precedente governo fu anche responsabile della Farnesina. Ad un senatore il presidente del Consiglio ha confidato di voler cercare una persona al di fuori della politica ("Se me lo faranno fare...", è stata la sua battuta), a tutti quanti ha poi ripetuto che "al momento non ci sono candidature. Meglio - questo il ragionamento - far decantare le acque e non turbare gli equilibri del governo. La durata sarà proporzionata alle candidature che emergeranno, vediamo più avanti". Nel pomeriggio il Cavaliere è salito al Quirinale dove il presidente Giorgio Napolitano ha firmato il decreto di nomina. E su questo si sono scatenate le opposizioni. Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd è secca: "Il conflitto di interessi è ora in termini solari. Il Presidente imprenditore non può anche essere ministro dello Sviluppo economico". "E' un conflitto di interessi madornale. E' la dimostrazione che ancora una volta questo governo intende farsi solo gli affari propri", aggiunge il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro. "C'è una congiura". E' solo l'inizio. "Attaccheranno altri personaggi a me vicini ed altri esponenti di governo. Lo hanno fatto e lo faranno ancora" preannuncia Berlusconi ai suoi senatori. "C'è una congiura - ha teorizzato il premier secondo quanto viene riferito - di un sistema esterno al governo che ha in mano delle carte" o che "per via mediatica" tenta di disarcionare l'esecutivo. Il Cavaliere, nel suo ragionamento, ha parlato di "un gruppo quasi organizzato" che minaccia l'azione del governo, "di un 'dossier' aperto a rate che fa parte di un'operazione ben più vasta del 'caso Scajola'". (05 maggio 2010)
INCHIESTA APPALTI Appalti, anche Verdini indagato per corruzione "Irregolarità nei progetti eolici in Sardegna" Il coordinatore Pdl si difende: "Non mi dimetto". Bondi: "Inchieste sospette contro di noi". A Firenze accolta la richiesta dei pm. il 15 giugno inizierà il processo a Balducci, De Sanctis, Cerruti e De Vito Piscitelli per l'appalto della scuola dei marescialli Appalti, anche Verdini indagato per corruzione "Irregolarità nei progetti eolici in Sardegna" Angelo Balducci ROMA - Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare i progetti sull'eolico in Sardegna. Ieri, a Firenze, è stato perquisito il Credito Cooperativo Fiorentino, istituto bancario presieduto da Verdini. Gli investigatori erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali intendono accertare la provenienza e la destinazione. In procura c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso. Verdini, intanto, si difende: "Sono estraneo alle accuse, non mi dimetto, non fa parte della mia mentalità e non ho nessuna necessità di farlo. Anemone? Non lo conosco. Complotto? Qualche sospetto viene". Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia. Oltre a Verdini sono indagati, tutti per concorso in corruzione, anche l'uomo d'affari Flavio Carboni, il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu, il direttore generale dell'Arpa della Sardegna Ignazio Farris, e un magistrato tributario, Pasquale Lombardi. Si aprirà intanto il 15 giugno il processo per l'appalto della scuola marescialli dei carabinieri a Firenze, filone toscano dell'inchiesta sui grandi eventi. Lo ha stabilito il gip Rosario Lupo, accogliendo la richiesta di giudizio immediato avanzata dai pm fiorentini per Angelo Balducci, Fabio De Sanctis, Guido Cerruti e Francesco Maria De Vito Piscicelli. Il gip ha invece rigettato le richieste di arresti domiciliari presentate dalle difese di Balducci e De Sanctis. Il gip ha spiegato che la richiesta avanzata dalla procura di Firenze era "insindacabile" perché presenti i tre elementi che rendono automatico il giudizio immediato: evidenza della prova, esistenza di uno stato cautelare e il fatto che i termini per presentare istanza al tribunale del riesame fossero interamente decorsi. A questo punto gli atti entreranno nella disponibilità degli avvocati difensori degli indagati, che avranno quindici giorni di tempo per chiedere eventuali riti alternativi. Le posizioni di Denis Verdini e Riccardo Fusi, ex presidente della società di costruzioni Btp, sono state stralciate. In conseguenza del giudizio immediato, slittano i termini delle custodie cautelari disposte nei confronti di Balducci, De Sanctis, De Vito Piscicelli e Cerruti, quest'ultimi due agli arresti domiciliari. Balducci e De Sanctis sarebbero dovuti uscire dal carcere domenica prossima, 9 maggio, data di scadenza dell'ordinanza di custodia cautelare per l'inchiesta sui grandi eventi eseguita il 10 febbraio scorso. Cerruti e Piscicelli sono ai domiciliari rispettivamente dallo scorso 4 marzo e dagli inizi di maggio. Nel frattempo dal Pdl arriva il sospetto di "qualcosa di poco chiaro e di allarmante in questa nuova ondata di inchieste a carico di esponenti del nostro movimento politico" dice il coordinatore Sandro Bondi. (05 maggio 2010)
L'ANNIVERSARIO Unità d'Italia, Napolitano a Genova "Celebrazioni non sono tempo perso" Il presidente della Repubblica invita le forze politiche a evitare polemiche pregiudiziali e respinge tesi storiche infondate che vorrebbero un Sud da abbandonare a se stesso. Anche perché "la maggioranza dei garibaldini venivanon dal Nord". Bossi polemico: "Al Nord avevano molti dubbi sull'Unità..." Unità d'Italia, Napolitano a Genova "Celebrazioni non sono tempo perso" GENOVA - Tutte le iniziative comprese nel "sobrio" programma per celebrare il 150/o dell'Unità d'Italia "non sono tempo perso e denaro sprecato, ma fanno tutt'uno con l'impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti dinanzi a noi". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a bordo della portaerei "Garibaldi" per il discorso ufficiale di Genova, implicitamente replicando alle dichiarazioni di diversi esponenti della Lega, con Umberto Bossi 1 su tutti. Il capo dello Stato prende la parola nell'hangar della portaerei, al suo fianco, i presidenti del Senato, Renato Schifani, e della Camera, Gianfranco Fini, e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, insieme ai vertici delle forze armate e delle istituzioni locali. Tra gli esponenti politici, il segretario dell'Udc, Pier Ferdinando Casini.
Reagire a tesi storiche infondate. Per il capo dello Stato, "non è retorica reagire a tesi storicamente infondate, come quelle tendenti ad avvalorare ipotesi di unificazione parziale dell'Italia abbandonando il Sud al suo destino''. Ipotesi queste, ''che non furono mai abbracciate da alcuna delle forze motrici e delle personalità rappresentative del movimento per l'unità''. "Far rivivere nella memoria e nella coscienza del Paese le ragioni di quell'unità e indivisibilità con cui nacque l'Italia serve a offrire una fonte di coesione sociale come base essenziale di ogni avanzamento, tanto del Nord quanto del Sud, in un sempre più arduo contesto mondiale". Unità d'Italia, no a polemiche pregiudiziali. Il presidente della Repubblica sottolinea con forza come i festeggiamenti per l'Unità d'Italia "non possono formare oggetto di polemica pregiudiziale da parte di nessuna forza politica. C'è spazio per tutti i punti di vista e per tutti i contributi. Solo così onoriamo i patrioti, gli eroi e i caduti dei mille che salparono da Genova in questo giorno il 5 maggio di 150 anni orsono". Patrioti che "erano in grande maggioranza lombardi, veneti, liguri", "italiani che si sentivano italiani e che accorrevano là dove altri italiani andavano sorretti nella lotta per liberarsi e ricongiungersi in un'Italia finalmente unificata". Orgoglio nazionale per affrontare il futuro. Napolitano sui luoghi dove fu conquistata l'unità d'Italia. Per rinfrescare la memoria e rafforzare la consapevolezza comune delle radici. "Celebrando il 150/o dell'Unità d'Italia guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per rinnovare tutto quello che c'è da rinnovare nella società e nello Stato" dice il capo dello Stato. Ma bisogna "recuperare motivi di fierezza e di orgoglio nazionale, perché ne abbiamo bisogno. Ci è necessaria questa più matura consapevolezza storica comune anche per affrontare con la necessaria fiducia le sfide che ci attendono e già mettono alla prova il nostro Paese. Ci è necessaria per tenere con dignità il nostro posto in un mondo che è cambiato e che cambia". In difesa di Garibaldi. I mille erano guidati da un "condottiero" coraggioso e capace. A Giuseppe Garibaldi rende omaggio Giorgio Napolitano, per ripulire la sua figura da "grossolane denigrazioni". Il presidente ricorda le "capacità di attrazione e di guida", il "coraggio e la "perizia" del condottiero. Non a caso, prima della cerimonia Napolitano ha voluto recarsi allo scoglio di Quarto, dove la spedizione dei mille salpò. E il prossimo 11 maggio il presidente sarà in Sicilia, dapprima a Marsala, dove le camicie rosse sbarcarono, e poi ancora a Calatafimi.
Bossi polemico. "Nessuno della Lega è stato invitato a Quarto", dice Umberto Bossi. Che poi replica indirettamente al presidente: "All'epoca i lombardi volevano la libertà dall'Austria ma avevano mille dubbi sull'unità e nel 1859 cantavano 'la bella gigogin.." (canzone patriottica dell'epoca risorgimentale, fortemente antiaustriaca). (05 maggio 2010)
* Sei in: * Repubblica / * Cronaca / * Un nuovo sbarco dei Mille "Per … * + * - * Commenta * Stampa * Condividi * Delicious * OKNOtizie * Technorati L'INIZIATIVA Un nuovo sbarco dei Mille "Per l'Italia una nave dei diritti" Una spedizione di italiani che vivono all'estero e torneranno a Genova per un giorno il prossimo 25 giugno: "Denunciamo le derive culturali, politiche e sociali del nostro paese" di PAOLA COPPOLA Un nuovo sbarco dei Mille "Per l'Italia una nave dei diritti" MILLE italiani sbarcheranno nel porto di Genova. A bordo della "Nave dei Diritti", così è stato ribattezzato il traghetto di linea che li porterà in Italia alla fine di un viaggio che comincia a Barcellona. Vivono all'estero, non pensano di tornare. Dopo un giorno di navigazione vogliono approdare sulla costa ligure e animare così "Lo Sbarco", un'iniziativa simbolica per denunciare le derive culturali, politiche e sociali del nostro Paese. Appuntamento il prossimo 25 giugno. Nell'anniversario della spedizione dei Mille, questi italiani e diversi cittadini europei scelgono imbarcarsi per l'Italia, per ribadire l'importanza della Costituzione, la sua origine laica e pluralista, e denunciare le derive della politica. Un'iniziativa nata dal basso dall'idea di un gruppo di italiani che vive a Barcellona, maturata la scorsa estate e che in pochi mesi si è diffusa attraverso il passaparola coinvolgendo anche gli altri gruppi di italiani che vivono nelle altre capitali europee. Oggi "Lo Sbarco" ha superato le 1000 adesioni e ottenuto l'appoggio di diversi intellettuali, scrittori, musicisti, associazioni. Raccontano perché hanno aderito attraverso videomessaggi diffusi sul sito dell'iniziativa 1. Così il nobel Dario Fo: "Potrebbe essere la nave dei pazzi, gente che viene dal mare e porta un apporto alla propria terra". Oppurel nobel José Saramago, che si chiede: "Non tanto tempo fa l'Italia è stata un esempio per l'Europa con Garibaldi, con Verdi. Com'è che è caduta da queste altezze?". Lo scrittore Erri De Luca, invece, testimonia: "Sto con la nave che vuole riportare l'Italia a se stessa". E poi ci sono Lella Costa e Moni Ovadia, il jazzista Paolo Fresu e tanti altri. Dalla parte dello "Sbarco" anche diverse associazioni antirazziste, i No-Tav, la Rete Scuole e gli operai Vynils che occupano l'Asinara, ma non ci sono sigle né partiti politici dietro questa iniziativa che si sta autofinanziando organizzando eventi culturali. "Assistiamo seriamente preoccupati a ciò che avviene in Italia", si legge sul manifesto del movimento. Diritti ormai acquisiti sono rimessi in discussione: "Il razzismo cresce, così come l'arroganza, la prepotenza, la repressione, il malaffare, il maschilismo, la diffusa cultura mafiosa, la mancanza di risposte per il mondo del lavoro, sempre più subalterno e sempre più precario. I meriti e i talenti delle persone, soprattutto dei giovani, non sono valorizzati. Cresce la cultura del favore, del disinteresse per il bene comune, della corsa al denaro, del privato in tutti i sensi". Queste le motivazioni degli organizzatori. La "spedizione" è aperta a tutti. L'obiettivo è raggiungere 1000 biglietti acquistati sul traghetto. In pochi giorni - l'iniziativa è stata presentata ufficialmente la scorsa settimana a Barcellona - si sono superati i 100 biglietti venduti e già ci sono 600 prenotazioni. "Vogliamo portare solidarietà e appoggio a chi vive in Italia perché il nostro Paese attraversa un momento difficile, sembra che si sia persa un po' la bussola e che il patrimonio di credibilità e di autorevolezza di cui godeva anche all'estero si stia progressivamente disperdendo", racconta Andrea De Lotto, milanese che vive nella capitale catalana da due anni dove insegna come maestro alla scuola elementare italiana, che è una delle anime dell'iniziativa. Dai media stranieri - dicono gli organizzatori - l'Italia viene descritta come il paese dei campi rom bruciati, delle aggressioni, delle ronde, delle leggi ad personam, dei decreti di espulsione, per citare alcuni episodi dell'ultimo anno. Andrea continua: "Il nostro vuole essere un contributo e un invito a tornare a parlare di diritti su un piano pre-politico" "Questa è un'iniziativa che si rivolge alla società italiana che sta diventando sempre più intollerante e conservatrice - dice Laura Calosci che insegna Storia economica all'Università di Barcellona - Ci sono, però, realtà di resistenza che vale la pena sostenere". Chiara Bombardi, 39 anni di Forlì, traduttrice: "È un'azione per portare solidarietà in Italia, un Paese dove, rispetto ai diritti umani, stiamo scendendo sotto qualsiasi livello tollerabile". La mobilitazione ha preso corpo attraverso la Rete, si aggiorna su Facebook e sta ricevendo adesioni da diversi Paesi, coinvolgendo residenti italiani e stranieri. Sotto il nome "Lo Sbarco" sono nati dei gruppi prima a Bruxelles, poi a Parigi, Atene e Madrid. Altri in Italia: a Genova, Milano, Torino, Roma, in Sardegna e Sicilia. La macchina organizzativa va avanti rapidamente. All'approdo a Genova ad attendere la nave ci sarà un comitato d'accoglienza che si è creato intorno ad Heidi Giuliani e Don Gallo. E il giorno dopo lo sbarco, in alcune piazze della città, con l'appoggio del Comune diversi dibattiti sui diritti negati. (05 maggio 2010)
2010-05-04 Inchiesta G8, Scajola si dimette "Lascio il governo per difendermi" Il ministro, travolto dalla vicenda dell'appartamento al Colosseo, abbandona l'esecutivo: "Non posso continuare, dimostrerò la mia estraneità ai fatti". Il premier: "Scelta dorolosa, alto senso dello Stato" Inchiesta G8, Scajola si dimette "Lascio il governo per difendermi" Claudio Scajola * Scajola, Bersani: "Dimissioni inevitabili" Idv: "Ha mentito, non aveva scelta" articolo Scajola, Bersani: "Dimissioni inevitabili" Idv: "Ha mentito, non aveva scelta" * video Scajola annuncia le dimissioni * video Bersani: "Scossone per il governo" * Il Cavaliere non scarta le dimissioni "La situazione è diventata difficile" articolo Il Cavaliere non scarta le dimissioni "La situazione è diventata difficile" * I testimoni e le ricevute che smentiscono Scajola articolo I testimoni e le ricevute che smentiscono Scajola * "Mai preso un soldo per quella casa per Biagi lasciai, ora non lo faccio" articolo "Mai preso un soldo per quella casa per Biagi lasciai, ora non lo faccio" * Un superteste contro Scajola coinvolti anche altri ministri articolo Un superteste contro Scajola coinvolti anche altri ministri * Zampolini smentisce Scajola "Portai io gli assegni nel suo studio" articolo Zampolini smentisce Scajola "Portai io gli assegni nel suo studio" * Scajola: "Vittima di processo mediatico Parlerò dopo la mia audizione in procura" articolo Scajola: "Vittima di processo mediatico Parlerò dopo la mia audizione in procura" * Scajola, ultimatum dell'opposizione "Chiarisca in Parlamento o si dimetta" articolo Scajola, ultimatum dell'opposizione "Chiarisca in Parlamento o si dimetta" ROMA - Claudio Scajola si dimette. Travolto dalla vicenda della compravendita, con presunti fondi neri, di una casa al Colosseo 1 il ministro dello Sviluppo economico ha annunciato la rinuncia all'incarico di governo. "Per difendermi", ha detto in conferenza stampa, "non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni". In pole position per la successione, l'attuale viceministro con delega alle Comunicazioni Paolo Romani. Nel pomeriggio, poi, il faccia a faccia con Berlusconi a palazzo Grazioli. Poco prima il premier aveva commentato: "Oggi si è dimesso un ministro molto capace. Una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito". Scajola aveva resistito fino all'ultimo, ma alla fine la sua posizione è diventata insostenibile, costringendolo ad anticipare il rientro dalla Tunisia e a convocare i giornalisti per annunciare il passo indietro. "Da dieci giorni sono vittima di una campagna mediatica senza precedenti", ha detto ancora. "Vivo una grande sofferenza". L'ex ministro ha ribadito la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati, in particolare l'aver ricevuto denaro da imprenditori coinvolti nell'inchiesta sugli appalti del G8 per l'acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo: "Non potrei mai abitare in una casa comprata con i soldi di altri", ha affermato. Per la prima volta in dieci giorni, Scajola ha però preso in considerazione l'ipotesi che gli assegni che gli vengono contestati siano effettivamente stati versati: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto", ha affermato. Il procuratore di Perugia, Federico Centrone, ha confermato che al momento Scajola non è indagato e che sarà ascoltato come persona informata dei fatti. "Le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti", ha detto Scajola ringraziando Berlusconi e il Pdl per gli attestati di stima ricevuti. Prima della conferenza stampa, Scajola aveva parlato con il premier, che pochi giorni lo aveva incitato a resistere 2. Poi, soprattutto in seguito alle notizie che arrivavano dalla procura di Perugia, il clima è cambiato. Anche Il Giornale di Vittorio Feltri questa mattina era stato netto: "Le risposte che ha dato fin qui non bastano. Se non ha niente da dire oltre a ciò che ha detto, le conviene rassegnarsi. Anzi, rassegnare le dimissioni". Anche Libero si era mosso sulla stessa linea: "Scajola - scrive il direttore Maurizo Belpietro - deve assolutamente uscire dall'angolo e combattere a viso aperto, tentando di smontare ad uno ad uno i dubbi che aleggiano da giorni sulle pagine dei giornali. Noi gli suggeriamo solo di non temporaggiare più perchè attendere i 10 giorni che mancano all'interrogatorio sarebbe troppo". Il passo indietro era stato suggerito anche dal capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri: "Su questa vicenda finora ha difeso il suo comportamento, se dovessero emergere altre cose vedremo. Io credo che debba riflettere sul modo nel quale la sua difesa possa essere condotta meglio, se con l'incarico di ministro o senza". (04 maggio 2010)
Scajola, Bersani: "Governo in una palude" Donadi: "Una lezione per la Casta" Per il segretario del Pd si tratta di "uno scossone piuttosto forte in una fase di impasse della maggioranza". Mentre il capogruppo dell'Idv sottolinea come la vicenda dimostri che "nessuno è intoccabile" Scajola, Bersani: "Governo in una palude" Donadi: "Una lezione per la Casta" * Inchiesta G8, Scajola si dimette "Lascio il governo per difendermi" articolo Inchiesta G8, Scajola si dimette "Lascio il governo per difendermi" * video Scajola annuncia le dimissioni * video Bersani: "Scossone per il governo" * Il Cavaliere non scarta le dimissioni "La situazione è diventata difficile" articolo Il Cavaliere non scarta le dimissioni "La situazione è diventata difficile" * I testimoni e le ricevute che smentiscono Scajola articolo I testimoni e le ricevute che smentiscono Scajola * "Mai preso un soldo per quella casa per Biagi lasciai, ora non lo faccio" articolo "Mai preso un soldo per quella casa per Biagi lasciai, ora non lo faccio" * Un superteste contro Scajola coinvolti anche altri ministri articolo Un superteste contro Scajola coinvolti anche altri ministri * Zampolini smentisce Scajola "Portai io gli assegni nel suo studio" articolo Zampolini smentisce Scajola "Portai io gli assegni nel suo studio" * Scajola: "Vittima di processo mediatico Parlerò dopo la mia audizione in procura" articolo Scajola: "Vittima di processo mediatico Parlerò dopo la mia audizione in procura" * Scajola, ultimatum dell'opposizione "Chiarisca in Parlamento o si dimetta" articolo Scajola, ultimatum dell'opposizione "Chiarisca in Parlamento o si dimetta" ROMA - "Mi pare che le cose che Scajola ha detto fin qui non siano convincenti per nessuno. Se non ha nient'altro da aggiungere, le dimissioni 1sono inevitabili. Mi auguro che questo verminaio di appalti venga scavato fino in fondo perché questa vicenda è francamente intollerabile". E' il commento del segretario del Pd Pierluigi Bersani, in studio a Repubblica tv 2, all'annuncio delle dimissioni del ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola 3, travolto dalla vicenda di una compravendita, con presunti fondi neri, di una casa a due passi dal Colosseo. Bersani si è poi lasciato sfuggire una battuta, in risposta alle affermazioni del ministro dimissionario, che ha ammesso che la sua casa possa essere stata pagata in parte da altri, ma a sua insaputa: "Ne abbiamo viste tante, può darsi che siamo davanti a benefattori sconosciuti...". Per il segretario Pd si tratta di "uno scossone piuttosto forte in una fase di impasse politica della maggioranza. Siamo tra la palude delle decisioni del governo e il rischio di precipitare della situazione politica. E' un passaggio complicato, la situazione si sta facendo complicata e paludosa". "Prima ancora che la vicenda giudiziaria, di cui seguiremo gli sviluppi - ha detto Antonio Borghesi, vice capogruppo dell'Italia dei Valori alla Camera - a travolgerlo in una situazione irrimediabile sono state le sue stesse dichiarazioni sicuramente non veritiere rispetto a fatti accertati. Sicuramente Scajola ha mentito al Paese e tanto bastava perché se ne andasse. Non aveva altra scelta". "Le dimissioni di Scajola sono tardive, ma rappresentano comunque una vittoria delle opposizioni ed una lezione per la Casta: nessuno è intoccabile", ha aggiunto il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi. ''Dopo la scandalosa gestione del G8 di Genova del 2001, il caso Marco Biagi e gli appartamenti con vista sul Colosseo ci permettiamo di suggerire a Scajola di ritirarsi dalla vita politica. Le sue dimissioni sono comunque una bella notizia: la cultura dell'arroganza e della prepotenza, propria del belusconismo, riceve finalmente un durissimo colpo'', ha affermato Oliviero Diliberto, segretario nazionale del PdCI. Solidarietà a Scajola invece dai compagni di partito. "Esprimo tutta la mia solidarietà al ministro Scajola che, con il suo gesto, ha mostrato un grandissimo senso di responsabilità. Gli siamo grati per il lavoro fatto in questi anni dal suo dicastero per modernizzare il Paese.", ha detto il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianfranco Miccichè "Le dimissioni presentate oggi dal ministro Scajola evidenziano la serietà dell'uomo e del politico". Mentre per l'esponente finiano del Pdl Italo Bocchino "Non c'è alcuna ragione per cui le dimissioni di Scajola debbano aprire una crisi di governo". Anche il ministro dei Trasporti Altero Matteoli ha definito le dimissioni di Scajola "un gesto responsabile nei confronti del governo". (04 maggio 2010)
Scajola, da Biagi alla casa sul Colosseo un destino da ministro "a breve termine" Seconde dimissioni anticipate. Nel 2002 fu costretto a lasciare l'incarico al Viminale dopo la bufera per alcune sue dichiarazioni offensive sul giuslavorista ucciso poco tempo prima dalle Nuove br. Era al Viminale anche durante il G8 di Genova Scajola, da Biagi alla casa sul Colosseo un destino da ministro "a breve termine" Claudio Scajola, dimissionario ministro per le attività produttive ROMA - Non si può dire che Claudio Scajola sia un ministro su cui puntare nel medio termine. Per la seconda volta in meno di otto anni, la sua avventura dentro il governo si è conclusa malamente con dimissioni anticipate. Oggi è per l'acquisto della casa con vista sul Colosseo, la prima volta invece fu nel 2002 quando Scajola ricopriva la carica di titolare del Viminale. A costargli il posto, però, allora non furono le polemiche seguite al dramma del G8 e alla disastrosa gestione dell'ordine pubblico in occasione del summit di Genova. Il ministro forzista dell'Interno del governo Berlusconi cadde per le esternazioni su Marco Biagi, il consulente del ministero del Lavoro ucciso dai terroristi quello stesso anno, alle quali si era lasciato andare con alcuni giornalisti durante una visita istituzionale a Cipro: "Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza". Era il 29 giugno 2002. La frase di Scajola, riportata il giorno dopo dal Corriere della Sera e dal Sole 24 ore, provocò un uragano di proteste e reazioni imbarazzate che alla fine, il 4 luglio, costrinsero Scajola a dare le dimissioni da ministro. L'esilio in realtà durò molto poco. Il 28 agosto dell'anno dopo, Scajola rientrò in consiglio dei ministri come titolare della delega per l'attuazione del programma. A imporlo ancora una volta è il premier Berlusconi che lo ha sempre considerato concreto e fedele al punto da affidargli prima la carica di responsabile nazionale dell'organizzazione del partito e in seguito anche la presidenza della commissione per la scelta dei candidati alle elezioni del 2002. Classe 1948, Scajola è un ex democristiano con un potere fortemente radicato sul "suo" territorio elettorale (Oneglia e la provincia di Imperia); tanto influente che, quando sedette al Viminale, prima Alitalia e poi AirOne istituirono un volo diretto Roma-Albenga. Claudio Scajola era già passato per l'esperienza delle dimissioni prima di approdare in Forza Italia. Il 12 dicembre 1983 era sindaco dc di Imperia - ruolo che già era stato ricoperto da suo padre - quando fu arrestato dai carabinieri per concussione. In quell'occasione, alla fine fu prosciolto dalle accuse. (04 maggio 2010)
Bocchino: "Subito il dl anticorruzione"
Bocchino: "Subito il dl anticorruzione" Italo Bocchino ROMA - Sull'onda del caso Scajola, i finiani chiedono, con un articolo 1 di Italo Bocchino su Generazione Italia, l'immediata approvazione del dl anticorruzione. Bocchino propone "una moratoria legislativa di una settimana che il Pdl deve proporre a maggioranza e opposizione per accantonare tutti i provvedimenti in esame e approvare con consenso bipartisan il disegno di legge". L'esponente del Pdl fa anche un accenno personale al ministro dimissionario: "Siamo sicuri che saprà dimostrare davanti alla magistratura l'innocenza che reclama".
"Il Pdl, essendo il più grande partito italiano -continua Bocchino- ha anche il dovere di dare una risposta all’opinione pubblica sul tema della corruzione e ha le carte in regola per farlo. Il primo marzo scorso, su proposta di Berlusconi, il governo ha approvato il ddl anticorruzione che dà importanti risposte sull’argomento, punendo chi sbaglia con la più dura delle sanzioni, che è l’espulsione dalla politica". (04 maggio 2010)
Berlusconi: nel nostro Paese c'è fin troppa libertà di stampa Il premier lo dice nel corso della presentazione di un rapporto Ocse sul nostro Paese, l'opposizione insorge. E difende la nostra Protezione civile: "Un sistema che è un esempio internazionale" Berlusconi: nel nostro Paese c'è fin troppa libertà di stampa Silvio Berlusconi ROMA - In Italia "abbiamo fin troppa libertà di stampa". Lo ha detto Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Un'affermazione, questa del premier, subito contestata dalle opposizioni. E pronunciata in occasione della presentazione del rapporto Ocse sulla capacità di risposta alle catastrofi naturali, in cui c'è una valutazione favorevole del nostro Paese. Riferendosi ad altri rapporti internazionali, in cui il grado di libertà di stampa italiana era giudicato assai basso, il capo del governo - alla presenza del segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria - ha dichiarato: "Ci siamo visti mettere in situazioni di grande distanza dai primi ma se c'è una cosa in Italia su cui c'è la sicurezza di tutti è che ce n'è fin troppa di libertà di stampa. Questo non è discutibile". Parlando del terremoto, Berlusconi ha difeso a spada tratta la Protezione civile di Guido Bertolaso, citando "l'orgoglio di avere un sistema che è esempio a livello internazionale, che ci apre possibilità collaborazioni internazionali". Sull'Aquila, però, ha annunciato che la ricostruzione "prenderà molti anni e nessuno può farci niente. Questa è la risposta a chi ci dice non abbiamo fatto subito. Abbiamo fatto delle scelte: la prima scelta è stata dare la casa a chi non ce l'aveva più; poi sostegno all'economia e per terza andare a ricostruire ciò che è necessario ricostruire per mantenere i segni di identità di una città che ha radici profonde nella storia". Il premier ha anche rivendicato la bontà dei nuovi alloggi costruiti per gli aquilani: "Mi sono visto tra le braccia molte signore che piangevano perchè quasi non credevano ai propri occhi nel vedere che avevano una casa ancora più bella di quella andata distrutta". Quanto al problema delle macerie ancora presenti nel centro storico dell'Aquila, il presidente del Consiglio ha buttato tutta la responsabilità sull'amministrazione locale: "E' stato lo stesso Consiglio comunale che ha visto nel business della rimozione delle macerie una possibilità di intervento per le aziende locali e quindi ha detto di non intervenire". Infine, un accenno all'incidente diplomatico che qualche mese fa coinvolse Guido Bertolaso, che allora criticò gli Stati Uniti per la gestione dell'emergenza ad Haiti. Scatenando l'ira di Hillaru Clinton. Oggi però Berlusconi ha dato ragione a Bertolaso: "Le sue critiche erano assolutamente fondate". Ma a scatenare subito polemiche sono le frasi sulla troppa libertà di stampa. Giorgio Merlo, vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai, ha ricordato che "l'Italia in materia di libertà di stampa, è in fondo alla classifica dei paesi più sviluppati". E che "dal 1994, e cioè dalla discesa in campo di Berlusconi", c'è un "rapporto anomalo e singolare tra la politica e l'informazione, che esiste tuttora". Più tranchant Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera: "Berlusconi le spara fin troppo grosse. Non vorremmo neanche replicare a chi dice che c'è fin troppa libertà di stampa, perchè non è mai troppa. Sappiamo che Berlusconi non gradisce le voci libere ed i giornalisti con la schiena dritta, tanto che tenta continuamente di mettere il bavaglio alla stampa". (04 maggio 2010)
Ciarrapico indagato per truffa Sequestrati beni per 20 milioni L'imprenditore, e senatore Pdl, indagato assieme al figlio e ad altre cinque persone per contributi percepiti illegalmente tra 2002 e 2007 dalle sue società. Tra i beni requisiti anche un'imbarcazione di lusso Ciarrapico indagato per truffa Sequestrati beni per 20 milioni ROMA - Contribuiti all'editoria percepiti illecitamente dalle sue società: questa l'accusa rivolta al senatore Giuseppe Ciarrapico dalla procura di Roma, che indaga anche sul figlio dell'imprenditore, Tullio, e su altre cinque persone: Umberto Silva, Antonio Maria Sinapi, Leopoldo Pagliari, Marco Tartarini e Silvio Giuliani. Nell'ordinanza viene citato anche Giulio Caradonna, scomparso nel novembre del 2009, per molti anni al fianco di Giuseppe Ciarrapico nelle sue attività imprenditoriali e noto per la militanza nel Movimento sociale italiano, con cui fu deputato per alcune legislature. Sequestrati dalla guardia di finanza beni per circa 20 milioni di euro tra immobili, quote societarie e una imbarcazione di lusso. Venti milioni è il valore dei contributi di cui, tra 2002 e 2007, Ciarrapico avrebbe goduto impropriamente, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti. Secondo la procura, dopo il 2007 Giuseppe Ciarrapico ha tentato di ottenere ancora i i fondi all'editoria ai danni dello Stato, "fino all'anno in corso", attraverso Nuova Editoriale Oggi Srl e Editoriale Ciociaria Oggi Srl, società che figuravano come cooperative, quando in realtà il loro effettivo proprietario era Ciarrapico. IL TESTO INTEGRALE DELL'ORDINANZA 1 L'inchiesta è stata avviata sulla base di una indagine della guardia finanza nell'ipotesi di una violazione della legge 250 del '90 sull'editoria, che prevede l'esistenza di determinate situazioni per ottenere sovvenzioni governative. La situazione delle due società era incompatibile con l'erogazione dei contributi statali, ma Ciarrapico e, a vario titolo, gli altri indagati hanno fatto in modo di presentarla diversa dalla realtà. In particolare, si legge nell'ordinanza di sequestro, "fornendo false dichiarazioni" sullo stato di fatto e contabile di Nuova Editoriale Oggi Srl e Editoriale Ciociaria Oggi Srl. Tra i requisiti richiesti, la legge 250 del 1990 esclude dai contributi "imprese collegate con l'impresa richiedente o controllate da essa, o che la controllano, o che siano controllate dalle stesse imprese". Ebbene, è emerso che le due società editrici di Ciarrapico hanno chiesto i contributi in contemporanea, con concessione di fondi dal 2002 al 2007. Altro requisito è che almeno il 51% del capitale sociale sia posseduto da una cooperativa. Anche in questo caso, Ciarrapico e i suoi hanno mentito: la "loro" cooperativa era di fatto svuotata di ogni potere decisionale. Ed è in questo quadro che si è determinata l'accusa di truffa ai danni dello Stato. La guardia di finanza, su disposizione del pm Simona Marazza, responsabile dell'inchiesta, ha eseguito sequestri preventivi a Roma, Milano e in altre città di beni e quote societarie riconducibili all'imprenditore, attraverso intestazioni fittizie. L'imbarcazione di lusso era ormeggiata a Gaeta. I beni requisiti saranno affidati a un custode societario. Gli accertamenti sono stati coordinati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti. (04 maggio 2010)
In manette imprenditore alberghiero è il genero di Gaetano Caltagirone All'uomo, Simone Chiarella, 40enne, con interessi anche nella piccola editoria, sono state sequestrate le quote di una società immobiliare e dell'hotel Dolomiti di Cortina per un valore di 25 milioni di euro di Emilio Orlando
In manette imprenditore alberghiero è il genero di Gaetano Caltagirone Per bancarotta fraudolenta è stato arrestato dalla Guardia di Finanza Simone Chiarella, 40enne, e genero di Gaetano Caltagirone , il costruttore morto a febbraio a 80 anni. Chiarella è un imprenditore che lavora nel settore alberghiero romano, e ha interessi anche nella piccola editoria. Nell'operazione sono state sequestrate le quote di una società immobiliare e dell'albergo "Dolomiti" a Cortina d'Ampezzo per un valore complessivo di 25 milioni di euro. Le indagini di polizia giudiziaria, delegate dal sostituto procuratore Stefano Fava dalla Procura della Repubblica di Roma, sono state compiute dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Roma che, ieri, ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell'imprenditore. Chiarella è l' ex marito di Giuseppina, figlia di Gaetano Caltagirone. L'indagine si riferisce al crack della Immo.C, società di cui Chiarella era socio insieme alla donna. Gli accertamenti degli investigatori sono nati proprio da una denuncia per questioni patrimoniali presentata contro chiarella dalla ex moglie. Chiarella è accusato di 'infedeltà patrimoniale' e bancarotta fraudolenta. Quest'ultimo reato scaturisce - hanno spiegato gli investigatori - dal fallimento della "Immoc" riconducibile all'arrestato, volutamente portata al dissesto e svuotata del suo patrimonio, in particolare delle quote del capitale sociale dell'Hotel Dolomiti S. r. l. e dell'immobile adibito ad albergo, in favore di un'altra società, la "Agricola Taca" sempre di proprietà dell'imprenditore.
Lo svuotamento delle società è avvenuto con operazioni di riorganizzazione societaria, passaggi di quote azionarie e operazioni commerciali simulate, in pratica - hanno accertato i finanzieri - il pagamento non è mai avvenuto. L'imprenditore si trova nel carcere romano di Regina Coeli.
Chiarella è manager della società finanziaria "Capital partners". (04 maggio 2010)
INCHIESTA UFFICIO CONDONI EDILIZI Indagati Corsini, Morassut e i vertici Gemma Alemanno conferma fiducia all'assessore L'assessore all'Urbanistica raggiunto da un avvisio di garanzia nell'ambito dell'inchiesta sulla paralisi dell'Ufficio condoni. Nell'inchiesta anche il suo predecessore, presidente e l'amministratore delegato della società Gemma Indagati Corsini, Morassut e i vertici Gemma Alemanno conferma fiducia all'assessore L'assessore all'Urbanistica Marco Corsini
Avvisi di garanzia in Comune per l'inchiesta sulla paralisi dell'Uce, l'ufficio condoni del Campidoglio. Per i vertici dell'assessorato e di Gemma, la società che ha in appalto il servizio. Nella bufera, l'assessore all'Urbanistica Marco Corsini, il suo predecessore Roberto Morassut, per presidente e amministratore delegato della società Renzo Rubeo e Roberto Liguori. La Gemma (Gestione, Elaborazioni, Misurazioni, Monitoraggi per l'Amministrazione), è una Spa che per conto del Campidoglio si occupa, tra l'altro, di riorganizzare, informatizzare e accelerare le operazioni relative alla gestione del territorio; nonché di gestire le concessioni edilizie in sanatoria per abusi edilizi. "Questa mattina la Polizia giudiziaria è arrivata in Assessorato per procedere alla perquisizione del mio ufficio e per notificarmi un avviso di garanzia in relazione all'inchiesta in corso sul condono edilizio. Mi sono subito dimesso". È quanto dichiara in nota l'assessore all'Urbanistica, Marco Corsini. Le sue dimissioni sono state respinte dal sindaco Gianni Alemanno. "In sostanza - spiega Corsini - mi si accuserebbe di aver favorito la società Gemma, ex partecipata dal Comune di Roma cui la precedente amministrazione aveva affidato il compito di svolgere pratiche sul condono edilizio, per aver realizzato un atto aggiuntivo che ha permesso di definire oltre 30mila pratiche in quattro mesi. Il contraccambio di questo favore sarebbe il mantenimento all'interno del mio staff di un dipendente della stessa società che ho trovato lì. Inoltre mi si imputerebbe di aver tentato di costringere un mio dirigente a effettuare pagamenti non dovuti in favore di tale società". Concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio: è questo il reato che la procura di Roma ha contestato, assieme all'assessore all'urbanistica, anche al suo predecessore Roberto Morassut e ai dirigenti della Gemma spa, la società che gestisce il Condono edilizio per la città, cioè il presidente Renzo Rubeo e l'amministratore delegato Roberto Liguori. Morassut, tra il 2005 e il 2008, e Corsini, dal gennaio 2009 a oggi, secondo il capo di imputazione formulato dal pm Sergio Colaiocco, avrebbero accettato dai due dirigenti della Gemma spa "indebite utilità" (l'assunzione di almeno quattro persone su sua segnalazione per un totale di 500mila euro, l'ex assessore, e le prestazioni d'opera di personale illegittimamente in servizio presso la sua segreteria, Corsini). In cambio, Morassut avrebbe rinegoziato gli obiettivi trimestrali (rinegoziazione conseguente al mancato raggiungimento degli obiettivi contrattuali) con la Gemma spa, mentre Corsini avrebbe aumentato il corrispettivo dell'appalto oltre il quinto previsto dalla legge e prorogato l'appalto di 24 mesi, violando la legge e il contratto stipulato tra le parti nell'agosto 2006. Corsini è indagato anche per concussione, in concorso con altri pubblici ufficiali, perché, per far ottenere a Rubeo "indebite utilità", avrebbe costretto Paolo Cafaggi, direttore dell'Uce (ufficio condono edilizio), ad apporre la firma necessaria per il pagamento a Gemma spa di 3 milioni di euro. Corsini avrebbe anche minacciato di rimuovere dall'incarico Cafaggi, che si rifiutava di firmare lo stato di avanzamento dei lavori (sal), pur in assenza dei requisiti di legge e del raggiungimento effettivo degli obiettivi fissati dal contratto integrativo dell'appalto. Non riuscendo nell'intento per il fermo rifiuto dello stesso Cafaggi, Corsini avrebbe fatto in modo di trasferirlo presso il segretario generale. Cafaggi avrebbe invece voluto chiudere il contratto con la Gemma spa e chiedere alla stessa il pagamento di una penale pari a due milioni e mezzo di euro. L'indagine della procura punta ad accertare come mai l'amministrazione cittadina abbia tollerato "anni di manifesta inefficienza in un servizio pubblico con esborso notevole da parte della collettività in contrasto con i principi di buon andamento della Pubblica amministrazione". "Sono assolutamente sereno - dichiara Corsini - perché la prima circostanza appare così assurda da sembrare surreale e la seconda non risponde a verità. Ho fiducia nella magistratura e sono a disposizione per dimostrare l'inconsistenza di questi fatti e la correttezza dell'operato mio e dell'Amministrazione. Ho immediatamente messo a disposizione del sindaco il mio mandato e sono disponibile ad accettare qualunque sua decisione, sicuro che le sue valutazioni saranno le migliori per l'interesse della città". "Confermo tutta la mia fiducia nei confronti dell'assessore Corsini - dichiara in una nota il sindaco di Roma, Gianni Alemanno - Mi pare evidente che tutto il suo operato è stato proteso a fare gli interessi dell'amministrazione e della città per chiudere una vicenda annosa come quella del condono. L'assessore Corsini rimane quindi al suo posto e sono convinto che il lavoro della magistratura, alla quale abbiamo offerto e continueremo ad offrire piena collaborazione, farà al più presto luce sulla vicenda e sull'estraneità ai fatti dell'assessore".
(04 maggio 2010)
2010-05-02 LEGA Calderoli: 150 anni dell'unità d'Italia "Non so se saremo alle celebrazioni" Il ministro della Semplificazione ospite del programma di Lucia Annunziata. "Unica alternativa al governo Berlusconi sono le elezioni" Calderoli: 150 anni dell'unità d'Italia "Non so se saremo alle celebrazioni" Roberto Calderoli intervistato da Lucia Annunziata ROMA - "Il miglior modo per festeggiare l'unità d'Italia è l'attuazione del federalismo". Lo ha detto il ministro per la Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli, parlando delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, ospite del programma di Lucia Annunziata In mezz'ora, su RaiTre. "Non ho la minima idea" se ci sarà un ministro leghista a Genova, il 5 maggio, accanto al presidente Giorgio Napolitano. "La migliore risposta all'anniversario", ha spiegato, "sarà la realizzazione, attraverso il federalismo, dell'unità d'Italia. Questa non è un totem, non è fine a se stessa". Inoltre "la celebrazione in sé ha poco senso. L'anniversario deve essere il momento per approntare le soluzioni, non solo per alzare la bandiera". "Io non so se ci sarò", ha concluso, "io sarò a lavorare per realizzare il federalismo". Per l'esponente del Carroccio il modo migliore per festeggiare la ricorrenza sarebbe quello di far capire come "le diversità presenti nel Paese" non siano degli "ostacoli" ma "valori". "Non c'e alternativa al governo Berlusconi. Il governo ha i numeri per andare avanti e fare le riforme, in alternativa ci sono solo le elezioni" ha detto poi il ministro, scartando anche l'ipotesi di un governo tecnico guidato da Giulio Tremonti. "L'elettorato ha dato il proprio consenso a una persona che è Berlusconi. E poi la prima persona a non volerlo sarebbe lo stesso Tremonti". (02 maggio 2010)
PDL La Russa: "Fini ha sbagliato? La strada è restare nel partito" Il ministro ha riunito i vertici ex An in un convegno sul tema: "La nostra destra nel Pdl". "Non ci interessa dire chi ha ragione, ma la via è di far crescere il Pdl e non di aprire una crisi che fa piacere solo alla sinistra" La Russa: "Fini ha sbagliato? La strada è restare nel partito" Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa * video La lite in diretta * Bossi teme "imboscate" dei finiani "Vogliono fermare la nostra avanzata" articolo Bossi teme "imboscate" dei finiani "Vogliono fermare la nostra avanzata" * Silvio vuole "sfiduciare" il cofondatore "E se bloccano il governo si va al voto" articolo Silvio vuole "sfiduciare" il cofondatore "E se bloccano il governo si va al voto" * Berlusconi-Fini: quella ferita al corpo mistico del sovrano articolo Berlusconi-Fini: quella ferita al corpo mistico del sovrano * Fini-Berlusconi: la fotosequenza dello scontro foto Fini-Berlusconi: la fotosequenza dello scontro * Pdl, è rottura tra Fini e Berlusconi Il premier: "Se non si allinea è fuori" articolo Pdl, è rottura tra Fini e Berlusconi Il premier: "Se non si allinea è fuori" * Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito" articolo Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito" * Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso" articolo Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso" * link MILANO - "Fini ha sbagliato? Non ci interessa dire chi ha ragione e chi ha sbagliato: dico che personalmente con grande sacrificio e amarezza ho dovuto rilevare che fosse giusta una strada diversa, quella di rimanere nel Pdl". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel corso di un convegno a Milano sul tema "la nostra destra nel Pdl", dove ha riunito di quadri della parte ex An del Pdl. "La strada - ha detto La Russa - è di far crescere il Pdl, di migliorarlo, e di non aprire una crisi che fa piacere solo alla sinistra in un momento in cui vinciamo tutte le elezioni, in un momento in cui stiamo costruendo un partito nuovo che Fini e Berlusconi hanno voluto insieme". La Russa ha spiegato di auspicare un destra "rispettosa della nostra storia, della cultura e della nostra tradizione, ma nel contempo una destra che sa interpretare anche la realtà di oggi, quindi una destra moderna come quella che abbiamo voluto a Fiuggi. Ma un destra che non rifugga dalla sensibilità che gli uomini di destra hanno sempre portato nella politica". Alla domanda se ci fosse febbre nel Pdl, La Russa ha risposto: "Non c'è febbre, c'è solo un po' di amarezza almeno da parte nostra, da parte di chi ha una storia in An perché quello che è successo poteva facilmente essere evitato. Non c'erano ragioni profonde, non si viene da una sconfitta, anzi si viene da una innumerevole serie di successi elettorali, da un solo anno di vita del Pdl. Credo che se non ci fosse stato lo spauracchio, l'annuncio da parte di Fini di voler creare gruppi autonomi e quindi di aprire la strada alla secessione si sarebbe potuto arrivare a soluzioni completamente diverse e noi stessi avremmo assunto atteggiamenti diversi". (02 maggio 2010)
LA POLEMICA Bocchino replica agli attacchi del Giornale "Soldi Rai a mia moglie? E a Berlusconi?" Il deputato finiano 'epurato' messo alla berlina dal quotidiano della famiglia del premier oggi nel programma di Maria Latella su Sky 'L'intervista'. "E' vero, mia moglie ha dei contratti con la Tv di Stato. Ma le aziende del premier sono i primi fornitori, se è per questo" Bocchino replica agli attacchi del Giornale "Soldi Rai a mia moglie? E a Berlusconi?" La prima pagina del Giornale del 30 aprile, che attacca Italo Bocchino ROMA - "I soldi Rai alla moglie di Bocchino", era il titolo d'apertura del 30 aprile del Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi diretto da Vittorio Feltri. Un attacco contro il deputato finiano, che qualche giorno fa ha dovuto dare le dimissioni da vicepresidente vicario dei deputati del Pdl 1. Nella trasmissione di Maria Latella "L'intervista", in onda su SkyTg24, Bocchino replica alle accuse, e le rilancia: "E' vero che mia moglie ha contratti con la Rai per diversi milioni, in quanto titolare di una società che produce fiction, vendendole anche alla Tv pubblica. Fanno altrettanto le società della famiglia Berlusconi, che sono infatti i primi fornitori della Rai". "La consorte del finiano 'rissoso' - si legge sul Giornale del 30 aprile - Gabriella Buontempo, è titolare di una società, la Goodtime Enterprise, che da tempo lavora per la Tv di Stato, producendo fiction, ramo d'oro dell'azienda". In questa veste, la moglie di Bocchino sta producendo una serie in sei puntate, intitolata 'La Narcotici', che andrà in onda a settembre, e per la quale ha ottenuto il compenso di 6 milioni, uno a puntata. Nello stesso articolo si citano un contratto con una società intestata a Francesca Frau, madre di Elisabetta Tulliani, compagna del presidente della Camera Gianfranco Fini, e uno con la Casanova di Luca Barbareschi, anch'egli sostenitore di Fini. E, per quanto riguarda la 'suocera' di Fini, si sottolinea come le società della famiglia Frau-Tulliani siano nate pochi anni fa "più o meno da quando la signora Tulliani si è fidanzata con Fini", a differenza della società di Gabriella Buontempo, che produce programmi per la Tv da oltre 20 anni. Un aspetto che lo stesso Bocchino sottolinea nel corso dell'intervista a Maria Latella: "Mia moglie fa quello di mestiere, e i prezzi indicati dall'articolo sono quelli di mercato. Ricordo che l'ho conosciuta nel '93, e che lei già nel '90 aveva prodotto due documentari firmati da registi importanti per la Rai, in occasione dei Mondiali di calcio". Il deputato insiste poi sul fatto che al momento non è certo un illecito che i familiari degli esponenti politici producano programmi per la Rai: "Se vogliamo fare un codice che lo vieti, io sono d'accordo. Ma al momento è un atto lecito, non riesco a capire come si fa a considerarla un'accusa. E' come se io accusassi il premier del fatto che il maggior produttore di programmi per la Rai sia la Endemol, di proprietà di Berlusconi e dei suoi figli. Ma non lo trovo scandaloso: la Endemol è una grande società che fa produzione, ricchezza e audience". (02 maggio 2010)
2010-04-30 Pdl, scontro aperto sulle dimissioni di Bocchino Il vicecapogruppo: "Il premier mi ha epurato" L'esponente finiano lascia "irrevocabilmente" la carica alla Camera. "Il Cavaliere mi ha detto: faremo i conti. E durante la puntata di Ballarò dove ero ospite ha dato la direttiva di farmi fuori". "Colpisce me per educarne cento". La Russa: "Non è una vittima". Berlusconi ai senatori: "Fini mi ha tradito" Pdl, scontro aperto sulle dimissioni di Bocchino Il vicecapogruppo: "Il premier mi ha epurato" Italo Bocchino ROMA - "Berlusconi ha chiesto la mia testa. Non esiste un solo partito democratico dove possa accadere ciò che è accaduto oggi". Italo Bocchino accompagna così la lettera di dimissioni da vicepresidente vicario del gruppo del Pdl alla Camera. Una missiva che sembrava poter stemperare il clima di tensione all'interno del partito del Cavaliere. Che, dopo le accuse di Bocchino, riesplode con violenza. E' lo stesso esponente 'finiano' a svelare il retroscena: "C'è stata una direttiva di Berlusconi durante Ballarò - spiega ai giornalisti - che chiedeva la mia testa. Berlusconi commette un grave errore che è quello di colpire il dissenso, colpire chi è in vista per educarne cento. Ma questo non porterà il partito lontano". L'ex vicecapogruppo è un fiume in piena: "Berlusconi è ossessionato da me. E' da almeno un anno che chiede la mia testa, perchè ritiene che non possa esserci uno non allineato. Berlusconi mi ha pure chiamato per dirmi di non andare in televisione. Che un leader chiami un dirigente per dirgli questo, è una cosa che non esiste al mondo. In una telefonata, con toni concitati, mi ha pure detto: 'Farai i conti con me'". Il sito di Generazione Italia rilancia lo sfogo di Bocchino. Che nega di essere in cerca di "poltrone" ("sarò uno degli 11 vice e continuerò a lavorare per un Pdl diverso da quello attuale"), puntando il dito contro l'attuale condizione del partito: "Sta diventando il partito della paura, altro che partito dell'amore. Forse Berlusconi ha portato alle estreme conseguenze una famosa frase del Principe di Machiavelli: 'Dal momento che l'amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati". Berlusconi attacca Fini. "Fini umanamente mi ha tradito". Così alcuni senatori che ieri sera erano a cena a palazzo Grazioli, riassumono quanto detto da Berlusconi parlando della tensione con il presidente della Camera. Quanto alle divisioni interne al Pdl, il premier avrebbe sottolineato come la lealtà al governo si misurerà all'interno delle Aule parlamentari quando ci saranno i provvedimenti da votare. Per il premier poi ha rilanciato il tema della riforme da fare nei prossimi tre anni: da quella costituzionale, a quella della giustizia e la riforma del fisco. Le reazioni. Prima dell'accusa di Bocchino, la scelta dell'esponente finiano era stata accolta con un certo favore dentro il centrodestra. "Ha fatto bene, aveva esagerato. E anche la vicenda Fini si è già ridimensionata, il clima si è rasserenato" taglia corto il leader della Lega Nord, Umberto Bossi. Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, Bocchino "non è una vittima". "E' stato un gesto di responsabilita - dice Fabio Granata, anch'egli finiano - Ora, visto che c'è una situazione di stand by nel partito dopo la direzione, è giusto che ci sia uno stand by anche nel gruppo. Ma è anche chiaro che non ci debbono essere forzature. Non si pensi di calare dall'alto un altro vicacapogruppo vicario. Da adesso in poi le decisioni nel gruppo si prendono votando". "Ho apprezzato il gesto di chiarezza e dignità. Gli va ascritto onore al merito ma vedo già parecchi avvoltoi volteggiare, ci sono già 5-6-7 candidati per il suo posto" afferma Roberto Menia, uno dei più critici nei confronti di Bocchino. 'Domani - raccontato un altro finiano - il Secolo sottolineerà l'importanza del gesto di Bocchino che si è sacrificato per la pace e per il bene del Pdl, nella speranza che poi non ci sia, dall'altra parte (dagli ex Fi così come da Feltri) una nuova campagna di aggressione". Per la sostituzione del vicecapogruppo i tempi, viene spiegato ancora, non saranno brevi: "Ora è meglio lasciare le cose così, che decantino da sole. Per il vicario ci sarà tempo. Ma questa volta la sua indicazione dovrà essere ratificata dall'assemblea". (29 aprile 2010)
Bersani a Fini: "Noi disperati? Lui sia coerente" E il leader Pd attacca il ddl intercettazioni Il segretario del Pd: "Lo dimostri sui temi economici e sulla giustizia". Ma D'Alema apre: "Sarebbe un errore non capire che è un interlocutore" Bersani a Fini: "Noi disperati? Lui sia coerente" E il leader Pd attacca il ddl intercettazioni Pierluigi Bersani ROMA - Polemizza con Fini che definisce la sinistra "disperata". E annuncia una opposizione durissima al dl intercettazioni. Il leader democratico Pier Luigi Bersani, dai microfoni di Rainews24 parla anche di riforme e del "patto repubblicano" attorno alla Costituzione. "E' un appello che ho rivolto non solo al presidente della Camera e prima del suo strappo. Servono riforme ancorate alla Costituzione ed intorno ad essa si può costruire un patto repubblicano". Sulle mosse del presidente della Camera si interroga anche Massimo D'Alema. Che, intervistato dal Corriere della Sera, sostiene che sarebbe un "errore" non comprendere che Fini è un interlocutore". Bersani, invece, è più freddo: "Faccia quello che ritiene, io credo però che debba mostrare la sua coerenza in passaggi parlamentari come i temi economici o norme come quella sulle intercettazioni e la giustizia". Il presidente della Camera, secondo Bersani, "solleva problemi veri ma dentro uno schieramento dove è impossibile risolverli, quindi questo battibecco avrà a scarsi esiti pratici". Ma D'Alema la vede diversamente: "'La crisi che si e' aperta nel centrodestra è vera e profonda, non è uno scontro personale o una sceneggiata, e ci sono alcuni temi su cui serve uno "spirito bipartisan". Poi il segretario del Pd torna sul tema della riforme. Le stesse che D'Alema giudica "impossibili" in questa legislatura. "La nostra proposta nasce dal tema: ci vogliamo convincere che il meccanismo di deformazione populista della nostra democrazia, che prometteva decisioni, è la ragione vera per cui le decisioni non le prendiamo? Vogliamo accelerare in curva, discutendo la bozza Calderoli? Io rivolgo a tutte le forze attente a questo problema, politiche, sociali e culturali, un tema di attenzione: dobbiamo riformare un meccanismo istituzionale ancorandolo saldamente ai principi della nostra costituzione. Attorno a questo bisogna fare il patto repubblicano, che agirà negli appuntamenti parlamentari e mi auguro anche nel Paese" dice Bersani. Per D'Alema, invece, I'ostacolo vero non è Fini "ma la posizione di berlusconi. Per fare riforme serie e stabili è del detto evidente che serva un dialogo vero fra le forze politche. Mentre Berlusconi vuole un monologo, non un dialogo". Infine, sul dl intercettazioni, il segretario del Pd definisce la la norma "fin qui insufficiente". Per Bersani "non si può indebolire uno strumento essenziale per indagini come quelle di mafia. Se resta così sarà opposizione dura". (29 aprile 2010)
2010-04-27 PDL Bocchino si dimette da vicario e annuncia "Mi candido alla presidenza del gruppo" Il vicecapogruppo alla Camera scrive a Cicchitto per comunicargli le dimissioni e per ricordargli che loro posizioni sono collegate. In assemblea "mi candiderò contro di te o chiunque altro". Menia: "Allora lo farò anch'io". L'ufficio stampa Pdl: "Posizione collegate solo se a dare le dimissioni è il capogruppo" Bocchino si dimette da vicario e annuncia "Mi candido alla presidenza del gruppo" ROMA - Italo Bocchino si dimette da vicecapogruppo alla Camera del Pdl ma, ricordando al partito che alla sua posizione è legata anche quella del capogruppo Fabrizio Cicchitto, annuncia la sua intenzione di candidarsi alla presidenza del gruppo Pdl alla Camera. A Cicchitto Bocchino scrive una lettera per sottolineare come il destino del presidente del gruppo del Pdl è legato a quello del vicario ed è "inevitabile" il ricorso all'assemblea per rinnovare i vertici del gruppo parlamentare alla Camera. Nella lettera l'esponente della minoranza finiana precisa che le sue dimissioni da vice saranno formalizzate nell'assemblea del gruppo, da convocare al più presto. Ma prima della riunione, l'ormai ex vice capogruppo chiede di incontrare Silvio Berlusconi: "Ti prego di favorire un mio incontro con il presidente Berlusconi - scrive Bocchino a Cicchitto - anche alla presenza del coordinatore Verdini, affinché si possa dar vita a un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare". Quindi, l'annuncio di Bocchino. "Visto il rapporto che ci lega - conclude nella lettera - ho il dovere di comunicarti che all'assemblea del gruppo presenterò la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Ciò non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso". Cicchitto per il momento prende atto delle dimissioni di Bocchino. E prende tempo. "Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica - spiega il capogruppo Pdl - e anche sullo statuto del gruppo. E' evidente che il problema delle dimissioni di Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito. Di conseguenza si è deciso di prendere il tempo necessario per un esame della situazione. Nel frattempo è stato concordato il massimo impegno comune per assicurare l'unità politica e operativa del gruppo a sostegno del governo". Più tardi, l'ufficio stampa del gruppo Pdl rileva un errore di interpretazione da parte di Bocchino. "L'art.8 del regolamento del Gruppo - fa sapere l'ufficio - non lega affatto il destino del presidente e del vicepresidente vicario, a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica". La prima reazione "calda" ai propositi di Bocchino di candidatura alla presidenza del gruppo Pdl è quella di Roberto Menia, finiano doc e sottosegretario all'Ambiente. "Se per davvero l'onorevole Bocchino, vice capogruppo dimissionario del PdL alla Camera, intende candidarsi a presidente dello stesso gruppo 'per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo', allora lo farò anch'io" dice Menia, portando allo scoperto i malumori di alcuni ex An verso il dimissionario Bocchino. "Non so quale consenso egli pensi di avere - afferma Menia - ma non ha certo il mio nè quello di molti che con lealtà seguono Fini e con altrettanta lealtà sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte". "La questione di Menia è personale e non politica. Riguarda Gianfranco Fini e non riguarda me" la replica di Italo Bocchino. (27 aprile 2010)
IL MESSAGGIO Il Papa sui diritti dei migranti "Una vita degna sotto tutti gli aspetti" MALAGA - "Una vita degna sotto tutti gli aspetti". Benedetto XVI torna sui diritti degli immigrati e, nel messaggio al Congresso sull'Immigrazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) apertosi oggi a Malaga, in Spagna, esprime "la ferma speranza di vedere riconosciuti i diritti degli immigrati e favorite le loro possibilità di una vita degna sotto tutti gli aspetti". Nel testo, letto dall'arcivescovo Antonio Maria Vegliò ai circa 50 partecipanti all'incontro, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, il Papa ha anche invitato i vescovi europei "ad una attenzione pastorale adeguata verso tutti coloro che soffrono le conseguenze di avere abbandonato la loro patria o di sentirsi senza una terra di riferimento". (27 aprile 2010)
2010-04-26 Fini: "Lealtà alla coalizione e al governo" Berlusconi: "Per divorziare basta uno" ROMA - "Dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e al programma di governo". E' uno dei passaggi con i quali Gianfranco Fini sta facendo il punto con deputati e senatori a lui vicini nella riunione nella Sala Tatarella della Camera. Il presidente della Camera ha anche ricordato ai suoi che "Non è in discussione la permanenza nel Pdl o nella maggioranza". Nel primo pomeriggio sullo scontro interno al Pdl era intervenuto anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con una battuta detta durante la conferenza stampa con Vladimir Putin: "Sono esperto di molte cose, urbanistica, sport, editoria, televisione e amministrazione pubblica. Ma sul segreto di una collaborazione proficua in politica non mi esprimo, del resto non ho un'esperienza particolarmente felice nei matrimoni. Comunque ho già detto di non aver litigato con nessuno, per litigare bisogna essere in due, per divorziare basta uno". (26 aprile 2010)
LE REAZIONI Il Pdl all'attacco di Bersani "Sbagliato il suo no alle riforme" Dopo l'intervista a Repubblica in cui il leader Pd parla di "riforme impossibili" in questo quadro. Calderoli: "Ci si metta invece al lavoro, basta annunci". Bondi: "Rinunciano a un ruolo attivo". Cicchitto: "Pensa solo al 'patto' con Fini..." Il Pdl all'attacco di Bersani "Sbagliato il suo no alle riforme" ROMA - Per il leader del Pd le riforme in questo contesto politico "sono impossibili, anche perché Berlusconi vuole solo il voto". E subito, dopo l'intervista di oggi a Repubblica 1, arriva la reazione del Popolo delle LIbertà e della Lega. Parte Calderoli, che sottolinea come "se si vuole parlare di riforme si parte da un testo, ci si mette attorno a un tavolo e si lavora. Non è con gli annunci o con gli slogan che si fanno". Il ministro aggiunge poi che "il testo che ho portato al Quirinale è la mia proposta, proprio per avere qualcosa di concreto su cui lavorare. La si può correggere, siamo aperti a qualunque tipo di iniziativa, purchè si cominci al lavorare". Toni molto più severi quelli usati da uno dei coordinatori del Pdl, Sandro Bondi: "Come può un grande partito di opposizione come il Pd, che si propone nel futuro di diventare forza di governo, respingere la possibilità di un lavoro comune sulle riforme istituzionali prima ancora di verificarne l'effettiva possibilità e ignorando in tal senso le chiare intenzioni pronunciate dal Presidente del Consiglio?". Per Bondi "se le dichiarazioni di Bersani fossero ispirate ad una comprensibile prudenza di natura tattica, ciò sarebbe del tutto comprensibile. Se invece ci trovassimo di fronte ad una vera e propria indisponibilità a discutere delle riforme sulla base della ricerca di una condivisione tra tutte le maggiori forze politiche del Paese, allora ci troveremmo di fronte alla rinuncia da parte del Pd di esercitare un ruolo politico attivo, responsabile e positivo". Segue a ruota Cicchitto, secondo i quale il segretario democratico "ha già dimenticato il fallimento del governo Prodi, imploso addirittura dopo solo due anni. Perché mostra di non pensare certamente al confronto sulle riforme, ma piuttosto a costruire un cosiddetto 'patto repubblicano' nuova versione del fronte popolare, aperto eventualmente a Fini". (26 aprile 2010)
L'INTERVISTA Bersani: "Così riforme impossibili Berlusconi vuole solo le elezioni" Il leader Pd: il governo non durerà altri tre anni. "L'opposizione deve essere pronta se ci sarà uno scivolamento di CLAUDIO TITO Bersani: "Così riforme impossibili Berlusconi vuole solo le elezioni" ROMA - In questa maggioranza "non ci sono le condizioni per affrontare le riforme". Anzi, Berlusconi utilizzerà il primo pretesto possibile per andare al voto. Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, non crede affatto al dialogo offerto dal presidente del consiglio. A suo giudizio, non ha alcuna intenzione di compiere delle "scelte". Semmai, il premier è pronto all'ennesimo "strappo": perché questo governo "non potrà andare avanti così altri tre anni". Ma sulle urne "decide il capo dello Stato" e in quel caso non si può "indicare ora soluzioni a tavolino Berlusconi ha colto l'occasione del 25 aprile per proporre un'intesa sulle riforme istituzionali. "Sono parole apprezzabili. Il presidente del consiglio, però, ha scoperto solo di recente la solennità del 25 aprile. Ma più che questi messaggi, colpiscono le sue altalenanti contraddizioni: da mesi va avanti a strappi con i successivi aggiustamenti. Dobbiamo guardare ai fatti, le parole non servono". In che senso? "Negli ultimi 9 anni, sette sono stati governati dal centrodestra. E si è visto che la democrazia populista non è in grado di decidere. Non ci sono scelte in nessun campo. Né in economia, né sul terreno istituzionale. Un sintomo evidente è l'impennata orgogliosa di Fini. Una reazione che non è la malattia o la medicina della destra, ma è il sintomo di un malessere. Per questo è necessario uscire dalla chiacchiere". Sta di fatto che stavolta il premier vi chiede collaborazione. "Ma il loro modello di azione non è fatto per decidere. È costruito per accumulare il consenso, ma poi non lo usano per governare. Io ho insomma profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto. È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme. Infatti, prima o poi, davanti alla difficoltà di decidere, Berlusconi prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare in curva". Accelerare verso dove? "Verso le elezioni. O verso un qualsiasi tipo di strappo. La bozza Calderoli che altro era? Un'accelerazione per coniugare solo l'interesse del premier con quello della Lega. In Fini c'è questa consapevolezza. Lui stesso elenca alcuni nodi cruciali: il programma economico da aggiornare alla luce della crisi, il federalismo senza compromettere l'unità del Paese". Anche il Quirinale, però, vi chiede uno sforzo bipartisan. "Accettiamo l'appello del presidente della Repubblica. Noi, però, una proposta l'abbiamo presentata. Non conosco quella del Pdl. Fini gliel'ha chiesta. Aspetteremo, ma sono pessimista sulla possibilità che questo governo affronti temi cruciali". Quindi non ci sono le condizioni per un dialogo. "L'opposizione è davanti ad un nuova responsabilità. Bisogna stringere le maglie per una piattaforma che abbia il sapore di un'alternativa di governo. Dobbiamo essere pronti perché il Paese sta scivolando". Per questo ha proposto il Patto repubblicano pure al presidente della Camera? "Il patto repubblicano non esclude Fini, ma certamente non è rivolto solo a lui. Nella proposta c'è l'esigenza che le forze dell'opposizione sui temi cruciali della democrazia e delle priorità economiche e sociali si rivolgano in modo ampio alle forze sociali civiche e politiche che riconoscono l'esigenza di una svolta che avvenga nel solco della Costituzione". Questo, però, è uno scenario possibile solo in caso di crisi del governo. "Io voglio capire chi non accetta la deriva. Qualcuno mi ha accusato di fare tattica sulle alleanze, ma è esattamente il contrario. Voglio che siamo noi a interpretare le grandi esigenze sociali e a proporre una forma nuova e più efficiente di bipolarismo". Ma se entra in crisi la maggioranza ci saranno le elezioni o ci sarà una soluzione intermedia con un governo tecnico? "Quel che vedo è che non si potrà andare avanti così altri tre anni e non vedo scenari intermedi". Qualcuno ha letto il Patto repubblicano come una premessa per un esecutivo di transizione. "Niente di tutto questo. Non voglio sproloquiare su formule. Credo che, nell'impotenza del centrodestra, qualcuno possa dare uno strattone. Ma la sorte della legislatura non è in mano a un uomo solo, c'è anche il presidente della Repubblica". Nel '95, quando entrò in crisi il primo governo Berlusconi, nacque l'esecutivo Dini. "Ogni fase ha il suo schema, ma la storia non si ripete. Vedremo cosa accadrà. Non siamo in condizione ora di indicare soluzioni a tavolino e non abbiamo messo in moto movimenti per un cambio di maggioranza. Quando ho parlato di patto repubblicano, pensavo a cose più profonde. Ad esempio: si può tornare a votare con questa legge elettorale? Si può andare avanti con questo sistema dell'informazione. Possiamo proseguire senza affrontare la crisi economica? Che benefici ci ha portato questa curvatura personalistica della nostra democrazia?". C'è chi - come il professor Campi - propone di riformare proprio la legge elettorale per poi tornare al voto. Si aspetta che il presidente della Camera opti per questa strada? "Non arrivo a questo. Penso però, se sarà coerente, che dovrà sciogliere alcuni nodi fondamentali: i temi sociali, le norme sugli ammortizzatori sociali, la giustizia (basti pensare alle intercettazioni), il federalismo che è arrivato ai decreti attuativi. La palla, a quel punto, toccherà a Berlusconi. Se saprà risolvere i problemi, andranno avanti, altrimenti si porrà una questione di stabilità politica. Per quanto ci riguarda, il Paese si aspetta solo che lavoriamo a una piattaforma alternativa. E chi fino ad ora ha sonnecchiato dovrà accorgersi che a Palazzo Chigi non si decide niente". E chi ha sonnecchiato? "Ad esempio qualche rappresentanza sociale. Ho assistito all'ultima assemblea di Confindustria e ho notato un certo spaesamento e ho sentito stavolta parole nette dalla presidente Marcegaglia. C'è sempre meno fiducia. Basta pensare al federalismo: ne parlano continuamente ma poi il Tesoro non ci porta le tabelle. Senza numeri e soldi, questa operazione non esiste". Ma in caso di voto anticipato, il Pd è pronto? "Non lo vedo per domani ma certamente una fase di logoramento potrebbe portarci fin lì. Stiamo lavorando sul progetto Italia 2011 lanciato nell'ultima direzione. Da lì usciranno le nostre idee per l'alternativa". (26 aprile 2010)
2010-04-25 LIBERAZIONE Celebrato il 25 aprile, Berlusconi sceglie la tv "Scriviamo assieme una nuova pagina di storia" Il capo dello Stato all'Altare della Patria: "Il clima sia sereno". A Roma Contestata la Polverini ("Fascista, vergogna"). Zingaretti la difende. A Milano fischi per la Moratti. Sequestrati 4000 manifesti con l'effige del duce Celebrato il 25 aprile, Berlusconi sceglie la tv "Scriviamo assieme una nuova pagina di storia" diretta 25 aprile, Berlusconi in tv "Ora una nuova pagina" Polverini contestata a Roma * Roma, contestata la Polverini foto Roma, contestata la Polverini * 25 Aprile, la contestazione in piazza Duomo foto 25 Aprile, la contestazione in piazza Duomo * 25 aprile, a Genova si commuove Burlando foto 25 aprile, a Genova si commuove Burlando * link * "Festa della riunificazione d'Italia" Napolitano celebra la Liberazione articolo "Festa della riunificazione d'Italia" Napolitano celebra la Liberazione * Cirielli e il 25 aprile, è ancora bufera Violante: "La Destra riconosca la Resistenza" articolo Cirielli e il 25 aprile, è ancora bufera Violante: "La Destra riconosca la Resistenza" * 25 aprile, manifesti pro Mussolini nel barese foto 25 aprile, manifesti pro Mussolini nel barese ROMA - Celebrazioni in tutta Italia per il 65° anniversario della Liberazione dal nazifascismo che anche quest'anno è stato occasione di confronto politico in cui le considerazioni sul passato si sono intrecciate con quelle sul presente. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano ha dato il via alle celebrazioni, all'Altare della Patria: "Che tutto avvenga in un clima sereno", ha detto. Assieme a lui c'erano tra gli altri la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Gianni Alemanno. Il messaggio di Berlusconi. Anche il premier Silvio Berlusconi ha celebrato l'anniversario della Liberazione, ma lo ha fatto in "forma presidenziale", con un messaggio agli italiani attraverso la tv. "I nostri padri seppero accantonare le differenze politiche più profonde e sancirono nella Costituzione repubblicana il miglior compromesso possibile per tutti. Dopo 65 anni la nostra missione scrivere una nuova pagina della storia è andare oltre quel compromesso e costruire l'Italia del futuro sempre nel rispetto assoluto dei principi di democrazia e di libertà", ha detto il presidente del Consiglio. "Il nostro obiettivo - ha aggiunto - è quello di rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948 che è già stata in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno, più vicino al popolo sulla base del federalismo, più efficiente nelle istituzioni e nelle azioni di governo, più equo nell'amministrazione di una giustizia veramente giusta. Vogliamo farlo insieme a tutte quelle forze politiche che - ha concluso - come fecero i nostri padri costituenti, non rifiutano a priori il dialogo e hanno a cuore la libertà". Il discorso di Napolitano. Come ieri alla Scala di Milano 1, durante il presidente della Repubblica ha voluto sottolineare oggi al Quirinale il valore del 25 aprile come "Giorno della liberazione e insieme della riunificazione d'Italia, a conclusione di una drammatica divisione in due e di una profonda lacerazione del nostro paese". Un valore che bisogna preoccuparsi di trasmettere correttamente alle nuove generazioni, parlando di quel biennio 1943-1945 con "grande serenità", come è avvenuto ieri alla cerimonia di Milano organizzata dal Comune, dall'Anpi e dal Comitato Antifascista. Napolitano ha insistito molto sul "significato nazionale" del 25 aprile, sul "valore di riconquista e condivisione del senso della nazione e della Patria, di riaffermazione di una rinnovata identità e unità nazionale". E ha chiesto di riunirsi in un grande sforzo comune, superando gli steccati politici, proprio come avvenne durante il Risorgimento e la Resistenza. Un richiamo che oggi ha trovato implicitamente eco nel messaggio televisivo di Berlusconi. Contestata la Polverini. Quando Renata Polverini ha raggiunto Porta S. Paolo a Roma assieme a Nicola Zingaretti per un altro appuntamento nel ricordo del 25 aprile 1945, c'è stata la contestazione di un gruppo di persone che hanno apostrofato la presidente della Regione gridando "Fascista, vergogna" e lanciando frutta. E' intervenuto Zingaretti, nel tentativo di difenderla, ma è stato colpito anche lui da un limone. La Polverini ha subito ringraziato il presidente della Provincia e il sindaco Alemanno ha detto che "va preso come esempio l'atteggiamento di Nicola Zingaretti, che con grande coraggio civile ha difeso Renata Polverini e ha reagito contro i violenti". Mentre Zingaretti ha affermato che "nessuno in questo Paese deve poter anche solo teorizzare che non possa prendere la parola chi professa idee diverse dalle proprie. La differenza con il fascismo è proprio questa". "Era una bella piazza - ha aggiunto il presidente della Provincia di Roma - rovinata da un gruppo di mascalzoni". La Digos ha già identificato due giovani responsansabili del lancio contro Polverini e Zingaretti: saranno denunciati. Milano, tensione in piazza, contestati Moratti e Podestà. A Milano, il sindaco Letizia Moratti aveva confermato la sua presenza al corteo organizzato dall'Anpi (Associazione nazionale dei partigiani italiani) dicendo di sapere "di rischiare contestazioni". Previsione, purtroppo, giusta. In piazza Duomo sia il sindaco che il presidente della Provincia Guido Podestà sono stati oggetto delle proteste dei giovani dei centri sociali. I militanti se la sono presa soprattutto con Podestà, definito "buffone" e "fascista". La polizia in tenuta antisommossa è riuscita a respingere un tentativo di sfondamento, ma non a impedire che un camion dei centri sociali si piazzasse a ridosso del palco con una scritta nel retro contro i raduni della destra previsti in maggio. Per fermare la contestazione sono intervenuti anche i familiari dei reduci dai lager nazisti, ma non sono stati risparmiati da insulti e lancio di vino e birra. Durante l'ultimo intervento dal palco, il presidente provinciale dell'Anpi, Carlo Smuraglia, ha cercato di far ragionare la folla: "Per tanti anni siamo stati soli a portare avanti questa battaglia - ha detto - oggi se non siamo più soli, se ci sono alcuni rappresentanti delle istituzioni, allora dobbiamo essere capaci di prendere atto di questo. Poi in sede politica possiamo discutere, esiste il voto, ma questa deve rimanere una festa". I manifesti del Duce. Nel corso della scorsa notte la Digos romana ha sequestrato 4.000 manifesti, in viale XXI Aprile, con sopra la foto del Duce e la frase "25 aprile: un'idea è al tramonto, quando non trova più nessuno capace di difenderla", accompagnata dalla firma di Benito Mussolini. Successivamente è stato perquisito un magazzino, sulla stessa via, utilizzato da un militante di Forza Nuova, dove sono stati sequestrati altri 2.000 manifesti. Benzina al centro sociale di destra. Sempre stamattina, di fronte a Casaggì, il Centro Sociale di destra in via Maruffi a Firenze, alcuni militanti hanno trovato diversi litri di benzina sparsi su parte dell'ingresso, sulle scalette antistanti l'edificio e sugli stipiti del portone d'accesso. La sede ospita anche la Giovane Italia, movimento giovanile del Pdl, e gli uffici dei consiglieri comunali e circoscrizionali che la struttura ha eletto nelle liste del Popolo della libertà. "Poteva essere una strage - racconta Francesco Torselli, consigliere comunale del Pdl e dirigente nazionale della Giovane Italia - anche alla luce del fatto che all'interno c'erano alcuni ragazzi che erano rimasti a dormire. E' il risultato dell'esasperazione del clima d'odio montato da una certa sinistra in occasione di ogni 25 aprile". (25 aprile 2010)
25 aprile, Berlusconi in tv "Ora una nuova pagina" Polverini contestata a Roma Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano ha inziato le comemorazioni della Liberazione dal nazifascismo all'Altare della Patria, che sono poi proseguite al Quirinale. "Celebrazioni siano serene". Messaggio registrato del premier: "Superare il compromesso dei padri costituenti". Fischi e lanci di oggetti per la presidente della Regione Lazio, colpito anche Zingaretti che commenta: "Un gruppetto di mascalzoni" 18:29 Catania, giunta e sindaco disertano cerimonia Anpi "L'amministrazione comunale di Catania ha disertato la cerimonia che si è tenuta nel chiostro di piazza Duomo per la celebrazione del 25 aprile promossa dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia" e alla quale "hanno partecipato 2.500 persone". Lo rende noto l'Anpi, esprimendo "disapprovazione e indignazione". "Un atto - prosegue l'Anpi - che offende la memoria dei 35 partigiani catanesi, tra i tanti, che hanno immolato la propria vita nella lotta contro i nazifascisti". "Questa mattina, a parte la presenza di due vigili urbani, erano assenti i rappresentanti della Giunta e anche il presidente del consiglio comunale". 18:06 CS Cantiere: "Anpi non ospiti chi finanzia estrema destra" Il centro sociale Cantiere, protagonista a Milano di una dura contestazione, esprime "rispetto" per l'associazione partigiani e per i reduci, ma chiede risposte all'Anpi per la presenza sul palco della manifestazione di oggi di "chi finanzia le iniziative dei nazifascisti". I militanti hanno spiegato di riferirsi in particolare alla settimana di eventi della destra radicale "finanziata dagli enti locali milanesi" per ricordare il 35mo anniversario dell'uccisione del giovane missino Sergio Ramelli. "Vorremmo ci fosse rispetto anche per i giovani antifascisti milanesi - dicono quelli del Cantiere -. Chiediamo ai partigiani risposte per aver ospitato sul palco chi finanzia oggi le attività dei nazifascisti". 17:51 Imma Battaglia (Gay Project): "Solidarietà a POlverini e Zingaretti" "Esprimo a nome della comunità gay la piena solidarietà alla presidente della Regione Lazio Renata Polverini e al presidente della Provincia Nicola Zingaretti". E' quanto afferma Imma Battaglia, presidente Dì Gay Project. "Questo modo violento, inutile e dannoso, di contestare rappresentanti istituzionali va respinto con grande fermezza, ancor di più in una giornata come quella che si celebra oggi che deve rappresentare il senso dell'unità istituzionale ben richiamato dal Presidente della Repubblica Napolitano". Solidarietà a Polverini e Zingaretti anche in una nota diramata da Arcigay. 17:48 L'Aquila, carriole anche per la Liberazione Carriole e fiori nella zona rossa de L'Aquila, per festeggiare la Liberazione. Così i cittadini che per nove settimane si sono dati appuntamento in centro per chiedere la rimozione delle macerie del terremoto hanno deciso di dedicare l'intera giornata di oggi alla rievocazione del 25 Aprile. In Piazza Nove Martiri, dedicata proprio alla memoria di nove cittadini trucidati dai nazisti, è stata allestita una mostra fotografica sulla Resistenza, sono state lette poesie e sono intervenuti alcuni membri dell'Associazione nazionale partigiani. 17:27 Anpi: in 50mila in piazza a Milano, comizi terminati Secondo gli organizzatori, sono 50 mila le persone in piazza a Milano in occasione del 25 aprile. Il dato è stato riferito da Antonio Pizzinato, presidente regionale dell'Anpi. I comizi dal palco in piazza Duomo sono finiti. La gente inizia a defluire. 17:20 Ugl: "Solidarietà a Polverini e Zingaretti" "Esprimiamo tutta la nostra solidarietà al presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, e al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, per la violenta contestazione di oggi". Lo ha dichiarato il segretario dell'Ugl Roma e Lazio, Gianni Fortunato. "Il sindacato - dice - condanna una intolleranza che denuncia assenza di rispetto per le persone e per le istituzioni, e che soprattutto svilisce quei valori come la democrazia e la libertà che proprio oggi tutti gli italiani celebrano. Valori per i quali Polverini, già da sindacalista, si è sempre battuta nel nome della coesione sociale e del dialogo civile". 17:13 Cirielli: "Sinistra intollerante, rinunciato a celebrazioni" In una nota, il presidente della Provincia di Salerno, Edmondo Cirielli esprime il suo rammarico per aver dovuto rinunciare "alla cerimonia ufficiale per la celebrazione della festa della liberazione" in piazza Vittorio Veneto a Salerno. "Il clima di insulti e di intimidazioni - si legge nel documento - fomentato dall'ultrasinistra e avallato dal Pd mi ha impedito di partecipare". "La strumentalizzazione di verità incontrovertibili - dichiara Cirielli - dimostra che in Italia non soltanto l'estrema sinistra è gravida di intolleranza e di una cultura totalitaria, ma che il Pd deve ancora scrollarsi di dosso i vecchi legami con le sue origini comuniste. Solo facendo ciò non si consentirà più a una banda di facinorosi di offendere la memoria di coloro che sono morti per la libertà". 16:57 Smuraglia (Anpi): "25 aprile deve restare una festa" Dal palco di piazza Duomo a Milano, Carlo Smuraglia, presidente provinciale dell'Associazione nazionale partigiani, ha così commentato le contestazioni al sindaco Letizia Moratti e al presidente della Provincia Guido Podesta'. "Per tanti anni siamo stati soli a portare avanti questa battaglia, oggi se non siamo più soli, se ci sono alcuni rappresentanti delle istituzioni, allora dobbiamo essere capaci di prendere atto di questo. Poi in sede politica possiamo discutere, esiste il voto, ma questa deve rimanere una festa". 16:54 Vita (Pd): "Messaggio premier improprio" "E' del tutto insolito che il presidente del Consiglio utilizzi un messaggio, di fatto a reti unificate, per parlare ai cittadini - dichiara Vincenzo Vita, senatore del Pd e membro della commissione di Vigilanza Rai -. E' come se fosse già avvenuta una modifica della Costituzione, attribuendo al Capo del governo un ruolo che non ha. E la Costituzione è un valore supremo che non può essere aggirato nè nella forma nè nel contenuto". 16:49 Di Pietro: "25 aprile, non credere alle sirene di Berlusconi" "Oggi è una celebrazione troppo importante per credere al canto delle sirene di Berlusconi". Lo afferma Antonio Di Pietro. "Il 25 aprile - prosegue il presidente dell'Italia dei Valori - ha un valore storico fondamentale per la nostra democrazia e non possiamo permettere che Berlusconi faccia carta straccia di un tesoro che hanno costruito i padri costituenti. Come possiamo fidarci di un capo del Governo che in due anni ha portato in Parlamento solo leggi ad personam? Come possiamo fidarci di un capo del Governo che attacca, a giorni alterni e non solo con le parole, la magistratura e la libera stampa?" 16:46 Letizia Moratti: "Serve diversa gestione della sicurezza" Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, commenta i disordini provocati dai centri sociali lungo il corteo e in piazza Duomo. "Non gestisco io l'ordine pubblico, ma mi sembra che la gestione della sicurezza della piazza debba essere diversa. Una gestione diversa è necessaria nel rispetto di chi ha fatto la Resistenza e dei suoi valori. In piazza devono essere rispettati tutti coloro che si rifanno a quei valori e tutti coloro che vogliono parlare e che ne hanno il diritto". 16:44 Podestà: "Resistenza non è patrimonio di una sola parte" "C'è un modo di fare contestazione che impedisce all'altro di esprimersi. Dire 'fascista' è una vecchia forma per demonizzare l'altro. La Resistenza non è solo patrimonio di una parte politica e su questo ci deve essere una revisione da parte di tutte le forze politiche". Così il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, ha commentato le lunghe contestazioni che hanno accompagnato il suo discorso in piazza Duomo. 16:40 Piazza Duomo, insultati anche i reduci dei lager nazisti Per fermare la contestazione degli esponenti dei centri sociali, in particolare del 'Cantiere', sono intervenuti anche i reduci dai campi di sterminio nazisti, ma sono stati a loro volta insultati al grido di "fascisti, fascisti". Avvicinatisi ai giovani con i cartelli che rappresentano lager come Auschwitz e Treblinka, i reduci sono stati oggetto di lanci di birra e vino. 16:27 Tensione a Milano, Rosati (Cgil): "Dov'era la polizia?" Il segretario della Camera del Lavoro di Milano, Onorio Rosati, critica la gestione dell'ordine pubblico lungo il corteo e in piazza Duomo per le iniziative legate al 25 aprile. "Il camion dei centri sociali è arrivato fino a sotto il palco, è evidente che c'è una responsabilità da parte di qualcuno e quel qualcuno ne dovrà rispondere". "Già un'ora prima che partisse il corteo - aggiunge Rosati - il servizio d'ordine del sindacato si è scontrato con quelli dei centri sociali. Mi domando dove era la polizia". 16:25 Fini: "Discorso Berlusconi alto e nobile" "Il presidente del Consiglio questa mattina ha fatto un discorso alto, nobile, pieno di riferimenti congrui. Ha citato i padri fondatori, ha detto della necessità di tenere unita l'Italia, ha parlato della necessità di riforme condivise". E' il commento del presidente della Camera Gianfranco Fini, ospite di Lucia Annunziata su Raitre. 16:21 Milano, camion dei centri sociali in piazza Duomo Un camion dei centri sociali è entrato in piazza Duomo, esponendo nella parte posteriore un grande striscione contro i raduni della destra che sarebbero stati autorizzati dalle istituzioni locali e previsti a inizio maggio. Inutile per il momento il tentativo di farlo spostare. Il cordone di carabinieri e polizia, in tenuta antisommossa, tiene sotto controllo i centinaia di manifestanti che dietro alle transenne continuano a urlare all'indirizzo della Moratti e di Podestà 16:16 Contestazione Polverini: Digos identifica due giovani Identificati dalla Digos di Roma due giovani appartenenti ai centri sociali responsabili del lancio di oggetti contundenti a Porta San Paolo nel corso delle contestazioni al Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini. I due giovani saranno denunciati e deferiti alla competente autorità giudiziaria. 16:14 Gino Strada: "Festeggiare fine di un incubo chiamato guerra" "Emergency festeggia il 65esimo dalla Liberazione che per noi vuol dire la liberazione dall'incubo della guerra, che è ammazzarsi e distruzione di massa". Così da Milano Gino Strada, fondatore dell'organizzazione non governativa. Sulle contestazioni che hanno raggiunto la Moratti e Podestà, Strada taglia corto: "Non mi occupo di politica italiana, non voto neanche; cosa vuoi che me ne importi del discorso di tizio o di caio?". 16:11 Piazza Duomo, manifestanti tentano di sfondare e arrivare al palco In piazza Duomo a Milano, alcune centinaia di giovani hanno tentato di sfondare il cordone della polizia per raggiungere il palco, mentre sta ancora parlando il presidente della provincia, Guido Podestà, contestato per tutta la durata del suo discorso. I giovani mostrano dei cartelli con la scritta "No ai raduni nazifascisti"; il riferimento è al patrocinio dato da un consiglio di zona di centrodestra ad un concerto nazifascista. 16:04 Identificati i due giovani che hanno contestato la Polverini Sono stati dalla Digos di Roma due giovani appartenenti ai centri sociali presunti responsabili del lancio di oggetti a Porta San Paolo nel corso delle contestazioni al presidente della regione Lazio, Renata Polverini. 15:35 Fischiato il presidente Podestà Il discorso di Guido Podestà, presidente della Provinciadi Milano, è stato accolto da fischi e al grido "Fascista, buffone, vergogna vattene" 15:11 Il sindaco Moratti: "Ma ho avuto anche tanti applausi" Il sindaco di Milano non si è detta stupita per i fischi e le contestazioni ricevute ma ha aggiunto di aver avuto anche "tanti applausi e abbracci. In giornate come queste le istituzioni ci debbono essere. E questo è il significato della mia presenza". 15:09 Contestata Letizia Moratti al grido di "Fuori da Milano" Il sindaco di Milano Letizia Moratti ha raggiunto il corteo all'altezza di piazza San Babila, ma è stata accolta da un coro di contestazioni. "Fuori da Milano", "Via i fascisti dal corteo", alcuni degli slogan. 15:07 Dai centri sociali a Podestà: "Vergogna" Milano: i giovani dei centri sociali volevano avanzare nel corteo per avvicinarsi il più possibile al presidente della Provincia, Podestà, al grido "vergogna". 15:03 Milano, contestato nel corteo Guido Podestà Il corteo del 25 Aprile di Milano è partito da Porta Venezia e si sta dirigendo in piazza del Duomo. Contestazioni all'ingresso nel corteo sono state rivolte al presidente della Provincia Guido Podestà. 14:03 Slogan corteo a Roma: "10, 100, 1000 Acca Larentia" "Dieci, cento, mille Acca Larentia". E' lo slogan intonato da un gruppo di manifestanti in testa al corteo romano organizzato a Roma dalla Rete antifascista e dai centri sociali in occasione dell'anniversario della Liberazione. 13:42 Alemanno: "Manifesti Duce? Demenze nostalgiche" "Bisogna capire chi ha finanziato queste cose che sono di un certo costo economico. Non si tratta di una scritta ma di una cosa strutturata e penso che la questura ci possa veramente aiutare ad evitare che simili demenze politiche nostalgiche diano un segno di inciviltà alla nostra città". Così il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ha commentato i manifesti del Duce apparsi per le strade di Roma. 13:28 Maroni: "Orgogliosi del 25 aprile" "Il 25 aprile rappresenta un momento della storia d'Italia di cui essere orgogliosi, da quel tributo di solidarietà e di sacrificio discende il riconoscimento di quelle libertà fondamentali che trovano la loro massima espressione nella Costituzione repubblicana". Lo ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni, intervenendo alla cerimonia in corso al Quirinale. 13:08 Polverini: "Gruppo di violenti, ringrazio Zingaretti" "Un gruppo di violenti non può macchiare una celebrazione cui il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha giustamente conferito il senso e il valore dell'unità nazionale". Lo dichiara Renata Polverini, che poi ringrazia Zingaretti "per il gesto importante che ha compiuto sotto il profilo istituzionale e personale, lasciando la manifestazione di fronte alla prepotenza". 12:55 In migliaia a San Sabba Alcune migliaia di persone hanno affollato oggi la Risiera di San Sabba a Trieste, per la cerimonia commemorativa del 65/o anniversario della Liberazione dal nazifascismo. In quello che è stato l'unico campo di sterminio nazista in Italia, le celebrazioni sono state aperte dalla lettura, da parte di alcuni bambini, di scritti o missive degli ex deportati. 12:50 La Russa: "Rinnovata unità nazionale" Le celebrazioni del 25 Aprile rappresentano la "rinnovata unità nazionale" nel superamento delle "vecchie contrapposizioni". Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa, parlando al Quirinale. 12:41 Solidarietà dei sindacati a Polverini e Zingaretti "Avrebbe dovuto essere la festa dell'Italia libera e democratica. Invece proprio oggi, di fronte ad una bella piazza gremita e partecipe, questi valori per colpa di un manipolo di teppisti sono stati offesi e ribaltat"i. Così Cgil, Cisl e Uil di Roma e Lazio esprimono solidarietà a Renata Polverini e Nicola Zingaretti. 12:12 Zingaretti: "Una bella piazza rovinata da un gruppo di mascalzoni" "Ho difeso il diritto di parola di Renata Polverini, nessuno si deve permettere anche solo di teorizzare che qualcuno con un'idee diverse dalla propria non abbia il diritto di parola. La differenza tra il fascismo e democrazia è proprio questa. Era una bella piazza rovinata da un gruppo di mascalzoni". 12:10 Alemanno: "Va preso ad esempio il comportamento di Zingaretti" "Va preso come esempio l'atteggiamento di Nicola Zingaretti che con grande coraggio civile ha difeso Renata Polverini e ha reagito contro i violenti". Lo ha detto il sindaco Gianni Alemanno commentando quanto accaduto a porta San Paolo. 12:09 Berlusconi: "Andare oltre il compromesso dei costituenti" Berlusconi: "Dopo 65 anni la nostra missione è ora di andare oltre quel compromesso del padri costituenti e costruire l'Italia del futuro". 11:48 Letizia Moratti conferma: "Andrò al corteo dell'Anpi" Il sindaco di Milano, Letizia Moratti ha confermato che questo pomeriggio parteciperà al corteo dell'Anpi per comemorare la Liberazione: "Non ho paura di fischi o contestazioni". 11:46 Berlusconi: "Rinnovare la seconda parte della Costituzione" Le riforme subito e insieme. Questo il messaggio lanciato da Silvio Berlusconi, nel suo messaggio agli italiani in Tv per il 25 aprile. "Il nostro obbiettivo è rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948" 11:36 Napolitano: "Oggi, una rinnovata identità e unità nazionale" Napolitano: "La Liberazione riunificò una lacerazione e oggi rappresenta la rinnovata identità e unità nazionale". 11:31 Berlusconi: "Costruiamo insieme uno Stato moderno" Berlusconi non ha partecipato alle celebrazioni, ma ha lanciato un messaggio in tv: "Costruiamo insieme uno Stato moderno e scriviamo una nuova pagina della storia democratica" 11:28 Grida alla Polverini: "Fascista, vergogna" "Fascista, vergogna", hanno gridato i contestatori alla Polverini salita sul palco. Nicola Zingaretti ha provato ad intervenire per difenderla ed è stato colpito in pieno volto da un limone. 11:05 Formigoni: "Contro i totalitarismi di ogni colore" Per il presidente della Regione Lombardia, roberto Formigoni "A 65 anni di distanza bisogna riconoscere che è stato il popolo italiano in tutte le sue componenti a volere la libertà, a combattere contro il totalitarismo di ogni colore". 10:59 Colpito dal lancio di frutta anche Nicola Zingaretti Anche il presidente della provincia, Nicola zingaretti è stato raggiunto dal lancio di un limone a Porta S. Paolo 10:47 La Polverini contestata con fischi e lanci di oggetti La presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta san Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. 10:46 La Russa: "L'unità nazionale nella memoria condivisa" La Russa: "Ritrovata l'unità e la concordia nazionale nel solco di memorie condivise". 10:41 Moratti: "Sarò sul palco anche se so che mi contersteranno" Letizia Moratti, sindaco di Milano, che sarà sul palco delle celebrazioni, anche se cosciente - ha detto - "di essere contestata: Ma le parole del presidente Napolitano ci devono far riflettere". 10:38 Schifani: "Oggi è la festa della coesione sociale" "Quella del 25 Aprile deve essere la festa dell'unità d'Italia e della coesione sociale. Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani a Palermo, durante la celebrazione del 25 aprile., 10:37 Alemanno: "C'è ormai memoria condivisa" "Credo che la maggior parte della gente abbia maturato una memoria condivisa e la consapevolezza dell'importanza di queste celebrazioni", ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno 10:34 Zaia: "Non si sono accorti che la guerra è finita da 65 anni" "Non si sono accorti che la guerra è finita da 65 anni", è stata la sortita del neo presidente della regione Veneto, il leghista Luca Zaia 10:30 Alla cerimonia in piazza Venezia le alte cariche istituzionali Presenti alla cerimonia, assieme a Napolitano, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il presidente della Corte Costituzionale, Francesco Amirante. Assente il presidente del Senato, Renato Schifani, sostituito da uno dei vice presidenti, Rosi Mauro. C'erano anche Renata Polverini, Luca Zingaretti e Gianni Alemanno, in rappresentanza di Regione, Provincia e Comune 10:29 Napolitano depone una corona sull'Altare della Patria Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha reso omaggio al Milite Ignoto, deponendo una corona d'alloro all'Altare della Patria, in occasione delle celebrazioni per il 65° anniversario del 25 aprile.
PDL Fini: "La destra moderna sono io" E sull'ipotesi elezioni: "Irresponsabile" Il presidente della Camera in tv : "Non mi pento di avere alzato il dito, in Parlamento niente imboscate ma sono contrario al federalismo a ogni costo. Pronto a incontrare Bossi per discuterne" Fini: "La destra moderna sono io" E sull'ipotesi elezioni: "Irresponsabile" Fini nel corso dell'intervista di Lucia Annunziata ROMA - E' la prima delle sue (molte e annunciate) apparizioni televisive, dopo il plateale scontro con Silvio Berlusconi nella direzione nazionale del partito. E oggi Gianfranco Fini, intervenendo alla trasmissione In mezz'ora di Lucia Annunziata, rivendica in toto la sua battaglia interna: "Non mi sono pentito di avere alzato il dito - dice - io rappresento la destra moderna, che non ha la bava alla bocca e dialoga con gli avversari". Poi respinge al mittente l'idea di elezioni anticipate: chi ne parla è "irresponsabile", perché andando al voto "si esporrebbe l'Italia a un rischio enorme". "Credo - prosegue Fini - che anche il premier si sia accorto che non accadrà mai che il presidente della Camera si dimetta perché ha opinioni diverse dal partito e dal presidente del Consiglio. Io mi sento sereno, non mi sono pentito di aver fatto il Pdl, voglio aiutare Berlusconi a migliorare. E quindi perché sentirsi pentiti o pensare di essersi suicidati? La nostra voce sarà più alta di quella dei numeri". Poi una dura critica ai vertici del partito: "Poco di liberale se si fa la lista degli epurandi. Il documento della direzione sembrava fatto apposta per contare gli eretici". Il federalismo. Fini dice di "conoscere per certi aspetti Berlusconi e Bossi: sono entrambi coscienti che le elezioni anticipate in questo momento sarebbero un fallimento della maggioranza. "Io comunque non sono contro il federalismo", aggiunge, "ma non a ogni costo e deve essere garanzia di coesione". Lui comunque è disposto a incontrare Umberto Bossi per discuterne. Il ruolo di presidente della Camera. Sulle sue esternazioni politiche Fini spiega: "Non devo lasciare la presidenza della Camera per esprimere opinioni", però "non ci saranno imboscate" in Parlamento. Poi assicura: "Non ho nessuna intenzione di fare altri partiti ma voglio continuare a discutere all'interno del mio partito di fatti politici. Non c'è una questione personale con Berlusconi, che ho risconosciuto essere il leader del Pdl". Positivo il giudizio sul discorso odierno del premier sul 25 aprile: "Alto e nobile". Infine, la difesa della magistratura "baluardo della legalità". L'annuncio di Bocchino. In un colloquio con il Corriere della Sera, il parlamentare finiano annuncia di avere scritto la lettera di dimissioni da vicecapogruppo Pdl alla Camera che consegnerà a Fabrizio Cicchitto, chiedendo anche "un incontro con il coordinatore Denis Verdini e con Silvio Berlusconi" per avere "una discussione politica". Pronto, poi, "il giorno dopo, se necessario, a presentarmi all'assemblea del gruppo". Ma il suo modo di gestire l'addio alla carica gli provoca altre critiche, all'interno del partito. A prendere posizione contro Bocchino è uno dei tre coordinatori: "Ho letto le sue dichiarazioni, credo che questo modo di presentare le dimissioni non contribuisca al chiarimento politico e a una discussione pacata e serena nel partito. Mi sembra un altro modo per alimentare la confusione, le polemiche e il contrasto". (25 aprile 2010)
Polverini, ecco i nomi della giunta Buontempo tra i nuovi assessori L'Udc non entra nella giunta, malgrado i numerosi tentativi di mediazione, anche da parte del leader della Destra Storace e della stessa governatrice che più volte ha tentato di ricucire lo strappo in extremis di CHIARA RIGHETTI Ufficializzata la nuova giunta regionale, manca l'Udc. E il segretario del partito centrista Cesa lancia un freddo "buion lavoro". Falliti i numerosi tentativi di mediazione, anche da parte del leader della Destra Storace e della stessa governatrice che più volte ha tentato di ricucire lo strappo in extremis. La Polverini sembra aver obbedito alle indicazioni di Berlusconi, che venerdì le aveva chiesto un ridimendionamento dei "finiani". La squadra, varata dopo ore di trattativa tra le proteste di molti battitori liberi del Pdl, rimasti fuori dal gioco delle correnti, ha una forte impronta "berlusconiana" : molti i nomi indicati direttamente da deputati del Popolo della libertà, pochi quelli legati alla politica locale. Da Fabiana Santini a lungo assistente del ministro Claudio Scajola, all'ex europarlamentare Zappalà, che sarebbe la longa manus in Regione del senatore di Fondi Claudio Fazzone. Solo due le donne. Sono quattro gli assessori ex An: LUCA MALCOTTI, Infrastrutture e Lavori Pubblici - (In quota Augello e quindi 'finiano'). Romano, 43 anni, è sposato con 3 figli. Milita nel Fronte della Gioventù e poi nel Msi. Nel 2001 è consigliere comunale a Roma di An. Dal 2000 è segretario generale di Roma e Lazio della Ugl. Dal 2009 vice coordinatore vicario romano del Pdl. FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, Mobilità e Trasporti - (In quota Rampelli). Nato a Tivoli, 37 anni, sposato con una figlia, Vittoria. E' stato assessore alla Cultura e allo Sport al Comune di Ardea e con la nascita del Pdl è stato nominato coordinatore provinciale. ANTONIO CICCHETTI, Istruzione e Cultura - (In quota Rampelli). Nato Rieti nel 1952. Già dirigente locale del Fronte della Gioventù e poi del Msi, e consigliere comunale di opposizione dal 1975 al 1994. E' stato sindaco di Rieti dal 1994 al 2002. Nel 2005 è stato capogruppo di An alla Regione PIETRO DI PAOLOANTONIO, Attività produttive e rifiuti - (in quota Alemanno). Romano, sposato, 37 anni, laureato in lettere e filosofia. Già consigliere per LE relazioni istituzionali per Roma e Provincia del Ministro dell'agricoltura Alemanno. Nel 2005 consigliere regionale. Già segretario provinciale Ugl trasporti di Roma. Sono sei gli assessori ex Forza Italia GIUSEPPE EMANUELE CANGEMI, Enti locali e Sicurezza - Romano, nato nel 1970. Diplomato odontotecnico, ha conseguito un Master in Scienze Ambientali. Nel 2006 è caapogruppo di Fi in Provincia di Roma e componente dell'Ufficio di Presidenza dell'Upi. Nel 2008 è nominato nel Cda di Ama. Dal 16 Novembre 2009 è vice coordinatore del Pdl per Roma. FRANCESCO BATTISTONI, Politiche agricole - Nato a Montefiascone (Viterbo), 43 anni, è sposato con tre figli. Dal '97 al 2000 e' coordinatore provinciale di Fi a Viterbo. Nel 2000 è assessore provinciale all'Ambiente. FABIO ARMENI, Urbanistica e Territorio - Romano, 54 anni, già consigliere regionale nella legislatura Marrazzo è stato presidente della Commissione speciale Indagine conoscitiva sul fenomeno della sicurezza e prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro. FABIANA SANTINI, Arte, sport e Politiche giovanili - E' capo della segreteria del ministro Claudio Scajola. STEFANO ZAPPALA', Turismo e Made in Lazio - Già consigliere regionale del Lazio (1995-2000), consigliere comunale a Latina (1997-2002), e sindaco di Pomezia dal 2002 al 2005. Dal 2004 è eurodeputato eletto per la lista di Forza Italia. MARCO MATTEI, Ambiente - ex sindaco di Albano Laziale, è stato consigliere provinciale di Roma dal 2003 al 2008, anno in cui si è candidato alla presidenza della Provincia di Roma con la Rosa Bianca di Baccini. In quota Polverini: STEFANO CETICA, Bilancio - Sposato con tre figli. E' stato segretario generale dell'Ugl prima di Renata Polverini e dopo è diventato il nuovo presidente dell'organizzazione. MARIELLA ZEZZA, Lavoro, politiche sociali e Famiglia - Nata a Milano il 23 febbraio 1965 si trasferisce nel 1983 a Roma dove diventa giornalista. E' conduttrice di telegiornale e svolge funzione di capo servizio nella redazione interni di Rainews24. Ambasciatrice del Telefono Rosa e componente del direttivo di D52, associazione che promuove la leadership femminile. Assessore per La Destra: TEODORO BUONTEMPO, Casa, Tutela dei Consumatori e terzo settore - Nato a Carunchio (Chieti) nel 1946, sposato e padre di tre figli. Si trasferisce a Roma nel 1968. Dirigente della Giovane Italia, nel 1970 diventa il primo segretario del Fronte della Gioventù di Roma. Per anni consigliere comunale di Roma e parlamentare di An. Dal 2007 è presidente de La Destra. (25 aprile 2010)
Il partito di Fini vale almeno il 6% Ma un altro 38% potrebbe votarlo Consensi anche dalla Lega, in calo lo share personale. Il presidente della Camera appare a molti come leader di un altro partito di centrodestra di ILVO DIAMANTI Il partito di Fini vale almeno il 6% Ma un altro 38% potrebbe votarlo Gianfranco Fini LA ROTTURA tra Berlusconi e Fini è avvenuta in modo spettacolare. E irreparabile. Come la coabitazione all'interno dello stesso partito e, perfino, della stessa coalizione. Anche se, in politica, non c'è nulla di irreversibile. Dipende dagli interessi e dalle convenienze. Basta rammentare i rapporti tra Berlusconi e Bossi. Spezzati e ricuciti, dal 1994 al 2000. Per reciproca necessità. E utilità. La questione intorno a cui ruota il futuro del Presidente della Camera, ma anche della legislatura, è, dunque, principalmente una. Quanto può costare, al centrodestra, la defezione di Fini? E, in parallelo, quanto può contare - e costare - la sua presenza e permanenza nel PdL? Il sondaggio condotto da Demos nei giorni scorsi offre alcune indicazioni utili al proposito. VAI ALLE TABELLE 1 Anzitutto, lo spazio del partito di Fini. Circa il 6% degli elettori afferma che lo voterebbe sicuramente. (Una stima analoga a quella fatta da Renato Mannheimer). Un settore molto più ampio (38%) lo "potrebbe" votare. Si tratta di un'area significativa, che incrocia diversi segmenti del mercato politico-elettorale, anche se gravita, principalmente, nel centrodestra. Il 26% degli elettori "certi" e la stessa quota di quelli "possibili", infatti, attualmente votano per il Pdl. Ma un altro 20% dei "certi" e una quota limitata di "possibili" votano per la Lega. Il che non deve stupire. Un'ampia componente di elettori del centrodestra ha, da sempre, considerato la Lega un'alternativa a FI, prima, e al Pdl, poi. Un modo per manifestare la propria distanza da Berlusconi e dal governo, senza votare per gli "altri". Tuttavia, l'offerta politica di Fini attira consensi anche da centrosinistra e in particolare dal Pd. Ma attrae, soprattutto, gli elettori indecisi e meno coinvolti (un terzo del totale). In definitiva, metà degli elettori (che si dicono) "certi" di votare per il partito di Fini (cioè, il 3% dell'elettorato totale) e un terzo di quelli "possibili" (circa il 13% del totale) sono di centrodestra; in particolare del Pdl, ma anche della Lega. Sufficienti a spostare gli equilibri politici a sfavore della coalizione guidata da Berlusconi e Bossi. La posizione di Fini, tuttavia, oggi è rafforzata da tre elementi: a) il ruolo istituzionale di Presidente della Camera; b) la collocazione - tuttora - interna al centrodestra e al Pdl; c) la conoscenza, non ancora estesa a tutti gli elettori, della rottura con Berlusconi. Anche per questo, Gianfranco Fini resta il leader più stimato dagli elettori. Ma anche quello i cui consensi personali sono calati maggiormente: quasi 10 punti, nell'ultimo anno. Se confrontiamo l'evoluzione del giudizio su Fini in base al voto e alla posizione politica degli elettori, negli ultimi anni, la spiegazione di questa tendenza appare chiara. La quota degli orientamenti positivi nei confronti di Fini, negli ultimi due anni, tra gli elettori del Pdl scende, infatti, dall'89% al 67%. Si attesta, quindi, allo stesso livello di Bossi. Leader di un altro partito, per quanto alleato. Ma forse anche Fini, nel Pdl, appare a molti il leader di un altro partito. E non necessariamente alleato. La stessa tendenza emerge se si considera la posizione nello spazio politico: fra gli elettori di destra, il Presidente della Camera cala dall'83% al 55% e tra quelli di centrodestra dall'87% al 65%. In parallelo, il suo consenso sale tra quelli di centrosinistra. Di conseguenza, l'elettorato che gli è più favorevole oggi è quello di centro: 70%. Il Presidente della Camera beneficia, dunque, di una posizione di rendita, che appare vantaggiosa e insidiosa, al tempo stesso. È figura istituzionale, leader di centrodestra, ma anche di opposizione. Apprezzato (in misura calante) dagli elettori di centrodestra, ma anche (in misura crescente) da quelli di centrosinistra. Come appare chiaro se si osserva la mappa che raffigura la posizione dei leader politici, nella percezione degli elettori. Fini si colloca, infatti, vicino al centro, accanto a Casini. In fondo a destra: Berlusconi e Bossi. Pressoché appaiati. Quasi un "unicum". Nel settore opposto, Bersani e Di Pietro. Non lontani da Grillo. Le diverse anime dell'opposizione di (centro)sinistra. Da ciò i problemi. Per Fini. Il quale, come abbiamo detto, può svolgere un'azione corsara. Raccogliendo consensi a destra e al centro, perfino a sinistra. Opposizione e oppositore. Dentro il Pdl, nel centrodestra. Ma anche in ambito nazionale. Fini. Anti-berlusconiano e anti-leghista, in un sistema politico in cui Berlusconi e la Lega costituiscono i due principali fattori di divisione e identità. Per la stessa ragione, però, egli appare esposto alla concorrenza degli altri attori politici. Di destra e di centro. Soprattutto se e quando venisse "espulso" dal Pdl e, ancor di più, dal ruolo istituzionale che ricopre. Tuttavia, la posizione di Fini può diventare pericolosa anche per gli altri attori politici. Per il centro e, ancor più, il centrosinistra. Che rischiano di venire oscurati da quel dito puntato contro il Premier (assoluto). Dall'accesa polemica lanciata dal co-fondatore del Pdl contro la Lega "egoista" e padana. L'opposizione di Fini, però, appare incompatibile, anzitutto, con la natura del Pdl, che è un partito "personale". La versione allargata di FI. E non può sopportare, all'interno, un'alternativa "personale". Infine, la sfida di Fini è inaccettabile per la Lega di Bossi. Che rischia di vedersi sottrarre il ruolo di opposizione "nel" governo. Una ragione importante del successo leghista, in passato e nel presente. L'assimilazione Lega-Pdl, Bossi-Berlusconi. Il Giano bifronte che governa il Paese. Una rappresentazione intollerabile per Bossi, trasformato in un leader "romano". E, simmetricamente, per Berlusconi, ridotto a gregario del Nord. Difficile che possa durare a lungo tutto ciò. Questo Pdl. Questo centrodestra. Questa legislatura. (25 aprile 2010)
2010-04-24 PD Bersani, appello alle forze di opposizione "Servono unità e nuova responsabilità" Dal leader democratico allarme per gli "esiti imprevidibili della crisi che si è aperta nel centrodestra". "Da Fini temi veri, irrisolvibili nel partito e nella maggioranza in cui si trova il presidente della Camera". Il capo dei democratici parla anche di un "patto repubblicano" su riforme e crisi economica, anche con l'ex leader di An Bersani, appello alle forze di opposizione "Servono unità e nuova responsabilità" * Bossi contro Fini: "Dice bugie" E avverte: "Senza riforme, rischio elezioni" articolo Bossi contro Fini: "Dice bugie" E avverte: "Senza riforme, rischio elezioni" * video ROMA - Bersani vede "esiti imprevedibili". I cui rischi "non sono da sottovalutare". Perché le tensioni all'interno della maggioranza possono spingere l'asse Berlusconi-Bossi ad "accelerazioni". Per questo, il leader Pd fa un appello forte alle opposizioni: "Serve unità e responsbailità" "Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe - dice Bersani all'Ansa -, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". Evidente il riferimento a possibili prove di forza in Parlamento, ma non solo. Nelle parole del leader democratico c'è anche, implicitamente, l'eventualità di elezioni anticipate. Non è un caso che parli di "opposizioni", senza escludere per esempio i centristi di Casini, tra l'altro i primi a parlare di un "fronte costituzionale" in caso di forzature del premier in direzione del voto anticipato. "Serve un impegno più forte - continua Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa. Siamo di fronte ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il giudizio su Fini. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". "Il patto repubblicano". Per scongiurare i rischi, Bersani sostiene che "dalle opposizioni deve arrivare un appello ad altre forze ma anche a energie sociali ed economiche su due questioni fondamentali: cambiare l'agenda della politica per occuparsi di questioni sociali e un confronto in Parlamento per dare al bipolarismo una forma efficace, più moderna e saldamente costituzionale che blocchi i rischi di derive plebiscitarie". Le altre forze sono anche personalità come Gianfranco Fini, che non vuol dire, precisa il leader Pd, "fare governi insieme". Lo scopo è "reagire ad una democrazia plebiscitaria, che ha dimostrato di non saper decidere, non è solo questione di opposizioni". Sui problemi economici del paese e sulle riforme serve dunque "un patto largo in parlamento" coinvolgendo però anche personalità e forze esterne. Di Pietro: ora il candidato il premier. "Mi meraviglio che le idee rilanciate da Bersani facciano notizia perchè sono la fotocopia in carta carbone delle nostre. Ora comunque occorre individuare il candidato premier entro l'anno". Così il presidente dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, interpellato telefonicamente, risponde all'appello lanciato dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani circa la necessità che le opposizioni si uniscano contro la 'deriva plebiscitaria' del Pdl nonchè quella di fare un patto repubblicano anche con Gianfranco Fini. "Si dovrebbe trattare di una figura di sintesi - spiega dunque Di Pietro -, e dunque io non posso essere. Posso partecipare infatti ma non governare la coalizione". A chi gli chiede se la scelta potrebbe ricadere su Luca Cordero di Montezemolo, il leader dell'Idv replica: "Non lo tirerei per la giacchetta. Occorre cercare - dice - tra quelli che vogliono partecipare attraverso un percorso trasparente". Berlusconi "ecumenico". Il premier, da Milano, commenta le parole di Bersani senza polemiche. "Quando si pensa ad una riforma soprattutto dell'architettura istituzionale del nostro Paese, attraverso una legge costituzionale, l'auspicio che dobbiamo avere tutti è che ci sia il massimo della condivisione e della partecipazione ad una fase dialettica per arrivare poi ad una fase di approvazione" La Lega irritata. "Le riforme si fanno con la maggioranza allargata e non con le opposizioni allargate", ha detto il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Secondo il coordinatore delle segreterie della Lega Nord, "quella del leader Pd sembra la riproposizione di ciò che aveva fatto Casini a dicembre scorso e che non era durato nemmeno un mese. Una cosa destinata a fallire. Là fu una maionese impazzita e qui si sta cercando di aggiungere alla maionese una punta di aceto...". (24 aprile 2010)
2010-04-21 Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso" Il presidente della Camera: "Resto, ma deve accettare il dissenso". I 74 ex An in disaccordo avvertono: "Rimaniamo all'interno del partito per rafforzarlo". In serata riunione di maggioranza a palazzo Grazioli: "Richieste confuse e annacquate" Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso" * Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito" articolo Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito" * link Il Cavaliere: "Gianfranco bluffa, si rimetta in riga" * link Scontro nel Pdl, i finiani vanno verso la conta ROMA - Resta, ma non tace. Semmai organizza quel dissenso all'interno del Pdl a cui vuol dare voce. Se gli verrà permesso, ovviamente. Gianfranco Fini raccoglie i suoi fedelissimi e rilancia le critiche al Pdl ("deve essere libero e non può essere il partito nato dal Predellino"), negando, però, di aver posto questioni "personalistiche" o di "organigramma". Fini vede un partito che, visto il rapporto privilegiato con la Lega, si muove con scarsa "attenzione alla coesione sociale del Paese". Poi avverte: "Non penso a scissioni o a elezioni e non cerco poltrone: ma non ho intenzione di stare zitto e farmi da parte". Svanisce, così, l'ipotesi di fare gruppi autonomi. Si concretizza invece la nascita di una corrente di minoranza che vede in Fini il suo leader. "Non credo che sia una cosa che si può ipotizzare, non ha alcun senso" è il commento scaturito in serata dal vertice Pdl-Lega a palazzo Grazioli dove le richieste del presidente della Camera sono state definite "confuse e annacquate". La terza carica dello Stato si presenta a questo appuntamento (blindato ai cronisti) con addosso gli occhi del mondo politico. E non poteva essere altrimenti dopo lo scontro con Berlusconi 1. In sala sono una cinquantina. Tra gli altri, Baldassarri, Siliquini, Laboccetta, Menia (che polemizza con Bocchino), Barbareschi, Tremaglia, Granata, Napoli, Bocchino, Ronchi, Paglia e Urso. Fini parte così: "Ci sono dei momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio". Richiama Ezra Pound quando dice che "bisogna essere disposti a rischiare per le proprie idee". E dice di volero fare senza esitazioni: "Questo è il momento. Questa è una fase complicata, non ce la facevo più a porre sempre le stesse questioni a Berlusconi". Le questioni Fini le elenca l'una dopo l'altra. A partire dalla mancanza di "proposte precise sulle riforme", ai contrasti "politici e non personali" con Tremonti ("senza di lui saremmo come la Grecia"), al rapporto con la Lega "che è un alleato importante ma non può essere il dominus della coalizione". C'è questo ma non solo. C'è anche un disagio a stare in un partito in cui si dice, come ha fatto Berlusconi, che i libri di Roberto Saviano fanno un favore alla mafia: "Come è possibile dire che con il suo libro ha incrementato la camorra? Come si fa a essere d'accordo?. Nessuno nega che Berlusconi sia vittima di accanimento giudiziario, ma a volte dice delle cose sulle quali è difficile convenire...". Poi l'attenzione torna sul Pdl. Con la decisa negazione di tramare ai danni del premier: "Non credo di avere attentato al partito o al governo dicendo che su alcuni temi c'è una distanza politica. Ho posto solo questioni politiche, mai personalistiche, e sempre con spirito costruttivo". Guarda alla direzione del Pdl di giovedì, il presidente della Camera. Se da quell'appuntamento uscirà "una pattuglia minoritaria in polemica con la maggioranza" significa "che ci sarà un confronto aperto". Ed allora, continua Fini, si aprirà "una fase nuova". Che, però, porterà con sè un interrogativo ancora irrisolto: "Il dissenso interno può esistere o siamo il partito del predellino?. Spero che Berlusconi accetti che esista un dissenso, vedremo quali saranno i patti consentiti a questa minoranza interna. Sarà il momento della verità". E se alcuni giornali grideranno al tradimento, sappiano che "nove volte su dieci chi davanti ti dice sempre sì poi dietro ti tradisce". Una lunga riflessione messa nero su bianco su un documento che 55 parlamentari firmano. Il testo finale riconosce Fini quale rappresentante della componente interna al Pdl e frena "il solo parlare di scissioni e di elezioni anticipate". Con questo mandato il presidente della Camera si presenterà giovedì alla direzione. Ma la platea che avrà davanti sarà sicuramente meno facile di quella di oggi. Dentro il partito, però, molti nomi illustri hanno prese le distanze dal loro ex leader: La Russa, Gasparri, Alemanno, solo per citarne alcuni. Lui scivola sulla questione: "La componente che viene da An sarebbe dovuta restare unita, ma invece è andata diversamente". Ma proprio quella componente si mobilità fragorosamente, firmando un documento in cui si chiede di superare "definitivamente" le "quote di provenienza" tra gli ex di Alleanza Nazionale e di Forza Italia e di convocare un nuovo congresso. Riaffermando la scelta "irreversibile" del Pdl, che vogliono rafforzare "restando all'interno". Si tratta per ora, di 41 deputati e di 33 senatori, oltre al sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Per le prossime ore sono attese nuove adesioni. Primi firmatari il capo gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, e i ministri Ignazio La Russa, Altero Matteoli e Giorgia Meloni. Tutti a chiedere un "costante, libero, proficuo confronto di idee", garantendo al massimo "la democrazia interna". Dopo gli sviluppi della giornata Berlusconi ha convocato a palazzo Grazioli il vertice di maggioranza per discutere la preparazione della direzione nazionale e la questione Fini. Alla riunione hanno partecipato i ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni, Altero Matteoli, Angelo Alfano, la vice presidente del Senato Rosy Mauro; Denis Verdini, e il sottosegretario Aldo Brancher. Giunti anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il coordinatore nazionale del Pdl Sandro Bondi e il sottosegretario alla Presidenza, Paolo Bonaiuti, il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto e il vicecapogruppo al Senato, Gaetano Quagliarello. "Non credo che sia una cosa che si può ipotizzare, non ha alcun senso" ha sintetizzato uno dei partecipanti riassumendo il giudizio dato "dai più" sull'ipotesi che Gianfranco Fini formi una corrente nel Pdl. Il documento firmato dai suoi sostenitori è stato considerato "non straordinario", nel senso che "si tratta di richieste espresse in modo abbastanza confuso e annacquato", ha aggiunto. Alla domanda su come si possa impedire la formazione di una corrente, il partecipante ha aggiunto: "Non si può impedire nulla, come non si potrebbe impedirgli di andersene". Berlusconi non si sarebbe comunque espresso sulla mossa di Fini riservandosi di dare risposte nella direzione del partito prevista per giovedì. (20 aprile 2010)
Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito" di FRANCESCO BEI Il Cavaliere chiude la porta a Gianfranco "Ha perso la testa, si faccia il suo partito" * Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso" articolo Pdl, Fini lancia la propria corrente Vertice Pdl e Lega: "Non ha senso" * link Il Cavaliere: "Gianfranco bluffa, si rimetta in riga" * link Scontro nel Pdl, i finiani vanno verso la conta ROMA - Se Fini fa corrente, Berlusconi chiude lo spiffero. Il premier infatti, nonostante per tutto il pomeriggio coordinatori e capigruppo abbiano provato a farlo ragionare, mantiene fermo il punto e non intende fare concessioni al presidente della Camera. Irritato per la riunione dei finiani alla Camera e per la conta interna, Berlusconi vede nero. "Questo stillicidio è insopportabile - si è sfogato a palazzo Grazioli con il vertice del Pdl - a questo punto sarebbe meglio che si facesse il suo gruppo e il suo partito".
"Molto meglio trattare con un partito - ha concluso il premier - che con una persona che ha perso definitivamente la testa". Così, al momento, la Direzione di giovedì resta un appuntamento al buio, senza una regia politica. "Domani (oggi, ndr) ci rivedremo - si limita a riferire Denis Verdini -, ancora non c'è una decisione". Un'ipotesi è che ad aprire la riunione siano i tre coordinatori, cui dovrebbe seguire Fini e, da ultimo, Silvio Berlusconi. I vari mediatori in campo non sono riusciti a far cambiare l'umore del premier. Né è migliorato quando, ieri pomeriggio, ha scoperto che a Ballarò erano stati invitati sia Italo Bocchino che Sandro Bondi. Minoranza e maggioranza, le due correnti, la rappresentazione televisiva della spaccatura. "È assurdo prestarsi a questa sceneggiata", ha tuonato il premier, chiedendo a Bondi di lasciare il posto al leghista Castelli. È proprio Bocchino uno dei finiani che più fa arrabbiare il Cavaliere, che ieri infatti non l'ha invitato a palazzo Grazioli. Il vicecapogruppo del Pdl, che in questi giorni caldi si è molto esposto in tv, catalizza malumori tra i berluscones e non solo. Alessandra Mussolini, in Transatlantico, durante una pausa delle votazioni sulla caccia, non si fa problemi ad esternare la sua antipatia: "L'unico uccello a cui sparerei è quello di Italo Bocchino". Il clima nel partito è questo. Un'altra che il premier non può vedere è la finiana di ferro Giulia Bongiorno, che ha spesso frenato le iniziative più dirompenti di Niccolò Ghedini. Tanto che ora Berlusconi vorrebbe rimettere in discussione il suo posto di presidente della commissione Giustizia a Montecitorio. La fibrillazione nel Pdl preoccupa anche gli alleati del Carroccio. Inizialmente Bossi aveva invitato il premier a ricucire con Fini, ma ieri, al telefono con Berlusconi, il leader del Carroccio si è mostrato più guardingo. "Silvio stai attento - è stato il consiglio di Bossi - perché, a questo punto, non si capisce dove vuole andare a parere". A insospettire il leader nordista ci sono state ieri anche le dimissioni di Luca Cordero di Montezemolo dalla presidenza della Fiat: "È un nuovo elemento che dobbiamo tenere in considerazione. E se Montezemolo si mette con Draghi, Fini e Casini e rifanno la Dc?". Al momento si tratta soltanto di fantasmi, ma non è un caso se, ai piani alti del Carroccio, non si escluda più un ritorno alle urne in ottobre, in maniera da portare a casa i decreti attuativi del federalismo fiscale. Intanto il progetto cui sta dando vita Gianfranco Fini suscita curiosità anche oltre lo stretto orizzonte del mondo ex An. Un osservatore interessato è Beppe Pisanu, forzista storico e presidente dell'Antimafia: "Sì, guardo con interesse. E comunque difendo la libertà di manifestare il dissenso dentro al partito". Pisanu, che non ha firmato il documento pro-Fini e non ha aderito alla minoranza interna, anticipa quello che dirà alla Direzione: "C'è un leader che guida la coalizione e quello è il presidente del Consiglio. Noi dobbiamo sostenerlo fino alla fine della legislatura. Ma non dobbiamo nemmeno nascondere che ci sono dei problemi aperti sui quali è necessario discutere". Una "terra di mezzo" tra berlusconiani e finiani, che al momento raccoglierebbe una decina di parlamentari forzisti. Che il momento sia difficile lo conferma una tesa conversazione, nel pomeriggio di ieri, tra il finiano Andrea Ronchi e i forzisti Cicchitto e Lupi. In un angolo appartato del Transatlantico, Cicchitto insisteva nel chiedere a Ronchi le vere ragioni del dissenso: "Bisogna che ci mettiamo con calma intorno a un tavolo e parliamo. Ma senza strappi". E Ronchi: "Non si capisce cosa vogliamo? Se vuoi chiamo Fini al telefono e te lo spiega lui stesso. A Fini gli stanno dicendo di tutto, non è tollerabile". (21 aprile 2010)
La stagione della diaspora di MASSIMO GIANNINI LA diaspora finiana si è dunque compiuta. Non è una rottura che prelude a una scissione, ma neanche un'abiura che prepara una capitolazione. La nascita formale di una componente di minoranza guidata da Gianfranco Fini dentro il Pdl rappresenta comunque una svolta politica importante. Segna la fine del Popolo della Libertà come lo abbiamo conosciuto finora. Lo "spirito del Predellino", nell'ottica del co-fondatore, non c'è più. Il partito personale si trasforma in un partito (quasi) normale. Nella logica finiana, questa svolta sancisce l'avvio di un lunghissimo e complicatissimo processo di autonomizzazione. Personale, nei confronti dell'uomo che lo ha sdoganato nel lontano 1993. Politico, nei confronti di un centrodestra ormai a esclusiva trazione forzaleghista. Bisogna dare atto al presidente della Camera di non aver ceduto, e di aver difeso con coerenza la sua posizione, difficile e a tratti quasi insostenibile. Dentro un Pdl forgiato nel freddo di Piazza San Babila dall'"unico fondatore" (Berlusconi) e poi modellato nel fuoco della vandea nordista sui bisogni dell'"unico alleato" (Bossi), per Fini non era semplice far valere e far vivere un'idea radicalmente diversa. Un altro modo di intendere la politica in nome del bene comune. Di rappresentare la cultura di una moderna destra europea. Di convivere dentro un partito autenticamente libero, plurale, democratico. Con la sua "corrente del Presidente", almeno Fini ci prova. Citando Ezra Pound, cioè rischiando l'osso del collo in nome di quell'"idea diversa". Qui ed ora l'operazione appare quasi temeraria. A giustificare la diaspora manca una vera pietra d'inciampo politico. Manca un "casus belli" chiaro, riconosciuto e riconoscibile (a meno di voler considerare tale, e così non è, la presenza di una poltrona in più nell'organigramma o la mancanza di una politica per il Sud). I suoi ex colonnelli, nella stragrande maggioranza, non lo seguono. E forse i suoi elettori, nella stragrande maggioranza, non lo capiscono. Ma quella di Fini non è e non può essere una guerra lampo. Sarà piuttosto una guerra di logoramento. Come annunciano nei corridoi i cinquanta "fedelissimi" del presidente, si consumerà nei rapporti istituzionali, nelle aule parlamentari, negli organismi del partito. E questo la dice lunga su cosa sta diventando il glorioso Partito del popolo della Libertà. E su cosa diventeranno i prossimi tre anni di legislatura. Altro che le verdi vallate delle riforme. Piuttosto il Vietnam delle imboscate. Nella logica berlusconiana, tutto questo è sufficiente per comprendere la portata "eversiva" della metamorfosi in atto. Il battesimo di una "corrente del Presidente" dentro il Pdl, nella visione cesarista del premier, è intollerabile perché incomprensibile. Lo scriveva ieri "Il Foglio" di Giuliano Ferrara (che sa di cosa parla) citando il commento di Wellington, capo di governo di Sua Maestà britannica, alla fine della sua prima riunione del gabinetto: "Non capisco. Ho dato un ordine, e tutti si sono messi a discutere". Questo deve essere lo stato d'animo del Cavaliere, di fronte alle "discussioni" alle quali vuole inchiodarlo il co-fondatore. Lui ha dato e dà i suoi ordini: che bisogno c'è di discutere? E infatti Berlusconi non vuole discutere. Né con Fini, né con chiunque altro. Il solo interlocutore con il quale accetta il dialogo alla pari è e continuerà ad essere il Senatur, che gli porta in dote la Padania ormai nata. Per questo non farà sconti al presidente della Camera. Ignorerà le sue richieste e le sue proteste. E continuerà a indicargli il ritorno alla "casa del padre" (la vecchia Alleanza nazionale) se della nuova casa non condivide le regole e le gerarchie. Ma è proprio per questo che la diaspora che si è aperta nella coalizione, anche se non sfocerà in una scissione, non potrà mai finire. La "coabitazione" si tradurrà in un equilibrio destabilizzante. La maggioranza sarà costretta a una mediazione estenuante. Il governo sarà condannato a un galleggiamento paralizzante. I danni per il Paese saranno incalcolabili. Fini sta chiedendo a Berlusconi di non essere più Berlusconi. Questa è la sfida impossibile del co-fondatore. Sta proponendo al fondatore del Pdl di fare il "segretario", mentre lui è sicuro di esserne il "proprietario". Il presidente della Camera affronta questa battaglia quasi a mani nude: ha molte idee, ma pochi soldati. La sua vera arma è l'anagrafe. Ma non è detto che gli basti, contro quello che i giornali di famiglia ormai definiscono "Cav. Il Sung". (21 aprile 2010)
Mons. Ghedini, avv. Fisichella Ora non è che il fatto che Berlusconi abbia o meno il permesso di fare la comunione sia decisivo per le sorti del paese. Però le parole con cui mons. Fisichella spiega il sì della Chiesa all’ostia per il Cavaliere sono divertenti assai. L’alto prelato, già esultante per la vittoria pidielle-leghista alle elezioni regionali, spiega che "la Chiesa sui divorziati non ha affatto cambiato idea", ma segnala che "con la separazione dalla seconda moglie Veronica il Cavaliere non vive più nel peccato". Vale a dire – è sempre Fisichella a parlare – che il premier "è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante, perché è il secondo matrimonio civile a creare problemi, visto che è solo al fedele separato e risposato che è vietato comunicarsi perché sussiste uno stato di permanenza nel peccato". Per il diritto canonico sarà anche corretto, ma di certo è esilarante. Tanto da surclassare perfino l’inarrivabile arringa dell’avvocato Ghedini sull’"utilizzatore finale" ai tempi dello scandalo escort.
Bossi jr: "Ai Mondiali non tiferò per l'Italia" Il figlio del leader della Lega, appena eletto consigliere regionale in Lombardia, non sosterrà gli azzurri nella difesa del titolo in Sudafrica: "Il tricolore, per me identifica un sentimento di cinquant'anni fa". Replica Gigi Riva: "Se non sta bene qui può anche andarsene, nessuno ne farà una malattia" Bossi jr: "Ai Mondiali non tiferò per l'Italia" Renzo Bossi ROMA - Il rito collettivo, come avviene ogni quattro anni quando ci sono i Mondiali (facciamo due, mettiamoci anche gli Europei), sta per compiersi. Bandiera italiana alla finestra pronta per essere agitata, tutti che si fermano per tifare azzurro. Tutti? Non proprio. C'è infatti chi se ne fregherà altamente del destino della Nazionale campione del mondo in Sudafrica. Uno di questi è Renzo Bossi, il figlio del leader della Lega Umberto, che alle ultime regionali ha preso 13 mila preferenze nella provincia di Brescia, diventando il più giovane consigliere regionale eletto in Lombardia. Bossi jr, in una intervista a Vanity Fair, parla senza mezzi termini: "No, non tifo Italia. E poi bisogna intendersi su che cosa significa essere italiano. Il tricolore, per me identifica un sentimento di cinquant'anni fa". Quanto all'Italia meridionale, non la conosce per niente non essendo "mai sceso a Sud di Roma". RIVA POLEMICO - Non si è fatta attendere la risposta di una gloria della Nazionale azzurra come Gigi Riva, attualmente team manager azzurro: "Se non sta bene può anche andarsene dall'Italia, nessuno ne farà una malattia... E' un'affermazione stupida e grave, se inizia così in politica non va molto lontano. Forse ha voluto farsi conoscere dicendo qualcosa di clamoroso, di esaltante. Ma l'Italia viene prima di lui e resterà anche dopo di lui. La Nazionale è sempre adoperata fuori luogo". Per l'ex Rombo di tuono la maglia azzurra "è l'unica cosa che ancora unisce. La politica ha toccato il fondo. Nel 2006 la vittoria mondiale e il calcio hanno salvato il Paese. Hanno dato un'immagine positiva in tutto il mondo, cosa che la politica non ha dato".
VELTRONI: "FRASI ASSURDE" - Duro anche Walter Veltroni: "Si fa sempre il tifo per la nazionale e il proprio paese. E' assurdo che una persona eletta pronunci queste frasi. Purtroppo non c'è da meravigliarsi visto che viene dall'esponente di un partito che continua ad insultare l'unità italiana e la sua bandiera". RIVERA: "E CHI SE NE ACCORGERA'?" - "Renzo Bossi non tiferà per gli azzurri al Mondiali? Non vedo dove sia il problema, anche perché nessuno se ne accorgerà". Gianni Rivera commenta così le dichiarazioni di Renzo Bossi. Per l'ex 'Golden Boy' del calcio italiano non bisognerebbe dare risalto ad un certo tipo di esternazioni. "E' un fatto che potrebbe passare inosservato. Anche io da parlamentare europeo ho parlato molte volte, ma non tutto quello che dicevo veniva riportato. Sono cose personali, il problema è che gli si va dietro". CELLINO: "SE FOSSI IL PADRE..."- Il presidente del Cagliari Massimo Cellino liquida con una battuta l'uscita di Bossi jr sulla nazionale italiana. "Non tiferà l'Italia ai prossimi Mondiali? Per dichiarazioni così, se fossi il padre, incomincerei a preoccuparmi, Stimo Umberto, per me è un grande valore per l'Italia. Ma queste dichiarazioni del figlio... Lo dico da padre. Anch'io - confessa - sono rimasto un po' sorpreso e imbarazzato quando ho visto mio figlio all'Isola dei famosi. Ma almeno Ercole è un po' più giovane". D'ONOFRIO: "SI MERITA UNA PERNACCHIA" - Francesco D'Onofrio, dirigente dell'Udc, risponde con Totò: "Sono rammaricato che la trota dichiari di non essere mai stata a sud di Roma: gli manca la consapevolezza essenziale del verso che il grande Totò faceva in simili casi: una lunghissima pernacchia. Questa è la risposta a tutti coloro che non tiferanno per l'Italia".
(20 aprile 2010)
2010-04-18 IL RETROSCENA Muro del premier, Letta non media più "Se cedi a Gianfranco poi sarà peggio" Il Cavaliere all'alleato: "coi gruppi autonomi vai al voto da solo Berlusconi convinto che Fini non abbia numeri significatividi FRANCESCO BEI Muro del premier, Letta non media più "Se cedi a Gianfranco poi sarà peggio" Silvio Berlusconi ROMA - Se persino Gianni Letta, dopo il pranzo con Fini, è diventato pessimista, significa che la situazione si sta facendo davvero ingarbugliata. E, in certi frangenti, basta un granello di sabbia per piegare gli eventi verso un esito imprevisto. Così due sere fa, mentre Berlusconi ascoltava Cicchitto, Alfano e altri che gli spiegavano quanto quella di Fini fosse "una piccola fronda senza numeri per impensierirci", il sottosegretario è intervenuto con aria grave: "La state facendo troppo facile". E non sarà un caso allora se Letta, che in altre situazioni sarebbe già stato all'opera per mediare, fino a ieri sera non si sia fatto sentire con il presidente della Camera. Soluzioni a portata di mano infatti non ce ne sono, mentre Berlusconi, in privato, continua a dire fuoco e fiamme del "cofondatore". Quello che Letta si è limitato a raccomandare al premier è di non concedere nulla a Fini sul fronte degli organigrammi: "Dobbiamo stare attenti - è stato il consiglio - a non rafforzarlo consentendogli di creare una squadra interna al partito. Altrimenti, tra un anno, il problema si ripresenterà in forma peggiore". Letta comunque può stare tranquillo, visto che il Cavaliere a fare concessioni non sta pensando affatto. Anzi, proprio per mettere un dito nell'occhio a Fini, ieri si è fatto accompagnare (in elicottero) al Salone del mobile e al funerale di Raimondo Vianello da Daniela Santanché. Al pranzo con gli imprenditori qualcuno ha provato a chiedergli perché avesse "rubato" a Fini tutti i colonnelli ex An, e il premier ha risposto beffardo: "Non glieli ho portati via, io non ho fatto proprio niente. Quella è gente che adesso lavora con noi perché hanno capito la differenza che c'è tra me e lui". Battute velenose, come quella sul futuro politico del presidente della Camera: "È chiaro che non ha i numeri per fare i suoi gruppi, ma se anche ci riuscisse poi dove va? È un fantasma che cammina, alle prossime elezioni andrà da solo perché è chiaro che con il Pdl non sarà mai più alleato". Inoltre, spiega Berlusconi, "in caso di rottura io necessariamente dovrei alzare tutti i ponti. Non potrei riconoscerlo come interlocutore, altrimenti il giorno dopo mi troverei in Parlamento altri 12 gruppi "autonomi". Sarebbe la fine del Pdl e del governo".
Uno scenario di balcanizzazione del partito che, in ogni caso, per Berlusconi non ha alcuna possibilità di realizzarsi. La riprova, secondo il premier, la si è avuta ieri con il pranzo dei senatori "finiani". Quando gli hanno portato le agenzie di stampa con le dichiarazioni dei 14 senatori che frenavano sulla costituzione del gruppo autonomo, il Cavaliere ha sorriso soddisfatto: "Cosa vi avevo detto? Alla fine saranno solo una manciata, perché un conto è firmare un documento, un altro è fare una scissione. Fini ha scoperto di essere debolissimo". Berlusconi prepara una vendetta fredda, senza rabbia. Riceve e sta ad ascoltare i mediatori che bussano alla sua porta (nelle ultime ore Gianni Alemanno e Giorgia Meloni), ma alla fine fa di testa sua. "Capite? Mi ha chiesto di cambiare i ministri di An, adesso vuole anche la testa di Cicchitto. Parla di politica, ma pensa al potere. Chiede maggiore democrazia interna, ma i suoi mi dicono che, quando c'era An, decideva sempre tutto da solo". E comunque, "se vuole sostituire La Russa come coordinatore, ci vada lui stesso, ovviamente dimettendosi da presidente della Camera". Insomma, di una ricomposizione al momento non se ne parla. "Faccia come crede, io vivo benissimo". Si capirà solo giovedì, alla direzione, se queste schermaglie sono solo pretattica oppure se si tratta davvero dell'inizio della fine. © Riproduzione riservata (18 aprile 2010)
MAPPE Pdl, il partito senza terra di ILVO DIAMANTI C'E' LA TENDENZA - e la tentazione - di trattare il conflitto fra Berlusconi e Fini come un caso "personale". L'ultimo episodio di una lunga "guerra di successione" (come ebbe a definirla Adriano Sofri). D'altronde, in questa democrazia personalizzata, non può sorprendere che i conflitti politici abbiano retroscena personali - e viceversa. Tuttavia, gli argomenti critici espressi da Fini a sostegno della propria minaccia difficilmente possono essere considerati "personali". Perché sono politicamente fondati. E, al tempo stesso, percepiti - e condivisi - in ampi settori del Pdl con inquietudine. L'egemonia della Lega sulla coalizione. Ma soprattutto, la debolezza del Pdl e il suo squilibro territoriale crescente. Non sono invenzioni polemiche. Soprattutto oggi, dopo il voto regionale. Non a caso - e non per gusto della provocazione - Bossi ha dichiarato l'intenzione della Lega di esprimere il futuro premier, nel 2013. Fra i propri leader. Interni o di riferimento (un nome a caso: Tremonti). La polemica sollevata da Fini, anche per questo, contribuisce a svelare quante difficoltà abbiano prodotto i risultati delle elezioni regionali nel Pdl. Anche se la ri-conquista di 3 regioni importanti, come la Campania, il Piemonte, e il Lazio, ha indotto ad attribuire la vittoria al centrodestra, nell'insieme. E, dunque, al suo leader. Al premier. Che da sempre fanno tutt'uno. Tuttavia, il voto ai partiti ha sancito un evidente insuccesso del Pdl. Si tratta di un aspetto già osservato da altri analisti (per primo, dall'Istituto Cattaneo). Eugenio Scalfari, domenica, vi si è soffermato a lungo. Il Pdl, in valori assoluti, anche considerando la Lista Polverini in provincia di Roma, ha perso consensi, rispetto alle europee del 2009 (2.600.000) e alle regionali del 2005 (400.000). In termini percentuali, si è attestato sui valori del 2005. Cioè: il più basso della seconda Repubblica, considerando tutte le elezioni dal 1994 fino ad oggi. (Si veda, al proposito, l'articolo di Luigi Ceccarini su Repubblica. it).
Il buon risultato della Lega ha - in parte - compensato queste difficoltà. E le ha - in parte - acuite. Perché ha aumentato in misura rilevante il peso leghista. Nell'alleanza con il Pdl, infatti, nel 2005 la Lega rappresentava il 16% dell'elettorato, nel 2009 il 24%, oggi il 29%. Il fatto che fino al 2006 l'alleanza di centrodestra comprendesse anche l'Udc, peraltro, riduceva la forza contrattuale della Lega. (Che, anche per questo, considerava i neodemocristiani degli intrusi e dei nemici). Ma il peso assunto dalla Lega appare più evidente su base territoriale. Considerato insieme a quello del Pdl, nel 2005 l'elettorato leghista costituiva il 29%, nel Nord: oggi è salito al 47%. La crescita è ancora più evidente nelle regioni rosse del Centro (compresa l'Emilia Romagna). Dall'8% del 2005, oggi è salito al 26%. In altri termini: la Lega, per il Pdl, è un partner fedele. Ma anche necessario. E, al tempo stesso, un concorrente. (Si vedano mappe e tabelle sul risultato elettorale del Pdl nel sito di Demos), Nel Sud, la Lega non c'è, per ora. Ma il Pdl ha, comunque, incontrato difficoltà di tenuta elettorale. Certo, ha conquistato la Campania e la Calabria. In più ha strappato il Lazio. In complesso, nelle regioni meridionali, allargate al Lazio, ha recuperato 300 mila voti rispetto alle regionali del 2005, ma ne ha persi quasi un milione rispetto alle europee del 2009 e oltre due rispetto alle politiche del 2008. Così, il Pdl continua ad apparire un partito fortemente meridionalizzato. Visto che il 41% del suo elettorato, alle recenti elezioni, proviene dalle regioni del Sud e dal Lazio. Eppure, anche in quest'area si è indebolito. Nel Sud, infatti, alle regionali ha ottenuto il 32% dei voti validi, ma alle europee del 2009 ne aveva conquistati il 42% e nel 2008 il 45%. Da ciò l'impressione che le critiche di Fini siano tutt'altro che infondate. Ma, al contrario, rivelino alcune ragioni di disagio e tensione che attraversano il Pdl. Sfidato dall'interno, più che dall'esterno. Dagli amici, più che dagli avversari. Da destra e dal centro, più che da sinistra. Nel Centro-Nord, come abbiamo già detto, è incalzato dalla Lega. Alle regionali del 2010, primo partito in 9 province, alle europee del 2009 in 6. Nel 2005 in nessuna. Mentre il Pdl nel 2005 era primo partito in 25 province, nel 2009 in 32. Oggi in 20. La concorrenza della Lega, peraltro, rimette in discussione l'accesso alle risorse e ai centri di potere. Nelle istituzioni, nel credito, nella finanza (come ha puntualmente mostrato Tito Boeri, su questo giornale). Nel Sud, invece, il Pdl deve fare i conti con il malessere dei gruppi politici e di interesse a cui fa riferimento. Insoddisfatti e preoccupati, per il conflitto distributivo con gli "alleati" del Nord. Frustrati dall'asimmetria fra peso elettorale e politico. Dal contrasto fra un partito centromeridionale e un governo nordista. Queste tensioni hanno già prodotto strappi vistosi. Soprattutto in Sicilia, dove Raffaele Lombardo, leader del Mpa e presidente della Regione, agisce in aperto contrasto con il governo e il centrodestra. Dove Micciché e altri leader del Pdl parlano di costituire un Partito del Sud. Nel Mezzogiorno, il Pdl deve, inoltre, fare i conti con l'Udc, che ha ottenuto successi significativi. Ha, infatti, "conquistato" 15 comuni tra i 29 (a scadenza naturale) dove si è votato nelle scorse settimane. Partecipando a coalizioni per metà di centrosinistra e per metà di centrodestra. Più che dal centrosinistra e dal Pd, quindi, l'opposizione alla maggioranza viene dalla maggioranza. L'opposizione al Pdl dal Pdl. Dalla sua - contraddittoria - presenza nella società e nel territorio. Dove appare poco radicato. Stressato da una fusione - tra Fi e An - mai del tutto compiuta, soprattutto a livello periferico. Frammentato in gruppi locali e particolaristici. Incalzato dalla compattezza della Lega. Disorientato - più che da Fini - dall'incertezza sui fini comuni e condivisi. Per comprendere le difficoltà e i conflitti nel Pdl, allora, conviene non concentrarsi solo sui gruppi parlamentari, sui dirigenti nazionali di partito, sui luoghi della "politica dell'audience". Meglio spostare lo sguardo anche sul territorio. Dove si rischia di capire il significato della sfida di Fini a Berlusconi meglio che in un talk-show. © Riproduzione riservata (18 aprile 2010)
LA LETTERA Caro Saviano, non è una censura mio padre può anche criticare Dopo la lettera aperta dello scrittore, seguìta agli attacchi del presidetne del Consiglio, Marina Berlusconi scrive al nostro giornale. Perché è presidente del Gruppo Mondadori. E perché "il diritto di esprimere il proprio pensiero, di approvare o dissentire, non può valere per alcuni e non per altri"di MARINA BERLUSCONI Caro Saviano, non è una censura mio padre può anche criticare Marina Berlusconi GENTILE direttore, la lettera di Roberto Saviano sulla Repubblica di ieri, in replica ad alcuni giudizi di mio padre sul "supporto promozionale" che serie tv come "La piovra" e libri come "Gomorra" fornirebbero alle mafie, mi impone una risposta. Innanzitutto perché mi ha profondamente colpito la reazione di Saviano di fronte a quella che era né più né meno che una critica. Una critica che può anche non essere condivisa, ma che, come tutte le opinioni, è più che legittima. E quando dico "tutte le opinioni" intendo davvero tutte, comprese quelle, piaccia o non piaccia, del presidente del Consiglio. Voglio anticipare subito che è una critica con la quale concordo. Credo che nessuno si sogni nemmeno lontanamente di pensare che sulle mafie si debba tacere. Al contrario. Sappiamo tutti quanto abbia pesato e pesi l'omertà nella lotta alla criminalità organizzata e quanto sia importante rompere il muro del silenzio. Ma certo una pubblicistica a senso unico non è il sostegno più efficace per l'immagine del nostro Paese. Saviano scrive che l'Italia ha la migliore legislazione antimafia del mondo, ma da cittadina italiana penso che tutti dovremmo essere fieri anche del fatto che il governo guidato da mio padre ha ottenuto sul fronte della lotta alle mafie risultati clamorosi, forse mai raggiunti prima. E questo non lo dico io, lo dicono i fatti, gli arresti, i sequestri di patrimoni sporchi. "Quando c'è un incendio si lascia fuggire chi ha appiccato le fiamme e si dà la colpa a chi ha dato l'allarme"? si chiede retoricamente Saviano su Repubblica. A me pare che il governo non solo non lasci fuggire nessuno, ma si applichi anzi ad un'altra attività non secondaria: quella di spegnerle, le fiamme. Parlare di più anche di questi successi sicuramente aiuterebbe a cancellare quella assurda equazione che troppo spesso viene applicata all'estero: Italia uguale mafia.
Personalmente, la penso così. E questo, è ovvio, poco importa. Ma sono anche presidente del gruppo Mondadori, che Saviano tira ampiamente in ballo. E lo fa in un modo su cui non posso tacere. La Mondadori fa capo alla mia famiglia da vent'anni. In questi venti anni abbiamo sempre assicurato, com'è giusto e doveroso, secondo il nostro modo di intendere il ruolo dell'editore, il più assoluto rispetto delle opinioni di tutti gli autori e della loro libertà d'espressione. A cominciare, in una collaborazione che mi è parsa reciprocamente proficua, da Roberto Saviano. Il quale ce ne dà atto, scrivendo di aver sempre pensato che la Mondadori "avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse". Salvo poi aggiungere che dopo le parole di mio padre "non so se sarà più così". E perché? Che cosa è cambiato? Silvio Berlusconi non può permettersi di criticare un'opera edita dalla Mondadori, la quale naturalmente continua ad avere la più totale e piena libertà di fare le scelte editoriali che ritiene più opportune? Questo non è forse un bell'esempio di dialettica democratica? Mi pare che Saviano non riesca a distinguere tra una libera e legittima critica e una censura. Ma in questo modo è lui stesso ad applicare una censura, non riconoscendo al presidente del Consiglio il diritto di criticare. E forse sottovaluta, e non di poco, l'autonomia di pensiero e di azione di quanti lavorano in Mondadori. Un'azienda nella quale ognuno, a cominciare dagli azionisti e dall'editore, la pensa come vuole. Un'azienda nella quale le scelte non sono guidate da valutazioni politiche ma da criteri esclusivamente editoriali e professionali. Il gruppo Mondadori ha garantito a Saviano e a tutti gli altri suoi autori la massima libertà di espressione. Lo ha sempre fatto e continuerà a farlo. Perché, da editori liberali quali siamo, consideriamo la libertà il valore supremo. Ma allo stesso tempo riteniamo che il diritto di esprimere il proprio pensiero, di approvare o di dissentire, non possa valere per alcuni e non per altri. Rivendico quindi anche per me questa libertà. Quando sentirò di dover formulare una critica, nemmeno io starò zitta. Mi pare un po' eccessivo prometterlo o addirittura giurarlo. Ma ci tengo a dirlo. E, sempre che mi sia consentito, anch'io, come Saviano, ad alta voce. l'autore è presidente della Mondadori spa © Riproduzione riservata (17 aprile 2010)
LO SCRITTORE Il mio dovere è difendere la libertà Roberto Saviano replica alla lettera di Marina Berlusconi dopo gli attacchi del presidente del Consiglio. "Dal capo del governo non una critica ma parola finalizzate a intimidire chiunque scriva di mafie e capitali mafiosi"di ROBERTO SAVIANO Il mio dovere è difendere la libertà Roberto Saviano Ho LETTO la lettera del presidente della Mondadori Marina Berlusconi e colgo occasione per precisare alcune questioni. Il capo del governo Berlusconi non ha espresso parole di critica. Critica significa entrare nel merito di una valutazione, di un dato, di una riflessione. Nelle sue parole c'era una condanna non ad una analisi o a un dato ma allo stesso atto di scrivere sulla mafia. Il rischio di quelle parole, ribadisco, è che ci sia un generico e preoccupante tentativo di far passare l'idea che chiunque scriva di mafia fiancheggi la mafia. Come se si dicesse che i libri di oncologia diffondono il cancro. Facendo così si avvantaggia solo la morte. Non capisco a cosa si riferisce quando la presidente Berlusconi dice: "Sappiamo tutti quanto abbia pesato e pesi l'omertà nella lotta alla criminalità organizzata... ma certo una pubblicistica a senso unico non è il sostegno più efficace per l'immagine del nostro Paese". In Gomorra sono raccontate anche le storie di coloro che hanno resistito alle mafie, un intero capitolo dedicato a Don Peppe Diana, c'è il racconto di una Italia che resiste e contrasta l'impero della criminalità. Quale sarebbe il senso unico? Ho anche più volte detto e scritto, che l'azione antimafia del governo c'è stata ed è stata importante, ricordando però al contempo che siamo ben lontani dall'annientare le organizzazioni, siamo solo all'inizio poiché le strutture economiche e politiche dei clan che continuano ad essere intatte. Ecco perché alla luce di quanto scrivo ho trovato le parole del capo del governo finalizzate a intimidire chiunque scriva di mafie e di capitali mafiosi. Ho io stesso visto e conosciuto la libertà della casa editrice Mondadori. Ci mancherebbe che uno scrittore non fosse libero nella sua professione. Una libertà esiste però solo se viene difesa, raccolta, costruita nell'agire quotidiano da tutti coloro che lavorano e vivono in una azienda. Ed è infatti proprio a questi che mi sono rivolto ed è da loro che mi aspetto come ho già scritto una presa di posizione in merito alla possibilità di continuare a scrivere liberamente nonostante queste dichiarazioni.
Non può che stupire però che un editore non critichi ma bensì attacchi lo stesso prodotto che manda sul mercato, e lo attacchi su un terreno così sensibile e decisivo come quello della cultura della lotta alla criminalità organizzata. Sono molte le persone in Italia che per il loro impegno nel raccontare pagano un prezzo altissimo non è possibile liquidarle considerando la loro azione "promotrice" del potere mafioso. Una dichiarazione del genere annienta ogni capacità di resistenza e coraggio. E questo da intellettuale non è possibile ignorarlo e da cittadino non posso ascrivere una dichiarazione del genere alla dialettica democratica. È solo una dichiarazione pericolosa che andrebbe immediatamente rettificata. ©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara © Riproduzione riservata (17 aprile 2010)
2010-04-17 L'EDITORIALE Che cosa farà Fini quando sarà grande di EUGENIO SCALFARI Che cosa farà Fini quando sarà grande Gianfranco Fini CHE COSA farà da grande Gianfranco Fini? È ancora un possibile delfino di Silvio Berlusconi? Oppure uno dei suoi competitori? Un uomo di destra? Oppure un liberale? Rilevante o irrilevante? Questo gruppo di domande sollecita risposte alcune delle quali possono essere date fin d'ora, ma altre si vedranno col tempo perché lo stesso Fini oggi non saprebbe darle, neppure dopo aver inghiottito il siero della verità. La prima risposta certa è questa: non è mai stato il delfino di Berlusconi e mai lo sarà e la ragione è semplice: Berlusconi non vuole delfini. Non soltanto perché non se ne fida, ma perché non c'è nessuno come lui nel panorama politico italiano. Lui è un'anomalia assoluta, un fantastico imbonitore, capace di indossare qualunque maschera e di compiere qualunque bassezza che gli convenga. Quando sarà arrivato al culmine del percorso che si è prefisso, non avrà altri pensieri che godersi la felicità d'aver gustato e posseduto tutto: il potere, la ricchezza, l'ubiquità, l'immunità. Che cos'altro può desiderare chi ha il culto di se stesso come obiettivo supremo da realizzare? Perciò nessun delfino, nessun successore designato. "Dopo di me il diluvio, che io comunque non vedrò". Perciò Fini non ha nessun avvenire dentro il Pdl dove i suoi colonnelli d'un tempo l'hanno già tradito e i suoi marescialli di campo che stanno ancora con lui finiranno con l'abbandonarlo anche loro se il percorso da lui intrapreso sarà troppo lungo e troppo accidentato. Salvo forse Giulia Bongiorno e un Dalla Vedova e pochi altri che privilegiano le convinzioni agli interessi. La Polverini l'ha mollato il giorno stesso in cui fu eletta alla Regione; Alemanno è sulla soglia, Ronchi appena un passo indietro. Il presidente della Camera, a questo punto del suo percorso, ha assunto l'immagine d'un liberale, anzi d'un liberal-democratico, attento ai diritti e ai doveri e alla legalità. Allo Stato di diritto. Di qui il suo accordo con Napolitano. Quale avvenire politico può avere un uomo che ha scelto questa strada e questa immagine in un partito come il Pdl? Nessuno. E fuori dal Pdl? Fini è ancora rilevante perché potrebbe mettere in crisi il governo, ma nella canna del suo fucile ha soltanto quella cartuccia. Sparata quella non ne avrebbe più nessun'altra e la partita passerebbe in altre mani. A questo punto il suo futuro si potrà realizzare soltanto nelle istituzioni e non nella politica. È e potrà continuare ad essere un buon presidente della Camera o del futuro Senato federale o addirittura aspirare al Quirinale.
Non è poi un brutto avvenire anche se non è affatto facile; presuppone molta intelligenza, molta correttezza e coerenza di comportamenti ed anche un'Italia assai diversa da quella berlusconiana. Fargli gli auguri oggi significa perciò farli a tutti quelli che in un'Italia berlusconiana si trovano decisamente male. Nel breve termine può darsi che Fini giovedì prossimo formalizzi la sua rottura con Berlusconi o accetti un provvisorio armistizio per guadagnar tempo; ma la sostanza delle cose non cambierà e i voti dei quali dispone in Parlamento si faranno comunque sentire in qualche passaggio essenziale. * * * L'altro protagonista è la Lega. Molto più rilevante di Fini perché ha dietro di sé milioni di voti e controlla la parte più ricca e più produttiva del Paese. Bisogna capir bene quale è il rapporto della Lega con il Pdl con il quale è alleata e il suo rapporto con Berlusconi. Può sembrare che si tratti della stessa cosa, invece non è così. L'alleato della Lega non è il Pdl ma Berlusconi in prima persona. La Lega non lascerà mai Berlusconi perché è lui il suo amplificatore su scala nazionale e anche nel Nord leghista. La Lega non ha nessun uomo che possieda le capacità demagogiche di Berlusconi; Bossi è un'icona ma non ha carisma. La Lega perciò ha bisogno di Berlusconi almeno quanto Berlusconi ha bisogno della Lega. Il Pdl dal canto suo senza Berlusconi non esisterebbe. La figura geometrica che illustra questo trinomio è dunque quella d'un triangolo rovesciato; nei due angoli superiori ci sono Berlusconi e la Lega, nell'angolo inferiore c'è il Pdl. Due padroni e un sottopadrone. Fini si ribella proprio a questa geometria ma non ha la forza per disfarla anche perché il cemento che sostiene l'intera costruzione è nelle mani di Giulio Tremonti. * * * Guardate ora alla questione delle banche del Nord. E' stata esaminata con attenzione su vari giornali. Ne ha parlato più volte "24 Ore" con apprezzabile preoccupazione. Sulle nostre pagine sono intervenuti Massimo Riva e Tito Boeri mettendone in rilievo aspetti importanti e inquietanti ai quali ne aggiungerò uno che mi sembra il principale: la Lega vuole instaurare una sorta di autarchia finanziaria e bancaria nordista. Il senso della banca territoriale è questo. Se riescono in questo intento sarà una catastrofe per l'intero sistema economico italiano. Bossi è stato assai esplicito e preciso su questa questione capitale. Ha detto: "La gente ci chiede di prenderci le banche e noi le prenderemo". Infatti le prenderanno passando attraverso le Fondazioni bancarie e insediando persone fidate nei consigli e nei vertici delle banche. Fidate per la Lega e per Tremonti, due ganasce della stessa tenaglia. Ma perché la gente fa quella richiesta a Bossi? Quale gente? La Padania è un tessuto di medie, piccole e piccolissime imprese; le grandi e le grandissime si contano ormai sulle dita di una sola mano, anzi su un solo dito. Le banche e le Casse di risparmio hanno in quel tessuto la loro clientela naturale per una parte dei depositi raccolti e degli impieghi erogati. Ma soltanto una parte. Se sono banche di grandi dimensioni i loro sportelli di raccolta sono su tutto il territorio nazionale e i loro impieghi e intermediazioni sono ovunque in Europa. Ma "la gente" di Bossi e il messaggio leghista vogliono che il grosso degli impieghi rimanga su quel territorio anche se si tratta di impieghi non garantiti e concessi a condizioni di favore. La territorialità bancaria nella visione leghista ha questo significato: raccolta di depositi ovunque, impieghi prevalentemente nel Nord. Questa è l'autarchia finanziaria leghista. Con altre parole questa è la politicizzazione del credito. Nella famigerata Prima Repubblica, un concetto del genere non era neppure pensabile. Ai tempi di Menichella, di Carli, di Baffi, di Ciampi, di Mattioli, di Cingano, di Siglienti, di Rondelli, una concezione del genere equivaleva ad una bestemmia. Il credito è una linfa che circola in tutto l'organismo e affluisce là dove c'è bisogno ed è il mercato a stabilire la sua locazione ottimale. Perciò suscita preoccupato stupore vedere il sindaco di Torino che discetta sulla maggiore o minore "torinesità" dei dirigenti di Banca Intesa e i presidenti leghisti del Piemonte e del Veneto occuparsi della dirigenza di Unicredit, nel mentre il ministro dell'Economia si adopera per la creazione della Banca del Sud e consolida i suoi rapporti con le Generali. La conclusione sarà l'isolamento del sistema bancario italiano dal sistema internazionale. Un'aberrazione che basterebbe da sola a squalificare un intero sistema politico. Ho scritto domenica scorsa che la Lega somiglia per molti aspetti ad una Vandea. Questo delle banche è un elemento qualificante di una concezione vandeana dell'economia. Anche la Chiesa di papa Ratzinger sta assumendo aspetti vandeani e per questo è aumentata la sua attenzione (ricambiata) verso la Lega. Ma qui il discorso è più complesso e ne parleremo una prossima volta. * * * Mentre questi fatti accadevano nell'area del centrodestra si è riunita ieri la direzione del Pd dando luogo ad un lungo dibattito privo tuttavia di apprezzabili novità e di concrete proposte. Il Pd è in attesa con le armi al piede, si direbbe in gergo militare. Nell'aria aleggia però una domanda: in tempi ormai remoti i due grandi partiti nazionali della Prima Repubblica avevano un invidiabile radicamento nel territorio. Come mai gli eredi di quelle due tradizioni politiche non sono riusciti a coniugare la concezione nazionale del partito e il suo radicamento territoriale? La ragione è molto semplice e la storia ce la racconta. La Dc era radicata nelle parrocchie, nelle associazioni cattoliche, negli oratori, nelle cooperative bianche. Il Pci ricavava invece quel radicamento dal fatto che i comunisti erano licenziati dalle fabbriche o mandati nei reparti di confino. Occupavano le terre insieme ai contadini, morivano sotto il piombo dei mafiosi insieme agli operai scioperanti nelle zolfare siciliane e nelle cave calabresi. Leggete "Le parole sono pietre" di Carlo Levi e saprete come e perché i comunisti erano radicati sul territorio. Il radicamento sul territorio non dipende dal numero dei circoli o delle sezioni. Dipende dalla condivisione della vita dei dirigenti con quella del popolo che li segue. Se quella condivisione non c'è e al suo posto c'è separatezza, il contenitore è una scatola vuota e il gruppo dirigente galleggia appunto nel vuoto. Non è questione di età, di giovani o vecchi, di donne o di uomini, di settentrionali o di meridionali, di colti o meno colti. È questione di creare una comunità e viverla come tale. La dirigenza del Pci era fatta di intellettuali che vivevano come proletari e in mezzo ai proletari. Se non c'è comunità, se non si sa suscitarla, non ci sono partiti ma gusci vuoti in balia della corrente. Anzi delle correnti. Questo è il problema del Pd. Mancano i don Milani e i Di Vittorio d'un tempo. Se risuscitassero sotto nuove spoglie molte cose cambierebbero in quest'Italia di maschere e di generali senza soldati. © Riproduzione riservata (17 aprile 2010)
Berlusconi: "Il governo resisterà Su riforme costituzionali sentiremo tutti" Al Salone del Mobile il premier scherza sui contrasti con Fini: "Gli ho fatto la corte" Riunione di 14 senatori finiani: "Basta attacchi al presidente della Camera" Berlusconi: "Il governo resisterà Su riforme costituzionali sentiremo tutti" Silvio Berlusconi MILANO - "La maggioranza resisterà e il governo durerà". Silvio Berlusconi è ottimista e distensivo sulle sorti del partito creato due anni fa con quel Gianfranco Fini al quale, dice, "ho fatto la corte" e che "conosco da 15 anni". Certo, "adesso non andiamo d'accordo" ma quello che accade nella maggioranza sono "fatti superabili". Il premier lo dice a Milano, parlando agli imprenditori del settore del mobile. E arriva persino a dire che "anche se non ci compatteremo, non ci saranno problemi per la maggioranza". Una disponibilità che arriva nel giorno in cui, dal versante finiano, i senatori più vicini alle posizioni del presidente della Camera si riuniscono in un ristorante della capitale e mettono nero su bianco la loro contrarietà a elezioni e scissioni, ma pretendono rispetto per il cofondatore del partito, le cui posizioni devono essere discusse nella direzione fissata per il 22. Berlusconi si è poi soffermato sulle riforme istituzionali, ribadendo che "la riforma costituzionale è qualcosa a cui vale la pena di lavorare". E rasserena: "Sentiremo tutti", cercando "l'assenso di un'opposizione responsabile, se l'opposizione diventerà responsabile". Da superare, secondo il premier, anche alcune delle prerogative del presidente della Repubblica, anche se questo, ha tenuto a precisare, non implica "alcuna critica nei confronti dell'ottimo capo dello Stato". Dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, una risposta cauta: "Aspettiamo domani" per vedere nei fatti le proposte della maggioranza. Sul versante interno del Pdl, è il giorno della riflessione volta a sdrammatizzare. Il sindaco di Roma Alemanno assicura che "la rottura tra Fini e Berlusconi non si concretizzerà" e il problema è "fare un confronto sulle tesi politiche, trovare una soluzione che renda possibile avere un partito forte che dia una casa a tutte le anime". I senatori finiani respingono nel frattempo come "incomprensibili" ipotesi di scissioni o di elezioni anticipate, mentre auspicano una "fase più incisiva dell'azione del governo". A farsi portavoce dell'esito dei colloqui è il senatore Andrea Augello che evidenzia la "solidarietà incondizionata al presidente Fini per gli inaccettabili toni astiosi" utilizzati, soprattutto da organi di stampa, da parte di chi "pensa di fare politica come se fosse a una partita di calcio". Il vicepresidente dei deputati Italo Bocchino chiede una "svolta" sui temi economico-sociali, un piano per il Sud che funzioni concretamente e occorre ridiscutere il rapporto preferenziale del presidente del Consiglio con la Lega. "E' del tutto errata la lettura di chi scorge dietro l'iniziativa di Fini una richiesta di nuove e più poltrone all'interno del governo o di un nuovo assetto del partito che, ricordiamolo, Fini ha co-fondato. Quello che noi chiediamo è innanzitutto una svolta sulle questioni economiche e sociali".
La lettura dei fatti da parte di Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vice di coloro che si sono riuniti nel centro di Roma, è che il documento scaturito dalla riunione "rappresenta un implicito invito all'unità dei gruppi parlamentari". La richiesta di approfondimento delle questioni politiche che vengono sollevate "troverà senz'altro risposta nel solco di quel confronto che il gruppo del Pdl al Senato ha sempre garantito". Gasparri e Quagliariello colgono il documento come "positivo contributo alla neutralizzazione dell'ipotesi di una divisione innaturale". Resta Fabio Granata, alla Camera, ad avvertire che "il brand del nostro gruppo, se verrà alla luce, sarà Pdl Italia. Per quanto ci riguarda abbiamo detto che non si tocca la maggioranza e neanche il governo. Quindi nessun rimpasto né ritiro dei ministri". (17 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica
MAFIA Libertà e Giustizia con Saviano "Orrore per le parole del premier" L'associazione ha chiesto alle Camere di far convocare Berlusconi, perché spieghi le proprie dichiarazioni. A fianco dello scrittore si schiera anche il Pd, da Rosy Bindi a Dario Franceschini Libertà e Giustizia con Saviano "Orrore per le parole del premier" Lo scrittore Roberto Saviano ROMA - "Profonda riconoscenza" per il lavoro che svolge, sfidando la criminalità organizzata e "i suoi complici in colletto bianco". E' Libertà e Giustizia che si schiera al fianco di Roberto Saviano dopo le parole di Berlusconi su Gomorra e La Piovra. Insieme alla richiesta alle Camere di far convocare il premier per spiegare le proprie dichiarazioni. Con Saviano si schiera anche il Pd. La presidente del partito Rosy Bindi ha aperto infatti i lavori della direzione del partito ricordando proprio lo scrittore, "vittima di gravi attacchi del premier". Contro l'attacco di Berlusconi si è espresso anche Dario Franceschini: "L'attacco di Berlusconi a Saviano è disgustoso e parla molto più di mille altre cose. Noi siamo con Roberto, senza esitazioni e fino in fondo", ha scritto su Twitter, commentando le parole di ieri del presidente del Consiglio. Così Libertà e Giustizia scrive per esprimere la sua solidarietà "a Roberto Saviano la profonda riconoscenza per il lavoro civile che continua a compiere, sfidando le minacce della criminalità organizzata e dei complici in "colletto bianco" che da sempre la sostengono con parole, silenzi, comportamenti, ispirando e gestendo la sciagurata politica di distruzione di anime, vite, risorse del territorio e dell'ambiente". L'associazione esprime orrore per le dichiarazioni di Silvio Berlusconi su Gomorra, chiede al presidente del Consiglio se quando parla è cosciente del carattere di incitamento che possono avere le sue parole". E proprio per quersto ritiene che le forze politiche che in Parlamento "non condividono le dichiarazioni di Berlusconi, pretendano che si presenti alle Camere per spiegare la sua esternazione e per dare il sostegno esplicito del governo a un italiano che tiene alti i valori di quell'Italia civile e coraggiosa che si batte per il riscatto delle terre abbandonate al predominio delle mafie più spietate e sanguinose". (17 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica
Bersani: "Un patto repubblicano contro derive popoliste" D'Alema replica alle critiche di Franceschini sulla proposta di un eventuale dialogo con Fini: "Una scemenza dire che vorrei fare il governo con lui. Ma non vorrei che lo rimproverassimo in nome del bipolarismo di dar fastidio a Berlusconi" Bersani: "Un patto repubblicano contro derive popoliste" Il segretario del Pd Pierluigi Bersani ROMA - Il Pd è pronto a dare vita ad un "patto repubblicano" contro eventuali forzature "populiste e plebiscitarie" in materia di riforme. Il segretario Bersani lo ha detto aprendo i lavori della direzione del partito. Le riforme, secondo Bersani, vanno fatte "nel solco costituzionale". Poi chiede al partito di "mettersi subito al lavoro sul progetto per l'Italia". "Il futuro è una sfida: mettiamoci all'altezza di questa sfida. Serve un progetto per l'Italia, un'agenda che ci porti a fare emergere la nostra visione del Paese". Per il segretario Pd servono innanzitutto pochi punti programmatici: lavoro inteso come lavoro delle nuove generazioni, fisco, educazione e cioè scuola e università, istituzioni, giustizia e informazione". "Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Dobbiamo - esorta - trasmettere positività". In particolare, per quanto riguarda il fisco, la riforma va fatta subito e non dopo l'introduzione del federalismo, ha affermato Bersani, precisando che il tema del fisco "è il luogo del tradimento della destra verso gli italiani". Inoltre "la riforma del fisco non può essere rinviata a dopo il federalismo" come invece afferma il governo. Il segretario del Pd ha anche affrontato il tema della compatibilità finanziaria di una riforma: "Il primo obiettivo - ha spiegato - è la fedeltà fiscale" in modo tale che "ogni euro in più che deriva dalla lotta alla evasione si trasformi in un euro in meno di tasse". Fini: polemica Franceschini-D'Alema. E' polemica tra Massimo D'Alema e Dario Franceschini sulla possibilità di un dialogo tra il Pd e Gianfranco Fini. "Non dobbiamo fare un torto a Fini per coinvolgerlo in scenari confusi mentre sta facendo una battaglia per una destra normale", ha detto Franceschini nel suo intervento alla direzione del Pd, prendendo le distanze da quanto detto ieri da Massimo D'Alema ad una iniziativa in cui era presente lo stesso capogruppo democratico. D'Alema ha replicato definindo "una scemenza dire che vorrei fare un governo con Fini". Il presidente di Italianieuropei è tornato a spiegare il suo ragionamento: "Non voglio fare il difensore di Fini che non ha bisogno di essere difeso da nessuno. Ma non vorrei che, nel nome del bipolarismo, lo rimproverassimo di dar fastidio a Berlusconi. Mi sembrerebbe uno zelo eccessivo".
(17 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica
2010-04-16 CENTRODESTRA Berlusconi, appello a Fini: "Avanti insieme Ma se fai i gruppi, scissione inevitabile" Nell'Ufficio di presidenza deI Pdl il Cavaliere, prima attacca il cofondatore del partito Poi nega la dipendenza della Lega, infine tenta la mozione degli affetti e promette il congresso Berlusconi, appello a Fini: "Avanti insieme Ma se fai i gruppi, scissione inevitabile" ROMA - Prima toni duri, quasi sprezzanti e la sensazione che i margini per ricucire con Fini siano molto risicati: "Se vuoi andare, vai". Poi, in serata, alla fine dell'ufficio di presidenza, Silvio Berlusconi cambia strada. Parole e accenti diventano quasi un commosso appello. Il Cavaliere mette da parte invettive e minacce e prova con la mozione degli affetti: "Invito Fini a desistere dai gruppi autonomi e a continuare insieme la nostra avventura... Sono certo che le incomprensioni saranno superate". Sul piatto, il Cavaliere mette la promessa di un congresso straordinario tra un anno e mezzo. Ma lo stesso Berlusconi non deve essere certo di una chiusura positiva perché, proseguendo il suo discorso di chiusura del vertice Pdl, ridisegna anche scenari più cupi: "Mi aspetto una risposta positiva da Fini, ma se fa i gruppi la scissione è inevitabile". E il premier ricorda due cose che piacciono pochissimo al suo interlocutore: lo spauracchio di elezioni anticipate ("Noi vogliamo evitarle, ma...") e la minaccia che già ieri aveva tirato fuori e che era poi stata smentita dai suoi: "Se fa dei gruppi suoi, non può continuare ad essere il presidente della Camera". Insomma, una giornata di passione nel Pdl. Difficile ipotizzare come andrà a finire. Come ha detto La Russa, c'è tempo fino a martedì. Adesso, le carte sono quasi tutte sul tavolo. Berlusconi promette un accordo forte per superare le incomprensioni anche se (a parte il congresso e l'affermazione un po' apodittica che il Pdl non è condizionato dalla Lega Nord) non ha spiegato come intende sostanziare la promessa. La palla, dunque, è a Fini che potrebbe andare a vedere e prender per buone le promesse (già accaduto altre volte senza molti risultati) oppure decidere che le assicurazioni del premier non sono sufficienti e mancano di chiarezza. In questo caso, la formazione dei nuovi gruppi sarebbe quasi inevitabile. Il Cavaliere, è chiaro, non la prenderebbe bene. Elezioni anticipate e scissione nel Pdl diventerebbero scenari probabili.
La giornata in altalena. Il premier, in mattinata, minimizza: "Sono piccoli problemi interni ad una forza politica". Poi, nella prima parte della riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl (Fini ha fatto sapere di aver apprezzato la convocazione del gruppo dirigente del partito) , respinge tutte le critiche di Fini sull'egemonia della Lega e taglia corto: "Ho provato a dissuaderlo, ma Fini vuole fare i gruppi autonomi. Se vuole farlo se ne assume la responsabilità". E ancora: "La verità è che alla base di tutto non c'è un problema politico". Frasi lontanissime da ogni volontà di chiarimento. Al punto che anche Umberto Bossi si dice preoccupato: "Non ho certezze, ma temo che la cosa non si rimetterà a posto. In caso di rottura ci sono le elezioni". E a questo proposto il presidente del Senato Renato Schifani torna a ripetere che, in caso di crisi, bisognerebbe tornare al voto. E lo fa nonostante queste sue parole abbiano già creato imbarazzo con il Colle (a cui spetta la decisione in caso di crisi di governo). "Rispetto il Quirinale ma resto della mia idea - dice Schifani che potrebbe partecipare alla direzione di martedì - La creazione di gruppi autonomi creerebbe fibrillazione ed una divisione del progetto di maggioranza". Più tardi, prima dell'ultimo discorso di Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa comunica che il premier "ha voluto illustrare all'ufficio di presidenza il colloquio avuto ieri con Fini, ma non era prevista oggi nessuna conclusione o reazione da parte dell'ufficio di presidenza" perché "le opinioni stanno venendo, ci si ferma, come detto c'è tempo fino a lunedì o martedì". Berlusconi non arretra. Durante l'ufficio di presidenza, Berlusconi è intervenuto più volte rispondendo un po' a tutti. Questo, in sintesi, il suo ragionamento riferito da chi c'era: "Io non mi riconosco in nessuna accusa. I progetti di riforma non sono nati certamente in una riunione conviviale con la Lega. Di riforme si è discusso nell'ufficio di presidenza". Ed ancora: "Non sono affatto succube delle posizioni di Bossi. Io certamente non mi sono defilato, anzi al contrario di altri ho fatto campagna elettorale. Fini non si riconosce più in La Russa e Gasparri? E allora significa che non è più titolare della quota del 30% che spetta ad An. Se vuole occuparsi del partito lo può fare, c'è il posto di La Russa...". Il premier avrebbe ribadito che "i problemi che evoca Fini non esistono e che Fini che non vuole contarsi negli organi democratici così come succede in ogni partito. La minoranza dovrebbe accettare ciò che viene deciso. Se poi vuole fare l'anti Berlusconi, allora buona fortuna. Vuole fare gruppi autonomi? Chiaramente questa è una scissione". Parole che l'ufficio stampa del Pdl prova a smorzare: "Berlusconi ha raccontato in modo asettico l'incontro di ieri e poi ha aperto la discussione all'interno dell'ufficio politico". I finiani si organizzano. Una ventina di senatori vicini al presidente della Camera si incontreranno domani a pranzo per fare il punto sulla situazione del Pdl anche in vista della direzione di giovedì prossimo del partito e della riunione dei parlamentari ex An alla Camera martedì prossimo con Fini. All'ordine del giorno l'ipotesi di gruppi autonomi dell'area in Parlamento. Bersani. Le tensioni tra Berlusconi e Fini dipendono dal fatto che il premier, nel famoso "predellino", abbia fatto "un patto con Bossi e non con Fini" dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Per quanto riguarda le ipotesi future, per Bersani "parlare di elezioni anticipate è una pazzi", ma "pensare di andare avanti così è un'illusione, non è possibile perchè il sistema politico non regge". Il Secolo con Fini. Questa mattina Il Secolo d'Italia si è schierato con il presidente della Camera. Il pensiero del quotidiano è affidato comunque all'editoriale di prima pagina della direttrice Flavia Perina ("Ora si gioca a carte scoperte"). "Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l'irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più - aggiunge la Perina - la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l'ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall'adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dei media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di 'rupture', di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà". Anche l'Avvenire commenta lo scontro tra Berlusconi e Fini. "Comunque vada a finire - si legge sul quotidiano dei vescovi - è chiaro che la navigazione nell'ultima fase della legislatura, che appariva abbastanza tranquilla dopo l'esito delle elezioni regionali e amministrative, ritorna in acque assai agitate". (16 aprile 2010
Lo strappo definitivo di Gianfranco "Rimanere così non è più dignitoso" Berlusconi-Fini, è rottura. Il presidente della Camera: "Farò gruppi miei". Il premier: "Ma dove va? Sono solo quattro gatti, dei fighetti. Mi sono tolto un peso. Ora possiamo correre più liberi"di FRANCESCO BEI Lo strappo definitivo di Gianfranco "Rimanere così non è più dignitoso" Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi ROMA- L'annuncio arriva alla fine del pranzo, dopo un confronto teso durato quasi due ore. "Silvio, visto che il Pdl è un nostro patrimonio comune, ma abbiamo idee diverse su come coltivarlo" osserva Fini senza alzare la voce "non ci vedo nulla di male a farlo fiorire con un gruppo autonomo". Berlusconi resta basito. Il premier prova a convincere il presidente della Camera che "i problemi si possono risolvere, come abbiamo sempre fatto". Ma per Fini le cose sembrano ormai andate troppo oltre. E lo stesso Berlusconi, in serata, appare ai coordinatori quasi sollevato: "Mi sono tolto un peso. Se ne vada pure. Abbiamo un problema in meno e possiamo correre. Farà la fine di Follini. Ma se esce, va via per sempre". Più tardi, nelle varie riunioni con i suoi fedelissimi, il presidente della Camera prova a svolgere il filo di una delle giornate più difficili della sua vita politica: "Con calma, ho posto a Berlusconi solo questioni politiche, alle quali non mi ha saputo rispondere. O meglio, ha risposto a tutto, dicendo sempre "va tutto bene". Invece non va bene per niente e basta vedere cosa è successo in Sicilia, dove da un anno e mezzo viene tollerata una situazione che, in qualsiasi altra organizzazione, avrebbe portato a una decisione". Proprio il caso Sicilia, con lo sdoppiamento del Pdl in due tronconi, l'un contro l'altro armati, per Fini è paradigmatico di cosa il Cavaliere pensi dei partiti: "Li considera meno di zero. Io invece li ho sempre considerati con rispetto e il nodo, alla fine, è venuto al pettine". Un esempio che vale anche per gli altri campi: "I problemi vanno affrontati - ha spiegato Fini ai tanti che, in processione, sono andati a trovarlo - non si può nasconderli sotto il tappeto come fa Berlusconi, far finta che non esistano". Questioni che il presidente della Camera non ha posto solo ieri. "Sono settimane che gli dico le stesse cose, in privato, in pubblico e attraverso intermediari. E lui mi ha risposto schivando i problemi. Diceva: questo lo risolviamo. Oppure: non è come dice Fini. O peggio: ma Fini dove va? Sono solo quattro gatti, sono dei fighetti".
La scena ritorna al primo piano di Montecitorio. Berlusconi alza la voce, sbatte due volte i pugni sul tavolo. Ma Fini torna alla carica. Freddo: "Io pongo problemi perché desidero che il governo lavori meglio, che la tua maggioranza sia più forte". In concreto, cosa chiede? Molto ruota intorno al ruolo debordante della Lega, a quella che Fini considera la sudditanza del Pdl rispetto a Bossi. La risposta del Cavaliere, anziché tranquillizzare il presidente della Camera, lo rafforza nella sua determinazione: "Gianfranco, la Lega siamo noi, con Bossi siamo amici, garantisco io per lui". Finito il pranzo, Fini racconta ai suoi di non essere stupito dalla concezione dei rapporti politici di Berlusconi: "Non gliene faccio una colpa, sono categorie politiche che non possiede. È come se io parlassi in italiano e lui mi rispondesse in russo". Per farsi capire, si serve di una metafora: "Certe volte la direzione della Dc si riuniva e stilava un chiaro invito rivolto al presidente del Consiglio a fare questo o quello. Anche il premier era democristiano, ma quella presa di posizione serviva ad aiutare il governo". Il Cavaliere lo scruta perplesso scuotendo la testa. Anche la condizione del Pdl viene gettata sul tavolo, insieme alla politica sociale del governo "che non esiste", la politica istituzionale "che deve essere più equilibrata", la politica economica, che "nemmeno tu conosci, perché Tremonti non ne parla con nessuno". "Ma ti rendi conto dello stato del partito al Sud??", chiede Fini. E il premier: "Cosa dici? Al Sud abbiamo vinto!". Fini, di rimando: "Serve un Pdl nazionale che non sia al traino della Lega, che sia attento alla coesione del Sud". L'altra richiesta è quella di azzerare tutti gli organigrammi, per tornare al rispetto di quel 70-30 pattuito all'inizio. È un dialogo fra sordi. Il presidente della Camera gli imputa anche la scarsa considerazione in cui viene tenuto. Episodio sintomatico quello della riforma della Costituzione: "Ti rendi conto - punta il dito Fini - che durante una cena avete tirato fuori una bozza di Costituzione, l'avete portata al Quirinale e l'avete resa pubblica senza che il presidente della Camera e fondatore del Pdl ne fosse informato?". Il Cavaliere minimizza: "Quella bozza non ha valore, non è nulla di definitivo. Anche Umberto mi ha detto: quel Calderoli lì ha esagerato, ha fatto di testa sua". Il pranzo è terminato, Berlusconi prova a stemperare il clima con una barzelletta, ma c'è poco spazio per le risate. Fini sembra deciso a lanciare il suo gruppo "Pdl-Italia", che voterà i provvedimenti del governo "a condizione di contribuire sempre alle decisioni prese: è l'Abc della politica, ma lui non ce l'ha". Insomma, a chi lo vuol seguire il presidente della Camera ripete che non gioca "a far cadere il governo", ma la partita interna sarà molto dura. "Metto in conto - confessa - che Berlusconi scatenerà i cani per provare a sbranarmi. Già mi aspetto Feltri. Ma prima o poi, per un politico, arriva il momento della verità". Quanto ai colonnelli di An, Fini non si fa illusioni e attende le loro decisioni: "Sono preoccupati. Sta arrivando il momento in cui si accorgeranno che, senza dignità politica, si può svolgere solo un ruolo ancillare". Berlusconi lascia il vertice con una minaccia: "Pensaci bene prima di fare una cosa del genere". Tornato a palazzo Grazioli, il premier si sfoga: "Fini mi aveva promesso che, se si fosse rimesso a fare politica attiva, si sarebbe dimesso dalla carica. Mi aspetto che onori questa promessa". E ancora: "In ogni caso, è liberissimo di fare il suo gruppo, nessuno è obbligato a restare nel Pdl. Ma è chiaro che, per statuto, chi fa un gruppo per conto suo non fa più parte del Pdl e non potrà essere ricandidato". Fatti conti con i coordinatori e i capigruppo, il premier ritiene di poter ancora dare le carte. "Al Senato Fini non ha i numeri per fare un gruppo e anche alla Camera, se arriverà a 20-22 deputati, me li riprenderò uno a uno". Ma finirà davvero così? © Riproduzione riservata (15 aprile 2010)
GOVERNO Galan nominato ministro giuramento al Quirinale L'ex governatore è il nuovo titolare dell'Agricoltura. Ha preso il posto di Luca Zaia eletto presidente della Regione Veneto Galan nominato ministro giuramento al Quirinale Giancarlo Galan ROMA - Cerimonia di giuramento questa mattina al Quirinale per il nuovo ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, che prende il posto di Luca Zaia, eletto alla presidenza della Regione Veneto. Poco prima il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ricevuto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Napolitano ha quindi firmato il decreto con il quale sono state accettate le dimissioni di Zaia ed è stato nominato ministro dell'Agricoltura l'ex governatore della giunta regionale di Venezia. Dopo la cerimonia Berlusconi e il nuovo ministro sono andati a palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri. (16 aprile 2010)
LA POLEMICA Berlusconi contro Gomorra e la Piovra "La mafia è più famosa che potente" Il premier critica sceneggiati e libri: "E' la sesta al mondo, ma la più conosciuta perché se ne parla" Veltroni attacca: "Saviano va solo rispettato". E Di Pietro: "Chieda scusa allo scrittore" Berlusconi contro Gomorra e la Piovra "La mafia è più famosa che potente" Roberto Saviano ROMA - Il governo ha fatto tantissimo contro la criminalità organizzata: "Abbiamo superato le 500 operazioni di polizia giudiziaria, che hanno portato a quasi 5000 arresti di presunti appartenenti a organizzazioni criminali". Silvio Berlusconi, nel corso di una conferenza stampa con il titolare del Viminale, Roberto Maroni, a Palazzo Chigi, rivendica i risultati, sferrando un affondo contro chi, in tv e in libreria, affronta il tema della criminalità. Berlusconi sottolinea che "la mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo ma è quella più conosciuta" anche per i film e le fiction che ne hanno parlato, come "le serie della Piovra" e in generale "la letteratura, Gomorra (di Roberto Saviano ndr) e tutto il resto". Non è la prima volta che Berlusconi se la prende con chi avrebbe, a suo dire, fatto pubblicità alla mafia. Lo aveva già fatto lo scorso novembre quando aveva detto chiaro e tondo di voler "strozzare" chi ha fatto le serie della Piovra e chi scrive libri sulla mafia "che non ci fanno fare una bella figura". Un affondo che però, si era rivelato un boomergang. "La piovra è roba di tanti anni fa, mentre le fiction tv più recenti sulla mafia, da Il capo dei capi a quelle su Falcone e Borsellino, le ha fatte suo figlio per Mediaset. Quando Gomorra è stato scritto ed è diventato di successo internazionale, le immagini sullo scandalo immondizia e i problemi della camorra avevano già prima fatto il giro del mondo" gli aveva risposto Michele Placido, il popolare commissario Cattani proprio nella Piovra. Oggi, invece, reagisce Antonio Di Pietro: "Berlusconi chieda scusa a Saviano". E Veltroni attacca: ""Roberto Saviano è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del consiglio del nostro Paese avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo. Mentre Saviano è costretto a vivere da anni sotto scorta e minacciato da un potere, quello criminale, per aver denunciato con nomi e cognomi i boss e i loro legami con la politica; la mafia, la camorra, la 'ndrangheta allungano le mani su nuovi territori, nuovi affari, condizionano la vita delle imprese, l'economia e la vita di tante comunità al Nord come al Sud".
Maroni. Oltre 10 miliardi di euro sottratti alle mafie, 23 superlatitanti catturati dei 30 più pericolosi. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni elenca i risultati dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, aggiornati al 31 marzo. Definendola un' azione "efficace", "senza precedenti", che ha portato a "risultati eccezionali" che "ci vengono riconosciuti da tutti i nostri partner internazionali". In particolare sui beni sequestrati e confiscati: "Sono 16.679 I beni sequestrati per un controvalore di 8,2 miliardi, e 4.407 confiscati per un controvalore di 2 miliardi". Complessivamente il patrimonio sottratto supera i 10 miliardi di euro. Anche sui latitanti, Maroni rivendica risultati: "Dei 30 più pericolosi quando ci siamo insediati al governo ne abbiamo arrestati 22". Sbarchi. "Un anno fa - ricorda Maroni - Lampedusa bruciava e nel centro di accoglienza c'erano oltre 200 immigrati, che appiccavano il fuoco. Oggi i clandestini sono pari al numero zero: non ce n'è uno. Abbiamo posto fine agli sbarchi di barconi provenienti dalla Libia, riducendo nei primi tre mesi del 2010 del 96 per cento il numero degli sbarchi rispetto al 2009, mentre rispetto al 2008 c'è stata una riduzione del 90 per cento".
(16 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica
LA POLEMICA Tre scrittori con Saviano Grossman: "Premier irresponsabile"
Tre scrittori con Saviano Grossman: "Premier irresponsabile" Lo scrittore David Grossman ROMA - Tre scrittori, Rushdie, Grossman e Englander, a fianco di Saviano. Dure le loro reazioni alle parole di Berlusconi contro l'autore di Gomorra. "Un capo di Stato non può fare dichiarazioni così irresponsabili" commenta David Grossman. Salman Rushdie parla di "disgrazia per l'Italia" e aggiunge: "Sono indignato per la dichiarazione di Berlusconi su Saviano. Considero la sua testimonianza importante ed estremamente coraggiosa". Nathan Englander sottolinea: "Un paese in cui si attaccano gli scrittori e la letteratura è considerata qualcosa di sovversivo è profondamente malsano". Leggi i commenti dei nostri lettori (16 aprile 2010)
2010-04-15 PDL DIVISO Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi Duro faccia a faccia tra il premier e l'ex leader di An che invita "a non appiattirsi sulla Lega" "Berlusconi deve governare, ma Pdl badi alla coesione nazionale". Il Cavaliere chiede 48 ore Fini: "Pronto a creare gruppi autonomi" Incontro e scontro con Berlusconi ROMA - E' scontro aperto tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. La giornata che doveva servire al chiarimento finisce con parole che suonano come minacce e ultimatum ai limiti della crisi istituzionale. I due leader del Pdl si incontrano a pranzo, poi segue un silenzio che lascia presagire tempesta. Previsione esatta. Lo sfida è durissima e Fini minaccia di costituire gruppi autonomi in Parlamento. La replica (poi smentita) sarebbe stata l'invito a dimettersi dalla presidenza di Montecitorio. In serata, il presidente del Senato, Renato Schifani non getta acqua sul fuoco: "Se la maggioranza si divide, si torna al voto". Il finiano Bocchino, invece, esclude categoricamente l'eventualità di una crisi di governo: "Si vota quando non c'è la maggioranza, non quando è divisa". Poi arriva la nota dei coordinatori del Pdl La Russa, Verdini e Bondi che fanno quadrato intorno al Cavaliere e puntano l'indice contro il presidente della Camera: "Siamo amareggiati - scrivono - il tuo atteggiamento è incomprensibile". Il vertice a pranzo. Berlusconi e Fini si vedono a Montecitorio poco dopo le 13. Colazione di lavoro prevista dopo il malumore del presidente della Camera per l'incontro di Arcore con la Lega. Al termine del pranzo, nessuno dei due vuole dire nulla. Niente frasi di circostanza sulla cordialità dell'incontro. Berlusconi si limita a un giudizio positivo sulla qualità del cibo. Poi, a pomeriggio inoltrato, fonti della maggioranza rivelano che, a tavola, i toni sono stati piuttosto irritati e che Fini si è detto pronto a costituire suoi gruppi autonomi accusando premier, governo e Pdl di andare a traino della Lega. Berlusconi - secondo le stesse fonti - avrebbe chiesto 48 ore di riflessione e replicato con altrettanta durezza: "Se lo farai, l'inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza. E chi porta avanti iniziative autonome è naturalmente fuori dal partito". Successivamente, dal Pdl arriverà una smentita anonima secondo la quale il Cavaliere non avrebbe mai parlato della necessità che Fini si dimetta.
La riunione dei finiani. Dopo il pranzo con Berlusconi, Fini si è riunito con i "suoi" ex An. Nello studio del presidente della Camera, il presidente vicario del Pdl a Montecitorio Italo Bocchino, il vicecapogruppo Carmelo Briguglio, il viceministro e segretario generale di FareFuturo Adolfo Urso e il sottosegretario all'Ambiente Roberto Menia, raggiunti poi da Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia della Camera, e da Flavia Perina, direttore del Secolo d'Italia e parlamentare Pdl vicina a Fini. Al termine della riunione Fini diffonde un comunicato che suona come un richiamo alle responsabilità del premier e del partito ma che, di fatto, conferma quanto raccontato dalle fonti di maggioranza. I toni sono attenti e sottolineano più volte che Fini non vuole mettere in crisi la maggioranza alla quale conferma fedeltà: "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - premette il presidente della Camera - il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione e io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". E Italo Bocchino, uscendo dall'incontro con Fini, pur allontanando lo scenario di una crisi di governo, conferma che "eventuali gruppi autonomi possono essere questioni successive a risposte negative a problemi politici". Ovvero, che in caso di mancate risposte da parte di Berlusconi ai problemi sollevati da Fini, gli ex An fedeli al loro leader possano dar vita a un gruppo autonomo. A quanto si sa, sarebbe anche già pronto il nome: "Pdl-Italia". Secondo fonti finiane sarebbero pronti ad aderirvi 50 deputati e diciotto senatori. La nota dei coordinatori Pdl. L'atteggiamento di Fini provoca "amarezza" ed è "sempre più incomprensibile". Lo affermano in una nota i coordinatori del Pdl Ignazio La RUssa, Denis Verdini e Sandro Bondi in una nota congiunta diffusa al termine di un incontro con Berlusconi. "Le recenti elezioni regionali e amministrative - si legge - hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità ed intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito". "Da queste inoppugnabili considerazioni - continua ancora la nota - nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento dell'onorevole Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano. Come dimostrano il successo alle politiche del 2008, le elezioni amministrative, nelle quali il centrodestra è passato ad amministrare la maggioranza delle province italiane, e le regionali che ci hanno visto passare in questi anni dal governo di 4 regioni a quello di 11 regioni". Come cambierebbe la maggioranza. L'eventuale costituzione di gruppi parlamentari 'finiani' potrebbe sconvolgere la mappa politica e dare un volto completamente nuovo alla maggioranza, se non addirittura metterla in affanno numerico. Gli ex di An presenti nel gruppo del Popolo della libertà alla Camera (270 deputati) sono una novantina e tra questi i cosiddetti finiani 'doc' sarebbero una trentina. Al Senato su 47 senatori ex An (il gruppo Pdl è composto di 144) i finiani sarebbero 10-12. Attualmente alla Camera la maggioranza di centrodestra può contare su 270 voti Pdl, 60 della Lega, 2 repubblicani e popolari del gruppo misto e 9 tra Mpa rimasti fedeli a Lombardo ed 'ex', vicini al sottosegretario agli Esteri, Enzo Scotti. Al Senato il gruppo Pdl è di 144 unità e i leghisti sono 26, più alcuni senatori Mpa o 'ex'. In realtà, basterebbero una trentina di deputati e meno di 15 senatori per mettere in seria difficoltà il governo già nel prossimo esame di provvedimenti come la giustizia o le eventuali riforme. Il Pd: "Hanno più problemi di quanto ammettono". Di fronte ai mal di pancia della maggioranza, il leader del Pd Pierluigi Bersani commenta: "Credo che il centrodestra abbia più problemi di quanto dice, anche in tema di riforme. E sono sempre stato convinto che, a differenza di quello che si racconta in giro, il centrodestra sta producendo molte discussioni e chiacchiere ma non ha presentato alcuna proposta in Parlamento. Vuol dire che c'è un problema". (15 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica
SCHEDA Fini minaccia gruppi autonomi In Parlamento la conta dei fedelissimi ROMA - Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Andrea Ronchi, Flavia Perina, Roberto Menia, Giulia Bongiorno, Enzo Raisi, Amedeo Laboccetta, Adolfo Urso, Pasquale Viespoli, Alessandro Ruben. Sono alcuni dei "finiani" di stretta osservanza che, immediatamente dopo il teso vertice tra Berlusconi e Fini si sono riuniti nello studio del presidente della Camera. Sul tappeto c'è l'ipotesi di creare gruppi autonomi dei deputati e senatori fedeli a Fini e in dissenso con la linea maggioritaria del Pdl nei due rami del Parlamento. I numeri minimi per costituire gruppo sono di venti deputati alla Camera e dieci senatori a Palazzo Madama. E stando alla conta che in queste ore i finiani vanno svolgendo, si può toccare la soglia. Alla Camera, tra gli esponenti della vecchia Alleanza Nazionale di sicuro rito finiano si possono enumerare Donato Lamorte, Francesco Proietti, Angela Napoli, Silvano Moffa, Riccardo Migliori, Mirko Tremaglia, Basilio Catanoso, Giuseppe Scalia, Antonino Lo Presti. Ai quali vanno aggiunti i "nuovi finiani" come Gianfranco Paglia o Fabio Granata. Aggiungendo questi deputati agli altri oggi riunitisi nello studio di Fini a Montecitorio, il numero minimo di venti componenti è superato. Al Senato, per fare gruppo servono dieci senatori. E come finiani possono essere reclutati Pasquale Viespoli, Filippo Berselli, Luigi Ramponi, Pierfrancesco Gamba, Laura Allegrini, Antonino Caruso, Giuseppe Valentino, Mario Baldassarri, Domenico Gramazio, Domenico Benedetti Valentini, Vincenzo Nespoli. Anche al Senato la soglia dei dieci è superata. Per la nuova componente parlamentare, i finiani hanno già in mente un nome: si chiamerebbe "Pdl-Italia". Secondo fonti finiane, i deputati che vi aderirebbero sarebbero 50 e 18 i senatori. (15 aprile 2010)
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2010-07-26 in manette anche Rudy Citterio. Indagato l'ex comandante dei vigili Bezzon Droga e corruzione, chiuso l'Hollywood Coinvolti funzionari, Belen tra i testi Cene e serate gratis nei privé ai dirigenti comunali e regionali in cambio di favori: 5 arresti, 19 indagati in manette anche Rudy Citterio. Indagato l'ex comandante dei vigili Bezzon Droga e corruzione, chiuso l'Hollywood Coinvolti funzionari, Belen tra i testi Cene e serate gratis nei privé ai dirigenti comunali e regionali in cambio di favori: 5 arresti, 19 indagati MILANO - Sigilli a due dei "templi" del divertimento notturno milanese. L'autorità giudiziaria ha disposto il sequestro delle discoteche "Hollywood" e "The Club", e cinque persone sono finite agli arresti domiciliari, mentre altre 19 risultano indagate, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Milano su presunte mazzette per "addomesticare" i controlli nei locali notturni milanesi. Anche Belen Rodriguez è tra i testimoni dell'inchiesta: nell'ordinanza di custodia cautelare a carico di cinque persone, tra cui il presidente del Sindacato italiano dei locali da ballo, Rodolfo "Rudy" Citterio, compare infatti anche la testimonianza della showgirl e conduttrice televisiva, che nel 2007, interrogata per l'inchiesta "Vallettopoli", ha raccontato agli inquirenti che all'interno dell'"Hollywood" veniva consumata abitualmente droga, in particolare cocaina. Diverse starlette, tra cui Alessia Fabiani e Fernanda Lessa, sentite dal pm Di Maio, hanno ammesso di aver fatto uso di cocaina all'interno della discoteca. Secondo le accuse, all'interno delle discoteche era prassi che vip e industriali ordinassero champagne nel privè e che le consumazioni venissero accompagnate da uso di cocaina. Tra i 19 indagati risultano esserci diversi funzionari, dirigenti e dipendenti del Comune e della Regione, oltre ai pusher della discoteca. Belen Rodriguez e Fabrizio Corona in una foto del settembre scorso (Fotogramma) Belen Rodriguez e Fabrizio Corona in una foto del settembre scorso (Fotogramma) I FOTORICATTI DI CORONA - L'inchiesta, coordinata dal pm di Milano Frank Di Maio, è nata da uno stralcio di quella che ha riguardato Fabrizio Corona in relazione a presunti fotoricatti ai danni di vip. Gli investigatori hanno anche piazzato delle microcamere per filmare il via vai nei bagni dell'Hollywood, dove alcuni vip e frequentatori della discoteca hanno sniffato cocaina. Nelle carte dell'inchiesta ci sarebbe anche una intercettazione nella quale Emiliano Bezzon, ex comandante della polizia locale di Milano, parla con Citterio, chiedendogli di fargli sapere quali sono i locali dove si spaccia, in modo da intervenire con un blitz delle forze dell'ordine. Bezzon risulta indagato nell'inchiesta, per abuso d'ufficio e rivelazione di segreto d'ufficio. GLI ARRESTATI - I destinatari delle ordinanze di custodia cautelare sono in tutto cinque. Tre sono legati alla proprietà dell'"Hollywood" e del "The Club", e sono accusati di agevolazione dell'uso di droga. Si tratta di Alberto Baldaccini, socio della Vimar Srl, società proprietaria dell'"Hollywood", di Davide Guglielmini, gestore della nota discoteca di corso Como, e di Andrea Gallesi, responsabile del privè. Alle altre due persone sono contestati i reati di corruzione, concussione e falsità materiale. Si tratta del 42enne Aldo Centonze, dipendente dell’ufficio del demanio del Comune di Milano, arrestato, e di Rodolfo "Rudy" Citterio, in passato membro della commissione comunale di vigilanza sui locali e presidente del Sindacato dei locali da ballo (Silb) - non ricopre più incarichi nel sindacato da marzo 2009-, già coinvolto in un'inchiesta per licenze "facili". Inizialmente era stato riferito che si trovava all'estero: invece è finito in manette alle 13.30 in Stazione Centrale, appena sceso da un treno in arrivo da Roma. A Centonze, Citterio avrebbe offerto la "partecipazione gratuita a serate e cene in locali notturni, quale compenso corrisposto" affinché compisse o per aver compiuto "atti contrari ai doveri d'ufficio". DIRIGENTI E POLITICI - Indagata per abuso d'ufficio anche la ex vice direttrice generale del Comune di Milano, Rita Amabile. In particolare, nell'ordinanza si parla di "rapporti di amicizia e conoscenza" tra Citterio e la stessa Amabile. Citterio, secondo l'accusa, avrebbe chiesto una tangente da 40 mila euro ad Alberto Savoca "per fargli ottenere" il "parere di agibilità" dalla commissione comunale di vigilanza per aprire il locale "Qin" nella zona del parco Lambro. Citterio, sempre stando all'ordinanza, avrebbe manifestato a Savoca i suoi "rapporti di amicizia e conoscenza" con la Amabile, che all' epoca dei fatti era alla direzione generale del Comune, e con Maria Teresa Broggini Moretto, "direttore centrale delle attività produttive". Rodolfo Citterio avrebbe chiesto aiuto anche ad altri politici "di intercedere per lui con De Corato". "Citterio - annota il gip - chiede ad alcuni politici, quali Pasquale Salvatore, capogruppo dell'Udc a Palazzo Marino, di intercedere per lui con De Corato". Il 28 gennaio 2008, Pasquale scrive a Marino in un sms: "Ciao Rudy parlo con De Corato in questi giorni, poi ti dico". Pochi giorni dopo, Citterio dice a Pasquale di aver già parlato con De Corato, ma aggiunge: "Ti sarei grato comunque se insistessi nell'azione in modo tale che si convinca totalmente vista la tua autorevole posizione". Salvatore, in consiglio comunale lunedì pomeriggio, ha subito smentito: "Io parlo con tutti come atto di cortesia ma non ho esercitato nessuna pressione a favore di Rodolfo Citterio nei confronti di chicchessia, né politici né tecnici, rispetto a qualunque tipo di pratica amministrativa legata a locali da ballo". Un'immagine ripresa dalle "cimici" della polizia (Fotogramma ) Un'immagine ripresa dalle "cimici" della polizia (Fotogramma ) LA COCA NEI BAGNI: ANCHE I VIP - Nel corso delle indagini e degli interrogatori, volti della televisione e veline avevano ammesso di fare uso personale di cocaina anche in diversi locali tra cui i bagni o i privé dell’"Hollywood" e del "The Club". Proprio nelle aree riservate e controllate dalla security delle discoteche, gli agenti in borghese della prima sezione della mobile milanese hanno documentato (anche con fotografie e filmati) tra il 2007 e il 2008 la continua cessione e il consumo di cocaina, che ha portato i magistrati, per la prima volta nel capoluogo lombardo, a contestare ai soci e ai gestori dei due locali (attivi attraverso le società Vimar Srl e B&N and Company Srl) il reato di agevolazione all’uso di stupefacenti. Secondo il gip infatti, "più persone e in più tempi ed occasioni, avendovi accesso quali clienti" avevano fatto dei privé e dei bagni dei due locali "luogo abituale di convegno utile al consumo di sostanza stupefacente". Dalle intercettazioni sullo spaccio e il consumo di droga si è aperto un altro filone d’inchiesta, questa volta curato dagli agenti della Quinta sezione della Mobile dedicata ai reati contro la pubblica amministrazione, in cui sarebbe emerso come Centonze e altri dipendenti e funzionari del Comune e della Regione Lombardia (sono una decina quelli indagati), dietro presunte mazzette, si fossero attivati per far aprire o per impedire la chiusura coatta di alcuni locali milanesi. Non solo: secondo l’accusa avrebbero anche avvertito i gestori che ci sarebbero stati dei controlli o posticipavano i controlli per permettere alle discoteche di effettuare i lavori necessari per essere in regolare, che sarebbero stati dati in appalto sempre agli stessi studi "amici". Nella notte tra domenica e lunedì gli agenti della mobile hanno fatto tra l’altro alcuni controlli, in cui sarebbero emerse piccole irregolarità, anche al "Just Cavalli", al "The Beach" (location estiva del "The Club"), e all’"Hollywood Bar" tutti locali di gran moda gestiti direttamente o indirettamente dalle società Vimar Srl e B&N and Company Srl. La polizia mette i sigilli all'Hollywood (Fotogramma) La polizia mette i sigilli all'Hollywood (Fotogramma) IL RACCONTO DI BELEN - "È notorio che all'Hollywood circoli cocaina, un po' come in altri locali, e mi è capitato anche domenica scorsa di vedere all'interno del bagno esterno al privè tre ragazze cubane che assumevano cocaina": così la testimonianza di Belen Rodriguez nell'ambito dell'indagine "Vallettopoli" davanti al pm di Milano, Frank Di Maio. Una deposizione, era il 27 marzo 2007, che ha dato impulso alle indagini che ora hanno portato al sequestro delle note discoteche Hollywood e The Club. "Ho fatto uso di cocaina - prosegue la Rodriguez - insieme a Francesca Lodo, a casa sua, solo due volte nei primi giorni di gennaio 2007. In entrambe le occasioni la droga me l'ha data Francesca. Non so dove Francesca la prenda, ma sono certa del fatto che ne fa assai uso. Lei mi invitava spesso ad andare nei bagni dell'Hollywood, le domeniche sere in cui stavamo insieme con tutti i componenti del gruppo Lele Mora, ma io non la seguivo perché temevo l'effetto della cocaina". Fernanda Lessa, sentita come testimone il 27 marzo 2007, aveva detto: "Ho assunto cocaina insieme a Tavallini parecchie volte, in diverse circostanze e talvolta all'interno di qualche locale come l'Hollywood o il The Club". La stessa versione è stata data da Francesca Lodo, sentita dieci giorni prima. Pietro Tavallini, arrestato tempo fa, interrogato sempre nel marzo 2007, aveva affermato di aver visto anche "Aida Yespica e Annalaura Ribas assumere cocaina e so che l'hanno fatto insieme". FRANCESCA LODO: LA QUERELO - Dopo aver appreso delle dichiarazioni di Belen, l'ex "letterina" Francesca Lodo ha annunciato querela tramite il suo avvocato, Francesco Murgia: "Le dichiarazioni di Belen al riguardo sono da considerarsi false, diffamatorie e calunniose. Ho dato mandato al mio legale di perseguire in ogni sede, sia civile sia penale e con i mezzi più appropriati, l'autrice di tali affermazioni". In sostanza, la Lodo ha intenzione di avviare un'azione civile e penale nei confronti della sua ex amica Belen perché quest'ultima l'ha accusata, come ha precisato l'avvocato Murgia, "di averle ceduto droga e questo è un reato". Reato che la Lodo nega di aver mai commesso. Redazione online 26 luglio 2010
2010-07-25 Milano - L’inchiesta sugli illeciti compiuti dalla "Security" di Telecom Dossier Telecom: Tronchetti indagato Ipotesi di associazione a delinquere anche per Buora Milano - L’inchiesta sugli illeciti compiuti dalla "Security" di Telecom Dossier Telecom: Tronchetti indagato Ipotesi di associazione a delinquere anche per Buora MILANO—Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora sono indagati a Milano nell’inchiesta sul dossieraggio illegale praticato dalla "Security" di Telecom negli anni in cui a guidarla era Giuliano Tavaroli. E la loro messa sotto inchiesta non avviene ora, ma è rimasta "blindata" da almeno 6 mesi. A cavallo, peraltro, degli uffici giudiziari di Roma e Milano. Gli ex presidente e vicepresidente di Telecom, infatti, non sono indagati ora come conseguenza del supplemento di indagini sollecitato di fatto alla Procura milanese dal giudice Mariolina Panasiti con la trasmissione il 28 maggio ai pm di alcuni atti dell’udienza preliminare, e in particolare degli interrogatori dei testi ammessi dal gup su richiesta delle difese degli imputati (come lo 007 privato Cipriani) o delle parti civili (come il giornalista Mucchetti) più attive nel sostenere la consapevolezza dei vertici aziendali rispetto agli illeciti commessi dalla loro "Security" e sinora sanzionati con sedici patteggiamenti (tra cui quelli di Tavaroli e delle persone giuridiche Telecom e Pirelli per corruzione in base alla legge 231) e dodici rinvii a giudizio al 22 settembre. Carlo Buora e Marco Tronchetti Provera (Imagoeconomica) Carlo Buora e Marco Tronchetti Provera (Imagoeconomica) L'emersione dell'indagine su Tronchetti e Buora è invece l’ultimo atto di una carambola giudiziaria nata nel 2006 a Roma dove, dopo i primi arresti milanesi di settembre, il procuratore aggiunto Pietro Saviotti era titolare di un fascicolo di modesta origine (beghe di un divorzio nel quale la moglie aveva rinfacciato al marito circostanze tratte da suoi tabulati telefonici) ma di importante materia: il mercimonio di tabulati telefonici (registri di chi e quando parla con chi) attuato all’epoca in Telecom grazie a un applicativo informatico della Tim (il sistema Radar) che, nato per contrastare legalmente le frodi contrattuali, era però poi stato utilizzato per le impreviste potenzialità di un suo difetto, e cioè il fatto che consentiva di conoscere il traffico telefonico di qualunque persona senza che rimanesse traccia di chi aveva interrogato il sistema. A Roma il pm Saviotti inizia dunque a procedere "contro ignoti" e finisce per chiedere al gip Aldo Morgigni l’archiviazione. Ma il gip la respinge perché non condivide l’impostazione "contro ignoti" e valuta, alla luce di quanto le indagini milanesi avevano via via evidenziato, che, se il sistema Radar aveva quelle caratteristiche, esse non potevano che rientrare in una responsabilità aziendale in ipotesi riportabile ai vertici societari. Così ordina al pm di formulare un’imputazione a carico di Tronchetti e Buora, nel contempo ravvisando un profilo di incompetenza territoriale. Dalla Procura di Roma, dunque, alla fine del 2009 vengono trasmesse per competenza territoriale a Milano le posizioni di Tronchetti e Buora, indagati per alcune delle stesse ipotesi che Milano stava contestando a Tavaroli-Cipriani-Mancini nell’inchiesta principale, e cioè associazione a delinquere finalizzata agli accessi abusivi informatici e alla corruzione dei pubblici ufficiali prestatisi a consultare abusivamente le banche dati. A Milano, a quell’epoca, i pm Napoleone-Civardi-Piacente avevano già chiesto il rinvio a giudizio di una trentina di indagati e delle due società, ma non di Tronchetti e Buora, sui quali non avevano ritenuto di avere elementi per procedere a una iscrizione nel registro degli indagati: neppure per la vicenda del sistema Radar, che pure avevano vagliato sin da quando a segnalarla era stata la stessa Telecom in un esposto presentato nel giugno 2006. A posteriori, adesso, sono dunque logicamente ricostruibili le due scelte dei pm milanesi tra fine 2009 e inizio 2010. Da un lato non hanno archiviato il fascicolo romano, ritenendo invece di coltivarlo nei primi 6 mesi di termini e, al loro scadere qualche settimana fa, anche di chiedere al gip una proroga per altri 6 mesi di indagini, sulla quale il difensore Roberto Rampioni non ritiene oggi di fare commenti non avendone ancora notizia formale dagli ufficiali giudiziari: tanto che solo ora si comprende perché nella primavera scorsa circolarono voci, evidentemente mezze sbagliate ma nel contempo mezze giuste, che indicavano i vertici Telecom indagati sulla scorta di un’imprecisata denuncia proveniente da Roma, si diceva forse di associazioni di consumatori. Dall’altro lato i pm hanno scelto di "blindare" totalmente la notizia. Dovunque. E con tutti. Con le parti processuali, anche a costo di subire le critiche degli imputati e delle parti civili che rimproveravano ai pm d’aver risparmiato penalmente Tronchetti. E perfino con la giudice dell’udienza preliminare su Tavaroli e gli altri. Quando infatti la giudice Panasiti, nell’ammettere alcuni testi (compreso Tronchetti) invocati da Cipriani, in febbraio chiese alla Procura in quale veste giuridica (testi o indagati) dovessero essere convocati, la Procura rispose che non riteneva di dover fornire, e quindi non avrebbero mai dato, alcuna indicazione sull’iscrizione o meno delle varie persone nel registro degli indagati. Una risposta sibillina, che non a caso aveva fatto ripartire l’odierno tam tam sul coinvolgimento degli ex vertici Telecom. Il primo segnale che qualcosa di nuovo fosse accaduto. Luigi Ferrarella 24 luglio 2010
LA DIFESA I legali: Tronchetti e Buora estranei ai fatti ""Radar" risale al 199, ben prima del loro arrivo in Tim" LA DIFESA I legali: Tronchetti e Buora estranei ai fatti ""Radar" risale al 199, ben prima del loro arrivo in Tim" L'avvocato di Pirelli Roberto Rampioni é intervenuto sulle notizie che vogliono Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora, ex presidente e vice presidente di Telecom, indagati a Milano nell'ambito dell'inchiesta sui dossier illegali. E nota che comunque "tale circostanza non preoccuperebbe perchè a tali fatti Tronchetti Provera e Buora sono estranei". "È estremamente difficile - afferma Rampioni - commentare qualcosa di cui non si ha alcuna evidenza, al di là della sommaria ricostruzione riportata dalla stampa e precisamente dal Corriere della Sera di oggi. "VICENDA RISALE AL 1999" - Ricostruzioni, interpretazioni e sottolineature non possono tuttavia modificare i fatti, che sono molto lineari: la vicenda riguarda un sistema informatico (Radar) presente in Tim dal 1999 (ben prima dunque dell'arrivo di Tronchetti Provera e Buora: 2001). Tale sistema fu scoperto e segnalato nel giugno 2006 sia all'Autorità Giudiziaria di Milano sia al Garante della Privacy dalla Telecom di Tronchetti Provera: su espressa indicazione di Tronchetti Provera. Per questi fatti, che, si badi bene, nulla hanno a che vedere con la vicenda dei dossier, i Pubblici Ministeri di Milano non hanno mosso alcuna contestazione nè a Tronchetti Provera nè a Buora all'esito delle indagini nel luglio 2008 (e, per vero, a identiche conclusioni sembra esser giunto il pm di Roma, avendo anch'egli chiesto l'archiviazione)". "Anche per questo - aggiunge il legale -, seppur attualmente, stando alle notizie di stampa, fosse pendente presso la Procura di Milano un fascicolo in indagini preliminari derivante dalla trasmissione da parte del Gip di Roma, tale circostanza non preoccuperebbe perchè a tali fatti Tronchetti Provera e Buora sono estranei. Salvo pensare che, ma è oltre il paradosso, denunciando loro Radar, volessero "autodenunciarsi". (ANSA). 24 luglio 2010
il Presidente della repubblica P3, Napolitano: "Che squallore, la magistratura vada a fondo" "Intervenire senza incertezze. Ma il paese ha gli anticorpi. Occorre guardare avanti senza catastrofismo" il Presidente della repubblica P3, Napolitano: "Che squallore, la magistratura vada a fondo" "Intervenire senza incertezze. Ma il paese ha gli anticorpi. Occorre guardare avanti senza catastrofismo" (Infophoto) (Infophoto) ROMA - Giorgio Napolitano, durante la cerimonia del Ventaglio, alla vigilia dell'approvazione finale alla Camera della manovra finanziaria, ha lanciato molti avvertimenti al Paese e, in particolare, alla classe politica. Uno prima di tutti gli altri: "Ci indigna e ci allarma l'emergere di fenomeni di corruzione e di trame inquinanti, anche ad opera di squallide consorterie". Per il Presidente della Repubblica "si deve intervenire senza alcuna incertezza o reticenza su ogni inquinamento o deviazione nella vita pubblica e nei comportamenti di organi dello Stato ma senza cedere a nessun gioco al massacro tra le istituzioni e nelle istituzioni". Ma l'allarme non scalfisce l'ottimismo verso il futuro del paese da parte del Presidente: "il Paese ha gli anticorpi". E poi una nota di ottimismo: "Occorre guardare avanti e misurarsi con le sfide del futuro. Nessun catastrofismo sulla situazione dell'Italia ma consapevole realismo nel valutare la situazione. Si sta risalendo la china da una crisi pesante". PRIMO PROBLEMA: "DISOCCUPAZIONE DEI GIOVANI" - Alla ripresa produttiva non corrisponde una ripresa dell'occupazione. Da noi, le questioni storiche dell'occupazione e del Mezzogiorno si rispecchiano, esaltate, nella condizione giovanile. Il problema dei giovani non impegnati nè in un lavoro nè in un percorso di studio, è oggi il problema numero uno se si guarda al futuro dell'Italia". Così il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel corso della Cerimonia del Ventaglio che si è svolta al Quirinale. LA COSTITUZIONE NON E' UN INTRALCIO - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha poi invitato a non lasciarsi andare a considerazioni sulla Costituzione vista come intoppo. "Può essere utile", ha detto nel corso della cerimonia del Ventaglio, "per evitare semplificazioni eccessive e sommarie polemiche su quel che la nostra Costituzione può consentire o non consente, riflettere sul fatto che da noi è stato possibile approvare, tra giugno e luglio, una rilevante manovra di aggiustamenti dei conti pubblici; in Germania le misure annunciate il 7 luglio diventeranno legge di bilancio non prima di dicembre". SERVE NUOVO MINISTRO PER LO SVILUPPO - Nel discorso del Presidente della Repubblica non sono mancati i richiami, a cominciare dall'invito al governo a nominare il nuovo ministro dello Sviluppo Economico. NESSUNA INTERFERENZA SULLE INTERCETTAZIONI - "Il ruolo del presidente della Repubblica è risultato chiaro. Non vedo come si possa equivocare. Nessuna interferenza nella dialettica politica e nell'attività parlamentare che rappresenta la sovranità popolare fatta salva la facoltà dell'articolo 74 da parte del presidente della Repubblica". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto così chiarire il suo ruolo nell'iter del ddl intercettazioni. "Il mio impegno e dovere - ha affermato Napolitano - è valorizzare i poteri del Parlamento e l'invito ad ascoltare l'opinione pubblica e il paese reale". "TANTO SQUALLORE" - A margine della cerimonia del Ventaglio, il presidente della Repubblica ha aggiunto: "Per ora sicuramente vedo tanto squallore. Poi vedremo cos'altro emergerà. L'importante è che si riesca a far fare alla magistratura il proprio lavoro fino in fondo per accertare fatti e responsabilità".
23 luglio 2010(ultima modifica: 24 luglio 2010)
2010-07-22 "sono riprese le furibonde campagne mediatiche, serve coesione dirigenti-leader" Berlusconi : "Nel Pdl tutto è a posto, tutto è perfetto" Anticipato dal sito del Tg1 il messaggio del premier ai simpatizzanti del partito, poi pubblicato su Forzasilvio.it * NOTIZIE CORRELATE * La mediazione nel Pdl sottolinea i limiti della tattica del premier (21 luglio 2010) "sono riprese le furibonde campagne mediatiche, serve coesione dirigenti-leader" Berlusconi : "Nel Pdl tutto è a posto, tutto è perfetto" Anticipato dal sito del Tg1 il messaggio del premier ai simpatizzanti del partito, poi pubblicato su Forzasilvio.it MILANO - "Tutto è a posto, tutto è perfetto". È stata l'unica battuta che Berlusconi ha concesso ai giornalisti che gli domandavano conto della situazione all'interno del Pdl. Il presidente del Consiglio ha fatto entrare i reporter nel cortile di Palazzo Grazioli dopo il vertice del Pdl per mostrare un mosaico di marmo raffigurante lui e la madre donato da una cooperativa di Cautano (Benevento). "FURIBONDE CAMPAGNE MEDIATICHE" - "In questi giorni sono riprese contro il governo e contro il Popolo della libertà furibonde campagne mediatiche". È questo l'incipit del messaggio che il premier ha rivolto ai simpatizzanti del Pdl, in vista della riunione che si è tenuta poi nel pomeriggio con i coordinatori regionali e nazionali. Le parole del Cavaliere, destinate al sito Forzasilvio.it, sono state anticipate in mattinata dal sito del Tg1, prima ancora di essere pubblicate intorno a mezzogiorno sulla home page della pagina web del co-fondatore del Pdl. "DIRIGENTI E LEADER SIANO COESI" - Il messaggio di Berlusconi riportato dal Tg1 è un appello all'unità del Pdl: Berlusconi parla di "calunnie" contro il governo e contro esponenti della maggioranza, che tuttavia non riusciranno a oscurare il lavoro dell'esecutivo "se il Popolo della libertà sarà unito attorno al proprio governo, coeso tra leader, dirigenti e popolo". "I nostri avversari - si legge ancora nel testo - sono maestri nelle chiacchiere, con le quali cercano di nascondere i loro demeriti e di oscurare il tanto di buono che abbiamo fatto in questi due anni difficili". Per questo, viene lanciata quella che il sito definisce "Operazione Memoria", "per dire le tante cose buone che abbiamo fatto finora e che sono la premessa per quelle che porteremo a compimento nella seconda parte della legislatura". "La forza del nostro stare insieme - sottolinea ancora il presidente del Consiglio - è nella moralità del fare. Proprio per questo cercano di toglierci l'orgoglio di essere nel Popolo della libertà, motore principale del governo del fare". "HO RIPRESO IN MANO LA SITUAZIONE" - "Come mi ero impegnato a fare - scrive il premier -, ho ripreso in mano la situazione e sto lavorando con il consueto impegno su entrambi i fronti (esecutivo e Pdl, ndr), forte del sostegno attivo di persone come te". "Per questo motivo - prosegue il Cavaliere - ti sottopongo in anteprima il pieghevole che riassume le cose fatte dal governo: è il primo di una serie di materiali di comunicazione che distribuiremo a settembre nelle Feste della libertà, a Gubbio, ad Atreju, alla Summer school di Magna Carta, ai banchetti dei Promotori della libertà, ovunque sia possibile". "Sono convinto - aggiunge - che conoscere e divulgare le tante realizzazioni del nostro "Governo del fare" sia la migliore risposta contro le calunnie e le campagne mediatiche". Quindi l'attacco a quelli che genericamente il capo del governo definisce "avversari", "maestri nelle chiacchiere". L'IDV CRITICA IL TG1 - Il Tg1 e la scelta di pubblicare il messaggio del premier sono finiti nel mirino dell'Italia dei valori. "È indegno - ha detto il capogruppo Idv in commissione di Vigilanza Rai, Pancho Pardi - che le offese del presidente del Consiglio ai giornalisti debbano campeggiare nell'apertura della homepage del Tg1. È vergognoso che un Tg, pagato con i soldi dei cittadini, diventi megafono di Berlusconi, in questo modo spudorato, abdicando al ruolo di servizio pubblico". A Pardi fa eco il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti. "È quanto meno singolare - ha spiegato - che il sito internet del principale tg del servizio pubblico dia spazio in apertura a una lettera di propaganda, pubblicitaria, di partito del presidente del Consiglio quasi fosse un organo di famiglia. Ma ormai è difficile distinguere. Di questo passo Minzolini susciterà l'invidia di Emilio Fede". "A chi ha criticato la tempestività con cui abbiamo dato la notizia del messaggio di Berlusconi - è la replica del Tg1 contenuta in una nota sul sito - , rispondiamo che il nostro sito è abituato a dare le notizie. Possibilmente prima degli altri. Cosa che succede spesso". "TUTTO A POSTO, TUTTO PERFETTO" - Polemiche a parte, il vertice del Pdl a Palazzo Grazioli è iniziato intorno alle 14. Vi hanno preso parte i tre coordinatori nazionali La Russa, Verdini e Bondi, i capigruppo di Camera e Senato, Cicchitto e Gasparri, Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del Pdl, e i ministri Frattini, Alfano e Matteoli. A Palazzo Grazioli era inoltre presente Paolo Bonaiuti. GRANATA - Dal vertice del Pdl è arrivato poi un giudizio duro e negativo nei confronti delle dichiarazioni di Fabio Granata, esponente finiano del partito di maggioranza. "Abbiamo rilevato negativamente - ha detto Cicchitto lasciando il vertice - le dichiarazioni dell'onorevole Granata sul problema della mafia e sul fatto che lui ha detto testualmente che pezzi di istituzioni e di governo ostacolano la ricerca della verità sulle stragi del '92-'93. Questo - ha scandito il parlamentare Pdl - è destituito di fondamento e inoltre l'azione del governo contro la mafia è sotto gli occhi di tutti", conclude il capogruppo del Pdl. Redazione online 22 luglio 2010
"Con Berlusconi corruzione da anni '90" D'Alema: non si tratta di casi singoli, è una rete * NOTIZIE CORRELATE * D'Alema: dalla crisi non si esce per via giudiziaria, ora governo di transizione di M. T. Meli (Corriere, 15 luglio 2010) LA POLEMICA "Con Berlusconi corruzione da anni '90" D'Alema: non si tratta di casi singoli, è una rete Berlusconi "ha riportato il paese agli standard di corruzione della vecchia Italia, della tanto vituperata prima Repubblica". Lo ha detto Massimo D’Alema arrivando alla festa dell’Unità di Roma commentando le ultime notizie emerse dall’inchiesta sulla cosiddetta P3. "Emerge intorno al potere berlusconiano una rete di interessi, una rete affaristica che appare come un vero e proprio sistema di potere - dice il presidente del Copasir - non si tratta di casi singoli come dice il premier ma di qualcosa che assomiglia alla rete degli anni ’90". Secondo D’Alema "Berlusconi ha sottovalutato" la vicenda e "ho trovato incredibile la sua battuta sul fatto che certe cose accadono anche a preti e carabinieri. Questa vicenda fa venire alla luce la crisi di un sistema di potere, la crisi di un governo, la crisi di un leader che ha riportato il Paese agli standard di corruzione della vecchia Italia, della tanto vituperata prima Repubblica". (fonte Apcom) 21 luglio 2010
a montecitorio la cerimonia del ventaglio Fini e la questione morale: "La politica sia intransigente" Appello sulle riforme: "Riparta il dibattito". E sulle intercettazioni: "Corrette le parti inadeguate del ddl" a montecitorio la cerimonia del ventaglio Fini e la questione morale: "La politica sia intransigente" Appello sulle riforme: "Riparta il dibattito". E sulle intercettazioni: "Corrette le parti inadeguate del ddl" Il presidente della Stampa Parlamentare Pierluca Terzulli consegna il Ventaglio al presidente Gianfranco Fini (Adnkronos) Il presidente della Stampa Parlamentare Pierluca Terzulli consegna il Ventaglio al presidente Gianfranco Fini (Adnkronos) MILANO - La questione morale esiste e la politica, a riguardo, deve essere intransigente. Una convinzione di cui Gianfranco Fini non fa mistero, ma che anzi esplicita nel corso della tradizionale cerimonia del Ventaglio alla Camera. "Bisogna essere drastici - ha detto il leader di Montecitorio - nel ribadire che se vogliamo che la politica sia in sintonia con la società, nei confronti di comportamenti che sono scarsamente in sintonia con l'etica pubblica e con il rispetto delle regole del vivere civile, la politica deve essere intransigente. "La contrapposizione tra garantismo e legalità - ha aggiunto - non ha motivo di esistere. Se è vero che uno non è colpevole fino a quando la sua sentenza non è passata in giudicato non si può giustificare ciò che giustificabile non è". Per il presidente della Camera, inoltre, "l'etica del comportamento pubblico è una precondizione per non far perdere la fiducia nella politica da parte della società civile". INTERCETTAZIONI - Alla cerimonia del Ventaglio, Fini è anche tornato sulla questione, assai spinosa, delle intercettazioni, alla luce del recente dietrofront dell'esecutivo. Una svolta che dimostra, a detta del leader della Camera, che "quando il Parlamento discute in modo aspro ma approfondito è capace di correggere impostazioni iniziali che si rilevano inadeguate". Per Fini, dunque, è stato giusto rivendicare la centralità del Parlamento. "Lo dico in modo felpato - ha chiarito il numero uno di Montecitorio -, ma gli emendamenti di maggioranza e governo in commissione Giustizia profondamente innovativi hanno segnato una pagina importante non solo per chi crede nella centralità del Parlamento ma anche sull'intento di correggere impostazioni". "L'ESTATE FINISCE IL 21 SETTEMBRE" - Ai giornalisti che gli chiedevano un parere sulle parole del Guardasigilli Angelino Alfano, secondo il quale il ddl intercettazioni sarà approvato entro l’estate, Fini ha risposto che "l’estate finisce il 21 settembre...". "Prevedo che si lavori la prima settimana di agosto e non lo considero un fatto stravagante, non mi scandalizza" ha aggiunto il presidente della Camera. Fini ha spiegato quindi che "all’inizio della prossima settimana ci sarà la capigruppo, il 29 la discussione generale sulle intercettazioni, poi se c’è una pregiudiziale si vota e se è respinta si passa all’esame degli articoli". "Visto che il 31 è sabato - ha proseguito - si andrà a lunedì 2 e martedì 3 agosto. Poi ci sono due decreti che arrivano dal Senato e che scadono a settembre. La mia previsione, quindi, è che si lavori la prima settimana di agosto. Chi ha detto che il 31 luglio si debba andare in ferie? È ridicolo. Non siamo la Fiat e non succede più nemmeno lì". RIFORME - Quanto alle riforme, il presidente della Camera si è detto fiducioso. "Auspico la ripresa del dibattito e che si arrivi a farle" ha spiegato Fini. "Mi auguro che il tema delle riforme torni in agenda da settembre, anche se è al momento difficile sperare che riparta uno spirito costituente" ha chiarito il leader di Montecitorio, riferendosi alla situazione determinata dalla mancata elezione dei membri laici del Csm. "Sarebbe davvero una dimostrazione di scarsa responsabilità e uno scarso esempio di democrazia - ha aggiunto a riguardo il presidente della Camera - se non si fosse capaci di eleggere entro il 31 luglio gli otto membri laici del Csm". BERLUSCONI - No comment del presidente della Camera sui suoi rapporti con il premier Silvio Berlusconi. Nel lungo discorso ai giornalisti della Stampa Parlamentare, Fini ha scelto di tenere fuori la politica "militante". Così alla domanda sul "difficile momento" che vive il rapporto con l'altro cofondatore del Pdl, il primo inquilino di Montecitorio ha detto: "Se c'è la facoltà di non rispondere, allora mi avvalgo...". 150 ANNI UNITÀ ITALIA - Durante la cerimonia a Montecitorio, infine, Fini ha anche affrontato il tema dei festeggiamenti per il 150 anni dell'Unità d'Italia, annunciando che il 17 marzo del 2011 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlerà nell'Aula di Montecitorio davanti ai deputati e senatori riuniti. Quello del capo dello Stato "sarà una sorta di messaggio alla nazione", ha spiegato Fini, ribadendo la convinzione che le celebrazioni del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia saranno una occasione per "riflettere sui valori dell'identità e sulla coesione nazionale". Il 21 marzo poi, in collaborazione, con il teatro dell'Opera di Roma si svolgerà, sempre nell'Aula di Montecitorio, un concerto diretto dal maestro Muti. Redazione online 21 luglio 2010
Il capo della corte d'appello di Palermo trasferito d'ufficio per incompatibilità ambientale P3, primi interventi sui giudici coinvolti Nessun rinvio per l'audizione di Marra Da Csm e Cassazione i provvedimenti conseguenza dell'inchiesta sulla nuova loggia Il capo della corte d'appello di Palermo trasferito d'ufficio per incompatibilità ambientale P3, primi interventi sui giudici coinvolti Nessun rinvio per l'audizione di Marra Da Csm e Cassazione i provvedimenti conseguenza dell'inchiesta sulla nuova loggia ROMA - Le conseguenze dell'inchiesta sulla cosiddetta "P3" iniziano a farsi sentire per alcuni dei magistrati rimasti a vario titolo coinvolti. La Prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura ha avviato una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale a carico di Umberto Marconi, il presidente della Corte di Appello di Salerno, il cui nome compare nelle intercettazioni associate all'indagine. Il pg della Cassazione, Vitaliano Esposito, ha invece aperto un procedimento disciplinare a carico di Angelo Gargani, dal 1 dicembre 2008 al ministero della Giustizia con l`incarico di capo del Servizio di controllo interno. Anche Gargani, attualmente fuori ruolo dalla magistratura, sarebbe rimasto coinvolto nello scandalo. PER MARRA NESSUN RINVIO - Sempre la prima commissione del Csm ha deciso che non ci sarà alcun rinvio all'audizione di Alfonso Marra fissata per lunedì prossimo a Palazzo dei Marescialli. A carico del presidente della Corte di Appello di Milano, a sua volta comparso nelle carre relative all'inchiesta, è stata aperta una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale. Non è stata dunque accolta la richiesta di slittamento avanzata dal legale di Marra, il magistrato di Cassazione Piercamillo Davigo. Questi, con una nota inviata all'organo di autogoverno dei giudici, chiedeva più tempo per poter esaminare le carte e sottolineava anche come le contestazioni mosse dalla Prima Commissione a Marra nell'ambito della procedura di trasferimento fossero le stesse alla base delle quali il pg di Cassazione ha avviato l'azione disciplinare per il magistrato. A votare contro il rinvio sono stati i consiglieri Mario Fresa (togato del Movimento per la giustizia) e Mauro Volpi (laico di centrosinistra). Astenuti la presidente della prima Commissione, Fiorella Pilato (Md) e Antonio Patrono (magistratura indipendente). Contrario il laico di centrodestra Gianfranco Anedda. Non ha partecipato al voto Giuseppe Berruti (Unicost). 22 luglio 2010
plenum a Palazzo Marescialli: "Il Consiglio ha sempre tutelato l'autonomia delle toghe" L'inchiesta: indagini sui conti di Verdini Mancino: "P3? Cono d'ombra sul Csm" Il coordinatore del Pdl: "I 2,6 milioni di euro? Normali introiti frutto dei miei sacrifici nel 2004" * NOTIZIE CORRELATE * Napolitano: "P3, ci pensi il nuovo Csm". Al vaglio il trasferimento di Marra (19 luglio 2010) * Caso Verdini, ora la finanza indaga su 2,6 milioni di euro (21 luglio 2010) plenum a Palazzo Marescialli: "Il Consiglio ha sempre tutelato l'autonomia delle toghe" L'inchiesta: indagini sui conti di Verdini Mancino: "P3? Cono d'ombra sul Csm" Il coordinatore del Pdl: "I 2,6 milioni di euro? Normali introiti frutto dei miei sacrifici nel 2004" Denis Verdini, coordinatore del Pdl (Eidon) Denis Verdini, coordinatore del Pdl (Eidon) ROMA - L'indagine sulla cosiddetta loggia "P3" si sposta sul fronte bancario. I pm della procura di Roma hanno disposto indagini su tutti i conti correnti aperti dal 2004 a oggi in istituti del gruppo Unicredit e gestiti dal coordinatore del Pdl Denis Verdini e da Flavio Carboni. L'obiettivo del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e del sostituto Rodolfo Sabelli è di accertare se, attraverso quei conti correnti, siano state effettuate operazioni illecite o siano comunque transitati fondi riconducibili a eventuali tangenti. Nel decreto i pubblici ministeri chiedono alla Guardia di Finanza di acquisire presso il gruppo Unicredit tutta la documentazione per ricostruire "talune operazioni finanziarie" effettuate da Verdini e da Carboni dal gennaio 2004 a oggi. Un accertamento disposto dagli inquirenti in seguito all'acquisizione degli assegni circolari per 800 mila euro - con causali diverse e non tutti Unicredit - negoziati in gran parte da Antonella Pau, moglie di Carboni. L'accertamento non riguarda solo i conti correnti attivi: i militari dovranno infatti acquisire gli estratti conti dei rapporti anche estinti, "la documentazione relativa a cassette di sicurezza, libretti di deposito a risparmio sia nominativi che al portatore, dossier titoli anche per quei rapporti laddove lo stesso abbia agito per delega o mediante qualsiasi altro strumento sostitutivo o di interposizione". VERDINI: "NORMALI INTROITI" - Intanto Verdini replica al Corriere della Sera: "Visto che per l'ennesima volta vengo trascinato in un processo di piazza, alla piazza intendo rispondere. I 2,6 milioni di euro, che il Corriere della Sera sembra presentare come il frutto di chissà quale misfatto, rappresentano invece il risultato di operazioni aziendali del 2004 fra imprese e soci dello stesso gruppo editoriale che nulla hanno a che spartire con questa indagine", scrive in una nota il coordinatore del Pdl. "Questo denaro è stato esclusivamente utilizzato per l'attività del Giornale della Toscana e delle aziende ad esso collegate. E comunque, a scanso di equivoci e di strane dietrologie, si tratta di risorse personali, frutto di enormi sacrifici economici fatti da me, dalla mia famiglia e dai miei soci". Poi Verdini se l'è presa con la stampa e con quella che il coordinatore del Pdl definisce una regia occulta dietro l'uscita delle notizie sul suo conto: "Adesso basta! Da parecchi giorni, praticamente in tempo reale con gli arresti, le redazioni di tutti i quotidiani e delle agenzie di stampa sono in possesso di una 'chiavetta', altrimenti detta 'pen drive', che contiene le oltre 14mila pagine dell'inchiesta relativa alla fantomatica P3. Non posso fare a meno di notare che le notizie relative alla mia persona vengano distillate giorno dopo giorno, quasi vi fosse una regia, facendo finta che si entri all'improvviso in possesso di nuovi elementi". FIDUCIA A CALIENDO - Il governo, intanto, per bocca del Guardasigilli, Angelino Alfano, fa sapere che resterà al fianco di Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia, contro cui l'Italia dei valori ha già annunciato una mozione di sfiducia sul modello di quella che venne presentata contro Nicola Cosentino e che poi non fu discussa per le dimissioni decise dal diretto interessato. L'esecutivo, ha spiegato Alfano durante il question time alla Camera, "intende ribadire la piena correttezza dell'operato di Caliendo in due anni di lavoro". "Non prendiamo neppure in considerazione l'ipotesi" che Caliendo "non si occupi più della materia delle intercettazioni per il governo", ha aggiunto Alfano rispondendo all'interrogazione presentata dall'Idv. "A maggior ragione - ha affermato - dopo che proprio ieri Caliendo ha presentato l'emendamento del governo" al ddl intercettazioni che "in buona parte recepisce indicazioni provenienti da soggetti istituzionali auditi in commissione anche dalle opposizioni". Il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino (Ansa) Il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino (Ansa) L'AUTONOMIA DELLE TOGHE - Nella vicenda sono rimasti coinvolti anche alcuni magistrati e per questo il plenum del Consiglio superiore della magistratura, che si è riunito in mattinata, non ha potuto non occuparsene. Aprendo i lavori il vicepresidente Nicola Mancino ha spiegato che il consiglio ha sempre tutelato l'autonomia e l'indipendenza delle toghe: "L'interferenza sulla libera attività del magistrato non è mai stata posta in discussione - ha detto - il lavoro della sezione disciplinare dimostra con quanta attenzione ci siamo posti il problema di garantire l'indipendenza e l'autonomia". FACCENDIERI E SCHIENE DRITTE - Tornando al plenum del Csm, Mancino aprendo la riunione, ha riferito della lettera inviatagli dal presidente Napolitano nella quale il capo dello Stato sottolineava che sarà la prossima consiliatura ad affrontare il tema della questione morale. Il togato del movimento per la giustizia, Ciro Riviezzo, ha voluto dunque sottolineare che in questi giorni sui giornali "si rappresenta una magistratura fatta di faccendieri", mentre "ci sono tanti magistrati con la schiena dritta che svolgono onestamente il loro lavoro e resistono a qualunque pressione". Questa osservazione è stata condivisa dal vicepresidente Mancino, il quale ha osservato che "sia nelle situazioni di emergenza, sia nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, il magistrato è parte di un ordine che tocca interessi generali e li risolve nell'interesse dell'ordinamento. L'esperienza di questi 4 anni - ha ricordato Mancino - dimostra la validità di un impianto istituzionale che rende il giudice obbligato ad assumere la legge come guida nell'esercizio della sua attività". IL "CONO D'OMBRA" - Intervistato da Sky Tg24 Mancino aveva anche parlato espressamente dell'inchiesta sull'associazione segreta ribattezzata "P3": "Gli ultimi avvenimenti - ha detto - gettano un cono d'ombra, ma non credo che possano incidere sulla sostanza dell'attività che abbiamo svolto al Csm". "Peraltro - ha aggiunto - è in corso un’inchiesta da parte della Prima commissione e lo stesso procuratore generale presso la Cassazione avverte la necessità di avviare un procedimento disciplinare. Vediamo cosa succederà". "MARRA? VOTAI IN AUTONOMIA" - Mancino, sempre ai microfoni di Sky, è poi tornato a ribadire la propria autonomia nella scelta di votare a favore di Alfonso Marra per la presidenza della Corte d’Appello di Milano e ha sottolineato di "non aver potuto immaginare che esistesse una loggia P3: non ne conosco la consistenza, non so se esista o no e sarà la magistratura a fare chiarezza su questo punto. Non potevo mai immaginare - dice Mancino a Sky Tg24 - che un geometra (Pasquale Lombardi, ndr) potesse convincermi a votare Marra. Io ho esercitato la mia funzione di elettore in autonomia e indipendenza". "Tengo inoltre a ricordare - ha aggiunto - che all’epoca in cui il Parlamento ha trattato le conseguenze dell’appartenenza alla P2 io ho fatto dichiarazioni di voto a favore dell’entrata in vigore di una legge che punisse quelli che ne facevano parte". IL CSM E LA QUESTIONE MORALE - Mancino ha poi parlato dell'esigenza di affrontare la "questione morale" all'interno del Csm, divenuta impellente dopo la notizia del coinvolgimento di alcuni magistrati nell'inchiesta sulla P3. "Certo va fatta non solo al termine del quadriennio - ha sottolineato - ma anche all'inizio di quello successivo". Mancino ha spiegato che "se per questione morale intendiamo il complesso delle attività che hanno un rilievo di carattere etico e morale allora la questione va affrontata perchè qui è l'organizzazione stessa che viene messa in discussione". AVVENIRE E LE MELE MARCE - Di "questione morale" parla anche il quotidiano dei vescovi, Avvenire, che sottolinea come essa, a Milano e in Lombardia, non sia "un piagnisteo" e forse ad averla aperta "non sono solo quattro mele marce" come invece aveva rilevato Berlusconi: c'è "un'economia del disastro consegnata alla generazione futura, il peggio immaginabile della diserzione morale" si legge in un editoriale che prende spunto dal sequestro dell'area di Santa Giulia, dalle inchieste sulla contaminazione mafiosa e dal rapporto sulle ecomafie di Legambiente. Redazione online 21 luglio 2010(ultima modifica: 22 luglio 2010)
La rete segreta Anche la moglie di Verdini negli intrecci di società e soldi Verifiche bancarie su 10 persone La rete segreta Anche la moglie di Verdini negli intrecci di società e soldi Verifiche bancarie su 10 persone Denis Verdini, coordinatore del Pdl Denis Verdini, coordinatore del Pdl ROMA - Accertamenti bancari sui conti di dieci persone e tre società che ruotano intorno a Denis Verdini e a sua moglie Maria Simonetti Fossombroni, beneficiaria di una parte del versamento da 2 milioni e 600 mila euro. Le carte del nucleo di polizia valutaria che indaga sui passaggi di soldi tra il coordinatore del Pdl e il faccendiere Flavio Carboni rivelano la rete di soggetti finiti sotto il controllo del gruppo investigativo Antiriclaggio. E danno conto di quanto è stato rivelato dai due ispettori della Banca d’Italia che hanno passato al setaccio la contabilità del Credito Cooperativo Fiorentino del quale Verdini è presidente. Sono numerose le operazioni finanziarie finite nell’inchiesta sulla società segreta che avrebbe cercato di orientare nomine e affari. E alcune riguardano la "Ste, Società Toscana di Edizioni" e la "Nuova società editrice" che secondo l’accusa potrebbero essere state utilizzate dallo stesso Verdini per far transitare il denaro che avrebbe ricevuto dagli imprenditori per favorire il loro ingresso nell’affare dell’eolico. La lista dei conti È un’informativa trasmessa il 14 maggio scorso a dare conto dell’"operazione sospetta" effettuata. In quel periodo Carboni riceve "un’ingente somma di denaro proveniente da una società riconducibile al suocero del commercialista Fabio Porcellini (e alla società "Sardinia Renewable energy project" ndr) su un conto di una prestanome, la sua convivente Antonella Pau. Il trasferimento è avvenuto mediante l’emissione, in data 26 giugno 2009, di alcuni assegni circolari per un valore di 850 mila euro. Gli assegni sono stati successivamente consegnati a Carboni, nel corso di un incontro riservato svoltosi in Romagna dal suocero di Porcellini Alessandro Fornari e poi versati dalla stessa Pau presso un’agenzia Unicredit di Iglesias. Successivamente al versamento dal conto della donna sono stati prelevati 430.000 e una parte di questi, per un valore di 230.000 euro, sono risultati essere stati poi negoziati presso il Credito Cooperativo Fiorentino". Appena venti giorni prima la stessa Pau aveva effettuato un’altra transazione finita ora nell’inchiesta. Quel giorno si era infatti presentata presso il Credito Cooperativo assieme a Pierluigi Picerno, legale rappresentante della Società Toscana Edizioni. A raccontare quanto accade dopo è il vicedirettore generale Maurizio Morandi, secondo il quale "Picerno disse che due imprenditori dovevano entrare nella compagine della società e che la signora Pau avrebbe versato 250 mila euro in assegni circolari non trasferibili. La donna affermò che il denaro proveniva da una disponibilità familiare e che lei era imprenditrice con interessi economici in Sardegna e aveva intenzione di replicare lì una iniziativa editoriale simile a quella del Giornale della Toscana. Mi consegnarono una scrittura privata e si parlò della documentazione relativa all’operazione del 2004 riferibile alla promessa di acquisto di crediti per un importo di 2 milioni e 600 mila euro, che però non fu mai consegnata". Secondo la Guardia di Finanza sono proprio i soldi che sarebbero stati versati dalla Ste a Verdini e al coordinatore del Pdl in Toscana Massimo Parisi. Per questo sono stati avviati "accertamenti che possano consentire la ricostruzione dei flussi finanziari" sui conti di Antonella Pau, di sua madre Vittoria Sirigudello, dello stesso Carboni e del suo collaboratore Giuseppe Tomassetti, della ex moglie del faccendiere Maria Laura Scanu Concas, di Pierluigi Picerno, dell’imprenditore Alessandro Fornari, di Verdini e di sua moglie Maria Simonetta Fossombroni, di Parisi, oltre che delle tre società editrici utilizzate per le operazioni. Il verbale Sono stati proprio i due funzionari di Bankitalia a confermare, durante un lungo interrogatorio, le "criticità" e a evidenziare come "la posizione della Ste rappresenta un grande fido per la banca, in quanto l’esposizione è superiore al 10 per cento del patrimonio ". E poi l’ispettore Vincenzo Catapano aggiunge: "Ci siamo soffermati su un credito esposto nel bilancio del 2008 verso terzi rilevante, per circa 2 milioni e 600 mila euro. La cui natura non era sufficientemente illustrata nel bilancio. Dalla relazione della società di revisione emergeva che questo credito era stato oggetto di cessione nel giugno 2009. E solo il 7 maggio 2010 abbiamo ricevuto copia del documento da cui si evince che deriva da un preliminare di acquisto di quote partecipative del 70 per cento della Nuova Toscana Editrice stipulato l’8 settembre 2004 tra la Ste e i signori Verdini e Parisi. Peraltro dall’esame del conto della Ste erano emersi, nel periodo giugno-dicembre 2009, diversi versamenti in contanti derivanti dal cambio di assegni circolari". Catapano entra nel dettaglio: "Dall’esame del conto della Ste, dal 2005 in poi, sono emersi effettivamente pagamenti dalla Ste ai signori Verdini e Parisi avvenuti il 31 gennaio e il 22 febbraio 2005 per un totale di 2 milioni e 600 mila euro con causale "acquisto quote". In particolare quest’ultima transazione risulta in parte erogata su un conto corrente intestato al dottor Verdini e alla signora Fossombroni e l’intera operazione sembra essere collegata a un’operazione su un immobile: Ste ha riscattato tale immobile fino ad allora condotto in leasing e lo ha rivenduto alla Agrileasing che poi lo ha concesso nuovamente in leasing alla società Edicity che fa capo alla signora Fossombroni ". Un intreccio di società e conti sui quali si cerca di fare luce. Fiorenza Sarzanini 22 luglio 2010
Intercettazioni, abolita l'autorizzazione delle Camere per i parlamentari Ok a un altro emendamento sulla possibilità di pubblicare le intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini * NOTIZIE CORRELATE * Un’apertura apprezzabile che garantisce diritto e privacy di V.Grevi (21 luglio 2010) * Intercettazioni, il governo fa dietrofront I finiani esultano, Berlusconi deluso (20 luglio 2010) IL DISEGNO DI LEGGE Intercettazioni, abolita l'autorizzazione delle Camere per i parlamentari Ok a un altro emendamento sulla possibilità di pubblicare le intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini ROMA - Non sarà più necessaria l’autorizzazione delle Camere per le intercettazioni indirette di parlamentari. La commissione Giustizia della Camera ha infatti approvato all’unanimità un emendamento dell’Udc che sopprime la norma inserita nel ddl intercettazioni al Senato con la quale si estendeva la necessità dell’autorizzazione della Camera di appartenenza anche nel caso in cui le intercettazioni dovessero essere eseguite nei confronti di soggetti diversi dai parlamentari se, da qualsiasi atto di indagine, fosse emerso che tali operazioni fossero finalizzate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare. "È un segnale anti-casta", ha commentato il deputato Udc Roberto Rao. "Si tolgono i privilegi di cui si parlava in questa legge, è un atteggiamento serio del governo e della maggioranza". Per la capogruppo del Pd in commissione, Donatella Ferranti, è "un importante riconoscimento da parte del governo di avere introdotto solo un privilegio per i parlamentari". PUBBLICAZIONE - Inoltre la commissione Giustizia della Camera ha approvato l'emendamento presentato dal governo al disegno di legge sulle intercettazioni. La proposta di modifica prevede sostanzialmente la possibilità di pubblicare le intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini. A favore della proposta di modifica ha votato la maggioranza insieme ai rappresentanti di Pd e Udc. Solo l’Italia dei valori ha votato contro. "Rispetto al precedente testo", ha spiegato Rao, "è comunque una riduzione del danno e comunque c’è la fissazione fondamentale del termine entro il quale celebrare l’udienza filtro". Redazione online 22 luglio 2010
Complessivamente sono stati tolti all'organizzazione beni per un valore di 100 milioni Le mani della camorra sull'Abruzzo I Casalesi volevano gli appalti post sisma La Guardia di Finanza ha arrestato sei persone e sequestrato 21 società e 118 immobili * NOTIZIE CORRELATE * Sigilli al Lago d'Averno: era in mano ai Casalesi (10 luglio 2010) Complessivamente sono stati tolti all'organizzazione beni per un valore di 100 milioni Le mani della camorra sull'Abruzzo I Casalesi volevano gli appalti post sisma La Guardia di Finanza ha arrestato sei persone e sequestrato 21 società e 118 immobili La Casa dello Studente sotto le macerie: un'immagine simbolo del terremoto che ha devastato l'Aquila nell'aprile del 2009 (Emblema) La Casa dello Studente sotto le macerie: un'immagine simbolo del terremoto che ha devastato l'Aquila nell'aprile del 2009 (Emblema) ROMA - La camorra tentava di infiltrarsi negli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila. È uno degli elementi centrali emerso da un'azione della Guardia di Finanza contro i Casalesi, che ha portato all'arresto di 6 persone. Gli arrestati, secondo quanto emerso dagli uomini del Gico, il gruppo di intervento delle Fiamme Gialle, sono considerati "espressioni economiche" del clan che abitualmente opera nel Casertano, ma che ha propaggini anche in altre Regioni d'Italia ed in particolare nel Lazio, in Abruzzo ed in Toscana. BENI SEQUESTRATI - Circa 500 militari sono impegnati da ore in questa operazione, denominata "Untouchable" e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che ha portato, appunto, ai sei arresti - le accuse sono di associazione per delinquere di stampo mafioso - e al sequestro di 21 società, 118 immobili ed altri beni e valori per un valore complessivo di 100 milioni di euro. OBIETTIVO COMMESSE - Questa indagine ha consentito di monitorare "in diretta" le infiltrazioni della camorra casalese nelle commesse per la ricostruzione della città di L'Aquila, a seguito del devastante sisma del 6 aprile 2009. Infatti sono stati intercettati i colloqui telefonici con i quali gli arrestati disponevano l'invio del denaro necessario a finanziare le imprese costituite a L'Aquila, per loro conto, con il fine di aggiudicarsi i lavori per la ricostruzione. LIBERA: "NON ABBASSARE LA GUARDIA" - "E' una conferma alle nostre denunce - commentano a Libera, il coordinamento delle associazioni antimafia presieduta da don Luigi Ciotti - . Sin dalle primi giorni avevamo monitorato, documentato e denunciato i tentativi ed i primi casi di infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione degli appalti dell'emergenza e lanciato l'allarme sulla mancata o ritardata attivazione di tutti gli strumenti di contrasto. E' necessario mantenere alta la guardia sul post terremoto in Abruzzo, soprattutto in vista dell'inizio della ricostruzione vera in una terra impreparata a fronteggiare fenomeni di questa natura e che già prima del terremoto era terra di reinvestimento delle mafie. Desta preoccupazione la nascita, in territorio aquilano, di aziende con soci provenienti da altre regioni e che già dall'estate scorsa hanno aperti sedi nei comuni del cratere futuro. L'esperienza del passato ci insegna che piu' si andrà avanti con la ricostruzione cosiddetta pesante piu' saranno appetibili gli appalti e gli affari per la criminalità organizzata". Redazione online 22 luglio 2010
2010-07-19 lettera del capo dello stato a Mancino Napolitano: "Sarà il nuovo Csm a occuparsi della vicenda P3" Il Presidente invita a non gettare ombre sui consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente a favore di Marra * NOTIZIE CORRELATE * Napolitano: "Subito le nomine del nuovo Csm" (19 luglio 2010) lettera del capo dello stato a Mancino Napolitano: "Sarà il nuovo Csm a occuparsi della vicenda P3" Il Presidente invita a non gettare ombre sui consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente a favore di Marra Napolitano con Nicola Mancino (Ansa) Napolitano con Nicola Mancino (Ansa) ROMA - Inchiesta P3 e giudici. Interviene Napolitano che, in una lettera a Nicola Mancino, precisa che "sarà il nuovo Csm, quando si insedierà, a occuparsi dei tentativi di interferire sugli orientamenti di alcuni consiglieri per favorire la nomina del presidente della Corte d'Appello di Milano, Alfonso Marra, come emerge dalle inchieste sulla cosiddetta P3. LA LETTERA - La lettera è stata letta al Comitato di presidenza del Csm. "La richiesta prende le mosse, in particolare, dalla esistenza di investigazioni su condotte indebitamente tese a interferire sul voto di alcuni componenti di questo Consiglio in occasione della nomina del presidente della Corte di Appello di Milano. La questione, lei mi scrive, dovrebbe essere dibattuta in termini generali e propositivi prescindendo dalla esistenza di indagini penali, disciplinari e amministrative sull'episodio". La lettera così continua: "A parte la seria preoccupazione, che è lecito mantenere, di non interferire in tali indagini, ritengo da un lato che il tema non possa essere affrontato in termini "generali e propositivi" con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa Consiliatura, mentre è corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito, e dall'altro che si debba essere bene attenti a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento, su quella proposta di nomina concorrendo alla sua approvazione". LE PREMESSE - Il mandato dell'attuale Consiglio scade il 31 luglio prossimo. Erano stati alcuni consiglieri togati, fra i quali Livio Pepino, a sollevare la questione e a chiedere di metterla all'ordine del giorno. Su una decisione di tale delicatezza Mancino ha ritenuto opportuno acquisire il parere del presidente della Repubblica, che presiede di diritto il CSM e ne fissa l'ordine del giorno. In mattinata l'Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica ha reso noto il testo della lettera di Napolitano al Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino, "in risposta alla informazione ricevuta sulla richiesta avanzata da componenti del Consiglio di porre all'ordine del giorno la questione delle 'regole deontologiche minimè che debbono caratterizzare i comportamenti dei Consiglieri, della quale oggi Š stata data lettura al Comitato di Presidenza del CSM". "La richiesta fa osservare Napolitano - prende le mosse, in particolare, dalla esistenza di investigazioni su condotte indebitamente tese a interferire sul voto di alcuni componenti di questo Consiglio in occasione della nomina del Presidente della Corte di Appello di Milano. La questione, lei mi scrive, dovrebbe essere dibattuta in termini generali e propositivi prescindendo dalla esistenza di indagini penali, disciplinari e amministrative sull'episodio. A parte la seria preoccupazione, che è lecito mantenere, di non interferire in tali indagini, ritengo da un lato che il tema non possa essere affrontato in termini 'generali e propositivì con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa Consiliatura ? mentre è corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito - e dall'altro che si debba essere bene attenti a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento, su quella proposta di nomina concorrendo alla sua approvazione". IL GIP: "CARBONI TRASFERITO IN OSPEDALE" - Intanto si è saputo che le condizioni di salute di Flavio Carboni sono a rischio e per questo si dispone il trasferimento dal carcere ad un centro diagnostico-terapeutico protetto che dovrà essere individuato dal Dap, direzione affari penitenziari. E’ questa la decisione del gip Giovanni De Donato che ha negato la revoca o la modifica della misura cautelare in atto. Carboni, 78 anni, è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla violazione della legge Anselmi sulle società segrete, ed insieme con l’imprenditore campano Arcangelo Martino e il geometra Pasquale Lombardi, è stato arrestato l’8 luglio scorso. L’istanza era stata presentata dagli avvocati Renato Borzone e Anselmo De Cataldo. Secondo il giudice per Carboni "esiste una severa cardiopatia ischemica multivasale". Al momento, comunque, non è stata definita alcuna incompatibilità con il regime carcerario, ma risulteranno decisivi i prossimi accertamenti clinici e medici. 19 luglio 2010
Nota del capo dello Stato: "Confido nell'impegno attivo dei Presidenti delle Camere" Napolitano: "Subito le nomine del Csm" "Definire senza ulteriore indugio le intese necessarie perché le prossime votazioni vadano a buon fine" Nota del capo dello Stato: "Confido nell'impegno attivo dei Presidenti delle Camere" Napolitano: "Subito le nomine del Csm" "Definire senza ulteriore indugio le intese necessarie perché le prossime votazioni vadano a buon fine" ROMA - Napolitano vuole che le nomine del Csm siano rinnovata interamente entro il 31 luglio. "Nell'imminenza di una nuova seduta del Parlamento a Camere riunite per l'elezione dei membri laici del Csm, rinnovo un vivo appello a tutti i gruppi parlamentari a definire senza ulteriore indugio le intese necessarie perché‚ le prossime votazioni vadano a buon fine". LA NOTA - Lo chiede in una nota il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. "Confidando nell'attivo impegno dei Presidenti delle Camere - aggiunge il capo dello Stato - sottolineo la assoluta necessità che alla scadenza del mandato dell'attuale Consiglio, il 31 luglio, l'istituzione sia stata rinnovata interamente così da poter svolgere senza soluzione di continuità e nella pienezza dei poteri le sue più che mai essenziali e delicate funzioni". 19 luglio 2010
L'INCHIESTA SULL'EOLICO P3, in settimana nuove iscrizioni I pm esamineranno i verbali finora acquisiti * NOTIZIE CORRELATE * Carboni: venivano da me perché li facevo arricchire (17 luglio 2010) * Caldoro l’"offeso": con Cosentino non finisce qua (16 luglio 2010) * Lombardi in cella col Barbato sbagliato (15 luglio 2010) * Le trame della cricca (14 luglio 2010) L'INCHIESTA SULL'EOLICO P3, in settimana nuove iscrizioni I pm esamineranno i verbali finora acquisiti Carboni (Ansa) Carboni (Ansa) MILANO - Si apre un'altra settimana cruciale per l'inchiesta sulla cosiddetta P3. Non come quella appena conclusa e segnata dagli interrogatori del governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, dell'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino e dell'ex assessore regionale della Campania, Ernesto Sica. Nei prossimi giorni, secondo quanto si è appreso, non sono fissati interrogatori, ma gli inquirenti, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed il sostituto Rodolfo Sabelli intendono esaminare gli elementi raccolti, anche alla luce delle ultime deposizioni, e valutare le posizioni di altri soggetti i cui nominativi compaiono nelle carte processuali e nelle intercettazioni telefoniche. Probabile, quindi, che ci saranno altre iscrizioni nel registro degli indagati. INTERROGATORI - La settimana successiva riprenderanno invece le convocazioni in procura. Dopo le audizioni del governatore della Sardegna Ugo Cappellacci, dell'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino e dell'ex assessore regionale della Campania, Ernesto Sica, seguiranno quindi gli interrogatori di testimoni ed indagati. Tra i personaggi eccellenti destinati a varcare l'ingresso di piazzale Clodio ci sono, tra gli altri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, l'ex presidente della corte di cassazione Vincenzo Carbone, il governatore della Lombardia Roberto Formigoni, il presidente della corte di appello di Milano Alfonso Marra, il capo dell'ispettorato del dicastero della Giustizia Arcibaldo Miller e l'ex avvocato generale della Cassazione Antonio Martone. A metà settimana, infine, il tribunale del riesame si occuperà del ricorso presentato dai legali dell'imprenditore Arcangelo Martino, arrestato insieme con Flavio Carboni e Pasquale Lombardi, e ritenuto uno dei principali indagati dell'inchiesta. DI PIETRO INDIGNATO - "La seconda Repubblica sta cadendo sotto i colpi di un nuovo scandalo giudiziario. L'inchiesta sull'eolico e sulla cosiddetta P3 ha messo all'angolo il governo. Ma in tutto questo bailamme senza fine mi chiedo dove sia finito il cittadino italiano. L'Italia è una nazione che non si indigna più". E' questa l'annotazione di Antonio Di Pietro affidata al suo blog sulle ultime novità dell'inchiesta P3 che coinvolgfono il governo. "Berlusconi nega - afferma il leader dell'Italia dei Valori - l'esistenza della P3 e parla di una montatura. Smentisce, con una bella faccia tosta, il certo e il provato. Nonostante le carte processuali, infatti, e le intercettazioni, le stesse che vorrebbe abolire e dalle quali emerge il quadro di una situazione indecente e preoccupante. Eppure alcuni cittadini mantengono delle riserve e dei dubbi sulla disonestà di questo governo. Eppure i sondaggi sembrerebbero non punirlo, lo darebbero ancora capace di vincere le elezioni". Di Pietro se la prende poi con Tg1, accusato di parzialità: "Con la direzione sciagurata di Minzolini il Tg1 non informa più. Non ha parlato della P3, ha nascosto le vergogne di Brancher e Cosentino, non parla di Cesare, non ha mai detto ai telespettatori che pagano il canone a chi si riferiscono i membri dell'associazione segreta quando usano questo pseudonimo. Un quadro desolante che coincide con lo share in picchiata". Per questo, "le forze d'opposizione dovrebbero ritirare dal Cda Rai i propri rappresentanti e fare in modo che il servizio pubblico ritorni in mano ai cittadini e che la gestione venga affidata ai professionisti dell'azienda". Redazione online 18 luglio 2010(ultima modifica: 19 luglio 2010)
per il convegno 75.000 euro da un conto della moglie Governatori e giudici tutti al Forte Village Così Carboni lanciò la sua "rete" Le intercettazioni: per Bassolino un aereo privato per il convegno 75.000 euro da un conto della moglie Governatori e giudici tutti al Forte Village Così Carboni lanciò la sua "rete" Le intercettazioni: per Bassolino un aereo privato Flavio Carboni (Ansa) Flavio Carboni (Ansa) ROMA— Settantacinquemila euro in assegni circolari presi da un conto intestato alla moglie di Flavio Carboni per finanziare — assieme alla Regione Sardegna di Ugo Cappellacci— il convegno-cenacolo organizzato dall’associazione Diritti e Libertà a Santa Margherita di Pula, in provincia di Cagliari, nel lussuoso albergo Forte Village, a metà settembre del 2009. I carabinieri del comando provinciale di Roma hanno scoperto il versamento alla società che gestisce l’hotel, e l’hanno collegato con una delle tante telefonate in cui Pasquale Lombardi, anima dell’associazione e tessitore dei rapporti fra il "gruppo di potere occulto" e i magistrati, batteva cassa proprio con l’imprenditore-faccendiere sardo. "Ci vogliono ancora parecchi soldi...", dice Lombardi alla fine di luglio 2009. "Adesso mi metto d’accordo, mi devi spiegare a che cosa... in che modo posso intervenire...", risponde Carboni. Lombardi fa una specie di lista della spesa: "Ci vogliono intorno ai 36-38mila euro per le partenze. Poi ci vogliono circa 10.000 euro pr l’addobbo, e quindi tutti i microfoni eccetera, e poi circa 3.000 per una presentazione di libri... Formigoni e tutti gli altri candidati". A proposito di partenze, Carboni ricorda che Arcangelo Martino, il terzo organizzatore dell’impresa e terzo arrestato, stava provvedendo per far venire il presidente della Campania. "Ha affittato l’aereo per Bassolino, solo per Bassolino", ribatte Lombardi. Carboni: "Viene con un aereo privato", e Lombardi: "Eehh, capito pe’ fà venì Bassolino...". Il nome dell’ex governatore ospite al convegno sardo sul tema "federalismo fiscale, problemi prospettive", compare qualche altra volta nelle telefonate intercettate. Una del febbraio scorso, quando Arcangelo Martino, dopo l’esclusione di Nicola Cosentino per la corsa alla guida della Regione, dice "di aver incontrato Bassolino il quale gli ha detto che anche loro andranno in collaborazione con De Luca (candidato del centrosinistra, ndr) ". Un’altra volta se ne parla a luglio 2009, quando Martino chiede a Carboni: "Sai se hanno fatto quella telefonata a Bassolino?", e Carboni risponde: "No, dunque... è quello che io purtroppo non l’ho potuto chiedere in questo momento... la posso chiedere domani tramite Denis... quando lo incontro". Per gli altri invitati alla riunione di Forte Village sono stati prenotati i voli di linea, spiegava Lombardi a Carboni mentre insisteva per avere soldi: "O mi fai un bonifico, come vuoi tu. Perché ti ripeto, devi dare anche gli acconti a tutta questa gente che mi prestano! Cioè, ti ripeto, quello che deve fare la sala, eccetera". Nell’interrogatorio sostenuto in carcere Carboni ha detto che "l’unica cosa di cui veramente mi sono occupato è di stare lì a pranzo e a cena, in quelle noiosissime due serate quali sono state a Forte Village". Ed ha ammesso il finanziamento, spiegandone i motivi: "Per aderire a quel rapporto che io trovavo interessante, non tanto con Lombardi quanto con il dottor Martino, che per quanto mi risultava è una persona che poteva, anche nel mondo imprenditoriale, che diceva di avere trecento dipendenti solamente a Napoli, con relazioni ovunque". Per l’imprenditore Carboni è utile "poter intervenire e favorire, fare alcune cose, perché così si conquistano, diciamo così, talvolta le simpatie... Anche partecipando a spese e a cose, questo va nelle relazioni comuni e quotidiane, quando si può. Questo è il motivo per cui ho dato un contributo anche per Forte Village", conclude Carboni, mentre nel suo interrogatorio Lombardi ha negato il finanziamento del faccendiere. Nel rapporto inviato ai pubblici ministeri, i carabinieri scrivono che Lombardi, Carboni e Martino "utilizzano l’associazione Diritti e libertà, in nome della quale curano l’organizzazione di convegni in località amene e pranzi, per stringere rapporti confidenziali con importanti magistrati e alti funzionari della pubblica amministrazione. Tali rapporti vengono poi coltivati con la finalità, talvolta dichiarata esplicitamente, di conseguire importanti vantaggi per il gruppo, per qualche componente dello stesso o per qualche soggetto collegato". Per l’appuntamento di Santa Margherita di Pula, Carboni aveva preteso che s’invitassero anche il sindaco e il presidente del Consiglio di Stato, "che se non si vede incluso nell’elenco sta un po’ male". E aveva annunciato che la sua presenza sarebbe stata molto discreta, forse per non mettere in imbarazzo qualche partecipante visti i suoi trascorsi giudiziari, come spiega ancora a Lombardi due giorni prima del convegno: "Io ti ho detto che farò solo delle apparizioni, solo fra di noi e basta... Ciao caro". Durante i lavori del convegno, gli investigatori hanno registrato anche una telefonata dove Lombardi dà disposizioni a un suo collaboratore su come sistemare i relatori di una sessione: "Al centro è Carbone (all’epoca presidente della Cassazione, ndr). Poi ci metti Formigoni vicino a Bassolino da quest’altra parte... sulla sinistra ci metti Cappellacci, poi ci metti Martone e ci metti Caliendo... poi metti... devo essere io e coso, quel pepe di Verusio (procuratore di Grosseto, presidente dell’associazione, ndr). Da quest’altra parte invece metti Arcangelo". Qualche mese dopo, all’inizio del 2010, il gruppo era pronto per un’altra occasione d’incontro, stavolta a Milano. I carabinieri lo scoprono attraverso una telefonata di Lombardi al giudice Martone: "Siccome con i nostri amici del centro studi vorremmo fare il giorno 26 febbraio un convegno a Milano, avendo come tema la giustizia, la riforma e tutte ’ste cazzate all’italiana... quale sarebbe secondo te il tema migliore da poter toccare?". È in occasione di quell’appuntamento che Lombardi farà, a metà febbraio, una telefonata al procuratore di Firenze (che non conosceva) per invitarlo; il sospetto è che ci fosse l’intenzione di succhiare qualche notizia sull’inchiesta sugli appalti per i Grandi Eventi che coinvolgeva Denis Verdini, oggi indagato per associazione segreta assieme a Carboni, Lombardi e Martino. Giovanni Bianconi 19 luglio 2010
interpellato sulle VICENDE GIUDIZIARIE Caso Finmeccanica, Guarguaglini: "Ho la fiducia dell'azionista " L'a.d. e presidente: "Per ora resto dove sono" * NOTIZIE CORRELATE * "Da Roma a Singapore la pista dei fondi esteri" (18 luglio 2010) di F. Sarzanini * "Sull' azienda solo teoremi" (18 luglio 2010) Riccardo Acquaviva (Finmeccanica) interpellato sulle VICENDE GIUDIZIARIE Caso Finmeccanica, Guarguaglini: "Ho la fiducia dell'azionista " L'a.d. e presidente: "Per ora resto dove sono" MILANO - "Se l'azionista non ha fiducia in me, me lo deve dire, per ora ho la sua fiducia e sto dove sto". Così il presidente e a.d. di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, interpellato dai giornalisti in merito alle vicende giudiziarie in cui è coinvolto il gruppo. Il presidente era presente all'inaugurazione del salone aerospaziale londinese di Farnborough, debutto europeo per il B787 Dreamliner, il jet della Boeing in grado di trasportare 330 passeggeri, prodotto al 50% con materiali compositi (resine e fibre di carbonio)su cui Alenia Aeronautica, del gruppo Finmeccanica, ha realizzato due sezioni: quella centrale e quella posteriore, della fusoliera e lo stabilizzatore orizzontale del B-787. COL SENNO DI POI -"Ho già detto 10mila volte che non abbiamo fondi neri all'estero" , ha detto Guarguaglini, dopo la conferenza stampa del gruppo al Farnborough air show, dove si è soffermato brevemente sull'inchiesta della Procura di Roma relativa all'affare Digint e per cui è in carcere, tra gli altri, l'ex consulente di Finmeccanica, Lorenzo Cola. "Io sono tranquillo", ha ribadito il presidente e a.d. di Finmeccanica. "Della presenza" all'interno di Digint del gruppo facente capo a Gennaro Mokbel "non sapevamo niente" ha aggiunto, sottolineando che "non c'è un'intercettazione in cui io parlo". E ha aggiunto, mettendo in evidenza che, nella vicenda "noi siamo testimoni e non imputati, ma certo chi legge le cronache dei giornali si può fare un'idea sbagliata". Durante la conferenza stampa, Guarguaglini, si era soffermato sulla Digint, la società che si occupa di sicurezza informatica di cui Finmeccanica a metà 2007 aveva acquisito per 2 milioni il 49% (ma con il diritto di nominare gli amministratori) dalla società lussemburghese Financial Lincoln. La Digint è finita nel mirino degli investigatori perché, successivamente, il 51% della società è stato ceduto per un periodo, sempre dalla Financial Lincoln, al gruppo facente capo a Mokbel per oltre 8 milioni, e in questo passaggio gli inquirenti sospettano che queste risorse siano, in realtà, servite per costituire fondi neri all'estero da parte degli indagati. Guarguaglini ha detto che Digint non è affatto una scatola vuota, ma una società che ha sviluppato un sistema tecnologicamente molto interessante e dalla prospettive interessanti: "Noi abbiamo fatto una valutazione tecnica del prodotto e abbiamo pensato che fosse all'avanguardia. E poi non abbiamo visto nulla di strano nel fatto che fosse" controllata da "una società lussemburghese" e quando "ne abbiamo acquisito il 49%, attraverso dei patti parasociali, avevamo completamente la governance dalla nostra parte. Ma, forse, col senno di poi - ha aggiunto Guarguaglini - la società lussemburghese era meglio non farla, ma lì per lì non c'era niente di male".". Quanto all'attività attuale di Digint, il numero uno di Finmeccanica ha detto: il suo sistema di protezione informatica "lo abbiamo installato presso quasi tutte le società del gruppo ed è stato fornito a un'altra società importante di cui non posso fare il nome. Il sistema è stato anche valutato positivamente dalla Drs", la società americana del gruppo attiva nell'elettronica per la difesa. TRASFERTA IN SVIZZERA - Nel frattempo, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo è arrivato in Svizzera per fare una rogatoria nell'ambito dell'inchiesta sul riciclaggio di 2 miliardi di euro e, in particolare, sulle disponibilità di Lorenzo Cola, consulente esterno di Finmeccanica e arrestato nei giorni scorsi per l'accusa di riciclaggio internazionale. Al centro dell'indagine la disponibilità e le linee di credito che Cola ha in Svizzera dove avrebbe aperto dei conti correnti. Cola è stato arrestato dai carabinieri del Ros l'8 luglio scorso e secondo quanto sospettano gli investigatori sarebbe coinvolto nel riciclaggio di 8,3 mln di euro pagati da Gennaro Mokbel per acqusire quote della Digint. Il 21 luglio prossimo il Tribunale del riesame dovrà decidere sulla revoca dell'ordine di custodia cautelare chiesta dai difensori di Cola. Redazione Online 19 luglio 2010
2010-07-18 Le carte I verbali del geometra-giudice tributario: sono un nullatenente Lombardi: "Feci pressioni sui giudici Volevo fare bella figura con il premier" "Contattai esponenti del Csm per la nomina di Marra. Mancino? Lo conosco da 40 anni" Le carte I verbali del geometra-giudice tributario: sono un nullatenente Lombardi: "Feci pressioni sui giudici Volevo fare bella figura con il premier" "Contattai esponenti del Csm per la nomina di Marra. Mancino? Lo conosco da 40 anni" ROMA — Anche Pasquale Lombardi, il "ministro della Giustizia" della presunta associazione segreta che avrebbe condizionato o tentato di condizionare la vita pubblica italiana, non ha beni patrimoniali da dichiarare davanti al giudice che l'interroga nel carcere di Avellino dov'è rinchiuso. Nonostante l'età avanzata, una carriera politica che l'ha portato a fare il sindaco del suo paese, il ruolo ricoperto di giudice tributario. Titolo di studio geometra, professione pensionato, 77 anni il prossimo 19 agosto. Il 10 luglio scorso, all'indomani dell'arresto, accetta di rispondere alle domande per difendersi dalle accuse e comincia dalla vicenda più spinosa: le ipotetiche trame per influenzare i giudici della Corte costituzionale e salvare la legge che bloccava i processi al presidente del Consiglio. "Con riferimento alla vicenda del giudizio di costituzionalità relativo al cosiddetto lodo Alfano — dice Lombardi, intercettato in decine di conversazioni su questo argomento — ho tentato di interessarmi per acquisire meriti con il capo del mio partito, onorevole Silvio Berlusconi, affinché potesse ritenersi che ero in grado di arrivare anche ai giudici della Corte costituzionale". Niente di più. La telefonata con l'ex presidente della Consulta Mirabelli, nella quale chiede di avvicinare una giudice-donna non può negarla, ma dice: "Lui ormai non conta più nulla". Specifica di non ricordare il nome della giudice a cui faceva riferimento, "è stata segnalata dal partito Pdl". In realtà l'unica donna presente alla Corte costituzionale è Maria Rita Saulle, nominata nel 2005 dal presidente della Repubblica Ciampi. Gli incontri con Verdini e le telefonate a Carbone Lombardi conferma gli incontri a casa del coordinatore del Pdl Denis Verdini, ma — con Carboni — sostiene che s'è parlato della possibile candidatura del capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller (anche lui presente ad almeno una riunione) alla presidenza della Regione Campania. Ma da una telefonata successiva col sottosegretario Caliendo s'intuisce che invece s'è discusso anche del "lodo Alfano": "Si è trattato di un riferimento fatto soltanto di sfuggita", ribatte Lombardi, che non sa spiegare altre frasi sullo stesso tema; "non ricordo" risponde una volta, e "non sono in grado di dire a chi facessi riferimento quando dicevo "lui è rimasto contento di quello che stiamo facendo"; nego tuttavia che si tratti dell'onorevole Verdini". Pasquale Lombardi (Ansa) Pasquale Lombardi (Ansa) Le telefonate con l'ex presidente della corte di Cassazione Vincenzo Carbone, spiega Lombardi, sono dovute al fatto che "con lui ho un rapporto di familiarità", ma non ricorda se ricevette indicazioni su come trattare il ricorso presentato in Cassazione dall'onorevole Cosentino. Al quale ha comunque tentato di dare una mano, su sua richiesta, anche perché "ho sempre sostenuto la candidatura del predetto" al governo della Campania. Con Carbone, Pasquale Lombardi parla anche due giorni prima di una decisione su Cosentino, "annunciandogli una piccola regalia", si legge nell'ordine d'arresto: "Stammi a sentì ... mi sò fatto portare l'olio e te lo porto domani mattina ( ... ). Ci vediamo in Cassazione e facciamo il trasbordo". Di che si tratta? "Si fa riferimento effettivamente a olio di oliva", risponde Lombardi, che lui prende presso un'azienda dalle sue parti: "Provvedo io, spesso, a fornire olio di oliva, previo regolare pagamento, affidandolo a un carabiniere che presta servizio in Cassazione", originario del paese dove si produce l'olio e di cui l'indagato indica il nome al giudice. Lombardi nega di essersi interessato al dossier anti Caldoro e alle concessioni degli appalti per l'energia eolica in Sardegna, mentre si sofferma sulla sua attività di animatore dell'Associazione diritti e libertà "di cui presidente è stato sempre un magistrato", che raduna circa 400 magistrati e organizza convegni come quello del settembre 2009 a Forte Village in Sardegna, finanziato "dalla Regione e da piccoli contributi di alcune società; nego di aver ricevuto finanziamenti da Carboni Flavio". Il quale, però, nel suo interrogatorio, ha sostenuto il contrario. Gli interventi sul Csm e il nome di Mancino Sulle nomine effettuate dal Consiglio superiore della magistratura Lombardi spiega che alcuni giudici suoi amici da oltre vent'anni (Alfonso Marra, Gianfranco Izzo, Paolo Albano) gli hanno sollecitato un interessamento per ottenere incarichi direttivi: "Lo hanno chiesto a me perché ho molte conoscenze e amicizie nell'ambito politico e giudiziario, e come si sa queste nomine sono influenzate in maniera determinante dalle quattro correnti dell'Associazione nazionale magistrati e dalla politica, che può tutto". Per sostenere Marra alla carica di presidente della Corte d'appello di Milano e altri magistrati di cui si parla nell'ordine di arresto, precisa Lombardi, "ho intrattenuto contatti con due consiglieri togati del Csm (Ferri e Carrelli Palombi) e con i componenti laici Tirelli, Saponara e Bergamo. Nego di aver avuto contatti con il vicepresidente de Csm Nicola Mancino, con il quale peraltro ho rapporti di consuetudine da oltre quarant'anni". Ma nel provvedimento che l'ha spedito in carcere è riportato il testo di una telefonata registrata il 24 novembre 2009, subito dopo un incontro proprio con Mancino. "Ho fatto quello che dovevo fare, è andata bene — diceva Lombardi all'altro arrestato Arcangelo Martino —... Abbiamo fatto un ottimo lavoro (...) per i nostri amici... Il mio intervento è stato decisivo". Spiegazione dell'indagato al giudice: "Effettivamente mi sono incontrato con l'onorevole Mancino, con il quale avrò parlato incidentalmente della nomina di Marra". Argomento che trattò anche con un avvocato: "Gli ho chiesto di parlare con Mancino della nomina di Marra, senza tuttavia avere riscontro, evidenziando che è sempre bene avere amicizie per chiedere qualcosa in caso di difficoltà". La lista Formigoni esclusa dalle Regionali Lombardi parla anche dell'esclusione della Lista Formigoni dalle elezioni regionali in Lombardia. "Ho contattato il presidente Marra per sapere l'esito della commissione elettorale; con riferimento al tentativo di sollecitare un'ispezione ministeriale presso la Corte d'appello di Milano in seguito al rigetto del ricorso, intendo dichiarare che si tratta soltanto di sciocchezze". Agli atti c'è una conversazione piuttosto esplicita fra Lombardi e Martino, a proposito di quell'agognata ispezione che non ci fu mai, ma il geometra-ex giudice tributario risponde: "Non ricordo la conversazione che la Signoria vostra mi contesta". Giovanni Bianconi 18 luglio 2010
Cappellacci: "Sono stato un babbeo..." "Leggo che Carboni si lamenta di me... Verdini? si dimostrerà innocente... Le ville? Non le frequento" L'intervista Il governatore sardo sotto inchiesta Cappellacci: "Sono stato un babbeo..." "Leggo che Carboni si lamenta di me... Verdini? si dimostrerà innocente... Le ville? Non le frequento" DAL NOSTRO INVIATO CAGLIARI — Esce dalla macchina un po' stropicciato: per la trasferta a Roma, le sei ore davanti ai pm, il caldo africano. S'alza di colpo un refolo dal mare, e Ugo Cappellacci respira a fondo, "ahhh, il vento è una grande risorsa per la Sardegna!", dice, senza pensarci. Frase pericolosa, di questi tempi... Il governatore ride. "Ho detto quello che avevo da dire ai magistrati, è andata bene, penso". Ci tiene a specificare che Capaldo e i suoi colleghi gli hanno dato "un'impressione di serietà", proprio nelle ore in cui i berlusconiani doc sparano a palle incatenate contro il procuratore. Ma ha una posizione un po' più esposta, lui. "Si decide la mia vita", dice, di colpo serio, fissando il cronista. C'è un punto in cui si dimetterebbe? "Solo se mi rendessi conto di non avere avuto come faro il bene dei sardi ma l'interesse personale". Entra nel palazzone di viale Trento con lo staff. È sabato mattina, gli uffici della Regione sono deserti. Togliamoci il pensiero: lei lo sapeva chi era Carboni? "Di fama. Ma non conoscevo nei dettagli le sue vicende". Li legge i giornali? "In termini generali sapevo chi era, sì. Però ho ben chiari i limiti tra la cortesia e gli atti amministrativi". Cortesia? "Allora, diciamo che sono stato un babbeo (pausa) ma solo al principio! Quanto devo scontare per questo? Mi diano qualche giorno per dabbenaggine! La verità è che sono stato troppo educato e cortese, ne sono pentito". Ne fa una questione di educazione? È opportuno che un governatore vada in giro con uno che ha attraversato le storie più sporche della Repubblica? "Senta, non c'è un solo atto che io abbia fatto contro la legge. Anzi, proprio sul Corriere leggo che Carboni si lamenta, e molto, di me. Mi sono preso anche insulti, sa?". Ha avuto pressioni politiche? "Sollecitazioni. È normale". Qual è la differenza? "Vogliamo dire raccomandazioni?". E diciamolo. Per Carboni? "Sì". Da Verdini? Da altri? Qui Cappellacci dismette la sua famosa cortesia. "Non mi porti dentro la vicenda giudiziaria, mi avevano detto che era un'intervista politica". Parliamo di politica, allora: da queste parti il Pdl è a pezzi. Sarà anche per questa storia? "È evidente che questo si trasferisce anche sulla vicenda politica. Io voglio rilanciare il progetto politico. Avremo più politica nella giunta, serve un riequilibrio". Ecco, il progetto. Lei, agli esordi, tuonò contro gli "yes-men". Potrebbe rifarlo ora? "Certo. Guardi che ciò che resterà di me è che sono un no-man. Ho detto no. Non è stato consentito né un centimetro né un foglietto a sostegno di certi progetti e anzi il risultato va nell'interesse della Sardegna". Cosa ha detto ai suoi figli? "Che possono continuare a essere orgogliosi del papà". I suoi guai hanno un nome: Farris. Pentito di averlo nominato al vertice dell'Arpas? "Sì. Altrimenti non lo avrei poi revocato". Ebbe sollecitazioni per lui? "Si cerca di fare una nomina anche in funzione di un equilibrio politico. A volte va male, altre malissimo". Una bella mano verso il malissimo dicono gliel'abbia data il suo assessore Asunis. "Ha avuto la sfortuna di presentarmi Carboni. Ma, credo, senza... premeditazione". Anche Asunis spingeva per Farris, no? "È agli atti. Premessa: Asunis era un profondo conoscitore della macchina amministrativa. Normale, per me, consultarlo. All'inizio, però, ebbi il dubbio che Farris fosse vicino all'altra parte, cioè a Soru. Quindi opposi delle riserve. Ma i suoi titoli erano i migliori". Cioè, lei era perplesso non sulle qualità ma sull'appartenenza di scuderia? "Alla fine mi diedero rassicurazioni". Ne parlò con Verdini? "Sì, lui prese informazioni e me le diede. In una telefonata mi passò Carboni e parlammo di questo". E a lei non rizzò il pelo? "Mi pare che il pelo non si rizzasse neanche a politici e magistrati che avevano rapporti con Carboni e che certo sono persone di valore e buonafede. Guardi qui". (Cappellacci mostra gli atti di due convegni organizzati da Pasquale Lombardi, pieni di toghe, dove Carboni circolava tra palco e parterre: li ha forniti anche ai pm di Roma, è parte della sua linea di difesa). Le carte sull'eolico che hanno sequestrato a Carboni e soci sono atti della Regione? Bozze di atti vostri? "No, sono cartacce loro. Fantasie loro". Raccontano che l'anno scorso, in campagna elettorale, parlasse sempre Berlusconi e che, quando toccava a lei, lui le dicesse: Ugo, spicciati che dobbiamo andare a mangiare... "Falsissimo. Berlusconi ha fatto sei o sette comizi. Io decine e decine. Questa era la strategia per dipingermi come il Signor Nessuno. Io ho un vero curriculum politico". Con Berlusconi però ha anche un rapporto da figlio. "Mi ha conosciuto che avevo 21 anni. Mio padre era il suo commercialista. Poi il rapporto con Confalonieri e Comincioli è diventato d'amicizia". Ora dicono che lei sia passato da Comincioli a Verdini... "Le chiamo il mio amico Romano Comincioli e le faccio vedere... non esiste proprio che lo abbandoni". È normale che lei in questa storia sia andato cinque o sei volte da Verdini? "Assolutamente. È il mio coordinatore nazionale e io sono anche un dirigente nazionale del partito". Verdini, più che "l'uomo verde" come lo chiamano i "vecchietti" della P3, pare ormai l'uomo nero d'Italia... "C'è un punto giudiziario, e sarà in grado di dimostrarsi estraneo alle accuse. E uno politico: è un ottimo coordinatore. Abbiamo un rapporto eccellente". E com'è Dell'Utri? "Colto, capace, gli si deve la nascita di Forza Italia". Dice che per questo lo perseguitano... "Non sono in grado di valutare". Lombardi dice che lei si metteva sempre a disposizione... "L'ho conosciuto ai convegni, che motivo avevo di dubitare di lui?". Questa è anche una storia di ville sarde. Sica, il Cagliostro del caso Caldoro, le frequentava parecchio... "Io no. Preferisco stare con moglie e figli, in barca". Ma come? Vive nel lunapark e... "Ha capito bene: non mi piacciono le giostre". Goffredo Buccini 18 luglio 2010
RICICLAGGIO - L'INCHIESTA Roma -Singapore, la pista dei fondi esteri Il "mediatore" Lorenzo Cola ammette: "da Finmeccanica 10 milioni in Svizzera". I rapporti con Mokbel RICICLAGGIO - L'INCHIESTA Roma -Singapore, la pista dei fondi esteri Il "mediatore" Lorenzo Cola ammette: "da Finmeccanica 10 milioni in Svizzera". I rapporti con Mokbel Pierfrancesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica ROMA - I vertici di Finmeccanica hanno incontrato almeno due volte l'avvocato di Singapore accusato di essere il "riciclatore" del gruppo criminale che sarebbe stato creato da Gennaro Mokbel. Si chiama Randhir Chandra, ha 53 anni, ed è l'uomo che ha creato la società lussemburghese utilizzata per l'acquisizione della "Digint" da parte della holding che poi cedette il 51 per cento proprio a Mokbel per otto milioni e 300 mila euro. Sono stati i carabinieri del Ros a documentare gli appuntamenti e di fronte ai magistrati sia il presidente Pierfrancesco Guarguaglini, sia il direttore generale Giorgio Zappa hanno dovuto ammettere di averlo visto nella sede di piazza Montegrappa. Il sospetto degli inquirenti è che proprio lui sia stato una delle pedine utilizzate per l'accantonamento dei fondi all'estero. Mediatore dei contatti si conferma Lorenzo Cola, il consulente della holding arrestato la scorsa settimana con l'accusa di riciclaggio nell'ambito dell'operazione che — questa la tesi dei pubblici ministeri — sarebbe stata portata a termine proprio per il trasferimento di denaro. I verbali e le relazioni investigative depositate al tribunale del Riesame che dovrà pronunciarsi sulla permanenza in carcere del manager confermano il progetto di effettuare operazioni in Asia proprio come auspicato da Mokbel nelle conversazioni con i suoi complici che sono state intercettate. Ed evidenziano i riferimenti a conti correnti e società straniere — in una triangolazione che passa per Londra, New York e la Svizzera — che sarebbero stati utilizzati per accantonare le provviste economiche ottenute anche grazie alla sovrafatturazione. Del resto è stato lo stesso Cola ad ammettere nel suo interrogatorio di aver ricevuto "più o meno dieci milioni di euro in Svizzera, frutto del mio lavoro con Finmeccanica". Cola ha anche sostenuto che dell'ingresso di Mokbel nella vicenda Digint "Finmeccanica non ha mai saputo nulla". E adesso si attende l'esito delle rogatorie su tutti i depositi rintracciati nelle banche straniere. In particolare un conto presso il Credito Agricole di Lugano e altri due riconducibili a Cola che potrebbero essere stati utilizzati per il transito delle somme. L'UOMO CHE COMPRAVA VILLE E DIAMANTI - Scrivono i carabinieri in un capitolo dell'informativa: "Dalle conversazioni emerge un progetto secondo cui allo scadere del triennio 2007-2010 Finmeccanica avrebbe rilevato interamente la "Digint" il cui valore avrebbe dovuto nel frattempo essere artatamente incrementato. Tramite questa operazione sarebbe così venuta a crearsi una cospicua plusvalenza da ripartire tra le persone interessate. Le intercettazioni evidenziano che per tale operazione Mokbel aveva incaricato l'avvocato Nicola Di Girolamo, ora senatore, Marco Toseroni (tutti e tre tuttora in carcere ndr) che a loro volta si erano avvalsi dell'avvocato Chandra e della società lussemburghese "Hagal Capitale" appositamente costituita e controllata dalla holding di Singapore del sodalizio, identificata nella "Rhuna Investment"", che fu appunto utilizzata nell'operazione "Digint". Prosegue la relazione del Ros: "Giova rilevare come la "Hagal Capital" sia stata impiegata per l'acquisto della villa di Antibes, in Francia, più volte utilizzata dal comitato d'affari per definire le strategie future di investimento". Non solo: "Nel periodo settembre-dicembre 2007 il sodalizio iniziava a pianificare nuove strategie per la costituzione di società estere necessarie a intraprendere un'attività di compravendita di pietre preziose anche al fine di immettere sul mercato i diamanti già acquistati con i proventi illeciti occultati a Hong Kong" e proprio di questo Toseroni discuteva con Chandra anche per sapere "se conosce qualcuno in grado di tagliare pietre preziose". INCONTRI E PRANZI CON LA DIRIGENZA - L'operazione "Digint" era stata avviata già dalla primavera del 2007. Il 12 luglio scorso, durante il suo interrogatorio di fronte al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, il presidente Guarguaglini non specifica le date ma ammette: "Ho visto una volta l'avvocato Chandra. L'ho incontrato una volta in quanto Cola mi disse aveva parlato di una persona che aveva conoscenze importanti nel governo dell'Indonesia e poteva essere interessante per Finmeccanica avere contatti a tali livelli. Io ho fatto fissare dalla mia segretaria un pranzo dentro Finmeccanica con Cola e Chandra. Nell'incontro Chandra mi disse che aveva conoscenze nel governo indonesiano e che questo governo aveva grossi budget da investire nel settore della difesa e che potevano essere di interesse per società del Gruppo. Gli chiesi di fissarmi un incontro con qualcuno del governo dell'Indonesia e dopo ne avremmo parlato ma non si è fatto più vedere, né Cola me ne ha più parlato". In realtà un altro incontro ci fu con Zappa. Guarguaglini nega di averlo saputo. Il direttore generale — che in precedenza lo aveva smentito — davanti al magistrato adesso invece dichiara: "Effettivamente consultando la mia agenda ho avuto modo di verificare che il 6 maggio 2008 era fissato un appuntamento per il quale risulta annotato "Cola + personaggio di Singapore": a quanto ricordo all'appuntamento c'era sicuramente Cola, questa persona che ho letto chiamarsi Chandra e un'altra persona, ma non sono in grado di dire se effettivamente sia quel Toseroni di cui ho letto sui giornali perché delle persone indicate non ho reperito nel mio archivio i biglietti da visita". TROPPO ALTO IL PREZZO DELLA DIGINT - Quello stesso giorno viene convocato al palazzo di giustizia di Roma Lorenzo Borgogni, componente del comitato esecutivo di Finmeccanica. Ammette di aver saputo delle riunioni con Chandra e Toseroni soltanto dopo l'avvio dell'inchiesta e chiarisce: "A quanto mi è stato detto da Guarguaglini e Zappa queste persone volevano aprire un'agenzia nell'area del Pacifico con rappresentanza di Finmeccanica ma poi non se n'è fatto più nulla. Ho parlato anche con Cola che mi ha detto di non sapere che personaggi c'erano dietro questo signore e quando lo ha scoperto, nell'ottobre 2008, l'ha allontanato poiché i Servizi gli avevano riferito che Chandra era un tipo poco raccomandabile". Che il Sismi fosse informato risulta dalle carte che documentano la presenza del capocentro di Milano a una delle riunioni preparatorie. E adesso è lo stesso Borgogni a dichiarare che quell'operazione non era un buon affare per Finmeccanica: "Posso dire che la "Digint" certamente non valeva la cifra che si è letta sui giornali, circa 8 milioni e 300 mila euro, neppure in prospettiva di futura valorizzazione della società". Fiorenza Sarzanini 18 luglio 2010
"Sull'azienda solo teoremi" La lettera "Sull'azienda solo teoremi" Caro direttore, le ricostruzioni pubblicate oggi che descrivono i verbali degli interrogatori tratti probabilmente dagli atti depositati al Tribunale del Riesame di Roma, proseguono l'azione di diffamazione messa in atto e basata su notizie non corrispondenti alla realtà che danneggiano gravemente l'immagine del Gruppo Finmeccanica. Si vuole attivare teoremi atti ad identificare Finmeccanica come azienda creatrice di fondi neri. In tale contesto si è costretti per l'ennesima volta a riconfermare i seguenti punti: Finmeccanica non ha mai costituito fondi neri all'estero. L'operazione Digint, che viene erroneamente identificata come il tramite per la creazione di riserve finanziarie all'estero, per Finmeccanica in realtà ha avuto come unico obiettivo l'acquisizione di un software particolarmente efficace ed evoluto. Il software della Digint che sta per essere adottato da quasi tutte le società del Gruppo, produce significativi risultati, ed è stato anche venduto e installato presso società esterne. Tale software è sviluppato e gestito da alcuni tecnici che sono rimasti soci della società a garanzia della manutenzione e sviluppo del software stesso, nonché dei loro interessi come progettisti di quell'impianto. Da qui la richiesta di mantenere una quota di maggioranza nella nuova società dopo aver dato tutte le garanzie di governance a Finmeccanica. Queste persone erano infatti i fondatori della IKON, società leader in Italia delle intercettazioni telefoniche e dotata di software molto evoluto. Tale società ha tra l'altro lavorato per le principali Procure. La IKON attraverso l'intervento di Lorenzo Cola in qualità di consulente Ernst&Young, offrì a Finmeccanica la sua tecnologia. Finmeccanica, dopo alcuni approfondimenti tecnici e la richiesta di trasformare la tecnologia da attiva a passiva (da dedicata alle intercettazioni, alla difesa dei sistemi informatici) accettò di valutare una proposta che venne poi affidata alla consulenza della società Ernst&Young. Finmeccanica non ha mai chiesto di schermare in alcun modo l'operazione Digint con la società lussemburghese Lincoln. Contrariamente a quanto si afferma il coinvolgimento del Presidente e Amministratore Delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, nei vari passaggi dell'iniziativa, è esattamente lo stesso dedicato alle numerose iniziative del gruppo Finmeccanica di queste dimensioni, vale a dire, alla valutazione strategica e tecnologica. In particolare, non è mai stato coinvolto sui passaggi azionari della quota non posseduta da Finmeccanica e, come affermato più volte, non ha mai conosciuto Gennaro Mokbel. Finmeccanica precisa, infine, che non c'è stata nessuna irregolarità nelle le modalità di pagamento di Lorenzo Cola. Direzione Comunicazione Riccardo Acquaviva (Direzione Comunicazione Finmeccanica) 18 luglio 2010 2010-07-17 Ghedini: "Cesare non è Berlusconi" Lo provano gli atti e l'agenda del presidente del Consiglio LA DIFESA Ghedini: "Cesare non è Berlusconi" Lo provano gli atti e l'agenda del presidente del Consiglio "Come era facile intuire il nome "Cesare" non si riferisce affatto al Presidente Berlusconi. Dall'esame degli atti, così come riportato anche da alcuni quotidiani, in una intercettazione fra Carboni e Martino del 16.9.2009, un mercoledì, si legge testualmente che Cesare "è a Catania e rientra sabato". Lo sottolinea in una nota Niccolò Ghedini, parlamentare del Pdl e avvocato del premier. "Si indica poi - fa osservare ancora Ghedini - che possa rientrare venerdì sera e che non sarebbe andato al Congresso. Il Martino ipotizzava altresì di fare andare da lui il Cesare. Da tali indicazioni del tutto sconnesse dagli impegni del Presidente Berlusconi e da un controllo degli impegni dei suoi spostamenti tutti documentati, si è potuto acclarare che pacificamente mai si è recato in Catania in quella settimana. È quindi del tutto evidente - conclude - che Cesare è da individuarsi in altro soggetto e ci• fa irrimediabilmente venir meno tutte le illazioni prospettate in questi giorni". (fonte Ansa) 17 luglio 2010
Carboni: venivano da me perché li facevo arricchire E su Cappellacci: è vero, l’ho sostenuto Ma poi ha fatto solo danni a tutti Il documento - Il faccendiere parla del tentativo di candidare un magistrato Carboni: venivano da me perché li facevo arricchire E su Cappellacci: è vero, l’ho sostenuto Ma poi ha fatto solo danni a tutti "Rappresento uno che sa produrre ricchezza. Mi hanno sempre dato fiducia, che si tratti di eolico, di immobiliare". E’ una delle tante verità di Flavio Carboni, in carcere dal 9 luglio scorso e accusato con altri di far parte di una presunta "associazione segreta" che avrebbe interferito su attività di organi istituzionali e della pubblica amministrazione. Nell’interrogatorio Carboni ha anche raccontato degli incontri con Denis Verdini per candidare il giudice Miller in Campania. "All’epoca bisognava nominare i candidati per la Regione ". E Cappellacci, il governatore della Sardegna: "L’ho sostenuto, ma poi ho avuto solo svantaggi" ROMA—"Sono Carboni Flavio, nato a Sassari il 14 gennaio 1932". "Titolo di studio?". "La frequenza del liceo" "Diploma di scuola media superiore?". "No, la frequenza. Non ho conseguito il diploma ". "Ha beni patrimoniali?". "Non dispongo". "Nessuno? Automobile, abitazione, niente?". "No, li ho in uso, ma non sono miei...". "È sottoposto ad altri procedimenti penali?". "Sì". "Condanne ne ha avute?". "Sì". Comincia così l’interrogatorio dell’imprenditore sardo— noto alle cronache come "faccendiere ", definizione che lui respinge sdegnato— del 9 luglio scorso a Regina Coeli, davanti al giudice che l’ha fatto arrestare. Carboni è accusato di far parte (con altre persone, di cui almeno un paio parlamentari del Pdl) di una presunta "associazione segreta" che avrebbe interferito su attività di organi istituzionali e della pubblica amministrazione. Il giudice riassume i motivi dell’arresto e l’indagato — preoccupato per il suo stato di salute, "ho avuto tre infarti, il quarto non lo vorrei avere" — annuncia di voler ribattere punto su punto, per dimostrare la propria innocenza: "C’è questa meravigliosa, enorme, abnorme raccolta di dati dei carabinieri, ma io non mi riconosco in nessuna di queste affermazioni. Quest’Arma alla quale mi rivolgevo tutte le volte che non mi fidavo della polizia... In questo caso, probabilmente per errore, hanno raccolto dati molto diversi da quella che è la realtà ". Martino e Lombardi: "Sono estraneo a quei due" Carboni nega di avere legami d’affari e d’interessi con Martino e Lombardi, gli altri due arrestati. Anzi, cerca di mettere una linea di demarcazione fra loro e sé: "Per me sono due estranei, emi hanno creato solo guai, altro che complicità ". L’ex politico napoletano Arcangelo Martino, dice Carboni, "mi è stato presentato come uomo importantissimo, pieno di mezzi, di conoscenze innumerevoli", e un imprenditore non deve farsi sfuggire occasioni simili: "Quando conosco una persona importante me la coltivo, e ritengo che Martino meritasse questo tipo di interessamento". Che poi si sarebbe limitato a "qualche sporadico incontro". Il geometra e giudice tributario Pasquale Lombardi, invece, era uno che parlava troppo e a sproposito: "Uno stupido che al telefono diceva quello che a me non interessava... Io non ho mai avuto nessun rapporto di inciuci... Se poi i due soggetti, gli altri che sono incriminati, avessero altre intenzioni o avessero altre malefatte ai danni dello Stato, questo lo chieda a loro, non a me perché io con loro non ho nulla a che fare, né prima né dopo... I miei rapporti sono stati solo e unicamente quelli di ricevere richieste da entrambi, ma soprattutto da Martino, quello che frequentavo di più". Il giudice prova a controbattere che dalle intercettazioni telefoniche emergono interessi comuni e discorsi su interventi provocati da reciproche richieste, ma Carboni non si smuove: "Al Grand Hotel di Roma incontrai due o tre volte il signor Martino e gli dissi "Non mi far parlare più con quel coglione, scusi l’espressione, che al telefono mi dice queste cose"... Non ero tanto ingenuo da non immaginare, scusi sa... Io ho sempre immaginato di essere intercettato ". Flavio Carboni 78 anni Flavio Carboni 78 anni "Dopo tre infarti, arrestato come un volgare criminale" Più avanti il giudice obietta: "Lei è persona acuta, ma deve sapere che io non sono un ingenuo ", e Carboni sbotta: "Ma neanche io, signor giudice, ma neanche lei può condannare un innocente. Signor giudice, che non ha nulla a che fare con quei mascalzoni! Né tantomeno con Cappellacci (il presidente della Regione Sardegna indagato per corruzione nella stessa inchiesta, ndr)... Io le sto dicendo che cosa ho fatto, non voglio ingannare lei... Mai un fatto reale, però... ". Nel suo sfogo—"dopo tre infarti, arrestato come un volgare criminale... senza aver fatto nulla!" — l’imprenditore-faccendiere si sente male, l’interrogatorio s’interrompe. Il suo avvocato Renato Borzone, che l’ha fatto assolvere in primo e secondo grado dall’accusa di aver ucciso il banchiere Roberto Calvi nel 1982, invita Carboni a calmarsi e a continuare a rispondere. Alla fine farà mettere a verbale i "non ne sapevo niente" del suo assistito sul dossieraggio a danno di Caldoro (candidato Pdl in Campania, ndr), sulle interferenze nelle nomine del Csm, sulla tentata ispezione ai giudici che avevano escluso la Lista Formigoni dalle elezioni in Lombardia. La candidatura di Arcibaldo Miller Alla ripresa si parla delle riunioni a casa del coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, che per l’accusa servivano a pianificare le pressioni sulla corte costituzionale per far dichiarare legittimo il "lodo Alfano" che bloccava i processi a carico di Silvio Berlusconi. Col padrone di casa c’erano i tre arrestati, il senatore Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Caliendo, il capo dell’ispettorato dello stesso ministero Arcibaldo Miller, il giudice Antonio Martone. Ma Carboni nega che si sia parlato dei problemi giudiziari del premier, dando un’altra versione: "Bellissima riunione... All’epoca bisognava nominare i candidati della Regione Campania. Miller era la persona più idonea, era considerati da Verdini la persona ideale. E perché proprio io che di politica...? Perché io avevo una certa frequentazione, soprattutto con Verdini". La candidatura del magistrato napoletano a capo degli ispettori ministeriali, spiega Carboni, interessava soprattutto Martino e Lombardi: "Essendo io più amico, probabilmente, di Verdini rispetto a Miller, potevo influenzare, potevo raccomandare. Cosa che ho fatto... che io trovo estremamente normale... Non so se ricordo bene, credo che sia stato Miller a rinunciare... Evidentemente ritenevano che io potessi influire, perché Verdini potesse convincere il dottor Miller, a cui loro tenevano moltissimo, perché accettasse la canditatura ". Carboni esclude accenni al "Lodo Alfano", dice solo che era una cosa di cui scrivevano molto i giornali, e insiste sulla scelta dei candidati: "Si è parlato di Cosentino, si è parlato di un altro, di Altieri, si è parlato di quello che c’è attualmente... Ogni tanto veniva, "vediamoci, vedi di dire a Verdini di sostenere questo e quello", e questo non lo consideravo un reato di alcun genere... ". Ugo Cappellacci e l’energia eolica Il giudice, che pare poco convinto dalle risposte, passa al tema Cappellacci e investimenti nell’energia eolica in Sardegna. Carboni è categorico: "L’ho sostenuto, Cappellacci, è vero", ma poi ne avrebbe avuto solo svantaggi. Perché ha cancellato la "legge Soru", dice, che "consentiva alle grandi società di intervenire nel mondo dell’eolico". Insomma: "Da quando è stato eletto questo signore ha creato danni a tutti, non solo a me. E’ vero che è ricolmo di sorrisi, che è venuto da Verdini, è venuto a Roma, ci siamo incontrati, ma per tutto l’anno non ha fatto nessuna legge". Però ci sono telefonate in cui Carboni, dopo gli incontri col governatore, riferiva che "è andata benissimo", ma l’indagato replica: "Ecco, guardi i risultati. Meno male che è andata benissimo... ". Ci sono pure conversazioni su provvedimenti normativi che Carboni e soci dovevano preparare in bozza, per farli approvare. Risposta: "Questo è normale, mi scusi.. Per qualunque imprenditore, cosa che è successa e continua a succedere sia nel campo immobiliare che nel campo dell’energia, di qualunque iniziativa commerciale, la cosa migliore da fare è andare a trattare con il sindaco, con gli assessori, e quindi si va dal presidente... Lo facciamo tutti". E quando il giudice chiede quale fosse la ragione del sostegno di Martino a Cosentino in Campania, Carboni risponde: "Mi permetto di dire che qualunque imprenditore, dico proprio qualunque, più onesto del mondo, ha interesse a che il politico che va a governarlo sia magari suo amico, e questo non credo che costituisca reato...". "Io sono uno che sa produrre ricchezza" Carboni ammette quello che per l’accusa è un altro indizio di partecipazione all’associazione segreta, cioè il finanziamento al convegno svoltosi a Fort Village, in Sardegna, nel quale Lombardi aveva radunato decine di giudici. Dando tutt’altra spiegazione, però: "Incontrare le persone e avere rapporti con la gente importante è una cosa che mi interessava, mi interessa e mi interesserà sempre, ma non per finalizzarla a reati ". Ha ricevuto soldi dagli imprenditori romagnoli, almeno 4 milioni di euro; non per la corruzione in vista degli appalti nell’eolico, come sostiene l’accusa, ma perché "io, Flavio Carboni, rappresento uno che sa produrre ricchezza, cosa che è successa sempre nel passato, con 24 lottizzazioni e iniziative di tanti tipi, legali. Mi hanno dato fiducia, che si tratti di eolico, di immobiliare. Quei soldi io li potevo destinare all’eolico o anche al casinò, se poi li facevo produrre... ". E gli assegni per alcune centinaia di euro negoziati nella banca di Denis Verdini (secondo gli investigatori dallo stesso parlamentare-presidente del Credito cooperativo fiorentino) erano un investimento nel quotidiano locale Il Giornale di Toscana: "Non è la prima volta, la Nuova Sardegna era mia, sono stato socio dell’editoriale L’Espresso... Così come ho finanziato Paese Sera... E’ un mondo diverso al quale io tengo moltissimo". Stavolta ha scelto il giornale del coordinatore del Pdl: "Con Verdini c’è un rapporto molto molto intrinseco, direi molto cordiale, molto affettuoso. Naturalmente queste situazioni di questi momenti hanno creato disagi a tutti, come può immaginare, signor giudice...". Giovanni Bianconi 17 luglio 2010
Anche il Sismi nell’operazione Finmeccanica Un teste: al primo incontro il capocentro di Milano I verbali Anche il Sismi nell’operazione Finmeccanica Un teste: al primo incontro il capocentro di Milano Anche il Sismi era informato della acquisizione da parte di Finmeccanica della società "Digint", poi ceduta all’organizzazione criminale che farebbe capo a Gennaro Mokbel. A rivelarlo è stato uno dei soci di "Ernst & Young", ritenuto testimone chiave nell’inchiesta che mira a dimostrare come l’affare servisse in realtà a costituire "fondi neri" all’estero. ROMA — Il Sismi, il servizio segreto militare, era informato dell’acquisizione da parte di Finmeccanica della società "Digint", poi ceduta all’organizzazione criminale che farebbe capo a Gennaro Mokbel. Un alto funzionario dell’intelligence avrebbe addirittura partecipato a una delle riunioni preparatorie e poi sarebbe diventato responsabile del settore sicurezza di Alenia in America. A rivelarlo è stato uno dei soci di "Ernst & Young", che gestì l’operazione finanziaria, adesso ritenuto testimone chiave nell’inchiesta che mira a dimostrare come l’affare servisse in realtà a costituire "fondi neri" all’estero. Dopo l’arresto di Lorenzo Cola, il consulente di Finmeccanica accusato di riciclaggio proprio perché avrebbe trasferito sui propri conti correnti i proventi pari a 8 milioni e 300 mila euro, il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e i pubblici ministeri delegati alle indagini hanno interrogato numerosi manager dell’azienda specializzata nei sistemi di difesa—compreso il presidente Pierfrancersco Guarguaglini — e anche quelli che ebbero un ruolo esterno. I loro verbali mostrano le contraddizioni nella ricostruzione dei fatti, ma soprattutto rivelano l’esistenza di altre operazioni riconducibili a Cola per il trasferimento di denaro su depositi stranieri. L’incontro a Milano con il capo degli 007 Il 9 luglio scorso viene convocato al palazzo di giustizia della capitale Giuseppe Mongiello, responsabile del settore fiscale dello "Studio Legale Tributario " partnership di "Ernst & Young". Cola è stato bloccato da poche ore mentre si accingeva a partire per gli Stati Uniti. Il testimone non si sottrae alle domande dei magistrati. "I miei rapporti con Finmeccanica per quanto riguarda la Holding sono con il presidente Guarguaglini, con il responsabile delle comunicazioni Borgogni e con il responsabile del settore fiscale Correale. Ho conosciuto Lorenzo Cola in quanto mi è stato presentato circa a metà del 2006, circa sei o sette mesi prima che avesse inizio l’operazione "Digint", da Guarguaglini o da persona di Finmeccanica vicina a Guarguaglini, come consulente esterno di Finmeccanica. Posso dire però con tranquillità che successivamente ho incontrato Cola in Finmeccanica e ho avuto la conferma dei rapporti molto stretti tra i due: posso qualificare Cola, se non come il braccio destro di Guarguaglini, sicuramente come suo uomo di fiducia. Dopo qualche mese Cola mi disse che Finmeccanica era intenzionata a rilevare una tecnologia di avanguardia di cui era in possesso la società Ikon, ma con modalità riservate. Ricordo anche che la prima volta Cola mi parlò di questa cosa a casa sua a Milano alla presenza di un militare, tale Maurizio Pozzi, che si presentò come capocentro Sismi di Milano e che ora so essere capo sicurezza Alenia in nord America (società che fa parte del Gruppo Finmeccanica, ndr). Pur non avendo modo di dubitare che Cola parlasse a nome di Finmeccanica per i suoi rapporti con la dirigenza, ne parlai con Luca Manuelli che era l’amministratore di "Finmeccanica Group Services" e anche perché era uso dello studio avere documentazione che attestasse gli incarichi ricevuti e ci fu uno scambio di note scritte. I miei interlocutori per questa operazione erano Cola, Manuelli e Borgogni, però ho assistito a telefonate fatte da Manuelli a Guarguaglini per ragguagliarlo direttamente su questa operazione". Dopo poco Mongiello aggiunge: "Avevo saputo da Cola che la tecnologia Ikon, che doveva essere trasferita a Finmeccanica tramite "Digint", gli era stata segnalata proprio da Pozzi, il capocentro Sismi. Per questo ragione io ho sempre ritenuto che Cola fosse vicino o comunque collegato ai Servizi. Questa circostanza, unita al fatto che essere molto vicino ai vertici di Finmeccanica mi induceva a non fare molte domande sulle indicazioni che mi forniva di volta in volta per effettuare le operazioni che mi venivano richieste. Voglio precisare, a conferma dei rapporti di cui godeva Cola all’interno di Finmeccanica, che lo stesso dava del "tu" a tutti i massimi vertici del Gruppo, cioè a Guarguaglini, Manuelli, Zappa, Borgogni, Giordo, alla moglie di Guarguaglini che è amministratore della "Selex Sistemi Integrati", e ad altri". Riunioni e affari con gli uomini di Mokbel È ancora Mongiello a confermare come l’operazione sia stata gestita sin dall’inizio con i personaggi—in particolare il senatore Nicola Di Girolamo e la "mente finanziaria " Marco Toseroni — poi arrestati con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione criminale che farebbe capo a Mokbel. Circostanza che Guarguaglini e gli altri vertici della holding hanno sempre negato. L’indagine condotta dai carabinieri del Ros ha consentito di verificare che attraverso la lussemburghese "Financial Lincoln " è stata costituita la società "Digint" che ha acquisito appunto il ramo d’azienda dalla Ikon che riguardava il tracciamento dei dati. Così il fiscalista ne ricostruisce i passaggi salienti: "Al momento della proposizione dell’operazione, Cola mi disse che le quote della società che venne individuata in una società lussemburghese — ottimo strumento per garantire la riservatezza della titolarità delle quote — dovevano essere divise in modo che il 51 per cento venisse riservato a lui o società che avrebbe indicato per conto di Finmeccanica e il restante 49 per cento diviso in parti uguali tra Albini e Mugnato (soci della Ikon ndr). Il 51 per cento riservato a cola fu in via provvisoria intestato a mia moglie in attesa di indicazione di Cola e preciso che lo sollecitai più volte a fornirmi indicazioni sull’intestazione definitiva. Posso dire che tutta l’operazione finalizzata al rilievo della "Financial Lincoln" e alla costituzione di "Digint" con tecnologia "Ikon" è stata effettuata su richiesta e per conto di Finmeccanica. Tutte le cariche interne a "Digint", amministratori e collegio sindacale, sono avvenute sempre su indicazione di Finmeccanica, in particolare di Manuelli su indicazione del vertice, ritengo Guarguaglini e Borgogni che si occupa delle cariche del Gruppo. Effettivamente ricordo che Cola ci presentò all’interno dello studio di via Romagnosi l’avvocato Di Girolamo e Toseroni come soggetti interessati, io ritenevo per suo conto, all’intestazione del 51 per cento delle quote che all’epoca erano, provvisoriamente, ancora in capo a mia moglie. Non ricordo se ci sono stati altri incontri con Di Girolamo e Toseroni. Sicuramente è venuto spesso Marco Iannilli (anche lui arrestato per concorso in riciclaggio con l’organizzazione di Mokbel, ndr) che seguiva l’operazione per Cola". Il Fondo "schermo" voluto dal presidente Secondo il testimone i vertici erano informati passo dopo passo dell’operazione. E per dimostrarlo cita un’altra circostanza: "Cola ci disse che Guarguaglini non gradiva che risultasse che Finmeccanica partecipasse in minoranza a una società controllata da una piccola società con minimo capitale sociale e peraltro di diritto lussemburghese, per cui Cola stesso ci disse che occorreva "schermare" questa titolarità riferendo la titolarità delle quote della "Financial Lincoln" al Fondo Allianz. Di questo si occupò Corrado Prandi, ex dipendente di "Ernst & Young" che io stesso ho presentato a Cola. Economicamente ho sempre ritenuto che si trattasse di un’operazione "neutra" nel senso che avveniva tutta all’interno di Finmeccanica, senza quindi pagamenti per le intestazioni di quote. Sono rimasto pertanto sbalordito quando ho letto su internet che Cola avrebbe ricevuto in pagamento per questa società "Digint" la somma di 8 milioni e 300 mila euro ". Proprio per conoscere il grado di conoscenza dell’operazione da parte dei vertici di Finmeccanica il 12 luglio scorso viene convocato come testimone il presidente Guarguaglini. Nel suo verbale ci sono diverse parti "omissate", ma nella sostanza ribadisce la regolarità dell’operazione "che mi fu proposta nella primavera del 2007 dallo studio "Ernst & Young" e per esso da Cola e Mongiello che mi parlarono di un software molto avanzato adatto alla difesa dei sistemi informatici di Finmeccanica che avrebbe potuto avere successo sia all’interno del Gruppo che in un momento successivo, attraverso la sua commercializzazione ". Guarguaglini sembra voler prendere le distanze da Cola e infatti afferma: "L’ho conosciuto tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, ma l’ho frequentato poco". In realtà a smentire questa circostanza, oltre a Mongiello, è il direttore generale di Finmeccanica Giorgio Zappa, che viene interrogato il giorno successivo e subito nega di essersi occupato dell’affare "Digint". "Ho conosciuto Cola dopo circa un anno e mezzo dal mio arrivo nel 2004 a Finmeccanica dalla Alenia di cui ero amministratore delegato. Cola, che frequentava il 7˚ piano di piazza Montegrappa, si era presentato nel mio ufficio ma io già sapevo che era ben conosciuto dal presidente Guarguaglini con cui peraltro successivamente l’ho visto più volte. Cola mi disse di provenire da Ms, ora diventata "Selex Sistemi Integrati", settore radar, e quindi già in precedenza dal mondo Finmeccanica. Ricordo che quando lo conobbi lui mi disse che conosceva Guarguaglini e la mogli Grossi da circa sette, otto anni. Con Cola ho avuto frequentazioni che si sono concretizzate in sette, otto incontri formali e quattro, cinque pranzi o cene ad alcune delle quali ha partecipato anche l’attuale presidente della Fondazione Ansaldo di genova, Luigi Giraldi. Cola vantava frequentazioni e conoscenze di rilievo in America, anche al Congresso, tanto che io ricordo di averlo segnalato al presidente di Alenia Nordamerica qualche mese prima del giugno 2007, epoca di aggiudicazione della gara in America per l’aereo C27J per la quale potevano essergli utili le conoscenze in America di Cola". Il 9 luglio, poco dopo l’arresto di Cola, viene interrogato Corrado Prandi, l’uomo che ne avrebbe gestito almeno in parte le disponibilità finanziarie. Anche nel suo verbale ci sono svariati "omissisi". Operazioni all’estero ordinate da Cola "La prima volta che ho fatto ingresso in Finmeccanica - racconta - è stato nel 2006, 2007 emi ha portato Mongiello. Non avevomai saputo che Cola fosse interessato a "Digint" e quando è venuta fuori la notizia sulla stampa, Cola mi disse che era stata creata da lui per fare una cortesia ai suoi due amici Mugnato e Albini. Nel 2008 ho conosciuto Iannilli e ho saputo che era il commercialista di Cola. Io avevo due conti utilizzati per Cola: il primo si chiamava Pinefold, aperto e chiuso perché confluito in Yorkel nel 2008, e Yorkel stesso. Cola mi ha chiesto il numero di conto Yorkel per far fare dei trasferimenti a Iannilli in suo favore. Iannilli ha trasferito sul conto di Cola complessivamente due o tre milioni di euro circa: ciò è avvenuto sul conto Yorkel nel 2008". Prandi inizialmente esclude "di aver ricevuto per conto di Cola trasferimenti di denaro dalla Smi di San Marino da parte di Iannilli nel 2007 e lo escludo quasi certamente anche per il 2008. Ho invece ricevuto nel 2009 somme di denaro, complessivamente inferiori a un milione di euro da Marco Iannilli dal conto Smi per conto di Cola". Ma di fronte alle contestazioni dei magistrati ammette di "aver conosciuto Iannilli nel 2007" e a questo punto rivela anche "l’esistenza di un conto in Svizzera che Cola aveva presso il Credito Agricole di Lugano". Quattro giorni dopo torna in Procura e "sciogliendo la riserva rispetto ad alcune dichiarazioni precedenti" aggiunge dettagli ritenuti molto importanti dagli inquirenti per la ricostruzione di altre operazioni finanziarie all’estero. Racconta Prandi: "Presso la Duddley, Cola riceve la somma di 780 mila dollari nel periodo agosto-ottobre 2007. Dallo stesso conto di Lugano, nei mesi successivi, vengono trasferite somme per l’importo complessivo di quattro milioni di dollari presso il conto Pamgard di Londra, da dove poi confluiscono presso lo studio legale Pavia di New York. Il motivo di trasferimento di questa somma è il seguente: in quel momento Cola aveva pensato di acquistare un immobile in un condominio cooperativa di New York che però non andò a buon fine per cui le somme pervenute allo studio Pavia per metà sono ritornate in Svizzera presso il conto Riolite e in parte sono confluite in un Trust poi utilizzato per l’acquisto di un appartamento a New York nella (5˚. Sul conto Riolite sono pervenute al Cola altre somme. In particolare è pervenuta a Cola dal 19 luglio al 14 agosto 2007 la somma di quattro milioni e 400 mila euro e poi nel settembre 2007 la somma di 200 mila euro. La provenienza delle somme sono da "Gartime" e "Emerald" società riferibili a Iannilli". Fiorenza Sarzanini 17 luglio 2010
INCHIESTA digint Finmeccanica: non abbiamo fondi neri Caso Mokbel, nota del gruppo: "Si tratta di teoremi" * NOTIZIE CORRELATE * Gli affari con Mokbel di Fiorenza Sarzanini INCHIESTA digint Finmeccanica: non abbiamo fondi neri Caso Mokbel, nota del gruppo: "Si tratta di teoremi" Finmeccanica "non ha mai costituito fondi neri all'estero". A ribadirlo in una nota è la società, secondo cui le notizie sulle indagini finora filtrate "descrivono i verbali degli interrogatori tratti probabilmente dagli atti depositati al Tribunale del Riesame di Roma". La nota diffusa dal gruppo guidato da Pier Francesco Guarguaglini punta a chiarire soprattutto il punto dei finanziamenti occultati al fisco: "Si tratta di teoremi atti ad identificare Finmeccanica come azienda creatrice di fondi neri". IL SOFTWARE L'operazione Digint, precisa Finmeccanica, "viene erroneamente identificata come il tramite per la creazione di riserve finanziarie all'estero, per noi in realtà ha avuto come unico obiettivo l'acquisizione di un software particolarmente efficace ed evoluto. Contrariamente a quanto affermato nell'articolo, il software è in adozione da parte delle società del gruppo, sta producendo significativi risultati, ed è stato anche venduto e installato presso società esterne". Tale software, rileva ancora Finmeccanica, "è sviluppato e gestito da alcuni tecnici che sono rimasti soci della società a garanzia della manutenzione e sviluppo del software stesso, nonchè dei loro interessi come progettisti di quell' impianto. Da qui la richiesta di mantenere una quota di maggioranza nella nuova societá dopo aver dato tutte le garanzie di governance a Finmeccanica. Queste persone erano infatti i fondatori della Ikon, società leader in Italia delle intercettazioni telefoniche e dotata di software molto evoluto. Tale società ha tra l'altro lavorato per le principali Procure". La Ikon attraverso l'intervento di Lorenzo Cola in qualità di consulente Ernst&Young, rileva ancora la società, "offrì a Finmeccanica la sua tecnologia. Finmeccanica, dopo alcuni approfondimenti tecnici e la richiesta di trasformare la tecnologia da attiva a passiva (da dedicata alle intercettazioni, alla difesa dei sistemi informatici) accettò di valutare una proposta che venne poi affidata alla consulenza della societá Ernst&Young". (AdnKronos) 17 luglio 2010 2010-07-16 P3, Sica interrogato su Caldoro: "Voci sui trans? Colpo basso, ma politico" L'ex assessore della Regione Campania risponde sui dossier diffamatori sul neogovernatore: schermaglie pre-elettorali di cui ha ammesso di essere a conoscenza L'INCHIESTA P3, Sica interrogato su Caldoro: "Voci sui trans? Colpo basso, ma politico" L'ex assessore della Regione Campania risponde sui dossier diffamatori sul neogovernatore: schermaglie pre-elettorali di cui ha ammesso di essere a conoscenza Ernesto Sica (Ansa) Ernesto Sica (Ansa) ROMA - Ha ammesso di conoscere il contenuto delle voci diffamatorie diffuse sul conto di Stefano Caldoro, ma di considerarle un tiro basso di natura politica, un gossip, e che lui non nutriva "nulla di personale" verso l’attuale governatore della Campania. L’ex assessore regionale con delega all’avvocatura, Ernesto Sica, indagato nell'ambito dell'inchiesta su una presunta associazione occulta, ha offerto una sua ricostruzione dei fatti agli inquirenti della Procura di Roma che l’hanno interrogato per circa 2 ore negli uffici di piazzale Clodio. Per la procura capitolina Sica resta uno dei responsabili della presunta campagna diffamatoria architettata dal gruppo per screditare l'allora candidato alla presidenza della Regione Campania, Stefano Caldoro, spargendo la voce che frequentasse transessuali, a vantaggio dell'ex sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino (anche lui indagato) e lo ritengono vicino all'associazione segreta che è costata il carcere all'imprenditore napoletano Arcangelo Martino, al geometra Pasquale Lombardi e all'uomo d'affari sardo Flavio Carboni. 30 MILA PREFERENZE - Sica si è spiegato, giustificato, sottolineando che l’azione nei confronti di Caldoro, riguardo a presunte e false voci su sue frequentazione con trans, "era in un periodo pre-elettorale" quando insomma si doveva decidere ancora il candidato del centrodestra in Campania, quando c’era anche la possibilità che lui stesso, Sica, venisse designato. L’ex assessore ha poi ribadito che quando alla fine, da Roma, è stata fatta la scelta, lui ha sostenuto Caldoro senza tentennamenti e convogliando sull’attuale governatore tutto il suo consenso. Sica, che è stato con oltre 30mila preferenze uno dei candidati più votati alle elezioni, ha ribadito di non avere nulla di personale nei confronti di Caldoro. Uno dei suoi difensori, l’avvocato Fabrizio Merluzzi, ha spiegato: ""E’ stato un interrogatorio tranquillo, chiaro, limpido. Il mio assistito ha spiegato che la contrapposizione era connessa alla normale contesa politica e che comunque questa era stata superata". Infine Sica ha spiegato di non conoscere Flavio Carboni o Pasquale Lombardi, i presunti vertici della cosiddetta P3, e di aver avuto rapporti sporadici solo con Arcangelo Martino. "Non ha mai incontrato nessuno degli altri indagati", ha sottolineato il penalista. Redazione online 16 luglio 2010
Ghedini: "Berlusconi "CESARE"? interpretazione ridicola" P3 e toghe, Alfano: no a caccia alle streghe Il ministro: "Non si può fare di tutta un'erba un fascio". Berlusconi: "Vogliono delegittimarci" * NOTIZIE CORRELATE * Gli affaristi citano il premier: dobbiamo vedere "Cesare" di G. Bianconi (15 luglio 2010) * "Il gruppo agì per conto di Formigoni. "Cesare" pseudonimo del premier" (14 lulio 2010) Ghedini: "Berlusconi "CESARE"? interpretazione ridicola" P3 e toghe, Alfano: no a caccia alle streghe Il ministro: "Non si può fare di tutta un'erba un fascio". Berlusconi: "Vogliono delegittimarci" Angelino Alfano (Lapresse) Angelino Alfano (Lapresse) BRUXELLES - "Abbiamo una certezza: che il sistema-giustizia ha dentro di sé tutti gli anticorpi per reagire". È la convinzione espressa a Bruxelles dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a proposito del coinvolgimento di magistrati nell'inchiesta P3. "Non si può fare di tutta un'erba un fascio e non si può dare la caccia alle streghe. Ciascuno faccia il proprio dovere, sia dal punto di vista inquirente che da quello dei diritti di chi è chiamato a difendersi" ha aggiunto il Guardasigilli. GHEDINI: "IL PREMIER NON SAPEVA NIENTE" - Sull'inchiesta e sulle indiscrezioni emerse dai verbali negli ultimi giorni è intervenuto anche il deputato Pdl e avvocato del premier, Niccolò Ghedini. "L'interpretazione data negli atti di indagine che "Cesare" sarebbe riferibile alla persona del presidente Berlusconi oltre che inveritiera è ridicola" ha spiegato il legale. "In relazione agli articoli apparsi in questi ultimi giorni su alcuni quotidiani, tendenti a far ritenere che vi fosse una consapevolezza da parte del presidente Berlusconi di attività antigiuridiche di terzi, si deve ribadire - ha aggiunto - come tali prospettazioni siano del tutto inveritiere e contraddette dagli stessi atti processuali". "Ancora una volta, con la parziale pubblicazione di atti di indagine, in palese violazione di legge, si tenta di gettare discredito nei confronti del presidente Berlusconi" ha concluso Ghedini, annunciando che "saranno esperite tutte le azioni giudiziarie del caso". BERLUSCONI: "VOGLIONO DELEGITTIMARCI" - In mattinata, lo stesso Silvio Berlusconi aveva invitato gli esponenti dell'esecutivo, riuniti in Consiglio dei ministri, ad "andare avanti", "nonostante i tentativi di delegittimazione" in corso, secondo quanto riferiscono fonti ministeriali. "Non date retta ai giochi di palazzo. Non c'è da essere preoccupati, occorre continuare a lavorare con tranquillità. Dobbiamo concentrarci sulle cose concrete, parliamo dei fatti e dei risultati che abbiamo raggiunto", avrebbe suggerito il presidente del Consiglio. Il Cavaliere, riportano le stesse fonti, ha fatto un accenno alle ultime inchieste giudiziarie quando ha spiegato che si tratta solo di "chiacchiere che non ci scalfiscono. C'è un disegno per delegittimarci. Noi andiamo avanti per la nostra strada". Il presidente del Consiglio ha annunciato poi di volersi concentrare sul partito, rinunciando anche alle vacanze, e ha invitato i ministri a non prestare il fianco a polemiche sterili, soprattutto con i finiani. Berlusconi dopo il Consiglio dei ministri ha poi avuto un incontro con Umberto Bossi sul federalismo. FORMIGONI - Sulle inchieste che ruotano attorno all'eolico in Sardegna e alla cosiddetta P3 è toprnato a dire la sua anche Roberto Formigoni, chiamato in causa da una informativa dei carabinieri, secondo la quale sarebbe il "mandante" delle pressioni del gruppo per la riammissione della sua lista alle ultime elezioni regionali. "Ovviamente non ho dato un mandato a nessuno" ha detto il governatore della Lombardia. "Non c'è nessun coinvolgimento né presunto né reale" ha aggiunto Formigoni, rispondendo ai giornalisti e dicendo che quelle uscite finora sono "tutte notizie false e infondate". Redazione online 16 luglio 2010
probabile ora il ricorso in cassazione della difesa Appalti sull'eolico, tribunale del riesame: restano in carcere Carboni e Lombardi I due erano stati arrestati l'8 luglio per associazione a delinquere e violazione della legge sulle società segrete probabile ora il ricorso in cassazione della difesa Appalti sull'eolico, tribunale del riesame: restano in carcere Carboni e Lombardi I due erano stati arrestati l'8 luglio per associazione a delinquere e violazione della legge sulle società segrete MILANO - Restano in carcere Flavio Carboni e Pasquale Lombardi, due dei principali indagati dell'inchiesta della cosiddetta P3. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Roma presieduto da Guglielmo Muntoni. Respinti quindi i ricorsi presentati dalla difesa. LA SENTENZA - I due, considerati tra i principali artefici della presunto sodalizio che avrebbe agito in modo occulto, erano stati arrestati l'8 luglio scorso per associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete, insieme con l'imprenditore napoletano Arcangelo Martino (il cui ricorso al riesame sarà esaminato il 21 luglio) . Nel respingere i ricorsi il tribunale del riesame ha ritenuto non attenuate le esigenze di custodia cautelare. Nella discussione che si è tenuta oggi in aula il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed il sostituto Rodolfo Sabelli avevano espresso parere negativo alla revoca delle ordinanze di custodia cautelare. Tra i motivi invocati dalle difese a sostegno delle proprie argomentazione c'erano, tra l'altro, l'inutilizzabilità di alcune intercettazione telefoniche nelle quali sono coinvolti politici, e, soprattutto, nel caso di Carboni, anche l'età, 78 anni. A questo punto non è eslcuso che i difensori, Renato Borzone e Anselmo De Cataldo, per l'uomo d'affari, e Corrado Olivero, per Lombardi, ricorrano per Cassazione una volta esaminate le motivazioni dell'ordinanza del riesame. Redazione online 15 luglio 2010
Lo Scandalo eolico-P3 Il Csm avvia la procedura di trasferimento d'ufficio per il giudice Alfonso Marra Per incompatibilità ambientale nella sede giudiziaria di Milano. L'interessato: "Contento, così chiarisco" * NOTIZIE CORRELATE * Eolico, Cosentino lascia e attacca Fini (14 luglio 2010) Lo Scandalo eolico-P3 Il Csm avvia la procedura di trasferimento d'ufficio per il giudice Alfonso Marra Per incompatibilità ambientale nella sede giudiziaria di Milano. L'interessato: "Contento, così chiarisco" Il presidente della corte d'Appello di Milano Alfonso Marra (Cavicchi) Il presidente della corte d'Appello di Milano Alfonso Marra (Cavicchi) MILANO - Il presidente della Corte d'Appello di Milano Alfonso Marra sarà convocato per un'audizione nei prossimi giorni dalla prima commissione del Csm, che giovedì mattina ha deciso di aprire nei confronti del magistrato una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale, alla luce di quanto è emerso nell'inchiesta romana sugli appalti per l'eolico e sulla associazione segreta (soprannominata P3, ndr). La decisione è passata con quattro voti a favore. Ha votato contro il laico del centrodestra Gianfranco Anedda. LE CONTESTAZIONI - Il presidente della commissione, nonchè relatrice del fascicolo, Fiorella Pilato (Magistratura democratica) metterà a punto il documento con le contestazioni rivolte a Marra, che sarà portato lunedì prossimo in commissione; successivamente, dunque, il presidente della Corte d'appello di Milano verrà convocato a palazzo dei Marescialli. La commissione cercherà di chiudere l'iter di questo trasferimento entro la fine dell'attuale consigliatura, ossia entro il 31 luglio, ma i tempi tecnici non permetterano di portare in plenum la questione prima di settembre: gli atti, infatti, prevede la procedura di trasferimento, vengono depositati dopo la chiusura dei lavori della commissione, e il magistrato in questione a un margine di 20 giorni per mettere a punto la sua difesa e presentare documenti. Dunque, il caso Marra sarà il primo fascicolo rilevante che il nuovo Csm si troverà ad affrontare in plenum dopo la pausa estiva. Quanto agli altri magistrati - tra cui il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller - citati nell'ordinanza di custodia cautelare del gip la Prima Commissione ha disposto un'istruttoria chiedendo all'autorità giudiziaria gli atti anche per capire la loro esatta posizione e le eventuali contestazioni nei loro confronti. La Commissione ha anche deciso di chiedere alla Procura di Roma un'informativa sugli altri magistrati coinvolti, come il capo dell'Ispettorato di Via Arenula, Arcibaldo Miller, e l'ex avvocato generale della Cassazione, Antonio Martone, anche per sapere se i magistrati della capitale abbiano già inviato atti ai titolari dell'azione disciplinare. CASSAZIONE - Ma anche la Procura generale della Corte di Cassazione, ha avviato un'indagine disciplinare nei confronti dei magistrati coinvolti nell'inchiesta sull'eolico condotta dalla procura di Roma i cui nomi vengono più volte citati negli atti del fascicolo penale. "La Procura generale della Corte di Cassazione - si legge in una nota - con riferimento ai fatti emergenti dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Roma nei confronti di Flavio Carboni+ 2, comunica che è stata avviata, sin dal 12 luglio scorso, una indagine di natura disciplinare". IL VOTO - Di Alfonso Marra parlano alcune delle persone finite in carcere per l'inchiesta della Procura di Roma, facendo riferimento a pressioni su alcuni consiglieri del Csm per favorire la sua nomina alla guida della Corte d'Appello di Milano. A votare per l'avvio della procedura di trasferimento di ufficio sono stati i consiglieri Pilato, Fresa, Volpi e Patrono. Non ha partecipato al voto, invece, Giuseppe Maria Berruti che nelle intercettazioni viene indicato come il consigliere che rappresentava il maggior ostacolo alla nomina di Marra. CONTENTO PER DECISIONE CSM - "Sono contento che il Csm abbia aperto la procedura così si chiarirà la mia posizione" ha detto Alfonso Marra, raggiunto al telefono dall'Ansa, in merito all'apertura da parte del Csm della procedura per il suo trasferimento per incompatibilità ambientale. L'INCHIESTA - Il nome di Marra appare in alcune intercettazioni dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico. in particolare in una informativa del 18 giugno, parlando dell'attività svolta dal gruppo occulto, i carabinieri definiscono emblematica la "vicenda che ha visto protagonista il neo presidente della Corte d'appello di Milano". "Non appena Marra - spiegano i militari dell'Arma - ha ottenuto, dopo un'intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (e in particolare da Pasquale Lombardi) sui membri del Csm, l'ambita carica, i componenti dell'associazione gli chiedono esplicitamente, peraltro dietro mandato del presidente Formigoni, di porre in essere un intervento nell'ambito della nota vicenda dell'esclusione della lista "Per la Lombardia"". Al riguardo, i carabinieri citano una telefonata del primo marzo 2010 di Formigoni all'imprenditore campano Arcangelo Martino nella quale chiede: "Ma l'amico, l'amico, l'amico Lombardo, Lombardo lì, Lombardi è in grado di agire". Redazione online 15 luglio 2010(ultima modifica: 16 luglio 2010)
Dietro le quinte - I voti determinanti erano di Mancino e Carbone La nomina a sorpresa che spaccò il Csm e innescò i primi sospetti Dietro le quinte - I voti determinanti erano di Mancino e Carbone La nomina a sorpresa che spaccò il Csm e innescò i primi sospetti ROMA — Quella nomina fu una ferita mai rimarginata. E con le intercettazioni sulle manovre sotterranee per ottenerla è tornata a sanguinare. Al punto da dover correre ai ripari in tutta fretta, per quanto si può. La decisione di far presiedere la corte d’appello di Milano ad Alfonso Marra divise a metà il Consiglio superiore. Era il 3 febbraio scorso. Marra ottenne 14 voti contro i 12 dell’altro candidato, Renato Rordorf. Fu una spaccatura trasversale, anche all’interno delle correnti. Dentro Unicost e Magistratura indipendente, i due gruppi "moderati", Berruti e Patrono si schierarono a favore di Rordorf, considerato "di sinistra". E tra i "laici" eletti dall’Ulivo, Celestina Tinelli preferì Marra. Come i tre membri dell’ufficio di presidenza (Mancino, il presidente della Cassazione Carbone e il procuratore generale Esposito); per motivi di opportunità, fecero trapelare, legati a un precedente voto unanime in favore dello stesso giudice, e perché Rordorf aveva lavorato al Csm.
Spiegazioni che all’epoca non convinsero. Perché nei corridoi del palazzo dei Marescialli, sede del Csm, si sussurrò fin da subito che dietro i voti determinanti della Tinelli, di Mancino e di Carbone c’era qualcosa di strano. Niente di dimostrabile, ma molto di avvertito. Nell’abituale resoconto per gli aderenti alla sua corrente, la consigliera di Magistratura democratica Elisabetta Cesqui—già pubblico ministero nel processo alla Loggia P2 —sulla nomina di Marra si lasciò andare a considerazioni amare: "L’aria viziata delle pressioni si è sentita fortissima... Il Consiglio può fare tutti gli sforzi di rinnovamento che vuole, ma quando si parla di decisioni veramente importanti, l’esigenza di presidio di certi territori e di certi uffici prevale sistematicamente sulle logiche di merito effettivo".
Ora le registrazioni di alcuni colloqui messi a fondamento dell’arresto dei tre ispiratori della presunta "associazione segreta" che si sarebbe adoperata, fra l’altro, per la nomina di Marra, ha dato nuovi argomenti a chi sosteneva quella tesi. Al di là della loro rilevanza penale. I dialoghi fra Pasquale Lombardi, il "ministro della Giustizia" del gruppo, con lo stesso Marra e con il sottosegretario Giacomo Caliendo (ex magistrato di Unicost) sembrano dare concretezza ai sospetti. Come se avessero strappato un velo.
"Mi pare che ho concluso, per te, col capo", diceva Lombardi a Marra dopo un incontro con Carbone. "Ma bisogna avvicinare ’sto cazzo di Berruti... ", ribatteva Marra. E Lombardi a Caliendo: "Per quanto riguarda Berruti te la devi vedere tu". Poi ancora a Marra: "Ho parlato con Giacomino e... stiamo operando". Alla Tinelli chiedeva: "È opportuno che ne parli un poco con il presidente Carbone?". E lei: "Sì, assolutamente". In altri dialoghi Lombardi faceva intendere che il voto di Carbone si poteva conquistare prolungando la sua permanenza al vertice della Cassazione, con un emendamento sull’eta pensionabile; riferiva di incontri con Mancino, e consigliava Marra di rivolgersi all’ex ministro Diliberto per convincere la "laica" Letizia Vacca.
Tutte chiacchiere e millanterie, replicano gli interessati; Carbone avrebbe persino avvisato il ministro della Giustizia che non avrebbe accettato proroghe della sua presidenza. Ma è difficile districarsi tra intercettazioni e giustificazioni. Restano la puzza di bruciato che si avvertì al tempo della nomina e le conversazioni che oggi rivelano le pressioni. Almeno tentate, visto il tempo trascorso al telefono da Lombardi per il suo amico Marra. "Pasqualì, poi facciamo ’na bella festa, aMilano o a Roma", diceva il giudice. E l’altro: "Eh, ce la facimm’ ’na bella festa!". La rapidissima decisione del Csm — giunto a fine mandato, scadrà fra due settimane — di avviare la pratica per la rimozione di Marra sembra il tentativo di cancellare una pagina opaca della propria storia. Quasi certamente toccherà al prossimo Consiglio decidere il destino di quel giudice, ma chi l’ha nominato ha voluto mettere le basi per dissipare l’ombra di una scelta condizionata da un gruppo di potere occulto e illegale, almeno secondo l’accusa. Lo stesso Csm ha chiesto alla Procura di Roma "ogni utile informazione" su altri magistrati i cui nomi emergono dall’inchiesta. A cominciare da Arcibaldo Miller, il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, che—hanno scritto i carabinieri nel loro rapporto— "forniva il proprio contributo alle attività di interferenza". Al pari del sottosegretario Caliendo e dell’ex avvocato generale della Cassazione Antonio Martone, che però hanno abbandonato la toga. Anche la decisione della Procura generale di aprire l’istruttoria per un procedimento disciplinare a Marra suona come uno squillo di riscossa rispetto alla "questione morale" nella magistratura; e così l’allarme del segretario dell’Associazione magistrati Giuseppe Cascini, che confessa di aver provato "vergogna, indignazione e rabbia" a leggere i dialoghi dei suoi colleghi intercettati. L’Anm ha chiesto ai probiviri di valutare sanzioni, fino all’eventuale espulsione. Come se ci fosse l’urgenza di fare pulizia nella corporazione, a costo di dividere i magistrati e le loro correnti, pure al proprio interno. Per dare un esempio alla politica, l’altro potere toccato dall’indagine giudiziaria, col quale le toghe (non tutte, a leggere i resoconti dell intercettazioni) sembrano in perenne conflitto. Giovanni Bianconi 16 luglio 2010
2010-07-15 Lo Scandalo eolico-P3 Il Csm avvia la procedura di trasferimento d'ufficio per il giudice Alfonso Marra Per incompatibilità ambientale nella sede giudiziaria di Milano. L'interessato: "Contento, così chiarisco" * NOTIZIE CORRELATE * Eolico, Cosentino lascia e attacca Fini (14 luglio 2010) Lo Scandalo eolico-P3 Il Csm avvia la procedura di trasferimento d'ufficio per il giudice Alfonso Marra Per incompatibilità ambientale nella sede giudiziaria di Milano. L'interessato: "Contento, così chiarisco" Il presidente della corte d'Appello di Milano Alfonso Marra (Cavicchi) Il presidente della corte d'Appello di Milano Alfonso Marra (Cavicchi) MILANO - Il presidente della Corte d'Appello di Milano Alfonso Marra sarà convocato per un'audizione nei prossimi giorni dalla prima commissione del Csm, che giovedì mattina ha deciso di aprire nei confronti del magistrato una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale, alla luce di quanto è emerso nell'inchiesta romana sugli appalti per l'eolico e sulla associazione segreta (soprannominata P3, ndr). La decisione è passata con quattro voti a favore. Ha votato contro il laico del centrodestra Gianfranco Anedda. LE CONTESTAZIONI - Il presidente della commissione, nonchè relatrice del fascicolo, Fiorella Pilato (Magistratura democratica) metterà a punto il documento con le contestazioni rivolte a Marra, che sarà portato lunedì prossimo in commissione; successivamente, dunque, il presidente della Corte d'appello di Milano verrà convocato a palazzo dei Marescialli. La commissione cercherà di chiudere l'iter di questo trasferimento entro la fine dell'attuale consigliatura, ossia entro il 31 luglio, ma i tempi tecnici non permetterano di portare in plenum la questione prima di settembre: gli atti, infatti, prevede la procedura di trasferimento, vengono depositati dopo la chiusura dei lavori della commissione, e il magistrato in questione a un margine di 20 giorni per mettere a punto la sua difesa e presentare documenti. Dunque, il caso Marra sarà il primo fascicolo rilevante che il nuovo Csm si troverà ad affrontare in plenum dopo la pausa estiva. Quanto agli altri magistrati - tra cui il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller - citati nell'ordinanza di custodia cautelare del gip la Prima Commissione ha disposto un'istruttoria chiedendo all'autorità giudiziaria gli atti anche per capire la loro esatta posizione e le eventuali contestazioni nei loro confronti. La Commissione ha anche deciso di chiedere alla Procura di Roma un'informativa sugli altri magistrati coinvolti, come il capo dell'Ispettorato di Via Arenula, Arcibaldo Miller, e l'ex avvocato generale della Cassazione, Antonio Martone, anche per sapere se i magistrati della capitale abbiano già inviato atti ai titolari dell'azione disciplinare. CASSAZIONE - Ma anche la Procura generale della Corte di Cassazione, ha avviato un'indagine disciplinare nei confronti dei magistrati coinvolti nell'inchiesta sull'eolico condotta dalla procura di Roma i cui nomi vengono più volte citati negli atti del fascicolo penale. "La Procura generale della Corte di Cassazione - si legge in una nota - con riferimento ai fatti emergenti dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Roma nei confronti di Flavio Carboni+ 2, comunica che è stata avviata, sin dal 12 luglio scorso, una indagine di natura disciplinare". IL VOTO - Di Alfonso Marra parlano alcune delle persone finite in carcere per l'inchiesta della Procura di Roma, facendo riferimento a pressioni su alcuni consiglieri del Csm per favorire la sua nomina alla guida della Corte d'Appello di Milano. A votare per l'avvio della procedura di trasferimento di ufficio sono stati i consiglieri Pilato, Fresa, Volpi e Patrono. Non ha partecipato al voto, invece, Giuseppe Maria Berruti che nelle intercettazioni viene indicato come il consigliere che rappresentava il maggior ostacolo alla nomina di Marra. CONTENTO PER DECISIONE CSM - "Sono contento che il Csm abbia aperto la procedura così si chiarirà la mia posizione" ha detto Alfonso Marra, raggiunto al telefono dall'Ansa, in merito all'apertura da parte del Csm della procedura per il suo trasferimento per incompatibilità ambientale. L'INCHIESTA - Il nome di Marra appare in alcune intercettazioni dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico. in particolare in una informativa del 18 giugno, parlando dell'attività svolta dal gruppo occulto, i carabinieri definiscono emblematica la "vicenda che ha visto protagonista il neo presidente della Corte d'appello di Milano". "Non appena Marra - spiegano i militari dell'Arma - ha ottenuto, dopo un'intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (e in particolare da Pasquale Lombardi) sui membri del Csm, l'ambita carica, i componenti dell'associazione gli chiedono esplicitamente, peraltro dietro mandato del presidente Formigoni, di porre in essere un intervento nell'ambito della nota vicenda dell'esclusione della lista "Per la Lombardia"". Al riguardo, i carabinieri citano una telefonata del primo marzo 2010 di Formigoni all'imprenditore campano Arcangelo Martino nella quale chiede: "Ma l'amico, l'amico, l'amico Lombardo, Lombardo lì, Lombardi è in grado di agire". Redazione online 15 luglio 2010
Gli affaristi citano il premier: dobbiamo vedere "Cesare" Gli investigatori: soldi a Verdini dalla moglie di Carboni * NOTIZIE CORRELATE * "Il gruppo agì per conto di Formigoni. Cesare pseudonimo usato per il premier" (14 luglio 2010) L’inchiesta Gli affaristi citano il premier: dobbiamo vedere "Cesare" Gli investigatori: soldi a Verdini dalla moglie di Carboni Marcello Dell'Utri e Denis Verdini a Montecatini Terme (Imagoeconomica) Marcello Dell'Utri e Denis Verdini a Montecatini Terme (Imagoeconomica) ROMA — Le telefonate tra i componenti della presunta "associazione segreta" che secondo l’accusa cercava di condizionare la vita pubblica italiana, cominciavano di prima mattina. E andavano avanti fino a tarda sera. Alle 8.48 di mercoledì 28 ottobre 2009, ad esempio, l’ex assessore napoletano Arcangelo Martino chiamò il geometra e giudice tributario Pasquale Lombardi; ora sono tutti e due in carcere, come l’imprenditore-faccendiere Flavio Carboni. "Hai visto — dice Lombardi —il fatto del Lodo è stato rinviato, e poi... Mills è stato condannato, confermato quattro anni". Si riferisce alle notizie sul verdetto d’appello per l’avvocato inglese David Mills, imputato di corruzione con Silvio Berlusconi al quale il processo era stato sospeso grazie al "lodo Alfano " giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale, e al rinvio della causa per il maxi-risarcimento alla Mondadori da parte della Fininvest, decisa da un altro giudice milanese. Ma il processo che interessa Lombardi, perché secondo il rapporto dei carabinieri se n’è occupato direttamente, è un altro: "E poi stamattina, pare che il 28 c’è l’altro rinvio... Vabbè, quello che facciamo noi". Martino dice: "Oggi che cos’è, non è 28?". E Lombardi: "Eh, e oggi c’è il rinvio". Si tratta della causa per 400 miliardi di debiti della Mondadori con lo Sato risalenti al 1991, che in Cassazione era stata spostata dalla Sezione tributaria alle Sezioni unite. Con conseguente slittamento, per il quale si sarebbe prodigato proprio Lombardi. Ma Martino vuole sapere a quando, e Lombardi si spazientisce: "Io non è che faccio l’avvocato! Viene regolarizzato dalle parti a quando viene rinviato". Poi invita Martino a Roma: "Vieni che ne parliamo, perché ci sono tre quattro casi che ancora sono importanti pure per loro! Per questi stronzi!". Nel pomeriggio Carboni telefona a Martino e s’intrattiene "sulla stessa questione giudiziaria di cui il Martino aveva parlato poco prima con Lombardi", annotano i carabinieri che ascoltano. "Abbiamo pensato di chiamarti, noi stavamo dalla... da chi sai...", dice Carboni. E aggiunge: "Dunque non si è mosso, non ci si muove perché lui sta lì, il Marcello sta dal... sta da Cesare... (...)". Marcello è il senatore Dell’Utri e "Cesare", secondo quanto riferiscono gli investigatori ai magistrati, "è lo pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio". Cioè Silvio Berlusconi. Nelle centinaia di telefonate registrate dai carabinieri ci sono diversi accenni a quel soprannome. "Informeranno Cesare solo domani, perché non c’è", dice Carboni il 9 febbraio scorso, presumibilmente a proposito della candidatura alla presidenza della Campania; "amm’a vedé Cesare quanto prima", dice Lombardi riferendosi alle presunte "manovre " per la conferma del "lodo Alfano"; "credo che sia già arrivato nelle stanze di Cesare ... i tribuni hanno già dato notizia", sostiene ancora Carboni a proposito dei tentativi di favorire il sottosegretario Nicola Cosentino. E sullo stesso argomento, di nuovo Carboni: "Ci deve dare una mano, insieme a Marcello il quale parla anche a nome del... di Cesare, capito? ". Le persone da contattare Nelle sue ipotetiche "manovre" il trio mandato agli arresti dagli inquirenti romani si avvaleva di politici come i parlamentari del Pdl Verdini (uno dei tre coordinatori nazionali del partito) e dell’Utri, entrambi inquisiti per violazione della legge anti-P2. Ma anche di magistrati. "Personaggi vicini al gruppo— si legge nell’informativa finale redatta dai carabinieri il 18 giugno scorso — che prendono parte alle riunioni nel corso delle quali vengono impostate le principali operazioni, o che paiono fornire il proprio contributo alle attività d’interferenza, sono individuabili nei giudici Miller Arcibaldo, Martone Antonio e nel sottosegretario alla Giustizia Caliendo Giacomo ". Magistrato anche lui, ma ora eletto in Parlamento nelle file del centrodestra. I loro nomi compaiono spesso nelle intercettazioni telefoniche, dalle quali poi ne spuntano altri, anche solo chiamati in causa nelle conversazioni. Senza che si comprenda se a loro volta quei personaggi siano mai stati contattati. Come accade in un colloquio tra l’ex presidente della Corte costituzionale Cesare Mirabelli e Lombardi, il quale stava tentando di avvicinare qualche giudice della Consulta che doveva decidere sulla legittimità del "lodo Alfano". Mirabelli cerca sempre di cambiare argomento, ma Lombardi insiste: "Quella donna della Consulta che è sua amica, dice che è sua amica, possiamo intervenire almeno su questa signora?". Mirabelli risponde: "Non è che gli interventi valgano granché, comunque io...". Ma Lombardi non molla: "Monsignor Ruini, reverendo Ruini è molto amico anche di... e giustamente suo. Questo Ruini potrebbe intervenire su questa...". Mirabelli non sembra gradire il riferimento al cardinale ex presidente della Cei, e cambia subito discorso: "Ho capito. Senta e... comunque, cosa avete come iniziative?". I soldi per Verdini Un corposo capitolo del rapporto dei carabinieri s’intitola "Le operazioni finanziarie sospette ". Racconta di somme da centinaia di migliaia di euro "veicolate periodicamente da Carboni e messe a disposizione da un imprenditore romagnolo coinvolto nell’operazione Pale eoliche", cioè la realizzazione di impianti per l’energia alternativa in Sardegna, per la quale è stato ipotizzato il reato di corruzione anche a Verdini e al presidente della Regione Cappellacci. In una di queste operazioni, 200.000 euro in assegni circolari "sono stati negoziati da persona diversa dal beneficiario" ufficiale, e questa persona "con ogni probabilità si identifica in Verdini o in un suo stretto collaboratore". Il 1˚ ottobre 2009, su un conto corrente del Monte dei Paschi di Siena intestato alla moglie di Carboni, Maria Laura Scanu Concas, da una società chiamata "Sardinia Renewable Energy Project" arrivano due bonifici da 500.000 euro ciascuno. Lo stesso giorno, vengono emessi assegni circolari per 487.500 euro (ciascuno dal valore di 12.500) in favore di Giuseppe Tomassetti, collaboratore di Carboni. Sedici di questi assegni, pari a 200.000 euro, secondo i carabinieri "sarebbero stati incassati/ depositati in data 2-10-2009 presso la filiale Campi Bisenzio del Credito cooperativo fiorentino, dal beneficiario degli stessi, Tomassetti Giuseppe". La banca è quella presieduta da Denis Verdini, e si trova in provincia di Firenze. Ma dalle indagini svolte sulle celle utilizzate dal telefonino di Tomassetti, nei giorni 1 e 2 ottobre l’uomo "non risulta essersi recato in quella provincia". Ha sempre parlato da Roma, dove il pomeriggio del 2 s’è sposato suo figlio. Verdini invece quel giorno si trovava negli uffici dell’istituto di credito, da dove ha parlato più volte con Carboni. L’ultima alle 16.18. "Per vedere se tutto era in ordine", dice Carboni. E il deputato-banchiere: "Tutto a posto, tutto a posto". Conclusione dei carabinieri: "Gli assegni in tema dovrebbero essere stati incassati/ depositati da persona diversa dal Tomassetti, che questo ufficio identifica nel Verdini Denis". Giovanni Bianconi 15 luglio 2010
Passaggi obbligati Passaggi obbligati Bisogna dare atto a Silvio Berlusconi di avere compiuto la scelta giusta facendo dimettere il sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino: sebbene lasci perplessi la sua permanenza nel Pdl come coordinatore della Campania. Il presidente del Consiglio sapeva di non potere indugiare. Rischiava di ritrovarsi con una maggioranza in bilico, incalzata da Gianfranco Fini e dal centrosinistra. Ed ha preso una decisione obbligata e saggia, anche se tardiva. Evidentemente, il premier ha tempi di reazione dettati da una vistosa dose di diffidenza verso la magistratura. Una parziale spiegazione è che forse deve tener conto di rapporti di forza interni nei quali l’impasto di politica e zone oscure è più vischioso di qualunque buona intenzione di pulizia. Eppure, la moltiplicazione dei casi singoli non può non colpire. Il fatto che il centrodestra continui a perdere pezzi sull’onda di vicende estranee alla sua volontà ed alla politica segnala una stortura di fondo. È come se nella penombra del grande albero berlusconiano si fossero annidati segmenti di società che usano il governo come guscio dentro il quale ingrassare i loro comitati d’affari. Si tratta di un problema che sarebbe ingeneroso considerare un’esclusiva del Pdl. Ma, anche per il modo in cui reagisce, la coalizione berlusconiana tende ad apparire più coinvolta di altri. La difesa a oltranza dei suoi esponenti chiamati in causa nelle inchieste la sovrespone fino a schiacciarla su una questione morale che ha delegittimato la Prima Repubblica; e che alla lunga non può non logorare l’attuale, sebbene abbia sempre rivendicato una diversità virtuosa dal passato. Il fatto che proprio il dimissionario Cosentino additi il pericolo di un ritorno allo "spirito di Tangentopoli " è il tentativo maldestro di eludere le proprie responsabilità; e di evocare un finale drammatico non scontato. Sarà un caso, ma ieri sono stati i ministri Umberto Bossi e Roberto Maroni i primi ad avvertire che la posizione del sottosegretario era indifendibile, anticipando l’esito del colloquio con Berlusconi. Nella Lega cresce la consapevolezza che vicende come quelle che riguardano Cosentino e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, per il quale le dimissioni sembrano rinviate, azzerano qualunque successo del governo. Macchiano il profilo della maggioranza ed oscurano operazioni come quella contro la ’ndrangheta a Milano. Soprattutto, rischiano di trasmettere un’immagine di impunità che può ricreare le condizioni per "processi di piazza" ambigui. È un’involuzione da evitare, leggendo con freddezza quanto accade; rendendosi conto che in una fase di crisi così acuta si richiede un supplemento di serietà e di chiarezza; e accettando l’idea che i comportamenti illegali nella vita politica vanno riconosciuti e sanzionati prima che diventino casi giudiziari. La notizia che Berlusconi vuole dedicare il mese di agosto a riorganizzare il Pdl è la controprova indiretta di una situazione sfuggita di mano. Senza una reazione a questa deriva, il governo è destinato a galleggiare fra gli avvisi di garanzia, con l’acqua sempre più alla gola. Massimo Franco 15 luglio 2010
nuovo scontro tra il vertice del Pdl e i Finiani, che premevano per il passo indietro Cosentino vede il premier poi si dimette "Accuse infondate, ma tutelo il governo" La decisione rende inutile la mozione di sfiducia di Pd e Idv, a cui anche Casini e i finiani avrebbero votato sì * OTIZIE CORRELATE * L'affondo su Fini: "Tenta solo di prendere il potere nel Pdl" (14 luglio 2010) * LE REAZIONI - "Il Pdl cade a pezzi". "Ora il sì all'arresto" (14 luglio 2010) * Berlusconi: "P3? Sono solo 4 pensionati sfigati" (13 lulio 2010) * Cosentino e l’attacco a Caldoro: togliamo di mezzo quello là, così poi stiamo a posto (14 luglio 2020) nuovo scontro tra il vertice del Pdl e i Finiani, che premevano per il passo indietro Cosentino vede il premier poi si dimette "Accuse infondate, ma tutelo il governo" La decisione rende inutile la mozione di sfiducia di Pd e Idv, a cui anche Casini e i finiani avrebbero votato sì ROMA - Nicola Cosentino si è dimesso da sottosegretario all'Economia. La decisione è arrivata dopo un vertice a Palazzo Chigi con Silvio Berlusconi e con lo stato maggiore del Pdl. Erano presenti, tra gli altri, i tre coordinatori del partito, compreso Dennis Verdini, a sua volta coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta "P3". La scelta di fare un passo indietro, che l'ormai ex sottosegretario ha giustificato con il proposito di occuparsi maggiormente dle Pdl in Campania, evita così la conta interna alla maggioranza sulla mozione di sfiducia che in mattinata era stata calendarizzata alla Camera per mercoledì prossimo. Una scelta, quest'ultima, che il presidente di Montecitorio, Gianfranco Fini, aveva preso in autonomia non essendo stato raggiunto un accordo nella conferenza dei capigruppo, scatenando però l'irritazione di Pdl e Lega, che volevano evitare un confronto su questo tema nel mese di luglio. L'ATTACCO A FINI - "Ho deciso di concerto con il presidente Berlusconi - ha spiegato Cosentino in una nota - di rassegnare le mie dimissioni da sottosegretario per potermi completamente dedicare alla vita del partito, particolarmente in Campania, anche al fine di contrastare tutte quelle manovre interne ed esterne poste in essere per fermare il cambiamento". Cosentino ha anche voluto precisare di essere estraneo a tutte le accuse rivolte contro di lui. E sulla decisione di Fini di mettere all'ordine del giorno la mozione di sfiducia nei suoi confronti ha attaccato il presidente della Camera accusandolo di essersi basato soltanto "su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa". Per Cosentino, "tale atteggiamento ben si comprende ove si conoscano le dinamiche politiche in Campania e coloro che sono i più stretti collaboratori dell'on. Fini, quale l'on. Bocchino che da anni, senza successo, tenta di incidere sul territorio non già per interessi del partito bensì per mere ragioni di potere personale e che alla prova elettorale è sempre stato sconfitto". E ancora: "Sono assolutamente sereno che la mia totale estraneità non potrà che essere più che comprovata da qualsivoglia indagine. Parimenti proprio per questa intima tranquillità non posso e non voglio esporre il governo di cui mi onoro di far parte e al cui successo ho contribuito di rimanere colpito mediaticamente per tali inconsistenti vicende". LEGGI la nota integrale di Cosentino diffusa dopo le dimissioni BERLUSCONI: "CERTO DELLA SUA LEALTA'" - "Ho condiviso la decisione di Nicola Cosentino di dimettersi da sottosegretario - ha detto poi il premier Silvio Berlusconi -. Ho altresì avuto modo di approfondire personalmente e tramite i miei collaboratori la sua totale estraneità alle vicende che gli sono contestate. Sono quindi certo che la sua condotta durante la campagna elettorale per la Regione Campania è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro". "Ritengo quindi - ha detto ancora - che l'onorevole Cosentino potrà proficuamente continuare a svolgere il suo importante ruolo politico nell'ambito del nostro Movimento per consentirci di conseguire ancora quegli eccellenti risultati di cui è stato artefice come coordinatore Regionale" conclude Berlusconi. LE REAZIONI alle dimissioni. Di Pietro: "Ora la Camera dica sì al suo arresto" SCELTA OBBLIGATA - Al di là delle dichiarazioni ufficiali , le dimissioni sono state probabilmente viste come il male minore. Il coinvolgimento di Cosentino nell'inchiesta stava creando parecchi problemi al Pdl e all'esecutivo anche perché tutta la componente finiana del partito era pronta a votare a favore della sfiducia. Anche Pier Ferdinando Casini, di cui negli ultimi giorni si è parlato spesso per un possibile riavvicinamento dell'Udc al centrodestra, aveva fatto sapere che i centristi avrebbero dato parere favorevole alla richiesta di ritiro delle deleghe per il politico campano, già finito nel mirino nei mesi scorsi per l'accusa di essere il referente politico del clan dei Casalesi, circostanza questa che lo aveva costretto a ritirarsi dalla corsa alla presidenza della Regione. Il suo posto quale portacolori del Pdl venne preso da Stefano Caldoro, che poi fu effettivamente eletto, ma la candidatura del giovane ex socialista, si apprende dalle carte dell'inchiesta, fu duramente osteggiata dall'interno proprio dal gruppo che oggi viene indicato come "P3". LA MOZIONE DI SFIDUCIA - La scelta di Fini di calendarizzare il voto sul sottosegretario aveva creato malumori nella coalizione di governo. Pdl e Lega erano contrarie all'esame della mozione in luglio. La decisione è stata quindi presa direttamente dal presidente della Camera, come previsto nelle situazioni in cui manchi l'accordo fra i gruppi sull'ordine del giorno. Il documento sui cui i deputati sarebbero stati chiamati ad esprimersi, non essendo prevista la sfiducia diretta per un sottosegretario (a differenza dei ministri), avrebbe invitato Cosentino a dare le dimissioni e il governo a ritirare le deleghe a lui assegnate. È stata invece rinviata a settembre la discussione dell'altra mozione, quella riguardante il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo. IL DISSENSO DI CICCHITTO - Il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha espresso "netto dissenso" rispetto alla calendarizzazione della mozione di sfiducia. "Contestiamo questo metodo di lotta politica che sta usando l’opposizione per cui ogni giorno, magari chiedendo la diretta televisiva in pieno stile Samarcanda o Annozero, si fanno processi alla Camera - ha commentato Cicchitto parlando al termine della conferenza dei capigruppo -. Si era detto poi di concentrare tutte le energie sulla manovra economica". Controreplica di Fabrizio Alfano, il portavoce del presidente Gianfranco Fini: "Fino a quando le regole attribuiranno al presidente della Camera la facoltà di decidere la calendarizzazione di un provvedimento quando non c'è l'accordo tra i capigruppo, Fini continuerà ad assumersi la responsabilità di calendarizzare i provvedimenti in assoluta libertà di coscienza". CASINI: "LA VOTEREMO" - Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, aveva invece fatto sapere che il suo partito avrebbe votato il testo presentato dalle opposizioni, facendo notare che proprio l'Udc aveva "già presentato in passato la sfiducia a Cosentino". "Siamo garantisti e non vogliamo anticipare verdetti - aveva precisato - ma c'è un problema di opportunità per chi sta al governo. La vicenda che ha coinvolto il governatore Caldoro è veramente una cosa preoccupante e vergognosa". BOSSI: "DIMISSIONI POSSIBILI". POI SMENTISCE - Nella vicenda si era inserito anche il piccolo giallo delle dichiarazioni di Umberto Bossi. "Le sue dimissioni? Sono possibili" aveva detto il leader della Lega entrando alla Camera, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se le dimissioni fossero plausibili. Poi, il ministro aveva aggiunto: "chiedetelo a lui". Nel pomeriggio, tuttavia, il capo della Lega aveva smentito le parole riportate dalle agenzie di stampa: "Su Cosentino non ho mai rilasciato dichiarazioni. Quanto riportato è farina del sacco di chi lo ha scritto". MARONI: "NELLA LEGA NON SAREBBE SUCCESSO" - Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, in un'intervista pubblicata dal Corriere della Sera aveva invece sottolineato che "la P2 fu una cosa seria, qui mi sembra ci siano più ombre che sostanza. Ma Scajola si è dimesso senza essere indagato. Gli interessati o il loro partito devono valutare se non lasciare provochi danni al governo o al partito stesso. Noi nella Lega faremmo così". Il ministro aveva anche detto che "nella Lega non può accadere un caso Cosentino". VITO: "ASPETTIAMO LA MAGISTRATURA" - La decisione del passo indietro presa a Palazzo Chigi smentisce infine le parole del ministro per i Rapporti con il parlamento Elio Vito, che rispondendo a un'interrogazione del Pd durante il question time alla Camera aveva escluso mosse dall'alto prima di conoscere l'esito delle indagini. "La presidenza del Consiglio rileva che la vicenda si basa esclusivamente su notizie di stampa e non è in possesso di nessuna documentazione", ha detto. "Nessuna decisione quindi può essere responsabilmente assunta prima di conoscere fatti tutti da acclarare", ha spiegato. "Inoltre, spetta esclusivamente alla magistratura l'accertamento di eventuali responsabilità penali", ha proseguito, e si intende "osservare il più rigoroso rispetto delle indagini". Non solo. "La presunzione costituzionale di non colpevolezza impone di non ascrivere le reponsabilità fino all'accertamento definitivo" dei fatti. "Pertanto comunica che nessun impegno può essere assunto", ha sottolineato. Redazione online 14 luglio 2010
il 5 luglio abbandona il ministro brancher, ora tocca al sottosegretario Cosentino Governo, la stagione delle dimissioni Il primo a lasciare è stato a maggio il ministro Scajola travolto dallo scandalo appalti e G8 (ma mai indagato) il 5 luglio abbandona il ministro brancher, ora tocca al sottosegretario Cosentino Governo, la stagione delle dimissioni Il primo a lasciare è stato a maggio il ministro Scajola travolto dallo scandalo appalti e G8 (ma mai indagato) Nicola Cosentino (Eidon) Nicola Cosentino (Eidon) MILANO - È il terzo addio forzato alla compagine governativa. Con le dimissioni da sottosegretario all'Economia di Nicola Cosentino a seguito del suo coinvolgimento in diversi scandali, ultimo dei quali quello relativo alla cosiddetta P3, il governo vede sgretolarsi definitivamente il muro della resistenza ad oltranza a qualsiasi inchiesta giudiziaria. SCAJOLA - Il primo a dover lasciare la poltronissima ministeriale è stato agli inizi di maggio il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, coinvolto (ma non indagato) nell'inchiesta sugli appalti del G8. Fatale l'accusa che la sua casa fronte Colosseo fosse stata acquistata in parte con i soldi del costruttore Anemone. Tra l'altro a oltre due mesi di distanza Scajola non è ancora stato sostituito. L'interim del ministero è infatti ancora nelle mani del premier Silvio Berlusconi. BRANCHER - Ancora più surreale il caso del ministro senza portafoglio per l'Attuazione del federalismo (i suoi veri compiti non sono mai stati chiariti) Aldo Brancher, al governo per soli 17 giorni dal 18 giugno al 5 luglio. Brancher che era sotto processo a Milano per i fatti relativi alla scalata ad Antonveneta, non appena diventato ministro si è avvalso infatti della legge sul legittimo impedimento per evitare di presentarsi alle udienze. Una scelta che ha provocato una fortissima riprovazione non solo da parte del mondo politico, ma anche da parte dell'opinione pubblica. E che ha finito addirittura per incorrere nella censura dello stesso capo dello Stato. Alla fine Brancher fu costretto non solo a presentarsi all'udienza in tribunale, ma in quella sede ha annunciato le sue dimissioni. COSENTINO - L'ultimo a dover lasciare l'esecutivo è Nicola Cosentino. Le sue dimissioni a seguito del coinvolgimento nel comitato d'affari che (secondo i magistrati) intendeva influenzare appalti e sentenze, sono arrivate soltanto dopo che il 21 luglio era stato fissato alla Camera il voto su una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Dimissioni le sue che sono però solo l'ultima puntata di una storia che ha visto anche le dimissioni da assessore all'avvocatura della Regione Campania da parte di Ernesto Sica, mentre Antonio Martone, avvocato generale della Cassazione, ha lasciato la magistratura. Fatale, come detto, per tutti l'inchiesta della Procura di Roma sulla cosiddetta P3, messa in piedi dall'imprenditore sardo Flavio Carboni, inchiesta nata da una costola delle indagini sugli appalti dell'eolico in Sardegna. Inchiesta che continua a mietere vittime eccellenti. Martedì, infatti, il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci ha revocato l'incarico al direttore generale dell'Agenzia regionale protezione dell'ambiente della Sardegna (Arpas), Ignazio Farris, anche lui coinvolto nelle indagini relative agli appalti sull'eolico nella quale è invischiato anche uno dei coordinatori del Pdl Denis Verdini che già risultava coinvolto nell'inchiesta su appalti e G8. Ma le indagini vanno avanti. E il 5 maggio scorso Berlusconi era stato facile profeta temendo un possibile effetto-domino. Chi sarà il prossimo? Redazione online 14 luglio 2010
LE INCHIESTE SU EOLICO E P3 "Il gruppo agì per conto di Formigoni "Cesare" pseudonimo del premier" Le informative dei carabinieri sulla presunta associazione segreta che faceva capo a Flavio Carboni * NOTIZIE CORRELATE * Eolico, Cosentino si dimette. "Voglio tutelare il governo" (14 luglio 2010) * E Berlusconi lo difende: "Innocente". Pd: Pdl cade a pezzi. Idv: ora l'arresto (14 luglio 2010) * L'Anm: "I magistrati coinvolti nelle inchieste si devono dimettere" (14 luglio 2010) * Governo, la stagione delle dimissioni (14 luglio 2010) * Pressioni sul Csm, affari, summit in autogrill di G. Bianconi (14 luglio 2010) LE INCHIESTE SU EOLICO E P3 "Il gruppo agì per conto di Formigoni "Cesare" pseudonimo del premier" Le informative dei carabinieri sulla presunta associazione segreta che faceva capo a Flavio Carboni Roberto Formigoni (Image) Roberto Formigoni (Image) MILANO - La presunta associazione segreta che faceva capo a Flavio Carboni, e su cui indaga ora la Procura di Roma, agì su mandato del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, chiedendo esplicitamente al presidente della Corte d'appello di Milano Alfonso Marra di "porre in essere un intervento nell'ambito della nota vicenda dell'esclusione della lista riconducibile al governatore dalle elezioni regionali 2010". Il particolare emerge da un'informativa del 18 giugno scorso dei carabinieri del nucleo investigativo di via In Selci di Roma, stilata nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3. Non solo. In una nota dell'informativa, i carabinieri spiegano, inoltre, che ""Cesare" è pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio" Silvio Berlusconi. Nel documento "Cesare" viene citato più volte dagli indagati come persona che deve essere informata sulle attività del gruppo. I militari dell'Arma si riferiscono in particolare ad un'intercettazione telefonica del 2 ottobre del 2009 tra l'ormai ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino e il giudice tributario Pasquale Lombardi a proposito del Lodo Alfano. Nell'intercettazione Cosentino dice a Lombardi che ""Cesare" è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6", ovvero il giorno dell'udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano. CITATA UNA TELEFONATA FORMIGONI-MARTINO -Nella informativa del 18 giugno, parlando dell'attività svolta dal gruppo occulto, i carabinieri definiscono emblematica la "vicenda che ha visto protagonista il neo presidente della Corte d'appello di Milano". "Non appena Marra - spiegano i militari dell'Arma - ha ottenuto, dopo un'intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (e in particolare da Pasquale Lombardi) sui membri del Csm, l'ambita carica, i componenti dell'associazione gli chiedono esplicitamente, peraltro dietro mandato del presidente Formigoni, di porre in essere un intervento nell'ambito della nota vicenda dell'esclusione della lista "Per la Lombardia"". Al riguardo, i carabinieri citano una telefonata del primo marzo 2010 di Formigoni all'imprenditore campano Arcangelo Martino nella quale chiede: "Ma l'amico, l'amico, l'amico Lombardo, Lombardo lì, Lombardi è in grado di agire". CALIENDO, MILLER E MARTONE Sempre nell'informativa del 18 giugno, i carabinieri spiegano che l'associazione segreta di cui fa parte Flavio Carboni ha potuto contare sul contributo del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, dell'ispettore capo di via Arenula, Arcibaldo Miller, e di Antonio Martone, presidente della commissione per la Valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche. "Il sodalizio - si legge nel documento - si giova dell'appoggio di due referenti politici, i parlamentari Dell'Utri Marcello e Verdini Denis e si avvale, per quanto concerne le attività di infiltrazione negli apparati pubblici operanti in Sardegna, di tre collaboratori del Carboni, Farris Ignazio, Cossu Pinello e Garau Marcello. Altri personaggi vicini al gruppo, che prendono parte alle riunioni nel corso delle quali vengono impostate le principali operazioni o che paiono fornire il proprio contributo alle attività d'interferenza, sono individuabili nei giudici Miller Arcibaldo, Martone Antonio e nel sottosegretario alla giustizia Caliendo Giacomo". LE REAZIONI - Chiamato in causa dall'informativa dei carabinieri, il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, ha prontamente smentito ogni coinvolgimento nel caso P3. Quanto alle notizie riportate dalle agenzie di stampa - si legge in una nota - in merito ad un possibile coinvolgimento di Formigoni, in un gruppo occulto che agì su suo mandato, il portavoce del governatore fa sapere che quanto emerso è "completamente falso e infondato". Un chiarimento chiesto a gran voce dal Pd, che ha invitato il governatore lombardo a "togliere ogni possibile dubbio sul suo coinvolgimento in attività di indebite pressioni legate alla possibile esclusione della lista "Per la Lombardia" alle recenti elezioni regionali". Da parte sua, anche il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, nega che l'associazione segreta denominata P3 possa essersi avvalsa del suo contributo, come invece riportato da un'informativa dei carabinieri. Redazione online 14 luglio 2010
"Il gruppo di potere occulto" Pressioni sul Csm e affari Quei summit in autogrill Formigoni e la mancata ispezione ai giudici di Milano per l'esclusione della lista alle elezioni regionali "Il gruppo di potere occulto" Pressioni sul Csm e affari Quei summit in autogrill Formigoni e la mancata ispezione ai giudici di Milano per l'esclusione della lista alle elezioni regionali ROMA - S’incontravano spesso all’autogrill del casello autostradale di Roma Sud, Flavio Carboni e Arcangelo Martino. Discutevano di affari e di politica, l’imprenditore-faccendiere sardo e l’ex politico napoletano. I carabinieri hanno trovato le loro facce nelle immagini del circuito interno di video-sorveglianza. Il 3 febbraio scorso, alle 19.22, Carboni e Martino erano lì. Mentre chiacchieravano Carboni cercava di telefonare a Denis Verdini, aveva fatto il numero ed era in attesa della risposta, e il registratore per le intercettazioni ha captato la voce di Martino che chiedeva: "C’era anche lui quando sei andato da Berlusconi?". Il riferimento era probabilmente a Verdini, mentre non si capisce a quale appuntamento col premier alludesse. Carboni non ha replicato. Il telefono del coordinatore del Pdl ha continuato a squillare a vuoto, e lui ha detto solo: "Stanno alla Camera, non mi risponde.... E non insisto". "Cosentino sa tutto" In altre occasioni, invece, l’imprenditore sardo e i suoi amici campani si sono rivelati molto insistenti. Anche nel cercare contatti altolocati nel mondo della politica. Più su di Verdini e Dell’Utri che - secondo il rapporto dei carabinieri - "partecipano alle attività di pianificazione ed esecutive relative ad alcune delle operazioni realizzate dal gruppo". Il 20 gennaio 2010, ad esempio, quando comincia "la manovra di killeraggio politico" nei confronti del candidato del centrodestra alla guida della Campania Caldoro, scelto al posto del sottosegretario Nicola Cosentino, Martino sollecita incontri e intreccia telefonate. Finché, parlando con Pasquale Lombardi (il geometra-giudice tributario, terzo arrestato nell’indagine sulla presunta associazione segreta), dice: "Io ho parlato con tutti e sto aspettando un invito, perché devo andare a vedere probabilmente dopo, prima dell’ufficio di direzione, che si fa alle otto, essa, essa, essa parla cù Berlusconi, mo vediamo". Lombardi chiede, riferendosi a Cosentino: "Ma Nicola sape qualcosa di questo?". E Martino: "Nicola sa tutto". Sette giorni dopo Martino dice a Cosentino, alludendo a Caldoro e alle abitudini sessuali che gli vorrebbero affibbiare: "Vabbuò, togliamo a culattone, adesso parliamo", e il sottosegretario risponde; "D’accordissimo, questo è l’obiettivo principale, poi tutto il resto è...". "Rinviamo la nomina a Milano?" Di Berlusconi parla anche Pasquale Lombardi, l’uomo delegato ai contatti con il mondo giudiziario, mentre discute con Cosentino delle disavventure giudiziarie derivanti dall’inchiesta per camorra a suo carico. "Decidessero pure loro chell’ che ann’a fa — dice il sottosegretario — ... io non ci sto a questa cosa". E Lombardi replica: "Infatti, se quella posizione di Berlusconi... invece di prenderla ieri, io ce lo dicette, l’avesse preso quindici, venti giorni fa il discorso di oggi sarebbe diverso". "Vuonno fa fuori a Berlusconi", dice Cosentino, e Lombardi: "Ma perché è colpa di Berlusconi, hai capito? Perché non si tratta... come lui, capo del governo, si mette a contrattare con un magistrato di merda, con un pubblico ministero, ma tu che cazzo mi dici, ma io c’avess fatto ’na cauciata e l’avessi fatt’ licenzià. I suoi consiglieri non so buoni...". Nonostante i pesanti apprezzamenti su certi magistrati, Lombardi sa essere molto ossequioso e insistente con le toghe quando cerca di ottenere qualcosa. Il 13 gennaio scorso telefona al Consiglio superiore della magistratura per parlare con il consigliere Cosimo Ferri. Prima s’intrattiene con la segretaria dicendo: "Noi dobbiamo riuscire per un paio di cose con Cosimo, se mi dà una mano ce la facimm e n ved bbuon pur iss"; ce la facciamo e se ne vedrà bene pure lui, traducono i carabinieri dall’irpino. Poi si fa passare Ferri e va subito al dunque: "Ce la facciamo se dovessimo... rinviare la nomina del procuratore di Milano a dopo di questo Consiglio?", chiede. Ferri risponde quasi scandalizzato: "Ma mica si possono fà ste cose così!". Dopo un po’ Lombardi passa a un’altra richiesta: "Vogliamo arrivare un po’ da Gianni Letta, me e te, un giorno ’e chist?". E Ferri: "Nooo! Ma cosa ci vai a fare...". Poco dopo, discutendo con un’altra persona, Lombardi si lamenta: "C’ho parlato sì, ma per telefono non si ponno dice molte cose quindi... è ’nu cazzo ’e guaio". Le manovre di Pasquale Lombardi con i magistrati hanno riguardato più di una volta la posizione del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Quando i giornali, all’inizio di dicembre 2009, informano di un avviso di garanzia a carico del governatore per un’inchiesta sull’inquinamento atmosferico, Lombardi comincia la caccia al procuratore aggiunto di Milano Nicola Cerrato, uno dei titolari dell’indagine. Lo stesso 1˚ dicembre Lombardi telefona ad Angelo Gargani, in servizio al ministero della Giustizia e fratello dell’ex eurodeputato di Forza Italia Giuseppe: "Stammi a sentire. Tu dovresti avere per regola il numero di Nicola Cerrato... vedi un poco se giovedì o massimo venerdì posso arrivare a Milano e mi fai fissare un appuntamento...". Gargani domanda: "Ma lui ti conosce?". E Lombardi: "E come non mi conosce. Pasqualino è amico di Giacomino (Caliendo, magistrato e sottosegretario alla Giustizia, ndr)... Si deve ricordare, se non ricorda glielo ricordi, gli dici che questa è roba nostra e deve venire un poco da te... tu gli dici che è l’amico di Giacomino, amico mio, è amico di tutti quanti...". Il giorno dopo Gargani chiama Lombardi: "Allora, Nicola ti aspetta domani all’una". "È il gran capo che ha bisogno" Il 9 dicembre i carabinieri ascoltano una telefonata in cui Lombardi si fa dare dal magistrato l’indirizzo per inviare delle bottiglie di vino: "Abbiamo il famoso Bue Arpis che è il migliore d’Italia, non sta neanche in commercio". Tre giorni dopo Lombardi chiama ancora: "Nicò, io sto il 17 a Milano, volevo parlare anche per tuo figlio, per vedere se gli posso far dare un arbitrato", e Cerrato quasi si schermisce: "Vabbè, poi ne parliamo, non ti preoccupare". Sempre nell’interesse del governatore lombardo, il "gruppo di potere occulto" cerca di spedire gli ispettori ministeriali dai giudici della corte d’appello di Milano che non hanno accolto il ricorso della Lista Formigoni, esclusa dalla competizione elettorale del marzo 2010. Lombardi dà quasi il tormento al sottosegretario Caliendo. Il 15 marzo Formigoni chiama Arcangelo Martino e chiede: "Scusami se ti rompo le balle, ma chi deve camminare sta camminando?". Nemmeno un’ora dopo ancora Lombardi chiama Caliendo: "Voleva sapere l’amico nostro di Milano se provvederai entro domani a fare quel servizio". Il sottosegretario sbotta: "Pasqualì, te lo sto a spiegà cinquanta volte, cazzo, ma perché... Gliel’ho mandato l’altro ieri, gliel’ho mandato già!". Le sollecitazioni si sovrappongono, ma il 23 marzo Formigoni dice che "colui che si è impegnato a camminare velocemente mi dice che non cammina affatto, che è stato consigliato a stare fermo dallo stesso Arci". Dall’esame di tutte le telefonate i carabinieri affermano che Formigoni si riferisce al ministro della Giustizia Angelino Alfano e all’ispettore-capo Arcibaldo Miller. Lo stesso governatore, in un’altra intercettazione, spiega che a chiamarlo è stato "Angelino", cioè il Guardasigilli. E si sfoga: "Io mi sono arrabbiato con lui, gli ho detto perché, anche perché sabato lui si era impegnato, gli ho detto "guarda che è il nostro capo che ha bisogno di una cosa del genere"... Sì, sì, faccio, faccio, poi invece... A questo punto ame sembra che è chiaro che la cosa non si fa". Martino annuisce, ma per Formigoni la questione non è chiusa: "Mi fai sapere per causa di chi e quali sono i motivi, chi è il colpevole? Chi sono i mandanti e quali sono i motivi?". Martino promette di verificare al più presto. Poco prima aveva avvisato il presidente della Lombardia: "Credo che ti arrivi quella mozzarella buona che fanno in casa, là... che è la cosa più importante". Formigoni sembra entusiasta: "È sempre splendida, ma tu Arcangelo... non muoverti, fai viaggiare la mozzarella, poi ti muovi quando è necessario, hai capito?". Giovanni Bianconi 14 luglio 2010
"Il Paese ha bisogno di responsabilità e di una piena governabilità" Berlusconi: "L'inchiesta P3? Solo polvere Basta con questo clima giacobino" Il premier e il caso eolico: "Sono solo quattro pensionati sfigati che si mettono insieme per cambiare l'Italia" * NOTIZIE CORRELATE * Inchiesta eolico, indagato anche Dell'Utri. Carboni voleva avvicinare i pm fiorentini (12 luglio 2010) * Il premier e l'inchiesta: "Una montatura" (13 luglio 2010) "Il Paese ha bisogno di responsabilità e di una piena governabilità" Berlusconi: "L'inchiesta P3? Solo polvere Basta con questo clima giacobino" Il premier e il caso eolico: "Sono solo quattro pensionati sfigati che si mettono insieme per cambiare l'Italia" Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Eidon) Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (Eidon) ROMA - L'inchiesta cosiddetta P3 sull'eolico che coinvolge anche esponenti molto vicini al presidente del Consiglio "è un polverone" e per questo motivo "non succede niente". A dirlo è lo stesso Silvio Berlusconi, intervenuto alla cena per i 30 anni di Capital, nel corso della quale è tornato anche a difendere la legge sulle intercettazioni ("era doverosa") e i contenuti della manovra economica correttiva a proposito della quale ha ribadito la necessità del voto di fiducia ("è un atto di coraggio, avremmo la migliore finanziaria tra quelle approvate in Europa"). Quanto all'inchiesta, che già aveva avuto modo di definire una "montatura", si è detto "sereno e tranquillissimo". Non solo: "Non state a leggere i titoli dei giornali - ha detto ancora il Cavaliere -. Stamattina hanno parlato di P3..." ma sono "quattro sfigati pensionati" ha detto riferendosi fra gli altri a Flavio Carbone. "Quattro sfigati pensionati - ha aggiunto - che si mettono insieme per cambiare l'Italia. Ma se non ci riesco io...". "CLIMA GIACOBINO" - Già in giornata il premier aveva fatto sapere la sua opinione diffondendo una nota tramite l'ufficio stampa di Palazzo Chigi. "Il clima giacobino e giustizialista nel quale alcuni stanno cercando di far ripiombare il nostro Paese non è certo d'aiuto", dice il premier nella nota. "Ma ancora una volta metterò tutto il mio impegno personale, assieme a quello del governo e della coalizione da me guidati e legittimati costantemente dal sostegno dei cittadini, per impedire che si ritorni a un passato che gli italiani non vogliono più. Intendo restare fuori dalle artificiose burrasche scatenate dalla vecchia politica politicante e da quanti, in maniera irresponsabile, giocano una partita personale a svantaggio dell'interesse di tutti", ha sottolineato. GOVERNABILITÀ - "Il Paese, in questa fase di uscita dalla crisi economica globale, ha bisogno di scelte precise e di responsabilità e quindi di una piena governabilità", ha aggiunto il presidente del Consiglio. "Il governo ha a cuore l'interesse dei cittadini e perciò intende portare a rapida approvazione la manovra che stabilizzerà il bilancio pubblico come ha chiesto l'Europa, pure in presenza di una situazione migliore dei nostri conti rispetto agli altri partner europei". Redazione online 13 luglio 2010(ultima modifica: 14 luglio 2010)
LE NUOVE VIE DELLA CORRUZIONE Il mercato più oscuro LE NUOVE VIE DELLA CORRUZIONE Il mercato più oscuro Le cronache giudiziarie stanno ridisegnando l’Italia come una piramide di comitati d’affari, con vetta a Roma ma poi estesa ovunque, in una specie di federalismo dell’arte di arrangiarsi. La cosiddetta P3 ne è l’ultima immagine, dove riemerge perfino Flavio Carboni, vecchio piduista che ebbe il suo momento ai tempi dell’assassinio del banchiere Roberto Calvi, trent’anni fa. Ma l’elenco è lungo: la cricca di Anemone e gli appalti del G8; gli impuniti della ricostruzione dell’Aquila; le speculazioni ospedaliere in Lombardia dove pure la spesa sanitaria rispetto al Pil è la metà di quella della Campania bassoliniana. Proseguire sarebbe stucchevole. Meglio chiedersi come mai ritorni la corruzione, ingigantita e non di rado bipartisan, mentre l’opinione pubblica sembra indignarsi sempre meno. La corruzione è ancora legata alla spesa pubblica: alle commesse opache, al mercato del diritto, agli incentivi furbeschi, che ora esplodono nell’eolico, domani chissà, ai pagamenti a piè di lista, per cui si operano i pazienti anche quando non serve. Ma rispetto agli anni pre-Mani Pulite c’è un cambiamento. Allora, l’industria parastatale e la pubblica amministrazione erano piegate al finanziamento dei partiti e dei loro dirigenti, spesso associati all’industria privata. Oggi, sono i faccendieri e le lobby che, materialmente o culturalmente, comprano i governanti, asservendoli. È l’inversione di una storia antica che ha nell’indebolirsi della politica la sua radice. Negli Anni 90, i partiti della Seconda Repubblica si gettarono alle spalle tessere, correnti, congressi e con essi l’idea che la leadership fosse da riconquistare ogni giorno, collegio per collegio. Le privatizzazioni furono sentite come l’alba della meritocrazia, dopo la corruzione. Con il tempo si è visto un nuovo tramonto: Parmalat, Popolare di Lodi, Telecom, Fastweb, Unipol, Rai, i traffici sul gas russo, i veleni su Finmeccanica. Un altro elenco lungo e stucchevole. Del quale, tuttavia, non si può tacere il finale: il crac del capitalismo finanziario anglosassone, fonte di ispirazione del riformismo italiano, su entrambi i lati dello schieramento politico. L’idea che la mera privatizzazione dell’economia potesse restituirci un’etica pubblica si è consumata nel falò delle vanità dei fondi che speculano senza costrutto e dei soliti noti che tosano le grandi imprese, nelle paghe smodate dei top manager, banchieri e non, mentre le disuguaglianze aumentano e l’ascensore sociale si ferma. Rimane la privatizzazione della politica. Che va oltre i conflitti d’interesse e contagia il sistema dei partiti dove i leader, o chi ha le chiavi della cassa, sono i padroni. Padroni blindati dalla legge elettorale che costringe i cittadini a votare i loro prescelti, sulla base di un’adesione ideologica in tempi senza ideologie. Come stupirsi se i prescelti, anonimi e miracolati a Roma quanto in provincia, subiscano la tentazione di mettersi al servizio di chi prometta la mancia? P.S. Che cosa aspettano il sottosegretario Nicola Cosentino e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, a dare le dimissioni o Silvio Berlusconi a pretenderle? O il Pdl a farsi sentire? Massimo Mucchetti 14 luglio 2010
LE REAZIONI / FINI: "UN ATTO DOVEROSO". Casini: "Gesto di ragionevolezza" "Condivido la scelta, ma è innocente" Berlusconi difende Cosentino: è leale. Franceschini: "Il Pdl cade a pezzi". E Di Pietro: "Ora il sì all'arresto" * NOTIZIE CORRELATE * Cosentino vede il premier, poi si dimette. "Ora penso al partito in Campania" (14 luglio 2010) LE REAZIONI / FINI: "UN ATTO DOVEROSO". Casini: "Gesto di ragionevolezza" "Condivido la scelta, ma è innocente" Berlusconi difende Cosentino: è leale. Franceschini: "Il Pdl cade a pezzi". E Di Pietro: "Ora il sì all'arresto" Silvio Berlusconi e Nicola Cosentino (Ansa) Silvio Berlusconi e Nicola Cosentino (Ansa) ROMA - Il primo a reagire alla notizia delle dimissioni di Nicola Cosentino da sottosegretario all'Economia era stato Massimo Donadi, capogruppo dei deputati dell'Idv, che che aveva parlato di "grande vittoria" del suo partito e di "profonda amarezza" per il fatto che il passo indietro sia arrivato soltanto dopo la calendarizzazione del voto di sfiducia. Ma tutto il mondo politico si è messo in movimento dopo l'annuncio del passo indietro del sottosegretario all'Economia. Anche il premier Silvio Berlusconi ha subito diramato una dichiarazione: "Ho condiviso la decisione di Nicola Cosentino di dimettersi da sottosegretario. Ho altresì avuto modo di approfondire personalmente e tramite i miei collaboratori la sua totale estraneità alle vicende che gli sono contestate. Sono quindi certo che la sua condotta durante la campagna elettorale per la Regione Campania è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro". Dall'opposizione, tuttavia, è subito partito il fuoco di fila contro la maggioranza e l'esecutivo. Per il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, "Cosentino non poteva fare altrimenti" e adesso "chiediamo che la Camera autorizzi il suo arresto". Non solo "Dopo la mozione di sfiducia contro Cosentino, l'IdV si prepara a chiedere una mozione contro l'intero governo Berlusconi". "Il governo Berlusconi sta cadendo a pezzi" ha detto invece il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini. "La nostra battaglia delle legalità e della trasparenza continua senza tregua" ha aggiunto, attaccando anche il Tg1 1 il Tg2 per aver "oscurato" il ruolo svolto dal Pd nella vicenda che ha portato alle dimissioni di Cosentino. Enrico Letta, vicesegretario del partito, ha invece evidenziato come "la maggioranza con le dimissioni di Cosentino dimostra di essere alle corde", insistendo sul fatto che "quella di oggi è la rivincita di due soggetti politici sull'arroganza del premier. È la rivincita del Pd che ottiene un altro risultato dopo le dimissioni di Brancher ed è la rivincita di Fini che dimostra di poter mettere sotto politicamente Berlusconi più di quanto i ragionamenti sui numeri dei mesi scorsi lasciavano intendere". Gianfranco Fini, dal canto suo, ha fatto sapere che quanto affermato da Cosentino dopo le dimissioni, ovvero che nel Pdl sarebbe in atto una manovra orchestrata dal presidente della Camera per prendere il potere tramite Bocchino, "mi lascia del tutto indifferente". E diplomaticamente ha aggiunto: "Dimettersi anche per potersi meglio difendere in sede giudiziaria era per l'onorevole Cosentino un atto indispensabile e doveroso". Un atto, ha proseguito Fini, "di correttezza istituzionale anche per una evidente e solare questione di opportunità politica". Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, che aveva anticipato la disponibilità del suo partito a votare la mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario, ha osservato che "le dimissioni di Cosentino sono un gesto di ragionevolezza. Resta il rammarico che abbia aspettato la presentazione della mozione di sfiducia: in certi casi la sensibilità non è forma ma sostanza". Redazione online 14 luglio 2010
il 5 luglio abbandona il ministro brancher, ora tocca al sottosegretario Cosentino Governo, la stagione delle dimissioni Il primo a lasciare è stato a maggio il ministro Scajola travolto dallo scandalo appalti e G8 (ma mai indagato) il 5 luglio abbandona il ministro brancher, ora tocca al sottosegretario Cosentino Governo, la stagione delle dimissioni Il primo a lasciare è stato a maggio il ministro Scajola travolto dallo scandalo appalti e G8 (ma mai indagato) Nicola Cosentino (Eidon) Nicola Cosentino (Eidon) MILANO - È il terzo addio forzato alla compagine governativa. Con le dimissioni da sottosegretario all'Economia di Nicola Cosentino a seguito del suo coinvolgimento in diversi scandali, ultimo dei quali quello relativo alla cosiddetta P3, il governo vede sgretolarsi definitivamente il muro della resistenza ad oltranza a qualsiasi inchiesta giudiziaria. SCAJOLA - Il primo a dover lasciare la poltronissima ministeriale è stato agli inizi di maggio il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, coinvolto (ma non indagato) nell'inchiesta sugli appalti del G8. Fatale l'accusa che la sua casa fronte Colosseo fosse stata acquistata in parte con i soldi del costruttore Anemone. Tra l'altro a oltre due mesi di distanza Scajola non è ancora stato sostituito. L'interim del ministero è infatti ancora nelle mani del premier Silvio Berlusconi. BRANCHER - Ancora più surreale il caso del ministro senza portafoglio per l'Attuazione del federalismo (i suoi veri compiti non sono mai stati chiariti) Aldo Brancher, al governo per soli 17 giorni dal 18 giugno al 5 luglio. Brancher che era sotto processo a Milano per i fatti relativi alla scalata ad Antonveneta, non appena diventato ministro si è avvalso infatti della legge sul legittimo impedimento per evitare di presentarsi alle udienze. Una scelta che ha provocato una fortissima riprovazione non solo da parte del mondo politico, ma anche da parte dell'opinione pubblica. E che ha finito addirittura per incorrere nella censura dello stesso capo dello Stato. Alla fine Brancher fu costretto non solo a presentarsi all'udienza in tribunale, ma in quella sede ha annunciato le sue dimissioni. COSENTINO - L'ultimo a dover lasciare l'esecutivo è Nicola Cosentino. Le sue dimissioni a seguito del coinvolgimento nel comitato d'affari che (secondo i magistrati) intendeva influenzare appalti e sentenze, sono arrivate soltanto dopo che il 21 luglio era stato fissato alla Camera il voto su una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Dimissioni le sue che sono però solo l'ultima puntata di una storia che ha visto anche le dimissioni da assessore all'avvocatura della Regione Campania da parte di Ernesto Sica, mentre Antonio Martone, avvocato generale della Cassazione, ha lasciato la magistratura. Fatale, come detto, per tutti l'inchiesta della Procura di Roma sulla cosiddetta P3, messa in piedi dall'imprenditore sardo Flavio Carboni, inchiesta nata da una costola delle indagini sugli appalti dell'eolico in Sardegna. Inchiesta che continua a mietere vittime eccellenti. Martedì, infatti, il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci ha revocato l'incarico al direttore generale dell'Agenzia regionale protezione dell'ambiente della Sardegna (Arpas), Ignazio Farris, anche lui coinvolto nelle indagini relative agli appalti sull'eolico nella quale è invischiato anche uno dei coordinatori del Pdl Denis Verdini che già risultava coinvolto nell'inchiesta su appalti e G8. Ma le indagini vanno avanti. E il 5 maggio scorso Berlusconi era stato facile profeta temendo un possibile effetto-domino. Chi sarà il prossimo? Redazione online 14 luglio 2010
Soldi del Sisde per ristrutturare le case di Scajola e Pittorru La Procura di Perugia ascolterà le telefonate che riguardano i politici * NOTIZIE CORRELATE * Scajola si dimette: "Devo difendermi" (4 maggio 2010) * Scajola, il ministro che si dimise 2 volte (4 maggio 2010) * Finta asta di casa Scajola al Colosseo (13 maggio 2010) La "cricca" Soldi del Sisde per ristrutturare le case di Scajola e Pittorru La Procura di Perugia ascolterà le telefonate che riguardano i politici Claudio Scajola in una foto d'archivio (Ansa) Claudio Scajola in una foto d'archivio (Ansa) PERUGIA — La procura di Perugia ha avviato l’ascolto delle telefonate rimaste finora segrete tra i componenti della "cricca" e i politici. Migliaia di conversazioni intercettate in oltre due anni di indagine che riguardano gli affari legati agli appalti dei Grandi Eventi, ma anche le nomine e gli accordi avvenuti all’interno delle strutture che hanno gestito l’organizzazione del G8 a La Maddalena e poi a L’Aquila, i Mondiali di Nuoto, le celebrazioni dei 150 dall’Unità d’Italia. E che potrebbero aggiungere nuovi dettagli a quanto è stato scoperto negli ultimi mesi attraverso le verifiche dei conti correnti degli indagati e i controlli effettuati sulle ristrutturazioni compiute dalle ditte del costruttore Diego Anemone. L’ultima informativa consegnata dalla Guardia di Finanza ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi fornisce nuovi dettagli sulle operazioni immobiliari effettuate per favorire l’ex ministro Claudio Scajola e il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru. È stato infatti accertato che le fatture da decine di migliaia di euro per il rifacimento dei loro appartamenti furono emesse a carico del Sisde e pagate con i soldi destinati al rifacimento della nuova sede degli 007 in piazza Zama, a Roma. Nove vani sul Colosseo Comincia tutto il 2 aprile del 2004 quando l’architetto Angelo Zampolini versa 285.000 euro per l’acquisto di un appartamento per Pittorru. "Il sistema—racconterà poi il professionista— è stato messo in piedi da Anemone che mi consegnava soldi in contanti e mi chiedeva di cambiarli in assegni circolari da mettere a disposizione al momento del rogito". Proprio come avvenuto per l’allora ministro per l’Attuazione del programma Scajola che di euro ne ha avuti 900.000 per la dimora vista Colosseo. Ma evidentemente non è bastato. E infatti, qualche mese dopo, quando in tutti questi immobili vengono avviate le ristrutturazioni, si trova il modo di regalare anche i lavori, materiali compresi. Il 16 settembre successivo, come risulta dalla Dia (la denuncia di inizio lavori) depositata al comune di Roma, è lo stesso Zampolini a dare il via al progetto per il rifacimento di casa Scajola affidata alla A.M.P srl di Daniele Anemone, fratello dell’imprenditore e lui stesso finito nel registro degli indagati per concorso in corruzione. Le piantine dimostrano che dai nove vani iniziali sono state ricavate altre due stanze e due bagni, per un prezzo che alla fine supererà i 150.000 euro. Meno fastosi ma pur sempre impegnativi sono i lavori effettuati nelle case di Pittorru. Il generale incontrava spesso Anemone e il commercialista Stefano Gazzani che a lui si sarebbero rivolti sperando di avere notizie sulle indagini in corso, anche tenendo conto che per anni era stato nella Guardia di Finanza. Da qui la decisione di far scattare l’accusa di corruzione. I fondi riservati Gli accertamenti condotti nelle ultime settimane proprio dagli investigatori delle Fiamme Gialle aprono però un nuovo scenario che potrebbe fornire ulteriori elementi a sostegno della contestazione. Proprio nel 2004 un’altra azienda del Gruppo, la "Anemone di Anemone Dino", è impegnata in un appalto ben più remunerativo: il rifacimento della caserma Zignani destinata a diventare una delle prestigiose sedi del Sisde, ora Aisi. I costi, inizialmente fissati in tre milioni di euro, lieviteranno fino a portare nelle casse della società circa 12 milioni. Dal 10 ottobre di quell’anno il direttore del Dipartimento tecnico-logistico del Sisde—l’ufficio che si occupa di sovrintendere a questo tipo di appalti—è proprio Pittorru. La Finanza ha acquisito le fatture emesse per le ristrutturazioni degli appartamenti dello stesso generale e di Scajola, le ha confrontate con gli atti acquisiti al Sisde. Poi ha interrogato i responsabili delle ditte che se ne occuparono per sapere chi pagò i conti. "Ci dissero — hanno spiegato — che tutto andava addebitato al Sisde come se quei lavori fossero stati compiuti all’interno della Zignani e così abbiamo fatto". Ora bisognerà scoprire se fu Pittorru ad autorizzare i mandati di pagamento, ma già si sa che sono stati utilizzati i fondi riservati, che la legge destina esclusivamente agli 007. Dischetti e brogliacci E proprio per verificare se nuovi elementi investigativi possano arrivare dalle telefonate rimaste finora segrete che i pm hanno ordinato l’ascolto di tutti i nastri e la trascrizione di quelli ritenuti utili all’inchiesta. I brogliacci trasmessi dai colleghi di Firenze danno conto di conversazioni registrate sui telefoni di Angelo Balducci, di Diego Anemone e degli altri indagati, compreso il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Ci sono vari contatti istituzionali e dunque con interlocutori di palazzo Chigi, del ministero delle Infrastrutture e del Turismo coinvolti nell’organizzazione dei Grandi Eventi, della Santa Sede. Ma ci sono anche colloqui privati tra personaggi che sono entrati nell’inchiesta soltanto nelle ultime settimane. Al termine di una prima verifica si era ritenuto che non ci fossero elementi rilevanti, ma alla luce di quanto è emerso in seguito si è deciso di effettuare una "rilettura" completa del materiale partendo proprio dalle sintesi contenute nei registri compilati dai carabinieri del Ros. Fiorenza Sarzanini 14 luglio 2010
2010-07-12 E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip De Donato Inchiesta eolico, indagato anche Dell'Utri Carboni voleva avvicinare i pm fiorentini Nei guai pure il sottosegretario Cosentino. Carboni tentò un contatto con i magistrati che indagano su G8 e appalti * NOTIZIE CORRELATE * Bocchino: "Pdl, Verdini si dimetta". No di Bondi e La Russa, è scontro (11 luglio 2010) * Caso Verdini, Cicchitto e Bondi attaccano Bocchino: "Dichiarazioni gravissime" (12 luglio 2010) E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip De Donato Inchiesta eolico, indagato anche Dell'Utri Carboni voleva avvicinare i pm fiorentini Nei guai pure il sottosegretario Cosentino. Carboni tentò un contatto con i magistrati che indagano su G8 e appalti Il senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri (Eidon) Il senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri (Eidon) ROMA - Associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete. Per questi reati sono stati iscritti sul registro indagati della Procura di Roma, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e il sottosegretario all’economia Nicola Cosentino, nell’ambito dell’inchiesta sull’eolico per la quale è finito in carcere Flavio Carboni. Per gli stessi reati sono indagati anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini - circostanza che sta creando malumori all'interno del partito - ed Ernesto Sica, ex assessore all'avvocatura della Regione Campania, e sono finiti in carcere, appunto, l'imprenditore sardo Flavio Carboni, il geometra Pasquale Lombardi e il costruttore Arcangelo Martino. Cosentino è indagato per l'episodio legato al dossier che puntava a screditare Stefano Caldoro, quale candidato alla presidentre della Regione Campania, e per le pressioni esercitate sulla Cassazione per una rapida fissazione dell'udienza in cui si doveva discutere della legittimità della misura cautelare emessa nei confronti del sottosegretario dalla magistratura napoletana. LA CENA DA VERDINI - Dell'Utri risulta tra i presenti alla cena a casa Verdini, il 23 settembre 2009, nel corso della quale il sodalizio guidato da Carboni avrebbe progettato un'azione di avvicinamento dei giudici della Corte Costituzionale che di lì a poco si sarebbero dovuti pronunciare sul Lodo Alfano. Stando al rapporto degli investigatori, a quella cena erano stati invitati, oltre a Carboni, anche Martino, Lomabrdi, il sottosegretario Giacomo Caliendo, e i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Le posizioni di ciascuno sono attualmente al vaglio dei pm romani. Il nome di Dell'Utri compare anche tra quelli che avrebbero preso parte a più riunioni svolte, tra gli altri, con Carboni, Verdini e Ugo Cappellacci, presidente della regione Sardegna, per gli appalti sull'energia eolica. L'"AGGANCIO" AI PM DEL G8 - Per quanto riguarda Carboni, Lombardi e Martino, intanto, all'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata nei giorni scorsi dal gip Giovanni De Donato nei loro confronti si evince inoltre che i tre volevano avvicinare anche i magistrati della procura di Firenze che stavano indagando sui Grandi Eventi e sugli appalti legati al G8. Secondo gli inquirenti, il gruppo utilizzava l'associazione culturale "Centro studi giuridici per l'integrazione europea Diritti e Libertà" di Lombardi come strumento "per acquisire e rafforzare utili conoscenze nell'ambiente della politica e della magistratura". Tra le iniziative, poi annullate in seguito al fallito intervento di fare accogliere il ricorso elettorale della lista "Per la Lombardia" di Roberto Formigoni e organizzate tramite l'associazione culturale, "l'invito al convegno milanese programmato per il marzo 2010 (e poi annullato) rivolto ai magistrati della Procura di Firenze dopo l'esecuzione di alcune misure cautelari ad opera di quell'ufficio, nel mese di febbraio 2010, in relazione ad alcune ipotesi di reato che coinvolgevano rappresentanti della pubblica amministrazione, del mondo politico e dell'imprenditoria". 12 luglio 2010
la replica dell'esponente finiano: "non c'è alcun complotto" Caso Verdini, Cicchitto e Bondi attaccano Bocchino: "Dichiarazioni gravissime" "La dichiarazione di essere a conoscenza dei verbali di intercettazioni è di una gravità inaudita" la replica dell'esponente finiano: "non c'è alcun complotto" Caso Verdini, Cicchitto e Bondi attaccano Bocchino: "Dichiarazioni gravissime" "La dichiarazione di essere a conoscenza dei verbali di intercettazioni è di una gravità inaudita" Sandro Bondi (Imagoeconomica) Sandro Bondi (Imagoeconomica) MILANO - E' ancora scontro all'interno del Pdl sulle conseguenze politiche dell'inchiesta relativa agli appalti sull'energia eolica in Sardegna che vedono coinvolto uno dei coordinatori del partito, Denis Verdini. "La dichiarazione dell'onorevole Bocchino di essere a conoscenza dei verbali di intercettazioni riguardanti indagini giudiziarie in corso, che secondo lui saranno pubblicate a breve sui mezzi di comunicazione, secondo il mal costume in voga nel nostro Paese, è di una gravità inaudita" affermano, in una nota congiunta, Sandro Bondi, vice coordinatore del Pdl e Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del PdL, tornando su quanto affermato da Italo Bocchino, secondo il quale Verdini "sarà costretto a dimettersi quando emergeranno le intercettazioni che hanno portato a indagare lo stesso Verdini". "A questo punto - proseguono Bondi e Cicchitto - Bocchino ha l'obbligo di riferire come sia giunto in possesso di tali verbali, in che modo e attraverso quali canali. Questa vicenda dimostra a quale livello di degrado e di spregiudicatezza giungano alcuni esponenti politici. Inoltre rivela - se fosse confermata - l'intreccio perverso non solo tra una parte della magistratura e il mondo dell'informazione, ma anche tra ambienti giudiziari e esponenti politici, che utilizzano notizie coperte da segreto istruttorio come strumento di lotta politica. Si tratta - concludono - di una vicenda dai contorni gravi e oscuri, che ci auguriamo sia chiarita sia dal punto di vista giudiziario che politico". LA REPLICA DI BOCCHINO - "Gli amici Bondi e Cicchitto possono star tranquilli che non c'è alcun complotto in giro, nè misteri" replica Italo Bocchino presidente di Generazione Italia. "Quando ho parlato di atti che a mio giudizio porranno un problema di opportunità politica a Berlusconi sul caso Verdini, mi riferivo semplicemente all'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carboni e soci, documento in possesso di tutte le redazioni dei giornali. A pagina 50 si parla di un'informativa dei carabinieri di duemila pagine con allegate altre 4000 pagine di atti e documenti, gran parte intercettazioni. Sempre a pagina 50 c'è scritto che il pm allo stato ha formalizzato richieste solo per il reato associativo e non per i delitti-fine quali corruzione, abuso d'ufficio e altro, chiarendo a pagina quattro di aver utilizzato soltanto le telefonate con parlamentari necessarie a sostenere la misura nei confronti degli altri indagati. Tutto chiaro e limpido pertanto - conclude Bocchino - senza alcun mistero". Redazione online 12 luglio 2010
Napoli|Il governatore si disse obbligato a dargli un assessorato Complotto contro Caldoro: Sica cede e abbandona l’incarico Faccia a faccia sul dossier con le carte false sui trans Napoli|Il governatore si disse obbligato a dargli un assessorato Complotto contro Caldoro: Sica cede e abbandona l’incarico Faccia a faccia sul dossier con le carte false sui trans Ernesto Sica Ernesto Sica NAPOLI — Inevitabilmente, l’assessore all’Avvocatura della Regione Campania, Ernesto Sica, si dimette. Non poteva restare nella giunta guidata dall’uomo che in campagna elettorale aveva contribuito a cercare di distruggere, preparando un falso dossier con lo scopo di costringere Caldoro a rinunciare alla candidatura a governatore cui era approdato al posto dell’impresentabile Nicola Cosentino, accusato di rapporti con la camorra dei Casalesi e salvato dal parlamento che respinse la richiesta d’arresto della Procura antimafia di Napoli. Sica è indagato nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Flavio Carboni, dell’ex socialista napoletano Arcangelo Martino, e di Pasquale Lombardi, ex sindaco di un paese irpino, e il dossier che avevano presentato tendeva a far passare Caldoro come cliente abituale di transessuali. Ieri Caldoro e Sica si sono incontrati. Il primo voleva chiarire, l’altro voleva soprattutto capire perché l’assessore continuava a prendere tempo, quando sarebbe stato ovvio che si facesse da parte appena la storia del complotto è venuta fuori. Voleva capire, Caldoro, se Sica fosse così sprovveduto da non rendersi conto di non aver altra scelta, o se ritardasse le dimissioni sentendosi forte per i suoi rapporti all’interno del partito. Lui è stato infatti l’assessore più atipico del nuovo governo regionale. Sindaco di Pontecagnano, paese alle porte di Salerno, non aveva mai conosciuto Caldoro prima di essere chiamato a far parte della giunta. Però conosceva bene Cosentino, che infatti ne è stato lo sponsor, e la sua nomina è uno dei prezzi che Caldoro ha dovuto pagare al potentissimo coordinatore del Pdl in Campania, oltre che sottosegretario all’Economia con delega al Cipe. Al termine dell’incontro che ha portato alle dimissioni di Sica non c’è stato né il chiarimento che diceva di volere l’assessore (il suo presidente non l’ha mai sopportato, voleva solo che se ne andasse e sabato si era pure rifiutato di incontrarlo), né quello cui puntava Caldoro, che sa bene come il tentato killeraggio non poteva avere che uno scopo politico, e che se l’operazione fosse andata in porto, l’unico a beneficiarne sarebbe stato Cosentino, sul quale — bruciatosi l’unico concorrente— il Pdl avrebbe puntato nonostante i guai giudiziari. Quindi per Caldoro la questione è tutt’altro che risolta. La pratica Sica si è chiusa nell’unico modo possibile, ma resta in piedi la necessità del chiarimento politico. La nota diffusa ieri sera dall’ufficio di presidenza della giunta parla di dimissioni che "nascono dal pieno rispetto dei ruoli istituzionali" e "per evitare ogni strumentalizzazione che possa indebolire l’azione politica ed amministrativa della giunta". Caldoro ha sempre rivendicato la propria autonomia dai poteri forti anche del suo stesso partito, ma poi è stato lui stesso ad ammettere di essere stato praticamente costretto a dare un assessorato a Sica, e difficilmente questa è stata l’unica decisione presa in funzione del peso di Cosentino e dei suoi uomini. Quindi, al di là degli atti formali e delle parole di circostanza, è probabile che la storia del complotto ordito dalla banda Carboni con la complicità di Sica, sfoci in una sorta di regolamento di conti all’interno del Pdl campano. Fulvio Bufi 12 luglio 2010
gli altri due coordinatori: "Il giustizialismo non fa parte della cultura del partito" Bocchino: "Pdl, Verdini si dimetta" No di Bondi e La Russa, è scontro Il finiano all'attacco: "Berlusconi risolva il caso come ha fatto con Brancher" gli altri due coordinatori: "Il giustizialismo non fa parte della cultura del partito" Bocchino: "Pdl, Verdini si dimetta" No di Bondi e La Russa, è scontro Il finiano all'attacco: "Berlusconi risolva il caso come ha fatto con Brancher" Italo Bocchino Italo Bocchino ROMA - "Da amico mi auguro che Denis Verdini sappia dimostrare la sua innocenza", ma "dal punto di vista politico c'è un enorme problema di opportunità che il premier non può far finta di non vedere. Il Berlusconi 'ghe pensi mi' come ha risolto il caso Brancher così deve risolvere il caso Verdini". Hanno sollevato nuove polemiche all'interno del Pdl le parole pronunciate dal finiano Italo Bocchino. In una intervista a La Stampa, il vicapogruppo del Pdl alla Camera chiede che Denis Verdini lasci il suo ruolo all'interno del Pdl e invoca le dimissioni anche per Ernesto Sica e Nicola Cosentino. "La cosa davvero preoccupante è il risvolto di malcostume nel partito", ha sottolineato il deputato. "C'è un problema della classe dirigente del Pdl che non riesce a interpretare il progetto originario di Berlusconi e Fini. La degenerazione è arrivata a livelli di guardia con spericolate e vergognose operazioni di dossieraggi contro esponenti del partito", ha aggiunto. BONDI E LA RUSSA - In campo a difesa di Verdini scendono però gli altri due coordinatori del Pdl, Sandro Bondi e Ignazio La Russa. "In riferimento ad alcune prese di posizione desideriamo ricordare che la cultura del Pdl non è il giustizialismo né la condanna preventiva emessa sui mezzi di comunicazione" si legge in una nota congiunta. "Questo principio di cultura liberale e di rispetto della dignità di ogni persona vale sia per i nostri avversari politici che per gli esponenti del nostro partito. In questo caso vale naturalmente per l’on verdini al quale rinnoviamo la nostra solidarietà. E questo principio vale sempre - concludono i coordinatori Pdl - e per chiunque sia stato coinvolto in indagini giudiziarie, senza che sia intervenuto un giudizio di merito della magistratura". L'INCHIESTA - L'inchiesta sugli appalti per gli impianti eolici in Sardegna, condotta dalla Procura di Roma e che vede coinvolto Verdini, si arricchisce intanto di nuovi elementi. Per i magistrati capitolini quella che emerge fin qui dalle indagini sarebbe una "associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti" e volta "a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali nonché degli apparati della pubblica amministrazione". Tra gli indagati figurano oltre a Verdini, accusato, come gli altri, di violazione della legge Anselmi sulla costituzione delle associazioni segrete, l'imprenditore sardo Flavio Carboni, l'ex esponente della Dc campana, Pasquale Lombardi e l'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino, arrestati tre giorni fa. A questi si aggiunge ora l'assessore regionale della Campania Ernesto Sica. MARTONE LASCIA LA TOGA - Nel frattempo, avrebbe deciso di dire definitivamente addio alla toga Antonio Martone, avvocato generale in Cassazione, che secondo l'inchiesta romana sull'associazione per delinquere messa in piedi da Carboni, avrebbe partecipato alla cena del 23 settembre scorso nella casa romana del coordinatore di Verdini. Nel corso di quell'incontro si sarebbe discusso di un tentativo di avvicinamento dei giudici della Consulta che dovevano decidere sul Lodo Alfano. La notizia, anticipata dal Fatto Quotidiano, ha trovato conferma in ambienti del Csm, secondo i quali però quella di Martone non sarebbe una istanza di dimissioni ma di una domanda di pensionamento.Martone ha 69 anni ed è in magistratura dal 1965, in passato è stato presidente dell'Anm e dell'autorità garante sul diritto di sciopero. La richiesta di lasciare la toga sarebbe stata presentata venerdì scorso. Alla famosa cena nella casa di Verdini avrebbero partecipato anche il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller, oltre a Carboni e all'ex assessore del Comune di Napoli Arcangelo Martino e all'ex giudice tributario Raffaele Lombardi. Proprio commentando gli ultimi sviluppi dell'inchiesta della procura di Roma, il presidente dell'Anm Luca Palamara e il segretario generale Giuseppe Cascini hanno spiegato che "il tema della questione morale non ammette indugi e tentennamenti. Non vogliamo magistrati contigui al potente di turno e vicini ai comitati d'affari. Vogliamo, invece, magistrati indipendenti e integri la cui attività si affermi nelle aule di giustizia e non nei salotti" hanno dichiarato Palamara e Cascini. Redazione online 11 luglio 2010(ultima modifica: 12 luglio 2010)
La vicenda giudiziaria fa riferimento a fatti avvenuti tra il 1990 e il 1997 Droga, il generale Ganzer è stato condannato a 14 anni L'attuale comandante del Ros "aveva costituito un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti" * NOTIZIE CORRELATE * Il generale dei mega blitz con la fiducia dei due poli di Luigi Ferrarella (15 aprile 2010) * Chiesti 27 anni di carcere per comandante dei Ros (14 aprile 2010) * Le 163 udienze contro il capo dei Ros di Luigi Ferrarella (3 marzo 2010) La vicenda giudiziaria fa riferimento a fatti avvenuti tra il 1990 e il 1997 Droga, il generale Ganzer è stato condannato a 14 anni L'attuale comandante del Ros "aveva costituito un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti" MILANO - Il generale Giampaolo Ganzer, attuale comandante del Ros, è stato condannato a 14 anni di carcere a Milano nell'ambito del processo su presunte irregolarità in operazioni antidroga condotte negli anni '90 da un piccolo gruppo all'interno del reparto speciale dell'Arma. IL PM AVEVA CHIESTO 27 ANNI - Il comandante del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei carabinieri Giampaolo Ganzer è stato condannato per "aver costituito un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, al peculato, al falso e ad altri reati, alfine di fare una carriera rapida". Davanti ai giudici dell’ottava sezione penale presieduta da Luigi Capazzo, il pm Luisa Zanetti aveva chiesto 18 condanne tra i 5 e i 27 anni di reclusione. La pena più alta era stata chiesta proprio per il generale Ganzer e per Mauro Obinu, ex ufficiale del Ros poi passato al Sisde. La complessa vicenda giudiziaria che vede imputato l’attuale capo del Ros fa riferimento a fatti avvenuti tra il 1990 e il 1997, ed era iniziata a Brescia, poi era stata trasferita a Milano per la presenza tra gli indagati del magistrato Mario Conte (processato da solo e a parte), quindi andata a Bologna e infine riassegnata dalla Cassazione al capoluogo lombardo quando erano scaduti tutti i termini per gli accertamenti. IL GENERALE: "LE SENTENZE SI RISPETTANO" - "Le sentenze non si possono che rispettare. Aspettiamo le motivazioni". E' stato questo il primo commento del generale Giampaolo Ganzer dopo la sua condanna. "Questa è una sentenza eccezionalmente complessa, con una chiave di lettura sofisticata da parte dei giudici". Uno dei suoi legali, l'avvocato Fabio Belloni, difensore anche di Gilberto Lovato e Rodolfo Arpa (due ex sottoufficiali condannati rispettivamente a 13 anni e 6 mesi e a 10 anni), ha espresso soddisfazione perché i giudici hanno "cancellato" il reato associativo contestato agli imputati. "La condanna per i singoli fatti e non per il reato associativo - ha spiegato il legale - può voler dire che i giudici hanno riconosciuto la legittimità dell'impianto delle operazioni antidroga, ma contestato l'illegittimità di singole operazioni e singoli fatti". Il modo in cui, secondo l'avvocato, "i giudici hanno cesellato i reati "satellitari" rispetto all'associazione porta a dire che questa è una sentenza eccezionalmente complessa". 12 luglio 2010
Ganzer sotto accusa per "deviazioni nell' Arma connesse a operazione antidroga" Le 163 udienze contro il capo dei Ros L' ufficiale che ha diretto l' inchiesta su Fastweb è imputato di associazione per delinquere Ganzer sotto accusa per "deviazioni nell' Arma connesse a operazione antidroga" Le 163 udienze contro il capo dei Ros L' ufficiale che ha diretto l' inchiesta su Fastweb è imputato di associazione per delinquere MILANO - Appena l' altro giorno, come comandante dei carabinieri del Ros già artefici della recente inchiesta sugli appalti della Protezione civile di Bertolaso, era a fianco del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso alla conferenza stampa dei 59 arresti per la storia di maxifrode fiscale, politica e ' ndrangheta attorno alla telefonia di Fastweb e Telecom Sparkle. Ieri lo stesso comandante del Ros, generale Giampaolo Ganzer, era in Tribunale a Milano. Da imputato, però, di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Imputato (con il colonnello Mauro Obinu, con una dozzina di persone, e in uno stralcio con l' allora pm bergamasco Mario Conte) in quello che - esordisce ieri il pm Luisa Zanetti nella requisitoria - "non è un processo a carico del Ros, non è un atto d' accusa all' Arma di cui tutti riconoscono il valore e l' impegno: questo è un processo alle deviazioni all' interno dell' Arma" nelle operazioni antidroga 1991-1997. Deviazioni per il pm "cresciute, nutrite, tollerate prima e incoraggiate poi, strutturate, organizzate pur di produrre risultati a qualsiasi costo anche con un metodo oscuro e illecito". Quale? Il metodo "di creare traffico di droga prima al fine di reprimerlo poi, usando a tal fine le conoscenze investigative, strumentalizzando le risorse dell' Arma, inducendo a importare droga trafficanti-fonti" poi "non perseguiti" e "arricchitisi con i soldi versati dagli acquirenti e mai sequestrati", e "arrestando persone di sicuro interessate al narcotraffico ma ad esso istigati dai militari e dalle loro fonti". A differenza di altri dirigenti di forze dell' ordine al centro di indagini, il generale non si è mai visto ritirare la fiducia dalla propria Amministrazione, non è stato sospeso nè trasferito, ha continuato e continua a comandare il Ros: nel contempo ha partecipato a moltissime delle 163 udienze celebrate, intervenendo con pignole dichiarazioni spontanee alla fine di tanti dei 300 testimoni ascoltati dal 5 ottobre 2005. Del resto, già la sola udienza preliminare era durata 40 udienze in 7 mesi. E, prima ancora, l' inchiesta nata a Brescia nel 1997 (pm Fabio Salamone) era passata a Milano (pm Davigo, Boccassini e Romanelli) perché coinvolgeva un pm bergamasco, salvo poi essere mandata a Bologna (per un episodio a Ravenna), restituita da Bologna a Milano, girata a Torino e rispedita a Bologna, che sollevò conflitto di competenza in Cassazione, la quale stabilì infine la competenza di Milano (ereditata dai pm Zanetti e Borgonovo). Nel mirino del pm, soprattutto 6-7 militari del gruppo di Bergamo: "Ma tra i superiori a Roma, da cui in sostanza dipendevano, nessuno obiettava, tutto era accettato". E "poiché non è credibile che il metodo fosse subìto passivamente, significa che anche dai superiori, informati delle attività, tutto era condiviso, autorizzato, deciso, elaborato". Perciò questo "è un processo amaro" che "si è dovuto fare ugualmente. Perché le deviazioni non possono essere imboscate". Requisitoria (10 udienze) e arringhe (poi fino a maggio) ieri sono state precedute da un elemento nuovo, datato 1 febbraio 2009 ma depositato agli atti dal pm solo il 17 dicembre scorso: l' interrogatorio, fatto dai carabinieri di Bari delegati dal pm Desiree Digeronimo, di Massimo Napoletano, secondo il quale il "collaboratore" origine dell' indagine (Biagio Rotondo, poi riarrestato per detenzione d' una pistola e impiccatosi in carcere nel 2007) gli confidò d' aver ordito un piano per screditare il generale Ganzer. (da archivio Corriere della Sera 3 marzo 2010) Luigi Ferrarella 12 luglio 2010
In Italia l’imponibile che sfugge al fisco è di circa 300 miliardi Nullatenenti in affitto a Porto Cervo Il 47% si dichiara senza reddito, persino con la social card In Italia l’imponibile che sfugge al fisco è di circa 300 miliardi Nullatenenti in affitto a Porto Cervo Il 47% si dichiara senza reddito, persino con la social card Una veduta di Porto Cervo (Ansa) Una veduta di Porto Cervo (Ansa) ROMA — Se vedete un signore a bordo di una fiammante fuoriserie varcare il cancello di una lussuosa villa che ha appena affittato a Porto Cervo, Capri, Forte dei Marmi, Positano, oppure, perché no, Portofino e Taormina, farete bene a compatirlo: nel 47% dei casi, secondo Contribuenti.it. è nullatenente o pensionato con la social card nel portafoglio. Accanto, s'intende, a una carta di credito oro ben fornita, trattandosi evidentemente di evasori o loro prestanome. Ma è possibile che in questo Paese la faccia tosta sia una caratteristica tanto diffusa? Purtroppo lo è anche di più. Diversamente quello del "finto povero" non sarebbe diventato uno sport nazionale. Basta scorrere le notizie che finiscono in due righe in fondo a una pagina di giornale. Una volta la Guardia di finanza ha pizzicato a Siena un signore che aveva chiesto il contributo per pagare la pigione spettante agli indigenti: aveva due ville e quattro appartamenti. Proprio così. In un'altra occasione è stato sufficiente controllare a fondo il parco macchine di un caseggiato popolare per scoprire fra gli assegnatari degli alloggi i proprietari, rispettivamente, di una Porsche Carrera, una Jaguar e un Suv Volkswagen Tuareg. E questo a Padova, non a Napoli, dove il 59,9% degli occupanti abusivi delle abitazioni Iacp e addirittura il 78% di quelli comunali dichiara di vivere d'aria. D'altra parte, come si spiegherebbero le stime, probabilmente vere per difetto, che qualificano l'Italia come la Patria degli evasori: dove 300 miliardi di euro l'anno di imponibile sfuggono completamente alla Finanze, con il risultato di veder sfumare incassi per almeno 100 miliardi? Per inciso, si tratta di una volta e mezzo la somma che ogni dodici mesi paghiamo per interessi sul nostro gigantesco debito pubblico. Una situazione, sia chiaro, che il fisco conosce fin troppo bene. Basta ricordare le parole con cui il ministro dell'Economia Giulio Tremonti denunciò nel maggio 2004 durante una infuocata riunione della maggioranza di centrodestra la scandalosa contraddizione fra le appena 17 mila persone che allora dichiaravano un reddito superiore a 300 mila euro e le 230 mila auto di lusso uscite ogni anno dai concessionari: 13 volte e mezzo di più. Il fatto è che da allora le cose non sono certamente migliorate in modo radicale. Non è questa la sede per indagare sulle ragioni. Ma è un fatto che nel 2007 il numero dei contribuenti con un reddito superiore a 200 mila euro non superava 76 mila, cioè lo 0,18% del totale. Esattamente, 75.689. E il 56,8% di loro, ossia più di 43 mila, erano lavoratori dipendenti, mentre il 25% era rappresentato da pensionati: 18.811. Sapete quanti invece fra i due milioni e passa di "percettori di reddito d'impresa" dichiaravano di aver incassato oltre 200 mila euro? Soltanto 6.253. Per non dire delle società. A guardare i numeri verrebbe da pensare che fra gli imprenditori italiani ci siano eserciti di masochisti. Le società di capitali che hanno chiuso il bilancio 2007 (quello prima della grande crisi) il perdita sono state addirittura il 45% del totale. Tutti sfortunati, incapaci, sprovveduti? Oppure furbacchioni? Fatevi un giro nelle banche dati delle Camere di commercio, e scoprirete che l'Italia è anche la Patria delle società di comodo. Quelle che vengono create da privati cittadini per custodire dietro uno schermo societario la proprietà della barca, della casa, della villa al mare. E chiudere il bilancio in perdita, in questi casi, è un toccasana fiscale mica da ridere. Senza parlare delle scatole costituite al solo scopo di rastrellare falsi crediti Iva: ma questa non è evasione, è truffa. Va da sé che una società già non particolarmente predisposta, anche per ragioni storiche, alla fedeltà fiscale, di tutto avrebbe bisogno tranne che di ulteriori incentivi a non rispettare le regole. I quali però, negli ultimi trent'anni, sono stati assai frequenti. I condoni fiscali, per esempio. Dal 1982 ce ne sono stati tre di quelli tombali, senza che l'effetto positivo tanto decantato ogni volta, quello di "far emergere base imponibile" sia stato tangibile. Anzi. Che gli evasori, una volta regolate le pendenze passate con il fisco, ovviamente senza nemmeno subire le sanzioni che avrebbero meritato, si "immergano" di nuovo aspettando il prossimo condono, è ormai accertato. Guardiamo la vicenda del cosiddetto scudo fiscale. La prima opportunità offerta nel 2002-2003 a chi aveva illegalmente esportato capitali all'estero senza pagarci le tasse diede un risultato clamoroso: vennero regolarizzati circa 70 miliardi di euro, che per il 60% erano stati portati in Svizzera da cittadini residenti in Lombardia. "Pochi giorni e poi partiranno controlli severissimi", proclamò il fisco. Per dissuadere gli evasori nostrani e i finti poveri con la mania delle banche offshore dal riprendere l'odioso traffico, Tremonti minacciò di installare le telecamere davanti alle frontiere elvetiche. Trascorsi appena sei anni, ecco un nuovo scudo fiscale, con risultati ancora più clamorosi. I miliardi di euro regolarizzati, questa volta, sono stati ben 106: molti di questi, è prevedibile, usciti dall'Italia dopo il 2003. Per andare da dove a dove? Ancora una volta in gran parte dalla Lombardia verso la Svizzera. Ancora... alla faccia delle telecamere. Sergio Rizzo 12 luglio 2010
2010-07-11
* NOTIZIE CORRELATE * Bocchino: "Verdini si dimetta da coordinatore Pdl" Contatti e sospetti Un passo indietro Denis Verdini Denis Verdini Dopo la presunta corruzione negli appalti legati ai Grandi Eventi a Firenze, la stessa accusa è arrivata per la realizzazione degli impianti eolici in Sardegna, con il sospetto che la banca di cui è presidente sia stata utilizzata per l’eventuale riciclaggio. E ora il carnet dell’onorevole Denis Verdini si arricchisce di una nuova ipotesi di reato: "associazione segreta", in combutta con personaggi dal passato non proprio limpido. Come Flavio Carboni, una condanna a 9 anni per bancarotta fraudolenta, tralasciando le traversie dalle quali è uscito indenne; o come Arcangelo Martino, 3 anni per concussione. L'unico incensurato della compagnia è Pasquale Lombardi, ora anche lui in cella. Tutti e tre — ciascuno col proprio passato e il proprio presente — si sono trovati a casa sua, del coordinatore nazionale del Popolo della libertà, insieme a personaggi con ruoli istituzionali come un sottosegretario alla Giustizia o il capo degli ispettori dello stesso ministero. E con il senatore Marcello Dell'Utri, appena ricondannato in appello (con pena lievemente ridotta) per concorso in associazione mafiosa. Per discutere, secondo l'accusa, su come orientare il voto dei giudici costituzionali chiamati a decidere sul "lodo" che bloccava i processi a carico del premier e fondatore del partito di cui Verdini è uno dei responsabili. Ma non sarebbe quello l'unico condizionamento tentato nei confronti di organi costituzionali e amministrativi dello Stato. Naturalmente si tratta di mere ipotesi dei magistrati inquirenti: i processi andranno come andranno, e bisognerà verificare se le prove raccolte fin qui siano tali. Però i fatti restano, al di là della loro rilevanza penale e della possibilità di dimostrare che si tratta di reati. Può darsi anche di no, ma gli incontri a casa Verdini ci sono stati, e le telefonate pure. Così come sono avvenute le conversazioni in cui le pressioni extra-istituzionali si possono almeno intravedere, e le riunioni con il governatore della Sardegna per caldeggiare la nomina di una persona gradita all'imprenditore che non vuole essere chiamato "faccendiere", anche se con quella fama è noto alle cronache. Dunque è lecito chiedersi, fuori dal contesto giudiziario: perché invitare a pranzo Carboni (sotto processo per l'omicidio Calvi) insieme a un sottosegretario e un alto funzionario del ministero della Giustizia? Perché tanta confidenza con chi spinge per la candidatura di un politico inquisito per camorra alla presidenza della Campania, e quando ne viene scelto un altro organizza una messinscena per screditarlo pubblicamente, anche se ormai è il candidato del proprio partito? Può una persona che mostra di essere almeno a conoscenza delle manovre di certi personaggi rimanere al vertice del partito di maggioranza relativa? In una telefonata intercettata il 20 febbraio con Carboni, all'indomani delle notizie sul proprio coinvolgimento nell'inchiesta fiorentina, Verdini si lamenta: "Mi costringono ad essere anche maleducato da ora in avanti... di non rispondere... di non parlare... di non aiutare la gente... Diventa un reato anche parlare con te!". Forse sarebbe meglio ricorrere a tanta prudenza prima di scoprire di essere incappato in un'indagine penale; Verdini non l'ha ritenuto opportuno, ed è una scelta legittima. Ma ora che altri contatti e altri sospetti sono venuti alla luce, non sarebbe il caso di farsi da parte, magari rinunciando alla carica che ricopre, per evitare di mettere in ulteriore difficoltà il partito di cui è uno dei più autorevoli esponenti? Per motivi di opportunità politica, non giudiziari. E per provare ad essere più credibile quando parla di "fango", "menzogne" e "ricostruzioni fantasiose" a suo danno. Giovanni Bianconi 11 luglio 2010
Bocchino: "Pdl, Verdini si dimetta C'è malcostume nel partito" Il vicecapogruppo del partito alla Camera: "Berlusconi risolva il caso come ha fatto con Brancher" L'Inchiesta sull'eolico in sardegna Bocchino: "Pdl, Verdini si dimetta C'è malcostume nel partito" Il vicecapogruppo del partito alla Camera: "Berlusconi risolva il caso come ha fatto con Brancher" Italo Bocchino Italo Bocchino ROMA - "Da amico mi auguro che Denis Verdini sappia dimostrare la sua innocenza", ma "dal punto di vista politico c'è un enorme problema di opportunità che il premier non può far finta di non vedere. Il Berlusconi 'ghe pensi mi' come ha risolto il caso Brancher così deve risolvere il caso Verdini". Ne è convinto vicecapogruppo del Pdl alla Camera Italo Bocchino, che in un'intervista alla Stampa invoca le dimissioni anche per Ernesto Sica e Nicola Cosentino. MALCOSTUME NEL PARTITO - "La cosa davvero preoccupante è il risvolto di malcostume nel partito", sottolinea il deputato, vicino alla corrente finiana. "C'è un problema della classe dirigente del Pdl che non riesce a interpretare il progetto originario di Berlusconi e Fini. La degenerazione è arrivata a livelli di guardia con spericolate e vergognose operazioni di dossieraggi contro esponenti del partito". E ancora: "L'assessore regionale della Campania Ernesto Sica si deve dimettere subito. Lui è stato catapultato in giunta dal suo sponsor-protettore: Silvio Berlusconi. Sica è quello che costruisce il falso dossier contro Stefano Caldoro, il nostro governatore", ha dichiarato Bocchino. Anche Cosentino, sottosegretario all'Economia e segretario regionale del Pdl, "partecipa all'azione di dossieraggio contro il futuro governatore della Campania, dunque non può più essere segretario del partito". IL PREMIER E LA STAMPA - Nell'intervista Bocchino interviene sull'incontro tra Berlusconi e Casini nella cena a casa di Bruno Vespa, cui "era stato invitato anche Gianfranco Fini che però ha preferito raggiungere le figlie al mare", e commenta le ultime dichiarazioni del premier sulla stampa. "È una sciocchezza imperdonabile prendersela con la sinistra che imbavaglia la verità. Il mondo dell'informazione è plurale e per i giornalisti è un dovere raccontare i fatti". (fonte Ansa) 11 luglio 2010
Associazione segreta: Verdini indagato con Flavio Carboni L’accusa: è intervenuto più volte per il sodalizio L’inchiesta - Il gruppo "volto a condizionare gli organi costituzionali" Associazione segreta: Verdini indagato con Flavio Carboni L’accusa: è intervenuto più volte per il sodalizio ROMA — Tre presunti membri dell’associazione segreta che secondo il giudice ha messo a repentaglio il corretto funzionamento delle istituzioni sono stati arrestati, ma altri restano in circolazione. Uno è il deputato e coordinatore del Popolo della libertà Denis Verdini, "sodale " dell’imprenditore-faccendiere Flavio Carboni, dell’ex assessore socialista al Comune di Napoli Arcangelo Martino e del geometra ed ex giudice tributario Pasquale Lombardi, unico incensurato del trio finito in carcere l’altra mattina per violazione della legge anti-P2. Per i magistrati della Procura di Roma che hanno lavorato sul materiale raccolto dai carabinieri del Comando provinciale, Verdini "si pone, per la qualità e rilevanza del ruolo, per il suo ripetuto e diretto intervento in reciproco vincolo di solidarietà, per la condivisione d’interessi, come soggetto interno al sodalizio". Cioè del gruppo di potere occulto che—recita il capo d’accusa—costituisce "un’associazione per delinquere volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale". Il parlamentare, già inquisito per corruzione nel filone d’inchiesta sugli appalti per gli impianti eolici in Sardegna, è dunque indagato anche per il reato di "associazione segreta", e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo dovrà decidere quando inviare alla Camera dei deputati la richiesta di utilizzazione delle intercettazioni telefoniche nei suoi confronti. Proprio nell’abitazione romana di Verdini a due passi dal Campidoglio, si sarebbero svolte nell’autunno scorso almeno due riunioni per pianificare i tentativi di incidere sulla Corte costituzionale che di lì a poco doveva giudicare la cosiddetta legittimità del "Lodo Alfano" che bloccava i processi a carico di Silvio Berlusconi. Ad uno degli incontri, oltre al padrone di casa e i tre arrestati, hanno partecipato anche il senatore Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e il capo degli ispettori dello stesso ministero Arcibaldo Miller. La voce e il nome del coordinatore del Pdl, uno degli uomini più vicini al presidente del Consiglio, ricorrono spesso nelle conversazioni registrate di Carboni, il quale mentre era intercettato stava affrontando il giudizio d’appello per l’omicidio del banchiere Roberto Calvi (poi conclusosi con l’assoluzione, come in primo grado). "È, come dire, la partecipazione che gli ha promesso... l’uomo verde... Hai capito, no?—diceva il 9 settembre 2009 —. Devo sentire Denis... per sapere qual è, secondo lui, la partecipazione più giusta da dare a questo... ". E il 27 agosto: "E poi faccio chiamare i nostri sardi direttamente dall’amico Verdini...". Secondo l’accusa i rapporti tra i "sodali", Verdini compreso, "sono usati in evidente funzione di pressione esterna", e poco importa che molte iniziative non siano andate in porto: per la legge "è sufficiente che il gruppo persegua uno scopo di interferenza istituzionale, mentre non è necessario che esso sia raggiunto". E il quadro indiziario raccolto desta "un forte e giustificato allarme sociale e istituzionale" anche se nella maggior parte dei casi, aggiunge il giudice, "fortunatamente le istituzioni pubbliche hanno dimostrato di restare impenetrabili ai concreti tentativi di condizionamento illecito". Dei tre arrestati, ieri è stato interrogato Flavio Carboni, che ha 78 anni e ha già subito tre infarti. Il suo avvocato Renato Borzone ha chiesto la revoca della detenzione in carcere decisa dal giudice, nonostante l’età dell’imprenditore- faccendiere e di Lombardi (77 anni), nella convinzione che agli arresti domiciliari i tre indagati avrebbero potuto continuare a mettere in atto "la dimostrata capacità di infiltrazione in contesti sociali e istituzionali di estrema delicatezza ". Carboni ha negato le accuse contestando l’interpretazione data alle telefonate registrate. I pubblici ministeri hanno disposto una consulenza medica per verificare la compatibilità del suo stato di salute con la prigione, e il tribunale del riesame ha fissato per giovedì prossimo l’udienza per decidere sull’istanza di scarcerazione. Gio. Bia. 10 luglio 2010
Le carte - Nelle telefonate anche l’interessamento del governatore lombardo. Pressioni sul Csm per la nomina del presidente della Corte d’Appello di Milano "Un’ispezione contro i giudici nemici" L’accusa: le manovre (fallite) per far riammettere alle elezioni la lista Formigoni Le carte - Nelle telefonate anche l’interessamento del governatore lombardo. Pressioni sul Csm per la nomina del presidente della Corte d’Appello di Milano "Un’ispezione contro i giudici nemici" L’accusa: le manovre (fallite) per far riammettere alle elezioni la lista Formigoni ROMA—Non ci furono solo i tentativi di interferire sulla Corte costituzionale che doveva decidere il destino del "Lodo Alfano", o di agevolare il ricorso in Cassazione del sottosegretario Nicola Cosentino contro la richiesta d’arresto per concorso con la camorra. Fallito il primo, e raggiunto il secondo con la rapida fissazione dell’udienza, ma poi la corte suprema confermò l’ordinanza dei giudici. La presunta associazione segreta capeggiata da Flavio Carboni e dai suoi amici Lombardi e Martino (con la partecipazione dell’onorevole Denis Verdini) si adoperò, secondo la Procura di Roma, per condizionare altre decisioni di altri organi dello Stato. O per innescare ritorsioni dopo gli insuccessi. Per esempio, quando Cosentino fu escluso dalla candidatura alla Regione Campania "il gruppo ha iniziato un’intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato (Stefano Caldoro, poi eletto, ndr) e così escluderlo dalla competizione elettorale, tentando di diffondere, all’interno del partito e a mezzo Internet, notizie diffamatore sul suo conto". Le manovre del "gruppo di potere occulto" andarono a vuoto anche sul ricorso presentato alla Corte d’Appello di Milano dalla lista del presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, contro l’esclusione dalle elezioni regionali. Manovre alle quali, nell’interpretazione dell’accusa, ha partecipato anche il presidente-candidato che il 1˚ marzo 2010 parla con Arcangelo Martino, uno dei tre arrestati, e chiede: "Ma l’amico, l’amico... Lombardi, è in grado di agire?". Martino risponde: "Sì, sì, lui ha già fatto qualche passaggio e sarà lì". L’indomani Pasquale Lombardi è a Milano per incontrare il presidente della Corte d’Appello Alfonso Marra, da poco nominato e a favore del quale s’erano adoperati gli indagati. Sempre il 1˚ marzo Lombardi annuncia al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo le proprie mosse per orientare la decisione della commissione sul ricorso: "Aggio mandato a dicere cu Santamaria a Fofò (Santamaria è un altro giudice e Fofò è Alfonso Marra, ndr) che chiamasse a ’sti tre quattro scemi e non dessero fastidio". Ma l’operazione non va in porto, e Martino si sfoga con Lombardi, entrambi con colorite espressioni campane: "Comunque diciamo che la figura di merda l’amme fatta nujie cu’ chille d’a Corte d’appello", dice. E Lombardi, rivendicando il proprio operato: "Ci siamo prodigati, e quindi nun s’a ponno piglia’ cu’ nuje". Dopo l’insuccesso scatta una sorta di vendetta, che nelle carte processuali è diventato un nuovo capitolo dell’atto d’accusa: "Il tentativo di suscitare un’ispezione ministeriale nei confronti del collegio dei magistrati che aveva adottato il provvedimento sfavorevole". Vengono registrati contatti di Arcangelo Martino da un lato col capo degli ispettori Arcibaldo Miller, e dall’altro con alcuni collaboratori di Formigoni. Finché il 23 marzo viene intercettato lo stesso Formigoni che annuncia a Martino il fallimento dell’operazione: "Ho ricevuto stamattina una telefonata da colui che si è impegnato a camminare velocemente, sabato... e invece mi dice che non cammina affatto, né velocemente né lentamente... E che è stato consigliato a stare fermo... dallo stesso Arci... perché lui mi ha detto che sarebbe un boomerang pazzesco... questi qui potrebbero addirittura rivalersi su di noi". In un’altra telefonata dello stesso giorno Martino chiede a Formigoni: "A te ti chiamò quello Angelino, vero?". E Formigoni: "Mi chiamò, sì mi chiamò lui". Gli inquirenti ipotizzano che il riferimento sia al ministro della Giustizia Angelino Alfano. "Io mi sono arrabbiato con lui—prosegue Formigoni —, anche perché sabato lui si era impegnato... Sì, sì, faccio, faccio, poi invece lunedì mi ha telefonato e mi ha detto questo, e ha anche tirato in mezzo Arci", probabilmente Arcibaldo Miller. Col quale Martino sostiene di aver litigato, e conclude: "Mi sono molto arrabbiato, ma credo che sia un qualche cosa che vada in ostilità con te, hai capito?". Replica di Formigoni: "Eh, credo anch’io...". Per un’ispezione fallita c’è invece una nomina ottenuta, sebbene sia difficile—o quasi impossibile—stabilire se e quanto le manovre della lobby segreta abbiano inciso sulla decisione del Consiglio superiore della magistratura di mettere a capo della Corte d’Appello di Milano il giudice Alfonso Marra. In una telefonata del 21 ottobre col consigliere "laico" Celestina Tinelli, indicata dall’Ulivo, Pasquale Lombardi capisce che a orientare la scelta finale può essere il "togato " della corrente di Unicost Giuseppe Berruti, favorevole all’altro candidato, il giudice Rordorf. "E mo’ facciamo chiamare pure a Berruti! Devo vedere come devo fare", dice. "È un casino, nel vero senso della parola — risponde la Tinelli —. Lui ha già dato il suo input forte, e quindi anche Mancino (vice-presidente del Csm, ndr) sta ragionando nel senso di votare per questo Rordorf...". Il giorno dopo Lombardi parla direttamente con Marra. "S’à da vedé che s’à da fa cu’ Berruti, perché l’unico stronzo in questo momento è lui e la Maccora (di Magistratura democratica, ndr)". Ribatte Marra: "Ma la Maccora lascia sta’, è di un’altra corrente (...) Parla con Berruti, bisogna avvicinare ’sto cazzo di Berruti, capito che ti voglio dì? Io, Pasquali’, non so che cazzo fare...". Lombardi ha un’idea: "Chist’ tene ’u frate che è deputato di Berlusconi (Massimo Berruti, parlamentare del Pdl, ndr)", ma Marra lo frena: "No, vabbuo’, famm’ ’o favore, tiriamo fuori il fratello, senti a me". Lombardi gioca allora la carta del suo rapporto col presidente della Cassazione Vincenzo Carbone: "Io lu pizziatone... te l’aggio fatto col capo, quindi siamo a posto... Capo Cassazione". E Lombardi: "Se è quello lì siamo a posto". In altre telefonate Lombardi sostiene di aver parlato "di quella cosa di Milano" anche con Nicola Mancino. Il 3 febbraio 2010, con una maggioranza di 14 voti contro 12, il Csm nomina Marra. A suo favore si esprimono, fra gli altri, Mancino, Carbone e la Tinelli, mentre Berruti si schiera con l’altro candidato. Lombardi telefona a Martino: "Allora abbiamo fatto il presidente della corte d’appello... È tutto a posto". Giovanni Bianconi 10 luglio 2010
L’inchiesta - Il gruppo "volto a condizionare gli organi costituzionali" Associazione segreta: Verdini indagato con Flavio Carboni L’accusa: è intervenuto più volte per il sodalizio L’inchiesta - Il gruppo "volto a condizionare gli organi costituzionali" Associazione segreta: Verdini indagato con Flavio Carboni L’accusa: è intervenuto più volte per il sodalizio ROMA — Tre presunti membri dell’associazione segreta che secondo il giudice ha messo a repentaglio il corretto funzionamento delle istituzioni sono stati arrestati, ma altri restano in circolazione. Uno è il deputato e coordinatore del Popolo della libertà Denis Verdini, "sodale " dell’imprenditore-faccendiere Flavio Carboni, dell’ex assessore socialista al Comune di Napoli Arcangelo Martino e del geometra ed ex giudice tributario Pasquale Lombardi, unico incensurato del trio finito in carcere l’altra mattina per violazione della legge anti-P2. Per i magistrati della Procura di Roma che hanno lavorato sul materiale raccolto dai carabinieri del Comando provinciale, Verdini "si pone, per la qualità e rilevanza del ruolo, per il suo ripetuto e diretto intervento in reciproco vincolo di solidarietà, per la condivisione d’interessi, come soggetto interno al sodalizio". Cioè del gruppo di potere occulto che—recita il capo d’accusa—costituisce "un’associazione per delinquere volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale". Il parlamentare, già inquisito per corruzione nel filone d’inchiesta sugli appalti per gli impianti eolici in Sardegna, è dunque indagato anche per il reato di "associazione segreta", e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo dovrà decidere quando inviare alla Camera dei deputati la richiesta di utilizzazione delle intercettazioni telefoniche nei suoi confronti. Proprio nell’abitazione romana di Verdini a due passi dal Campidoglio, si sarebbero svolte nell’autunno scorso almeno due riunioni per pianificare i tentativi di incidere sulla Corte costituzionale che di lì a poco doveva giudicare la cosiddetta legittimità del "Lodo Alfano" che bloccava i processi a carico di Silvio Berlusconi. Ad uno degli incontri, oltre al padrone di casa e i tre arrestati, hanno partecipato anche il senatore Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e il capo degli ispettori dello stesso ministero Arcibaldo Miller. La voce e il nome del coordinatore del Pdl, uno degli uomini più vicini al presidente del Consiglio, ricorrono spesso nelle conversazioni registrate di Carboni, il quale mentre era intercettato stava affrontando il giudizio d’appello per l’omicidio del banchiere Roberto Calvi (poi conclusosi con l’assoluzione, come in primo grado). "È, come dire, la partecipazione che gli ha promesso... l’uomo verde... Hai capito, no?—diceva il 9 settembre 2009 —. Devo sentire Denis... per sapere qual è, secondo lui, la partecipazione più giusta da dare a questo... ". E il 27 agosto: "E poi faccio chiamare i nostri sardi direttamente dall’amico Verdini...". Secondo l’accusa i rapporti tra i "sodali", Verdini compreso, "sono usati in evidente funzione di pressione esterna", e poco importa che molte iniziative non siano andate in porto: per la legge "è sufficiente che il gruppo persegua uno scopo di interferenza istituzionale, mentre non è necessario che esso sia raggiunto". E il quadro indiziario raccolto desta "un forte e giustificato allarme sociale e istituzionale" anche se nella maggior parte dei casi, aggiunge il giudice, "fortunatamente le istituzioni pubbliche hanno dimostrato di restare impenetrabili ai concreti tentativi di condizionamento illecito". Dei tre arrestati, ieri è stato interrogato Flavio Carboni, che ha 78 anni e ha già subito tre infarti. Il suo avvocato Renato Borzone ha chiesto la revoca della detenzione in carcere decisa dal giudice, nonostante l’età dell’imprenditore- faccendiere e di Lombardi (77 anni), nella convinzione che agli arresti domiciliari i tre indagati avrebbero potuto continuare a mettere in atto "la dimostrata capacità di infiltrazione in contesti sociali e istituzionali di estrema delicatezza ". Carboni ha negato le accuse contestando l’interpretazione data alle telefonate registrate. I pubblici ministeri hanno disposto una consulenza medica per verificare la compatibilità del suo stato di salute con la prigione, e il tribunale del riesame ha fissato per giovedì prossimo l’udienza per decidere sull’istanza di scarcerazione. Gio. Bia. 10 luglio 2010
2010-07-08 in carcere anche Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino Appalti nell'eolico, arrestato Flavio Carboni. "Manovre sul Lodo Alfano" Riunione a casa Verdini con Dell'Utri. Pressioni anche per la Lista Formigoni. Il gip:"Banda segreta come P2 per pilotare giudici e politici". Difesa:"Tutto assurdo" * NOTIZIE CORRELATE * Indagini sugli appalti, nuove accuse a Carboni di Giovanni Bianconi (8 luglio '10) * Il faccendiere dei misteri * L'ordinanza di arresto del Gip De Donato: "manovre sul Lodo Alfano" * In 60 pagine le motivazioni dell'ordinanza Flavio Carboni Flavio Carboni ROMA - L'imprenditore sardo Falvio Carboni è stato arrestato questa mattina dai carabinieri su ordine della magistratura romana nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti dell'eolico. Carboni, 78 anni, è stato condotto a Regina Coeli. Il suo difensore, Renato Borzone, ha definito "assurdo" l'arresto, e ha già annunciato che farà ricorso. Ma secondo la Procura di Roma Carboni, insieme con l'imprenditore campano Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi (entrambi arrestati) avrebbero costituito di una "banda segreta come la P2 per pilotare giudici e politici". L'ipotesi di reato è quella di associazione a delinquere e di violazione degli articoli 1 e 2 della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Il Gip del Tribunale di Roma, Giovanni De Donato, scrive nelle motivazioni all'ordinanza di arresto (circa 60 pagine) che i tre organizzarono "una associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti" caratterizzata "dalla segretezza degli scopi" e volta "a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali nonchè degli apparati della pubblica amministrazione". Denis Verdini (Ansa) Denis Verdini (Ansa) RIUNIONE DA VERDINI SUL LODO ALFANO - In particolare, "tra settembre e ottobre 2009" Carboni, Martino e Lombardi tentarono "di avvicinare giudici della Corte Costituzionale per influire sull'esito del giudizio sul cosiddetto lodo Alfano" (la legge che prevedeva la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato). Il 23 settembre, a poche settimane dal giudizio della Corte Costituzione, ci sarebbe stata anche una riunione nella casa romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini (indagato per corruzione e riciclaggio), a cui presero parte, secondo i carabinieri, anche Carboni, Martino e Lombardi, oltre che il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller (capo degli ispettori del ministero della Giustizia). Secondo il gip, scopo della riunione era stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della Consulta. CALIENDO SMENTISCE - "Escludo nella maniera più assoluta che durante la mia presenza alla riunione con Lombardi si sia parlato di possibili interventi presso la Corte Costituzionale". Il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, smentisce la ricostruzione dell'incontro a casa di Verdini in cui si sarebbe parlato di possibili pressioni sulla Consulta per il Lodo Alfano. "Fui invitato alla riunione -spiega Caliendo- a seguito di un convegno sul federalismo al quale avevo partecipato e con l'obiettivo di organizzarne un altro. Sono stato presente in tutto per non più di 20 minuti, si è parlato del convegno e poi sono andato in Parlamento. Escludo -ribadisce- nella maniera più assoluta che si sia parlato di possibili interventi sulla Corte Costituzionale". PRESSIONI PER LA LISTA FORMIGONI - Non solo del lodo Alfano si interessarono i tre. Quando nel marzo scorso la Lista Formigoni fu respinta dalla commissione elettorale presso la corte di appello di Milano, Martino contattò Arcibaldo Miller, per verificare la possibilità di una ispezione straordinaria in quel collegio. Alla fine quella ispezione non si fece mai. E fu Formigoni a informarne Martino, dicendo che l'ispezione si sarebbe rivelata un "boomerang" pazzesco. La Lista del presidente della Regione Lombardia fu poi ammessa dai giudici amministrativi. "UN ARRESTO ASSURDO" - "Dopo averlo solo sospettato, la lettura dell'ordinanza di sociologia giudiziaria della Autorità giudiziaria di Roma dà conferma che il nulla probatorio emerso da mesi di indagine è sfociato in un arresto assurdo e ingiustificato, tra l' altro nei confronti di un quasi ottantenne con esiti di patologie cardiache e infartuali, per un reato associativo (la cd legge Anselmi) che è la metafora della deriva delle inchieste giudiziarie di questo paese". È quanto afferma l'avvocato, Renato Borzone, difensore dell'imprenditore Flavio Carboni. "Nessuna prova di reati specifici - prosegue - ed allora si va alla ricerca di fattispecie associative addirittura risibili". I PERSONAGGI "DELLA BANDA SEGRETA COME LA P2" - Oltre a Carboni, personaggio discusso e coinvolto in molti misteri della storia repubblicana, sono stati arrestati anche il geometra Pasquale Lombardi, magistrato tributario, già esponente locale della Dc campana, ex sindaco del suo paese in provincia di Avellino (assistito dall'avvocato Corrado Oliviero) e l'imprenditore campano Arcangelo Martino. I provvedimenti cautelari in carcere, firmati dal gip Giovanni De Donato, sono stati eseguiti dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, coordinati dal maggiore Bartolomeo Di Niso. Martino sarà trasferito in giornata nel carcere di Napoli, mentre Carboni è già a Regina Coeli (a Roma) e Lombardi in quello di Bellizzi, in Irpinia. I reati contestati ai tre sono quelli di associazione per delinquere e violazione degli articoli 1 e 2 della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Rodolfo Sabelli ipotizzano che i tre siano i componenti di una superloggia segreta, punto di riferimento per pilotare politici e imprenditori. L'inchiesta della procura romana riguarda un presunto comitato d'affari che avrebbe gestito l'assegnazione di una serie di appalti pubblici in Sardegna per la realizzazione di parchi eolici. APPALTI PUBBLICI - Il fascicolo che ha portato agli arresti nasce da uno stralcio, aperto quest'anno, dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico in Sardegna in cui sono coinvolti, tra gli altri, anche il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellaci per abuso d'ufficio e corruzione e il coordinatore del Pdl nonché deputato Denis Verdini (che si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda), per riciclaggio e corruzione. Indagati anche Ignazio Farris, presidente dell'Arpas Sardegna, Franco Piga, presidente dell'Autorità d'Ambito territoriale della Sardegna, Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias. Redazione online 08 luglio 2010
Eolico, nuove accuse a Carboni Dalle indagini sugli appalti, secondo la procura: "Banda segreta come la P2 per pilotare giudici e politici" Flavio carboni nel 2005 durante il processo per l'omicidio di Roberto Calvi (Ap) Flavio carboni nel 2005 durante il processo per l'omicidio di Roberto Calvi (Ap) ROMA - Non solo associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio. Dall’indagine sui presunti pilotaggi degli appalti per gli impianti eolici in Sardegna spunta una nuova ipotesi di reato, che supera i confini dell’isola e degli affari intorno alle energie alternative. E’ la violazione della cosiddetta "legge Anselmi" sulle associazioni segrete, per la quale sono indagati tre protagonisti dell’indagine condotta dalla Procura di Roma: l’imprenditore-faccendiere Flavio Carboni, da poco assolto anche in appello dall’accusa di aver ucciso il banchiere Roberto Calvi nel 1982; Pasquale Lombardi, già esponente locale della Dc campana, ex sindaco del suo paese in provincia di Avellino ed ex componente di commissioni tributarie; Arcangelo Martino, che fu assessore socialista al Comune di Napoli, arrestato e poi prosciolto nelle inchieste su Tangentopoli. "COMITATO D'AFFARI" - I tre, componenti del comitato d’affari immaginato dall’accusa, si sarebbero mossi più volte e in più contesti per ottenere interventi e decisioni a livello politico, giudiziario e amministrativo a favore di questo o quel personaggio "protetto", sulla base di specifiche esigenze e richieste. In maniera sistematica, al punto da convincere il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti che con lui lavorano all’indagine di trovarsi di fronte alla situazione prevista proprio dalla legge varata nel 1982 sull’onda dello scandalo P2, che porta il nome della presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia di Licio Gelli. "Si considerano associazioni segrete e come tali vietate dalla Costituzione — recita la norma — quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, di enti pubblici, anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale". INTERCETTAZIONI - Le intercettazioni telefoniche che costituiscono l’architrave di questa parte d’inchiesta avrebbero svelato diversi tentativi di condizionamento, soprattutto attraverso le conoscenze di uno dei tre inquisiti, Lombardi, nell’ambiente giudiziario nazionale. "Io ho rapporti con tanta gente perché organizzo convegni, non ho mai fatto nulla di male", s’è sempre difeso l’interessato. Ma per i pubblici ministeri non sarebbero così innocenti gli interventi per provare ad accelerare la causa in Cassazione del sottosegretario all’Economia Cosentino, sul quale pendeva una richiesta di arresto per concorso in associazione camorristica (successivamente confermata dalla corte suprema, ma negata dalla Camera dei deputati). Lombardi sarebbe dovuto intervenire anche per innescare un’ispezione ministeriale finalizzata ad eventuali azioni disciplinari su alcuni uffici giudiziari milanesi, dopo una decisione sgradita alla presidenza della Regione Lombardia. E ancora, dal vertice della Regione Sardegna sarebbe giunta una richiesta d’intercessione per evitare il trasferimento di un alto magistrato di Cagliari, a causa di una presunta incompatibilità. Denis Verdini Denis Verdini CAPPELLACCI E VERDINI - Tutto questo, insieme ad altri indizi emersi dalle conversazioni ascoltate dagli investigatori, ha convinto la Procura di Roma a procedere anche per l’ipotesi dell’associazione segreta vietata dalla legge post-P2, parallelamente al filone che riguarda la supposta corruzione per la realizzazione degli impianti eolici. Nel quale sono indagati pure il presidente della Sardegna Ugo Cappellacci e il deputato, nonché coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, che compare spesso nei colloqui registrati come il senatore Marcello Dell’Utri. Frutto dell’accordo fra Verdini, Cappellacci e Carboni sarebbe stata la nomina di Ignazio Farris (anche lui inquisito) a direttore generale dell’Azienda regionale per la protezione dell’ambiente: condizione irrinunciabile per Carboni, referente di un "cartello" di imprenditori intenzionati a investire in Sardegna dai quali avrebbe raccolto alcuni milioni di euro transitati dal Credito cooperativo fiorentino, la banca presieduta da Verdini. Giovanni Bianconi "Corriere della sera", pagina 20 08 luglio 2010
Flavio Carboni, il faccendiere dei misteri Condannato per il Banco Ambriosiano, assolto per l'omicidio del banchiere Roberto Calvi Flavio Carboni Flavio Carboni ROMA - Una condanna definitiva a 8 anni e 6 mesi per la vicenda del fallimento del Banco Ambrosiano, e una serie di assoluzioni: dall'accusa di concorso nell' omicidio di Roberto Calvi dopo che il pm aveva chiesto la condanna all'ergastolo; dall'accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, vice di Calvi all' Ambrosiano, dall'accusa di falso e truffa ai danni del Banco di Napoli, dall'accusa della ricettazione della borsa di Calvi. Queste sono solo alcune delle vicende che hanno visto coinvolto il discusso faccendiere sardo Flavio Carboni, arrestato oggi per l' ennesima volta nell'ambito dell'inchiesta sull'eolico in Sardegna. Il banchiere Roberto Calvi Il banchiere Roberto Calvi TRIBUNALI E ARRESTI - Dal suo primo arresto, avvenuto in Svizzera nell' estate del 1982, la vita di Carboni è stato un continuo andirivieni tra aule di tribunale e arresti, quasi sempre annullati rapidamente. L' improvviso successo economico di Carboni comincia negli anni '70 con una serie di società immobiliari e finanziarie. Carboni si muove anche nel mondo dell' editoria. Diventa proprietario del 35% del pacchetto azionario della "Nuova Sardegna" ed editore di "Tuttoquotidiano", per il fallimento del quale era stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma. Le risultanze giudiziarie hanno evidenziato - secondo i pm - lo stretto legame di Carboni con esponenti della banda della Magliana e della mafia. Legato soprattutto alla storia del Banco Ambrosiano e della morte di Calvi, per la quale, oltre alla recente assoluzione dall'accusa di concorso in omicidio, era stato già chiamato in causa per la falsificazione del passaporto e l' espatrio clandestino del banchiere e per concorso in esportazione di capitali, il nome di Carboni emerge anche in altre vicende. SEQUESTRO MORO - Durante il sequestro Moro, per esempio, Carboni avvicinò esponenti Dc offrendosi di sollecitare l' intervento della mafia per la sua liberazione. Qualche giorno dopo Carboni riferì però che la mafia non voleva aiutare Moro perchè troppo legato ai comunisti. Carboni ha avuto rapporti anche con Francesco Pazienza, con Licio Gelli e con l' ex gran maestro della Massoneria Armando Corona. Il nome di Carboni compare anche nel falso dossier di Demarcus pubblicato sull' Avanti, (per il quale recentemente è stato indagato anche Cesare Previti) che sosteneva un legame tra Stefania Ariosto e i servizi segreti. Il dossier parlava anche di un incontro tra la Ariosto e Carboni. Infine, il nome di Flavio Carboni entra anche nell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: è stato ascoltato in Procura a Roma, come testimone, il 4 febbraio scorso. Secondo quanto si è appreso, i magistrati gli hanno chiesto se fosse a conoscenza di particolari sulla vicenda, soprattutto alla luce dei rapporti che Carboni ha avuto con esponenti del Vaticano e, nell'ambito della sua attività di uomo d'affari, con riferimento a soggetti legati in qualche modo alla Banda della Magliana. Rapporti con il gruppo criminale capitolino che, comunque, l'uomo d'affari ha sempre negato, affermando che si trattava di rapporti con persone di cui ignorava l'appartenenza alla banda. (Fonte: Ansa).
08 luglio 2010
Il gip: "Carboni cercò di influire sulla Consulta per la decisione su Lodo Alfano" "Incontro da Verdini per stabilire la strategia". Pressioni anche per far riammettere la Lista Formigoni. In 60 pagine l'ordinanza di custodia cautelare in carcere * NOTIZIE CORRELATE * Appalti nell'eolico: arrestato Flavio Carboni * Chi è Carboni, il faccendiere dei misteri d'Italia Carboni durante il processo per Calvi (Ansa) Carboni durante il processo per Calvi (Ansa) ROMA - Associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi che vieta la creazione di associazioni segrete: sono le accuse contestate dal gip Giovanni De Donato aFlavio Carboni, Pasquale Lombardi (ex componente di commissioni tributarie) e all'imprenditore campano Arcangelo Martino con una ordinanza di custodia cautelare motivata in 60 pagine. Secondo l'accusa i tre avrebbero organizzato un'associazione per delinquere anche utilizzando "una fitta rete di conoscenze nei settori della magistratura e della politica". Lo scopo era collocare "persone ritenute vicine al gruppo in posizioni di rilievo in enti pubblici e in apparati dello Stato", e "ottenere vantaggi di varia natura (ivi compresi appalti pubblici e provvedimenti giudiziari e amministrativi favorevoli)". Secondo il magistrato, tra settembre e ottobre 2009 Carboni (insieme con Martino e Lombardi) tentò di avvicinare giudici della Corte Costituzionale allo scopo di influire sull'esito del giudizio sul cosiddetto lodo Alfano, la legge che prevedeva la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato. La contropartita per questi interventi compiuti sulla Corte Costituzionale sarebbe stata la candidatura di Nicola Cosentino alla Regione Campania. Denis Verdini (Ansa) Denis Verdini (Ansa) INCONTRO DA VERDINI SUL LODO ALFANO- Il 23 settembre dello scorso anno, a pochi giorni dal giudizio della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, avvenne una riunione nell'abitazione romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, per stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della consulta. All'incontro erano invitati anche Carboni, Martino e Lombardi, oltre che il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo e i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Al termine della riunione, in base a quanto scrive il gip, Lombardi chiama Caliendo, che aveva dovuto abbandonare in anticipo l'incontro, aggiornandolo sugli argomenti trattati. Lombardi si dice disponibile a correre ai ripari in ogni modo, affermando che occorre fare la conta di quanti sono i giudici favorevoli alla bocciatura della legge e quanti quelli contrari, lavorando quotidianamente alla vicenda in vista del giudizio della Consulta previsto inizialmente per il 6 ottobre. Tra le personalità avvicinate da Lombardi per fare da tramite con i giudici della Consulta anche il parlamentare Renzo Lusetti, che tuttavia reagisce con imbarazzo alle telefonate. Analogo imbarazzo mostra, in una telefonata intercettata il 30 settembre, il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, che tenta in ogni modo di sottrarsi alle richieste pressanti di Lombardi su come avvicinare uno dei giudici chiamati a pronunciarsi sul lodo Alfano. Il tentativo di influire sul giudizio di costituzionalità del lodo Alfano non andò però a buon fine. Il 7 ottobre 2009 la Corte boccia il provvedimento, suscitando le ire di Carboni e Martino, che accusano Lombardi del fallimento e della figuraccia fatta con i propri referenti politici, a partire da Verdini. PRESSIONI PER RIAMMETTERE FORMIGONI - Quando la Lista Formigoni fu respinta dalla commissione elettorale presso la corte di appello di Milano, Arcangelo Martino, il costruttore arrestato assieme a Flavio Carboni e a Pasquale Lombardi, si attivò nel marzo scorso presso il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller, per verificare la possibilità di una ispezione straordinaria presso quel collegio di giudici che aveva escluso la Lista. Della vicenda, come documentato dal gip De Donato, si interessarono anche Lombardi e Carboni. Alla fine, nonostante i rinnovati interventi su Miller e sul sottosegretario Giacomo Caliendo, quella ispezione non si fece mai. E fu Formigoni a informarne Martino, dicendo che, a quanto appreso dal ministero, l'ispezione si sarebbe rivelata un 'boomerang' pazzesco. La Lista del presidente della Regione Lombardia fu poi ammessa dai giudici amministrativi. LA CANDIDATURA DI COSENTINO - La contropartita chiesta per tale attività di lobby è la candidatura di Nicola Cosentino alla Regione Campania, come esplicitato in una telefonata di Lombardi allo stesso sottosegretario. Il tentativo di influire sul giudizio di costituzionalità del lodo Alfano non andò però a buon fine. Il 7 ottobre 2009 la Corte boccia il provvedimento, suscitando le ire di Carboni e Martino, che accusano Lombardi del fallimento e della figuraccia fatta con i propri referenti politici, a partire da Verdini. Secondo quanto si legge nell'ordinanza, negli ultimi mesi del 2009 e fino al febbraio 2010 (nell'imminenza delle elezioni regionali), Carboni, Martino e Lombardi si sarebbero impegnati "al fine di ottenere la candidatura alla presidenza della Regione Campania dell'onorevole Cosentino. Dopo l'adozione di un'ordinanza cautelare nei confronti di quest'ultimo, hanno cercato di favorire un rapido accoglimento del ricorso proposto contro tale misura, grazie al rapporto esistente tra Lombardi e il presidente della Corte di Cassazione, nel tentativo di recuperare la candidatura di Cosentino. Dopo il rigetto del ricorso e dopo che i vertici del partito avevano individuato come proprio candidato Stefano Caldoro, il gruppo ha iniziato un'intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato e così a escluderlo dalla competizione elettorale tentando di diffondere all'interno del partito e a mezzo internet notizie diffamatorie sul suo conto". FITTA RETE DI CONOSCENZE - Secondo il gip, Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino "in concorso con terze persone, costituivano, organizzavano e dirigevano un'associazione per delinquere, diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti, ivi compresi quelli di corruzione, abuso di ufficio, diffamazione e violenza privata, caratterizzata dalla segretezza degli scopi, dell'attività e della composizione del sodalizio, volta altresì a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale nonchè gli apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali".Il magistrato contesta ai tre arrestati di aver "sviluppato una fitta rete di conoscenze nei settori della magistratura e della politica, da sfruttare per i fini segreti del sodalizio, e ciò anche grazie all'attività di promozione di convegni e di incontri di studio realizzate per il tramite dell'associazione culturale denominata "Centro studi giuridici per l'integrazione europea diritti e liberta", gestita da Lombardi in qualità di segretario e da Martino quale responsabile dell'organizzazione e, di fatto, finanziata e cogestita in modo occulto da Carboni nella cui attività venivano coinvolte, con funzioni diverse, in forma stabile o saltuaria personalità estranee al sodalizio". OTTENERE VANTAGGI - Secondo il gip De Donato i tre accusati avrebbero approfittato "delle conoscenze così realizzate per acquisire informazioni riservate e influire sull'esercizio delle funzioni pubbliche rivestite dalle personalità avvicinate" e, in tal modo, "collocare persone ritenute vicine al gruppo in posizioni di rilievo in enti pubblici e in apparati dello Stato; ottenere vantaggi di varia natura (ivi compresi appalti pubblici e provvedimenti giudiziari e amministrativi favorevoli) in favore dei componenti del sodalizio o anche di terzi, dai quali si proponevano poi di ottenere, in contraccambio, ulteriori favori; contrastare quanti erano ritenuti avversi agli interessi del sodalizio, adoperandosi perchè fossero esclusi da posti di rilievo nel settore pubblico o cercando di suscitare nei loro confronti interventi punitivi" SVILUPPO DELL'EOLICO IN SARDEGNA - Un altro episodio sul quale si è soffermata l'attenzione del magistrato riguarda il progetto di sviluppo degli impianti per la produzione dell'energia eolica in Sardegna. Nell'ordinanza si sottolinea che, a partire dal mese di luglio 2009, Carboni ha posto in essere iniziative svolte a realizzare in Sardegna impianti di produzione di energia eolica. A tale scopo dapprima ha ottenuto, grazie all'interessamento di esponenti politici e istituzionali, la nomina di persona a lui gradita (tale Ignazio Farris) alla carica di direttore generale dell'Arpas (l'organismo regionale competente nel settore della tutela dell'ambiente e del territorio), poi ha intrattenuto costanti contatti con Farris e con altri rappresentanti istituzionali, allo scopo di ottenere l'approvazione nel settore delle energie alternative, di un regolamento regionale favorevole ai propri progetti. Di tali iniziative Carboni metteva al corrente Martino e Lombardi. Secondo il giudice, il primo è anche personalmente intervenuto a sostegno di Carboni, mentre il secondo ha collocato in Sardegna (anche grazie a finanziamenti procurati da Carboni) la sede di un convegno organizzato dall'associazione "Diritti e libertà" allo scopo evidente di propiziare i contatti con i rappresentanti istituzionali della Regione. Redazione online 08 luglio 2010
Tangenti Trenitalia, il procuratore: "Il cardinale Sepe estraneo alle indagini" Lepore: "Il suo nome fatto in una telefonata da altre persone". Il presule: "Sono sereno, come sempre" * NOTIZIE CORRELATE * Trenitalia: tangenti in cambio di appalti, arrestati 2 ex dirigenti e tre imprenditori (6 luglio 2010) l'inchiesta Tangenti Trenitalia, il procuratore: "Il cardinale Sepe estraneo alle indagini" Lepore: "Il suo nome fatto in una telefonata da altre persone". Il presule: "Sono sereno, come sempre" L'arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe L'arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe MILANO - "L'indagine che stiamo conducendo su Trenitalia non riguarda assolutamente il cardinale Crescenzio Sepe". Il procuratore della Repubblica, Giovandomenico Lepore, ribadisce l'estraneità del presule durante una conferenza stampa che si è tenuta in curia. "Il suo nome è stato fatto in una intercettazione telefonica tra due persone estranee - ha continuato Lepore - non è stato intercettato mica Sepe". Secondo il procuratore l'accenno che si fa al cardinale "dimostra anzi che, premesso che lui non è indiziato di reato per alcunché, la sua condotta è stata perfettamente corretta". SERENO - Dal canto suo, il cardinale Sepe si dichiara "sereno, come sempre". L'arcivescovo di Napoli ha sostenuto di non conoscere Anna De Luca, la donna che ha fatto il suo nome in una telefonata come presunto interlocutore per ricevere agevolazioni da Bertolaso e dai vertici di Trenitalia in due differenti occasioni. "Io non l'ho mai vista - ha risposto Sepe, a margine della conferenza stampa dell'Aci di Napoli - sono assolutamente sereno, come sempre. Queste ultime cose sono assolutamente inconsistenti". Si farà chiarezza? "Certamente", ha risposto Sepe. IL CASO - L'inchiesta riguarda un presunto giro di tangenti in cambio di appalti pilotati per consentire alle imprese amiche di aggiudicarsi le commesse relative alla manutenzione, alla rottamazione e ai lavori riguardanti carri e locomotive di Trenitalia: l'ennesimo sistema di corruzione e favori è stato scoperto dai pm di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio, a conclusione di un'indagine della Guardia di Finanza durata oltre 2 anni. Accertamenti che - scrive il gip Luigi Giordano nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere per due ex dirigenti di Trenitalia e tre imprenditori (uno è i domiciliari) - hanno scoperchiato un "sistema diffuso" di "cartelli illegali" in cui il gruppo napoletano non è che uno dei tanti che operano "in modo illecito nel settore delle commesse ferroviarie" in Italia. Redazione online 08 luglio 2010
2010-07-04 Lista Falciani "Conti correnti aperti per riciclare capitali" I pm: sospetti su soldi di provenienza illecita Indagini - Verifiche anche su chi ha usato lo scudo fiscale Lista Falciani "Conti correnti aperti per riciclare capitali" I pm: sospetti su soldi di provenienza illecita TORINO—Soldi sporchi. Ridotta all’osso, l’indagine sulla lista Falciani si riduce a questo. Alla ricerca di capitali sospetti depositati all’estero, alla verifica della loro eventuale origine illecita. La procura di Torino, prima ad aver chiesto e ricevuto l'elenco di correntisti sottratto alla filiale ginevrine dell’Hsbc (Hong Kong and Shangai Banking Corporation) dall’informatico francese, ha aperto da cinque mesi un fascicolo contro ignoti, non appena ha avuto conferma dell’esistenza di una forte presenza italiana nella sterminata sequela di nomi clonata dall’ex funzionario di banca. Le ipotesi di reato sono tre: evasione fiscale, false comunicazioni, e appunto riciclaggio. I primi rilievi a campione fatto dalla Guardia di Finanza sui 512 conti correnti riconducibili a persone fisiche residenti in Piemonte hanno già dato esiti inequivocabili. Venti su 20. I contribuenti sottoposti alle attenzioni degli investigatori hanno fatto tutti ricorso allo scudo fiscale. L’uso di massa di questa opzione fa decadere nei fatti le prime due accuse. E gli stessi pubblici ministeri incaricati di seguire le sorti della lista non fanno mistero della difficoltà che avrebbero nel perseguirle. Rimane in piedi la terza accusa, la più pesante. I magistrati di Torino si concentreranno sulla ricostruzione dei conti "sospetti" per verificare se il denaro è stato usato anche in uscita per pagamenti e operazioni di natura poco trasparente. La parte italiana è nota: 6.936 posizioni finanziarie, riferite a due anni (dall’1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2006), per un totale di 5.728 contribuenti nostrani. Nella lista vi sono alcuni conti decisamente robusti. Solo a Torino, sarebbero almeno 25 (su un totale di 132) i depositi bancari Hsbc con più di 10 milioni di Euro. Inevitabile che l’attenzione si concentri sui loro titolari, anche se le probabilità maggiori di imbattersi in denaro di provenienza illecita viene identificato nelle persone giuridiche presenti nell’elenco, in Piemonte ne sarebbero state censite finora soltanto nove. La rogatoria ai magistrati di Nizza "titolari" della lista, partita il primo aprile, ha avuto un percorso veloce. Lo scorso 20 giugno è arrivato ai magistrati torinesi il cd rom con l’elenco italiano. Il comando generale della Guardia di Finanza lo aveva ricevuto in anticipo per via amministrativa, insieme ad altro materiale contabile consegnato alle autorità francesi da Hervé Falciani, che nelle prossime settimane verrà sentito anche dai magistrati torinesi. Probabile anche l’invio di una nuova rogatoria per acquisire l’hard disk del computer del manager francese. "Ci sono due filoni — spiegano gli investigatori— uno è amministrativo, ed è la "lista Ginevra", acquisita dal comando generale della Finanza, tesa a verificare la posizione patrimoniale dei correntisti considerati più a rischio e a valutare se abbiano sfruttato lo scudo fiscale. L’altra è quella penale, e riguarda l’ipotesi che siano stati commessi dei reati sottesi alla creazione di depositi all’estero ". Roma fa una prima scrematura, consegnando alle sedi competenti l’elenco dei correntisti presenti su un determinato territorio. Torino è stata la prima, in quanto ha acquisito per via giudiziaria l’elenco nudo e crudo, e ha subito cominciato le verifiche in autonomia. Un medico di 67 anni, un paio di consulenti aziendali, alcuni pensionati, tre proprietari immobiliari con decine di appartamenti in città e altrove. Ma lo "spacchettamento" della lista verrà completato in una settimana. A quel punto, per ogni città di residenza dei presunti evasori, sorgeranno altrettante indagini autonome. La stessa procura torinese fa sapere che una buona metà dei conti piemontesi non sono riferibili al capoluogo, e provvederà quindi a inviarli agli uffici giudiziari interessati. I paletti, appare chiaro, sono quelli fissati dal ricorso allo scudo fiscale. Solo in caso contrario, e al netto di movimentazioni abnormi, verranno proseguite le indagini sui correntisti. Ci vorrà comunque del tempo. Non tutte le parti della lista sono riprodotte allo stesso modo e riportano le medesime voci. La lista Falciani, ad un primo esame, si rivela veritiera ma caotica. Da qui la necessità della procura di acquisire tutta la documentazione clonata dall’archivio elettronico di Hsbc. E di chiedere conto al diretto interessato del labirinto di nomi e cifre che ha contribuito a creare. Marco Imarisio 04 luglio 2010
L’elenco - Insieme con la pittrice Donatella Marchini e il marchese Hermann Targiani Tra i nomi un’amazzone e il figlio di Pietro Sette L’elenco - Insieme con la pittrice Donatella Marchini e il marchese Hermann Targiani Tra i nomi un’amazzone e il figlio di Pietro Sette ROMA—Era proprio felice, ieri mattina, il professor Francesco Sette, scienziato di fama internazionale, direttore generale dell’Esrf di Grenoble, il laboratorio europeo delle radiazioni al sincrotrone. Con la moglie, infatti, il fisico italiano era appena sbarcato all’Elba per il suo primo giorno di vacanza. Poi però ha cominciato a squillargli il telefonino. Chiamavano da ogni parte del mondo, colleghi, amici, studenti, per chiedergli tutti, con un pizzico di apprensione, la stessa identica cosa: "Pronto, Francesco, ma sei anche tu sulla Lista Falciani?". Il professore ha avuto un trasalimento, poi è corso all’edicola, si è informato meglio e infine ha capito. Il "Francesco Sette" indicato nella lista degl’italiani con il conto in Svizzera, in realtà, è suo cugino, omonimo, 53 anni, figlio di Pietro Sette, l’ex presidente dell’Iri e dell’Eni, avvocato illustre, amico di lunga data di Aldo Moro e collaboratore di Enrico Mattei, che morì a soli 69 anni, in un incidente stradale, nel dicembre del 1984 vicino ad Altamura, in provincia di Bari. Suo figlio Francesco, oggi, è avvocato anche lui, ha uno studio a Roma, in via Giacomo Puccini, al Pinciano, è sposato, ha 2 figli e una grande passione: la vela. Lo conoscono tutti, per esempio, al circolo nautico "Guglielmo Marconi" di Santa Marinella, dove negli anni ha ricoperto diverse cariche, da segretario a presidente. E infatti, ieri, Francesco Sette, quello della lista, indovinate dov’era? In barca. Anche a lui, come all’ambasciatore Giuseppe Maria Borga, alla pittrice Donatella Marchini, al marchese Hermann Targiani e a tutti gli altri, la Guardia di Finanza ora chiederà lumi sul suo conto in Svizzera (oltre 180 mila dollari). Quello che è certo è che il suo cugino omonimo, lo scienziato Francesco Sette, con la lista Falciani non c’entra nulla: "Mai avuto un euro in Svizzera - scherza il fisico di Grenoble - Io, tra l’altro, non sono neppure un contribuente italiano visto che risiedo all’estero. Mio cugino, comunque, è una bravissima persona. Spero che questa storia si chiarisca in fretta ". Scorrendo i nomi della lista Falciani, salta all’occhio una curiosità: quelli con più di un milione di dollari depositati presso la Hsbc, da Borga aMarchini a Scarpaccini, sono tutti ultrasettantenni. Eppoi c’è Consuelo Palmerini, che è invece quella con il conto più basso, poco più di 21 mila dollari. Consuelo però è molto più giovane degli altri, lei è un’amazzone di ottimo livello, va a cavallo da quand’era bambina, frequenta e ama il mondo degli ippodromi, suo padre aveva una piccola scuderia da corsa. Oggi vive immersa in un casale da sogno, tra cani, gatti e pappagalli, nella campagna verdissima vicino a La Storta. All’interno della proprietà - racconta chi c’è stato - c’è anche un maneggio privato dove la cavallerizza si allena con regolarità prima di affrontare i concorsi ippici. La sua voce è molto gentile ma preferisce non parlare al telefono di certe cose: "Vediamoci di persona, magari lunedì, perché adesso non sono a Roma...". E spegne il cellulare. Fabrizio Caccia 04 luglio 2010
FISCO Lista Falciani, ecco i primi 25 nomi C'è anche un ambasciatore Verifiche su 25 persone con soldi in Svizzera Ci sono anche un manager e un marchese FISCO Lista Falciani, ecco i primi 25 nomi C'è anche un ambasciatore Verifiche su 25 persone con soldi in Svizzera Ci sono anche un manager e un marchese ROMA—Quelli che hanno superato il milione di dollari sono tutti ultrasettantenni. E adesso dovranno spiegare come mai abbiano scelto la filiale ginevrina della banca inglese Hsbc per mettere al sicuro il proprio "tesoretto". Tra i primi a farlo sarà l’ambasciatore Giuseppe Maria Borga, seguito da Donatella Marchini e da Alessandro Scarpaccini che hanno un deposito ciascuno con una somma perfettamente uguale: 1.035.501 dollari. Benestanti e prestanome Eccoli i primi nomi della "lista Falciani", gli italiani che hanno trasferito soldi all’estero e sono stati scovati dopo il "tradimento" del responsabile del sistema informatico dell’istituto di credito, Hervé Falciani appunto, scappato con l’elenco dei clienti. Ecco le prime 25 persone inserite nella più ampia rosa dei cento stilata in base ai "canoni di pericolosità fiscale" e adesso sottoposti a verifica dalla Guardia di Finanza perché hanno portato fuori dall’Italia un totale di 8 milioni e 299 mila dollari. Li hanno scelti - in un totale di 6936 "posizioni" - perché risulta che non hanno presentato denuncia dei redditi, oppure perché la loro dichiarazione è stata ritenuta "incongrua " rispetto alle somme che hanno movimentato. È la procura di Torino ad aver avviato le indagini per accertare eventuali episodi di riciclaggio. Alle Fiamme Gialle sono state affidate le verifiche su eventuali reati commessi. Ma i controlli riguardano soprattutto la regolarità dei versamenti al fisco. Hervé Falciani, 38 anni, lavorava come informatico presso la sede di Ginevra in svizzera del gruppo bancario inglese Hsbc. E' riuscito a sottrarre i dati di quasi 6mila contribuenti e ha formato la 'Lista Falciani' Hervé Falciani, 38 anni, lavorava come informatico presso la sede di Ginevra in svizzera del gruppo bancario inglese Hsbc. E' riuscito a sottrarre i dati di quasi 6mila contribuenti e ha formato la "Lista Falciani" E dunque si estendono anche all’eventualità che alcuni di loro siano prestanome degli effettivi titolari. Al quarto posto della lista c’è Antonia Cesareo, 66 anni, che può contare su una provvista di 831.908 dollari, seguita a poca distanza da Guido Hermann Targiani che invece di soldi ne aveva portati in Svizzera 729.955. Nei giorni scorsi hanno tutti ricevuto un avviso a presentarsi per essere informati di quanto è stato scoperto, ma soprattutto per fornire giustificazione a questo trasferimento di soldi oppure chiarire se nel frattempo si sono avvalsi dello "scudo" varato dal Parlamento nell’ottobre del 2009. Chi non ne ha usufruito e non potrà dimostrare la liceità del proprio comportamento rischia di pagare una multa che va dal 20 al 50 per cento della cifra occultata al fisco, oltre alla tassa sul reddito maggiorata fino al 400 per cento. Ha 87 anni Ida Di Nola e un gruzzolo pari a 540.489 euro. Una cifra di molto inferiore la possiede Mario Baccari che di anni ne ha 81 e 61.425 dollari sul conto. Tra i più giovani ci sono Andrea Moccaldi, 37 anni, che risulta titolare di un conto con 342.675 dollari e Karim Amiji, 35, che oltrefrontiera ne ha portati 82.917. Provvista sostanziosa anche per Cherifa Hadjsadok, 44, con un deposito che ammonta a 401.896 dollari. E per Sabrina Piperno che di anni ne ha 42 e sul conto della Hsbc ne ha messi 514.530. I conti frazionati Al decimo posto della lista c’è Laurence Victor Journo con una provvista di 285.638 dollari. I nomi stranieri non devono ingannare. Si tratta sicuramente di cittadini italiani visto che sono titolari del codice fiscale, così come ha già accertato l’Agenzia delle Entrate a cui sono state chieste una serie di verifiche incrociate con altri dati che ha già a disposizione. L’interesse primario per il recupero delle tasse non versate riguarda infatti l’intera movimentazione che si può ricostruire attraverso l’analisi del dossier titoli, gli eventuali acquisti di valuta, i fondi di investimento. E poi bisogna stabilire se c’è stato un frazionamento tra membri della stessa famiglia. È l’ipotesi suggerita esaminando i conti di Anna Rosa, 56, Stefano 54, e Marco Estri, 50, che hanno rispettivamente: 115.615, 115.250, 114,991 dollari. Le provviste basse Francesco Locatelli, classe 1930, vanta un conto con 261.304 dollari. Niente a che vedere con quei 132 depositi che superano i 10 milioni di dollari, ma è comunque una cifra consistente. Di poco inferiore quella di Francesco Sette, 53 anni, che ha 188.863. Mara Tonizzo, 57, ha 113.764; Renata Mariotti, 61 anni, può invece contare su 112.576 dollari. Gli investigatori si interrogano adesso su quei depositi inferiori agli 80.000 dollari per capire come mai si sia deciso di tenere i soldi all’estero e così rischiare di incappare nelle maglie del fisco. È la domanda che sarà posta a Robert Miller, classe 1945, che risulta aver portato a Ginevra 79.097 dollari oppure a Haym Markovits, 61 anni, che ne ha trasferiti 40.844. Consuelo Palmerini ha 38 anni, che motivo aveva di tenere all’estero 21.866 dollari? Oppure Maria Luisa Leone, 75 anni, che ne ha 22.396. L’ipotesi è questo soldi possano essere parte di una provvista più ampia che è stata divisa su conti correnti intestati a persone diverse, oppure su banche diverse. Ma è anche possibile che si sia deciso, per un motivo lecito, che era più agevole non lasciarli in Italia. Per non rischiare le multe, gli interessati dovranno adesso dimostrarlo visto che in materia fiscale è stato introdotto l’inversione dell’onere della prova e dunque è il contribuente a dover portare gli elementi a proprio favore. Fiorenza Sarzanini 03 luglio 2010
2010-06-29 Indagati due consulenti nell’affare Btp Appalti, a Di Pietro rispose la "cricca" Alla lettera dell'ex ministro replicò il legale vicino al responsabile del Consiglio dei lavori pubblici Indagati due consulenti nell’affare Btp Appalti, a Di Pietro rispose la "cricca" Alla lettera dell'ex ministro replicò il legale vicino al responsabile del Consiglio dei lavori pubblici Antonio Di Pietro (Ansa) Antonio Di Pietro (Ansa) ROMA - All’allarme del ministro rispose l’uomo sbagliato. O quello giusto, dipende dai punti di vista. Il parere sui dubbi sollevati da Antonio Di Pietro sugli appalti per il 150esimo dell’Unità d’Italia venne commissionato all’avvocato Guido Cerruti, uomo di fiducia di Angelo Balducci, arrestato con lui lo scorso marzo nell’ambito dell’inchiesta fiorentina sulla Scuola Marescialli, che proprio ieri ha conosciuto una svolta importante. La Procura ha infatti indagato per corruzione i due tecnici che da consulenti decisero con il loro parere la vittoria dell’imprenditore Riccardo Fusi, titolare della Baldassini Tognozzi Pontello (Btp), nel lodo arbitrale contro lo Stato, avviato dopo che alla sua azienda era stato tolto l’appalto della West point toscana per inadempienza. Un affare da 34 milioni di euro. Un passo indietro. Il 14 dicembre 2007 Di Pietro, allora titolare delle Infrastrutture, scrive ai suoi colleghi che fanno parte del Comitato per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia: esprime dubbi sul funzionamento della Struttura di missione, fa notare come il suo ruolo di "stazione appaltante" non sia quello che si intendeva affidare a un ente "nato con compiti di mera assistenza agli organi di indirizzo politico". Sostiene l’assenza di copertura finanziaria, parla di situazioni "che confliggono in modo evidente con elementari principi di contabilità pubblica". Conclude: "Vi prego, ci stiamo avviando verso una macroscopica violazione di legge". Gli investigatori hanno ricostruito il viaggio compiuto da quella nota. Il 18 dicembre l’ingegner Enrico Bentivoglio, dirigente delle Infrastrutture, attuale responsabile unico per il restauro degli Uffizi, "già emerso - così scrivono i carabinieri del Ros di Firenze - nell’indagine in quanto appartenente all’Ufficio del Commissario Delegato per il Mondiali di Nuoto Roma 2009 ed in stretti rapporti con Angelo Balducci", manda via fax il testo del ministro all’avvocato Guido Cerruti. "Egregio, occorrerebbe una nota di replica, purtroppo entro domani pomeriggio". Sul frontespizio del documento, accanto al numero di protocollo compare una nota a mano. "Copia a Figliolia e Balducci". Il primo è Ettore Figliolia, avvocato dello Stato. All’epoca, Balducci dirigeva la Struttura di missione per il 150esimo dell’Unità d’Italia. Il parere di Cerruti viene recapitato il 19 dicembre. La posizione "fortemente critica" del ministro appare ingiustificata, a parere dell’avvocato. Lo svolgimento del ruolo di stazione appaltante, "ancorché non espressamente previsto nel provvedimento istitutivo, rientra ontologicamente nei compiti della Struttura di missione". La copertura economica degli appalti? "Ad avviso di chi scrive i progetti sono stati intrapresi senza alcuna violazione dei principi regolatori della contabilità pubblica". Certo, sono stati finanziati in più tranche successive, "ma la suddetta soluzione si è resa necessaria in ragione dell’urgenza delle opere da realizzare ". Infine, sulla legittimità delle gare d’appalto, non c’è problema perché il 150esimo dell’Unità d’Italia è stato dichiarato "grande evento" e finisce sotto la legislazione speciale. Guido Cerruti è stato arrestato lo scorso 6 marzo. È accusato di corruzione. Viene considerato parte integrante della presunta "cricca", molto vicino a Balducci, al punto che quest’ultimo lo impone a Fusi, voglioso di riprendersi l’appalto della Scuola Marescialli. La tangente per l’ex provveditore alle Opere Pubbliche e per il suo funzionario Fabio De Santis sarebbe dovuta transitare nel compenso stipulato dall’avvocato per la sua consulenza. Il parere che gli fu affidato in risposta a Di Pietro dimostrerebbe, se non altro, che la "rete" di Balducci era ben stretta. I magistrati fiorentini sono da sempre convinti che l’affaire della Scuola Marescialli sia marcio in ogni suo passaggio, gonfiato ad arte per spremere denaro pubblico. E il lodo arbitrale vinto dalla Btp contro lo Stato farebbe parte di questa filiera. I nuovi indagati sono il consulente di parte Paolo Leggeri e quello d’ufficio, Sandro Chiostrini. Quest’ultimo, teoricamente arbitro imparziale, avrebbe aiutato la Btp guidandola nella controversia, concordando con l’azienda i quesiti che il collegio arbitrale avrebbe sottoposto ai consulenti d’ufficio, e questo ancora prima di essere nominato. La sintesi dei magistrati: "Chiostrini ha messo a disposizione della Btp la propria funzione di consulente tecnico fin dal momento della nomina (essendo stato individuato dalla Btp per questa sua disponibilità) compiendo successivamente una serie di attività in violazione del dovere di imparzialità cui era tenuto ". In cambio, i dirigenti dell’azienda si sarebbero adoperati per garantirgli una "utilità" di centomila euro, ovvero la retribuzione per l’incarico di consulente d’ufficio. In primo grado Fusi e la Btp hanno vinto il lodo contro lo Stato, guadagnando così 34 milioni. Marco Imarisio 29 giugno 2010
Il rapporto con il campione si era interrotto tre anni fa Un’evasione da 25 milioni per l’ex manager di Valentino Rossi Badioli aveva trasferito la residenza a Londra Il rapporto con il campione si era interrotto tre anni fa Un’evasione da 25 milioni per l’ex manager di Valentino Rossi Badioli aveva trasferito la residenza a Londra MILANO — Dal 1996 fino all’estate del 2007 dove c’era Valentino Rossi c’era lui: Luigino Badioli detto Gibo, ex venditore di sedie di Gabicce inventatosi manager del più famoso, vincente e ricco sportivo italiano. Capello bianchissimo, sguardo truce, modi spicci, Gibo era il filtro tra il pilota e il mondo, una missione che lui svolgeva essenzialmente in un modo: dicendo di no. Ai giornalisti, agli sponsor, a tutti. Era il suo copyright e ne andava fiero: "In un anno, mediamente, su 30 offerte di collaborazione ne rifiuto 29 — ci raccontò nel marzo 2007 in una delle sue rarissime interviste—. Ma solo così posso realizzare il mio scopo principale: proteggere Valentino". Lo aveva protetto da tutto, alzando un muro (spesso incomprensibile) a difesa della sacra privacy di Rossi e, soprattutto, di un super business da 20 milioni l’anno tra ingaggio e sponsorizzazioni. Non era riuscito però a proteggerlo dal fisco e il 3 agosto 2007 Valentino venne travolto dallo scandalo: la Guardia di Finanza constatò che la residenza del campione a Londra era fittizia mentre il suo vero "centro di interessi" era in Italia. A Rossi fu contestata un’evasione di quasi 60 milioni risolta poi con una transazione ufficiale di 35. Di lì in poi, il campione cambiò vita, riprese la residenza a Tavullia e, soprattutto, scaricò Gibo, reo di aver abusato della sua fiducia e incoscienza nel delegare il controllo dei proprio affari. Già da un po’, del resto, i loro rapporti erano tesi e, sempre in quell’intervista, Badioli aveva annunciato l’imminente divorzio da Rossi: "Prima o poi tutti i grandi amori finiscono. Mi ritirerò presto". Ritirato o licenziato, Badioli —che nel frattempo ha dirottato i suoi interessi nel mondo della nautica — è rimasto nell’ombra fino a ieri, quando gli è stata contestata una maxievasione da 25 milioni di euro tra imposte Irpef, Iva, Irap e sanzioni. È l’esito di un percorso cominciato a luglio 2008, quando si seppe di un’inchiesta a suo carico. Rossi, allora, commentò gelido: "Io ho cercato di risolvere i miei problemi con le scelte che conoscete, lui farà le sue". L’ex manager ha preferito battere la via dei ricorsi, che ieri però sono stati respinti dai giudici di primo grado della Commissione tributaria di Pesaro-Urbino. Badioli, che nel 2000 aveva trasferito la propria residenza a Londra (dove aveva sede anche la sua società, la Great White London), ritenendosi residente all’estero aveva cessato la propria partita Iva e si era limitato a presentare, dal 2001 al 2006, dichiarazioni dei redditi assoggettando a tassazione esclusivamente redditi di natura fondiaria. Come accadde con Rossi, gli agenti del Fisco hanno invece dimostrato che il domicilio fiscale del londinese Badioli era in realtà in Italia e che c’erano dunque le condizioni per applicare il principio del "world wide taxation ", ovvero la tassazione in Italia di tutti i redditi ovunque prodotti. Il totale fa 25 milioni di euro. Niente male, per un semplice manager fattosi da solo. E dire di no al Fisco, stavolta, sarà impossibile. Alessandro Pasini 29 giugno 2010 2010-06-28 Il Vaticano in una lunga nota: In futuro affidata a una gestione professionale "Possibili errori nella gestione del patrimonio di Propaganda Fide" Ma la Santa Sede ha anche difeso la "buona fama" del Dicastero per l'evangelizzazione dei popoli * NOTIZIE CORRELATE * Sepe si difende: "Vado avanti sereno. Ho agito nella massima trasparenza" (21 giugno 2010) * Inchiesta G8, il cardinale Sepe e Lunardi indagati per corruzione (19 giugno 2010) Il Vaticano in una lunga nota: In futuro affidata a una gestione professionale "Possibili errori nella gestione del patrimonio di Propaganda Fide" Ma la Santa Sede ha anche difeso la "buona fama" del Dicastero per l'evangelizzazione dei popoli Il cardinale Crescenzio Sepe in una immagine di archivio (Ansa) Il cardinale Crescenzio Sepe in una immagine di archivio (Ansa) CITTÀ DEL VATICANO - È possibile che vi siano stati anche degli errori di gestione nel patrimonio di Propaganda Fide, e tuttavia la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli svolge un ruolo importante e vitale per l'attività della Santa Sede nel mondo. È quanto si legge in una nota della Sala stampa in merito alla Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. "La valorizzazione di tale patrimonio - si dice nel testo con riferimento a Propaganda Fide - è naturalmente un compito impegnativo e complesso, che si deve avvalere della consulenza di persone esperte sotto diversi profili professionali e che, come tutte le operazioni finanziarie, può essere esposto anche ad errori di valutazione e alle fluttuazioni del mercato internazionale". "Cionondimeno - si legge ancora nel comunicato - a testimonianza dello sforzo per una corretta gestione amministrativa e della crescente generosità dei cattolici, tale patrimonio ha continuato ad incrementarsi. IL VANGELO - "Al tempo stesso - prosegue il testo - nel corso degli ultimi anni, si è progressivamente fatta strada la consapevolezza della necessità di migliorarne la redditività e, a tale fine, sono state istituite strutture e procedure tese a garantirne una gestione professionale e in linea con gli standard più avanzati". "Con la presente nota - si spiega quindi - si intende richiamare a tutti l'identità, il valore e il profondo significato di un'istituzione vitale per la Santa Sede e per l'intera Chiesa Cattolica, che risponde al comandamento di Gesù: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura". Essa ha meritato e merita il sostegno di tutti i cattolici e di quanti hanno a cuore il bene dell'uomo e il suo sviluppo integrale". L'INCHIESTA - Nella nota, il Vaticano spiega la storia, la missione e la gestione patrimoniale e finanziaria della congregazione vaticana responsabile delle missioni, al centro delle indagini degli inquirenti relative ai grandi appalti, in particolare per quanto riguarda il ruolo svolto dall’ex prefetto Crescenzio Sepe. Propaganda Fide è finita nell'inchiesta sulla "cricca degli appalti", in relazione alla gestione avvenuta sotto la guida del cardinale Crescenzio Sepe, dal 2001 al 2006, attualmente indagato (nell'inchiesta anche l'ex ministro Lunardi) per "corruzione" dai magistrati di Perugia. Redazione online 28 giugno 2010
Evasione - I depositi degli italiani in Svizzera nella banca inglese Hsbc Il fisco e la "lista Falciani" Indagini sui primi cento nomi Perquisizioni della Finanza in abitazioni e uffici Evasione - I depositi degli italiani in Svizzera nella banca inglese Hsbc Il fisco e la "lista Falciani" Indagini sui primi cento nomi Perquisizioni della Finanza in abitazioni e uffici ROMA — Sono stati scelti in base ai "canoni di pericolosità fiscale". Vuol dire che hanno movimentato milioni di euro e per questo potrebbero essere chiamati a pagare multe salatissime: dal 20 al 50 per cento delle somme nascoste al fisco, oltre alla tassa sul reddito maggiorata fino al 400 per cento. Sono i primi 100 nomi della "lista Falciani" sottoposti a verifica dalla Guardia di Finanza. I controlli sono appena cominciati. Tecnicamente si chiamano "accessi", in realtà si tratta di vere e proprie perquisizioni nelle abitazioni e negli studi professionali alla ricerca di elementi utili a ricostruire le disponibilità economiche e dunque gli elementi per avviare la procedura amministrativa e l’eventuale segnalazione alla Procura competente per il reato di omessa dichiarazione. Nell’elenco sottoposto ad accertamenti ci sono soltanto persone fisiche, nessuna società. Tra loro: 24 risultano residenti in Lombardia, altri 24 nel Lazio, 7 in Toscana, 7 in Emilia, 5 in Campania, i rimanenti sono sparsi tra Piemonte, Veneto e Trentino. Professionisti, ma molte sono casalinghe, presumibilmente prestanome di chi ha così trovato il modo di occultare i propri risparmi. Avevano scelto la filiale di Ginevra della banca inglese Hsbc, mai immaginando che Hervè Falciani—il responsabile del sistema informatico dell’istituto di credito — si sarebbe portato via 127.000 schede di conti correnti dei clienti di mezzo mondo tentando di venderle prima alla concorrenza e poi al fisco tedesco. Dopo la fuga a Beirut, lo hanno arrestato a Nizza i gendarmi francesi riuscendo a recuperare il bottino. Poi hanno deciso di trasmettere i vari elenchi divisi per nazionalità a chi ne avesse fatto richiesta. La Procura di Torino si è fatta avanti con una rogatoria, ma prima le Fiamme Gialle sono riuscite ad ottenere copia dei dati relativi ai 5.728 contribuenti (le posizioni finanziarie sono 6.936, ma alcune sono riconducibili alla stessa identità) italiani grazie alla procedura prevista da un trattato di collaborazione tra Roma e Parigi. I finanzieri hanno in mano la movimentazione completa di ogni deposito con il saldo finale aggiornato al 2007, ma anche il dossier titoli, gli eventuali acquisti di valuta, i fondi di investimento. Complessivamente la somma accantonata in Svizzera era di circa cinque miliardi e mezzo di euro da avvocati, medici, commercialisti, ma anche attori registi, due giornalisti, svariati stilisti, sportivi e diplomatici. Il 63 per cento, vale a dire 6 su dieci, sono residenti in Lombardia, l’11 per cento nel Lazio, il 7 per cento nel Piemonte. Alcuni di loro hanno potuto contare anche su una provvista che supera i dieci milioni di euro e tanto basta per farsi un’idea delle multe che potrebbero essere inflitte e dunque dell’interesse dell’Erario affinché ci si muova con tempi rapidi per recuperare le somme sottratte al fisco e avere una boccata di ossigeno in questo momento di crisi. Le verifiche avviate in queste ore riguardano persone che non hanno mai presentato denuncia dei redditi oppure che hanno presentato dichiarazioni "incongrue" rispetto ai soldi che possedevano invece all’estero. La prima circostanza da accertare riguarda l’eventuale ricorso allo scudo fiscale: chi ha deciso di non avvalersene dovrà provare la legittimità del trasferimento del denaro in Svizzera, in base all’inversione dell’onore della prova che scatta in materia fiscale. Entro il 31 luglio i nuclei di polizia tributaria delle varie città dovranno consegnare i risultati di questi primi 100 nomi e subito dopo scatterà l’indagine a tappeto, privilegiando naturalmente chi risulta avere il "tesoretto" più grosso. Fiorenza Sarzanini 28 giugno 2010
L'ITER SI è BLOCCATO: LE AUTORITà DELLA ROCCA CHIEDONO singole rogatorie nominative Berloni, Zucchero e gli altri: un miliardo a San Marino La Guardia di Finanza ha acquisito una lista con 1200 nomi: anche i calciatori Amoruso e Palombo L'ITER SI è BLOCCATO: LE AUTORITà DELLA ROCCA CHIEDONO singole rogatorie nominative Berloni, Zucchero e gli altri: un miliardo a San Marino La Guardia di Finanza ha acquisito una lista con 1200 nomi: anche i calciatori Amoruso e Palombo Zucchero (Ansa) Zucchero (Ansa) ROMA—Un miliardo di euro. È l’entità delle somme che, a sentire gli investigatori, almeno 1.200 italiani hanno depositato o fatto transitare a San Marino negli ultimi quattro anni e mezzo. La lista dei presunti evasori fiscali è stata acquisita dalla Guardia di Finanza durante alcune perquisizioni avvenute nei mesi scorsi sul Titano a caccia di tracce utili per individuare gli eventuali riciclatori di denaro sporco che potrebbero aver utilizzato la ex Smi Bank e gli strumenti forniti da Iti Finanziaria e Iti Leasing e la fiduciaria Anphora, riconducibili al conte Enrico Maria Pasquini. Tra i nomi su cui la magistratura vorrebbe avere mano libera per svolgere accertamenti, il cantante Zucchero, Clara Nasi (moglie di Pasquini, imparentata con la famiglia Agnelli), i fratelli Antonio e Marcello Berloni (dell’omonimo gruppo industriale), Adolfo Guzzini (presidente e ad della iGuzzini), Giancarlo Morbidelli (fondatore della casa motociclistica), il re dei prosciutti Sante Levoni, l’ex calciatore Lorenzo Marronaro, il presidente del Cesena (appena promosso in serie A) Igor Campedelli, i giocatori Nicola Amoruso (Atalanta) e Angelo Palombo (Sampdoria), Matteo Melley (avvocato e presidente della fondazione Carispe), l’immobiliarista romano Valter Mainetti (con la società Sorgente ha acquistato grattacieli a New York). "Il rapporto di Walter e Paola Mainetti con la società fiduciaria Smi—ha precisato l’azienda— si è limitato ad una intestazione fiduciaria di un immobile. L’operazione, normalissima per chi opera sui mercati internazionali, è stata effettuata nella massima trasparenza e regolarmente dichiarata alle autorità italiane competenti". Nessuno dei personaggi i cui nomi appaiono nell’elenco è indagato. E le Fiamme Gialle incaricate dell’inchiesta della pm romana Perla Lori, almeno allo stato, non hanno la possibilità di compiere verifiche approfondire per accertare la sussistenza di violazioni fiscali. Per questo, è in atto un duro scontro con le autorità di San Marino. Il giudice del Titano Lamberto Emiliani ha dato via libera alla rogatoria che ha consentito l’esecuzione delle perquisizioni (tra i documenti sequestrati, c’è la lista per il momento composta solo di nomi e cognomi, date e luoghi di nascita dei soggetti) ma l’iter si è poi bloccato. Apparentemente le autorità della Rocca sono collaborative: in realtà, secondo i magistrati romani, oppongono una sorta di resistenza passiva. Come? E’ presto detto: alla richiesta di conoscere i flussi di denaro in entrata e uscita di ogni contribuente (peraltro non c’è alcuna certezza che si tratti di reali intestatari dei conti, si sospetta che in parecchi casi ci si trovi di fronte a prestanome) è stata opposta la necessità di far pervenire singole rogatorie nominative. Un lavoro enorme, praticamente impossibile da portare a termine rispettando i tempi di prescrizioni e scadenze processuali varie. C’è di più: nell’elenco sequestrato dalla Guardia di Finanza i nomi sono poco più di 1.700. Da San Marino, ne sono stati "cassati" 500. Motivo? Alle toghe romane sono stati forniti solo i nomi degli italiani residenti nel nostro Paese. E se un cittadino italiano ha trasferito la residenza, in maniera più o meno fittizia, a Montecarlo? Niente da fare, quel nome viene gelosamente custodito dal Titano nelle sue (per ora) inviolabili casseforti. Flavio Haver 27 giugno 2010(ultima modifica: 28 giugno 2010)
2010-06-27 L'ITER SI è BLOCCATO: LE AUTORITà DELLA ROCCA CHIEDONO singole rogatorie nominative Berloni, Zucchero e gli altri: un miliardo a San Marino La Guardia di Finanza ha acquisito una lista con 1200 nomi: anche i calciatori Amoruso e Palombo L'ITER SI è BLOCCATO: LE AUTORITà DELLA ROCCA CHIEDONO singole rogatorie nominative Berloni, Zucchero e gli altri: un miliardo a San Marino La Guardia di Finanza ha acquisito una lista con 1200 nomi: anche i calciatori Amoruso e Palombo Zucchero (Ansa) Zucchero (Ansa) ROMA—Un miliardo di euro. È l’entità delle somme che, a sentire gli investigatori, almeno 1.200 italiani hanno depositato o fatto transitare a San Marino negli ultimi quattro anni e mezzo. La lista dei presunti evasori fiscali è stata acquisita dalla Guardia di Finanza durante alcune perquisizioni avvenute nei mesi scorsi sul Titano a caccia di tracce utili per individuare gli eventuali riciclatori di denaro sporco che potrebbero aver utilizzato la ex Smi Bank e gli strumenti forniti da Iti Finanziaria e Iti Leasing e la fiduciaria Anphora, riconducibili al conte Enrico Maria Pasquini. Tra i nomi su cui la magistratura vorrebbe avere mano libera per svolgere accertamenti, il cantante Zucchero, Clara Nasi (moglie di Pasquini, imparentata con la famiglia Agnelli), i fratelli Antonio e Marcello Berloni (dell’omonimo gruppo industriale), Adolfo Guzzini (presidente e ad della iGuzzini), Giancarlo Morbidelli (fondatore della casa motociclistica), il re dei prosciutti Sante Levoni, l’ex calciatore Lorenzo Marronaro, il presidente del Cesena (appena promosso in serie A) Igor Campedelli, i giocatori Nicola Amoruso (Atalanta) e Angelo Palombo (Sampdoria), Matteo Melley (avvocato e presidente della fondazione Carispe), l’immobiliarista romano Valter Mainetti (con la società Sorgente ha acquistato grattacieli a New York). "Il rapporto di Walter e Paola Mainetti con la società fiduciaria Smi—ha precisato l’azienda— si è limitato ad una intestazione fiduciaria di un immobile. L’operazione, normalissima per chi opera sui mercati internazionali, è stata effettuata nella massima trasparenza e regolarmente dichiarata alle autorità italiane competenti". Nessuno dei personaggi i cui nomi appaiono nell’elenco è indagato. E le Fiamme Gialle incaricate dell’inchiesta della pm romana Perla Lori, almeno allo stato, non hanno la possibilità di compiere verifiche approfondire per accertare la sussistenza di violazioni fiscali. Per questo, è in atto un duro scontro con le autorità di San Marino. Il giudice del Titano Lamberto Emiliani ha dato via libera alla rogatoria che ha consentito l’esecuzione delle perquisizioni (tra i documenti sequestrati, c’è la lista per il momento composta solo di nomi e cognomi, date e luoghi di nascita dei soggetti) ma l’iter si è poi bloccato. Apparentemente le autorità della Rocca sono collaborative: in realtà, secondo i magistrati romani, oppongono una sorta di resistenza passiva. Come? E’ presto detto: alla richiesta di conoscere i flussi di denaro in entrata e uscita di ogni contribuente (peraltro non c’è alcuna certezza che si tratti di reali intestatari dei conti, si sospetta che in parecchi casi ci si trovi di fronte a prestanome) è stata opposta la necessità di far pervenire singole rogatorie nominative. Un lavoro enorme, praticamente impossibile da portare a termine rispettando i tempi di prescrizioni e scadenze processuali varie. C’è di più: nell’elenco sequestrato dalla Guardia di Finanza i nomi sono poco più di 1.700. Da San Marino, ne sono stati "cassati" 500. Motivo? Alle toghe romane sono stati forniti solo i nomi degli italiani residenti nel nostro Paese. E se un cittadino italiano ha trasferito la residenza, in maniera più o meno fittizia, a Montecarlo? Niente da fare, quel nome viene gelosamente custodito dal Titano nelle sue (per ora) inviolabili casseforti. Flavio Haver 27 giugno 2010
2010-06-22 un atto dovuto dopo la denuncia dell'ex membro idv elio veltri Illeciti nei rimborsi elettorali, Di Pietro indagato per truffa Il fascicolo riguarda le somme incassate per le europee del 2004. L'ex pm: tutto in regola, ecco le carte un atto dovuto dopo la denuncia dell'ex membro idv elio veltri Illeciti nei rimborsi elettorali, Di Pietro indagato per truffa Il fascicolo riguarda le somme incassate per le europee del 2004. L'ex pm: tutto in regola, ecco le carte Antonio Di Pietro (Omega) Antonio Di Pietro (Omega) MILANO - Il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, è indagato a Roma per truffa in relazione a presunti illeciti legati ai rimborsi elettorali assegnati al movimento politico da lui fondato. Gli illeciti riguarderebbe i rimborsi relativi alle elezioni europee del 2004. "È SEMPRE LA SOLITA STORIA" - L'iscrizione nel registro degli indagati, compiuta dal pm Attilio Pisani e dal procuratore aggiunto Alberto Caperna, costituisce un atto dovuto alla luce di una denuncia presentata recentemente contro l'ex pm di "Mani pulite" da Elio Veltri, ex membro dell'Idv. Secondo il denunciante i rimborsi elettorali sarebbero stati incassati non dal movimento politico Italia dei Valori, ma dall'associazione privata "Italia dei Valori", costituita dallo stesso Di Pietro insieme con altre persone. Il tutto, per Veltri, attraverso una serie di false autocertificazioni. Gli accertamenti sono affidati al pm Attilio Pisani. "È sempre la solita storia trita e ritrita su cui già, più volte, si sono espresse le varie procure della Repubblica, archiviando il caso. Per cui la Procura della Repubblica di Roma non poteva non procedere, anche questa volta, a seguito del solito esposto" ha spiegato in una nota il leader IdV. "Porteremo ancora una volta le carte - ha aggiunto - per dimostrare che è tutto in regola, come peraltro hanno accertato ormai da tempo non solo plurime autorità giudiziarie, ma anche, da ultimo, l'Agenzia delle Entrate e gli organi di controllo amministrativi e contabili. Ci vuole pazienza, ci sono persone che non si rassegnano alla propria sconfitta politica e continuano ad infangare gli altri". Di Pietro, che ha dato mandato ai propri legali di presentare una denuncia-querela nei confronti di Veltri per calunnia, diffamazione e "per tutti quegli altri reati che l'autorità giudiziaria vorrà ravvisare", ha provveduto a pubblicare sul proprio blog www.antoniodipietro tutta la ricostruzione della vicenda allegando i circa cento documenti che provano la realtà dei fatti. "Quando un politico viene chiamato a dare spiegazioni, le deve dare immediatamente, anche all'opinione pubblica" ha detto l'ex pm. ARCHIVIAZIONE NEL 2008 - Non è, in effetti, la prima volta che la magistratura romana viene investita della questione relativa ai rimborsi elettorali destinati all'Idv. Nel marzo del 2008 fu archiviata un'analoga inchiesta che prese spunto dall'esposto presentato da Mario Di Domenico, ex esponente dell'Idv. Al di là dell'apertura del procedimento, a Piazzale Clodio si ricorda ora che da un lato fascicoli scaturiti da denunce analoghe in passato sono finiti in archivio e dall'altro che lo stesso Di Pietro, qualche mese fa, ha firmato davanti a un notaio un atto per sancire che associazione e movimento politico Italia dei Valori sono la stessa cosa. Sulla vicenda, i magistrati hanno delegato una serie di accertamenti alla Guardia di Finanza. Redazione online 21 giugno 2010(ultima modifica: 22 giugno 2010)
protezione civile | Emergenze e grandi eventi, tutti i lavori affidati con iter straordinario Appalti e procedure speciali: 13 miliardi in nove anni E la Corte dei conti contesta i fondi per la regata alla Maddalena protezione civile | Emergenze e grandi eventi, tutti i lavori affidati con iter straordinario Appalti e procedure speciali: 13 miliardi in nove anni E la Corte dei conti contesta i fondi per la regata alla Maddalena L'importo destinato in nove anni all'emergenza rifiuti in Campania è di 3 miliardi e 548 milioni: 613 euro per ogni residente L'importo destinato in nove anni all'emergenza rifiuti in Campania è di 3 miliardi e 548 milioni: 613 euro per ogni residente ROMA — Nel Paese (l’Italia) dove ci sono più di tredicimila "stazioni appaltanti", cioè soggetti con il potere di bandire gare per opere pubbliche, ce n’è una che le surclassa tutte. Si chiama Protezione civile. Volete sapere quanti soldi sono passati per le mani di Guido Bertolaso da quando, nel 2001, Silvio Berlusconi lo ha rimesso a capo del Dipartimento e gli ha dato pure le competenze sui grandi eventi? La bellezza di 12 miliardi 894 milioni 770.574 euro. E 38 centesimi: pure quelli ha contato l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nel suo ultimo rapporto. Sottolineando ancora una volta con la precisione delle cifre la gigantesca anomalia di una struttura con licenza di deroga alle procedure ordinarie: non soltanto per le calamità naturali, ma anche incomprensibilmente per la gestione di gare sportive, vertici internazionali, manifestazioni varie. Illuminante è una relazione della Corte dei conti su una regata alla Maddalena svoltasi mesi (con solita ordinanza di Protezione civile) davanti ai luoghi del G8, pietra dello scandalo che sta travolgendo affaristi pubblici e privati. Costretto a ingoiare il rospo, il magistrato si è tolto comunque un sassolino dalla scarpa, giudicando ingiustificabile che per una competizione velica come la "Louis Vuitton world series" siano stati impiegati dipendenti pubblici e soldi sulla carta accantonati per le calamità. E su una cosa non ha voluto transigere, rifiutando il proprio visto di conformità: il fatto che al comitato organizzatore siano stati versati 2,3 milioni di denari pubblici. Prelevati anch’essi dallo stesso fondo per la protezione civile. Come si è arrivati a spendere con procedure in deroga quasi 13 miliardi, cifra che sarebbe sufficiente a fare due ponti sullo stretto di Messina, è spiegato in dettaglio nel rapporto dell’authority presieduta da Luigi Giampaolino. Dove si racconta che le ordinanze di Bertolaso le quali implicano il ricorso all’appalto sono lievitate con un crescendo rossiniano: 28 nel 2001, 34 nel 2006, 49 nel 2009 (anche a causa del terremoto). Prendiamo la spazzatura in Campania: se dal 2001 al 2005 la Protezione civile aveva emanato in media un’ordinanza l’anno, nel 2007 si è passati a sette, poi a 11 nel 2008. Da brivido la cifra finale: l’importo destinato in soli nove anni all’emergenza rifiuti in quella Regione avrebbe ha raggiunto 3 miliardi 548 milioni 878.439 euro. Ben 613 euro per ogni cittadino campano. Poi, fra quelle 302 ordinanze di Protezione civile emanate dal 2001 al 2009, ci sono i famosi Grandi eventi. Come i mondiali di nuoto dell’anno scorso, che hanno fatto scattare un’inchiesta giudiziaria e sui quali l’autorità di Giampaolino aveva già avuto qualcosa da ridire. Oppure come il G8 della Maddalena su cui indagano i giudici e per il quale sarebbe stata stanziata, anche se poi non effettivamente utilizzata, una somma sbalorditiva. Tenetevi forte: un miliardo, 6 milioni 415.139 euro e 68 centesimi. O, ancora, come le iniziative per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, altro capitolo che non ha mancato di interessare i magistrati e a proposito del quale la stessa authority ha sollevato una serie di questioni. Per esempio, che non siano state fornite indicazioni sulle procedure seguite per affidare incarichi a progettisti e collaudatori. Per esempio, che visti i tempi stretti si sia deciso di riconoscere alle imprese "premi di accelerazione" (?) non contemplati nelle gare. Per esempio, che fra avviso "di preinformazione " e pubblicazione dei bandi siano passati soli 14 giorni: troppo pochi "per poter ritenere di fatto efficace il relativo avviso". Stranezze. Seguite da altre "stranezze", come l’immediata sparizione dalla manovra di una norma voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti per ricondurre sotto il controllo della ragioneria generale dello Stato tutte le spese che fanno capo alla presidenza del Consiglio: una ventina di miliardi di euro l’anno. Fra queste, manco a farlo apposta, ci sono quelle della Protezione civile. Che continueranno quindi a essere svincolate dai controlli del Tesoro. Né è stato possibile ripristinare una disposizione che aveva introdotto l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro: l’abolizione degli arbitrati. Perciò si andrà avanti con quella forma di giustizia privata, gestita in prima persona da magistrati amministrativi e contabili e alti funzionari pubblici lautamente retribuiti (oltre allo stipendio, s’intende) per tali prestazioni: dalla quale, nonostante ciò, lo Stato esce regolarmente a pezzi. Anche nel 2009 la pubblica amministrazione è risultata "soccombente " nel 94% dei 136 arbitrati cosiddetti "liberi", cioè dove gli arbitri sono scelti "liberamente" fra le parti. Per una spesa aggiuntiva di 414 milioni di euro. Siamo arrivati al punto che ogni due appalti di importo superiore a 15 milioni di euro scatta un arbitrato. E con questo sistema il costo delle opere pubbliche è lievitato mediamente del 18%. Sergio Rizzo 22 giugno 2010
Per Lunardi chiesta al tribunale dei ministri l'autorizzazione a procedere Sepe si difende: "Vado avanti sereno Ho agito nella massima trasparenza" Il cardinale e Propaganda Fide: "La Segreteria di Stato approvò i bilanci". Annunciata rogatoria in Vaticano * NOTIZIE CORRELATE * Il restauro fantasma di Sepe Imarisio, Sarzanini (21 giugno 2010) * Il Vaticano: "Collaborazione nel rispetto del Concordato" Vecchi (21 giugno 2010) * Sepe e l'applauso dei fedeli: "Dopo il calvario la resurrezione" Buccini (21 giugno 2010) Per Lunardi chiesta al tribunale dei ministri l'autorizzazione a procedere Sepe si difende: "Vado avanti sereno Ho agito nella massima trasparenza" Il cardinale e Propaganda Fide: "La Segreteria di Stato approvò i bilanci". Annunciata rogatoria in Vaticano Il cardinale Sepe durante la conferenza stampa (Ap) Il cardinale Sepe durante la conferenza stampa (Ap) MILANO - Crescenzio Sepe si difende. E lo fa leggendo in conferenza stampa una lettera inviata alla sua diocesi di Napoli. "Vado avanti con serenità, accetto la croce e perdono, dal profondo del cuore quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi" spiega il cardinale, accusato di corruzione nell'inchiesta "Grandi eventi" come l'ex ministro Pietro Lunardi, per il quale i pm di Perugia hanno chiesto l'autorizzazione a procedere. TRA IL 2004 e il 2006 - Intanto, però, si annuncia che una rogatoria in Vaticano su tutta l'attività svolta da Propaganda Fide tra il 2004 e il 2006 potrebbe essere presto chiesta dalla procura di Perugia. L'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe, ora indagato per corruzione, in quel periodo era al vertice della congregazione. I magistrati del capoluogo umbro sembrano intenzionati a svolgere nuovi accertamenti su appalti, mutui e conti riconducibili a quella che attualmente è denominata la Congregazione per la evangelizzazione dei popoli. La richiesta, come prassi, dovrà comunque essere valutata dalle autorità italiane e poi eventualmente inoltrata alla Santa Sede. "Ho fatto tutto nella massima trasparenza" sostiene Sepe, confutando, punto per punto, gli addebiti che gli vengono mossi dalla procura di Perugia "per la responsabilità che ho avuto - precisa - in quanto prefetto della Congregazione di Propaganda Fide". "Papa Benedetto XVI mi chiese con una certa insistenza di rimanere a Roma" è uno dei passaggi della missiva dell'arcivescovo di Napoli ai suoi fedeli. Nella lettera, Sepe entra poi nello specifico delle accuse a lui rivolte: "Ho fatto tutto - precisa - avendo i bilanci puntualmente approvati dalla Prefettura per gli affari economici e dalla Segreteria di Stato, la quale con una lettera inviatami a conclusione del mio mandato di prefetto volle financo esprimere apprezzamento e stima per la gestione amministrativa" (guarda il video del Corriere del Mezzogiorno). In mattinata, ha fatto sapere lo staff di Sepe, il cardinale ha anche ricevuto una telefonata da Palazzo Chigi, ma non ha potuto rispondere proprio perché impegnato in una conferenza stampa con i giornalisti. IL RESTAURO A PIAZZA DI SPAGNA E BERTOLASO- Nella lettera ai fedeli di Napoli, il cardinale affronta la questione dei lavori di messa in sicurezza statica di un lato del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna a Roma. "Aveva subito una modificazione strutturale - dice Sepe - nel senso che era stato registrato un notevole distacco della parete determinato, secondo gli accertamenti tecnici effettuati, da infiltrazioni di acqua sotto il fabbricato e dalle continue vibrazioni causate dal passaggio della vicina metropolitana". "Fu accertata - prosegue - la competenza dello Stato italiano e furono eseguiti lavori di ripristino e ristrutturazione con onere parzialmente a carico della pubblica amministrazione". Poi la questione che riguarda l'alloggio dato in uso a Bertolaso: Sepe sostiene che la disponibilità di una casa per il capo della Protezione civile gli fu chiesta dal professor Francesco Silvano. Il cardinale incaricò lo stesso collaboratore di trovarne una, senza però esser poi messo a conoscenza né dell'ubicazione né delle modalità con cui l'appartamento fu concesso."L'esigenza" di una casa per Bertolaso, spiega l'arcivescovo, "mi venne rappresentata dal dottore Francesco Silvano. In prima istanza, gli feci avere ospitalità presso il seminario, ma mi furono rappresentati problemi di inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso dottor Silvano di trovare altra soluzione". Soluzione della quale, prosegue Sepe, "non mi sono più occupato né sono venuto a conoscenza sia in ordine alla ubicazione sia in ordine alle intese e alle modalità". "Come è stato scritto sui giornali - conclude Sepe - Bertolaso aveva bisogno di vivere in un ambiente più sereno poiché aveva qualche difficoltà". (Reuters) (Reuters) LE CONSULENZE - Sepe spiega poi che l'ex presidente del Consiglio dei Lavori pubblici Angelo Balducci, l'attuale presidente del Consiglio di Stato Pasquale De Lise e il professor Francesco Silvano sono le tre persone alle quali il cardinale si rivolse "sempre" per le consulenze relative agli immobili di Propaganda Fide. Quanto alla vendita all'ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi del palazzetto in via dei Prefetti, Sepe spiega che "la somma, incassata peraltro immediatamente, venne trasferita all'Amministrazione patrimonio sede apostolica (Apsa), affinchè fosse destinata a tutta l'attivatà missionaria nel mondo". LE PAROLE DEL LEGALE - "Nella condotta del cardinale Sepe non mi sembra ci sia niente di penalmente rilevante" sottolinea inoltre l'avvocato Bruno Von Arx: sarà lui da questo momento ad assistere legalmente l'arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, indagato nell'ambito di un filone dell'inchiesta "Grandi eventi". Von Arx spiega che il cardinale "è una persona estremamente serena. L'accusa è di corruzione aggravata - aggiunge - ma da quello che ho compreso si confondono, tempi, contenuti, date e prospettive di questi provvedimenti. Al più presto comunicherò ufficialmente della mia nomina e fisseremo la data dell'interrogatorio con i magistrati". Quanto alla possibilità per il cardinale di avvalersi del Concordato, il legale precisa: "Ci avvarremo delle prerogative che il nostro Codice riconosce trattandosi di un ministro del culto così elevato. Non rivendichiamo prerogative, chiederemo semmai una sede intermedia (per l'interrogatorio, ndr) per questo incontro con i magistrati ma oltre questo dobbiamo prospettare la nostra verità ed eliminare questo increscioso incidente". Sepe, riferisce Von Arx, "è rimasto particolarmente colpito per l'affetto che la città gli ha dimostrato. Oltre che sereno è lucido e mi ha esposto i fatti in modo che io ho potuto esprimere i giudizi che vi ho dato". LINK SUL SITO DEL VATICANO - In mattinata, senza annunci ufficiali, è comparsa sulla home del sito ufficiale del Vaticano una sezione speciale dedicata all’archivio storico di Propaganda Fide, la congregazione vaticana che, guidata dal cardinale Crescenzio Sepe dal 2001 al 2006, è finita al centro delle indagini sulla "cricca". Segno dell’importanza attribuita dalla Santa Sede alla congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il link all’"Archivio storico di Propaganda Fide" espone, tra l’altro, la storia del dicastero responsabile delle terre di missione così come un "museo virtuale". "Alla Congregazione - ricorda il sito vaticano - spetta di dirigere e coordinare in tutto il mondo l'opera dell'evangelizzazione dei popoli e la cooperazione missionaria, salva la competenza della Congregazione per le Chiese Orientali. Inoltre il Dicastero gode di diretta ed esclusiva competenza nei suoi territori, ad eccezione di ciò che riguarda gli altri Dicasteri della Curia Romana". Pietro Lunardi (Ansa) Pietro Lunardi (Ansa) LUNARDI - Nel frattempo i pm di Perugia che indagano sugli appalti per i grandi eventi hanno chiesto l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro Pietro Lunardi. Nel capoluogo umbro l'ex responsabile delle Infrastrutture è, come il cardinale Sepe, indagato per corruzione. La richiesta è stata depositata sabato scorso al tribunale dei ministri di Perugia, contestualmente all'invio a Lunardi e all'arcivescovo di Napoli di una informazione di garanzia. LE RICHIESTE DEL LEGALE - Lo stesso difensore di Lunardi, l'avvocato Gaetano Pecorella, aveva chiesto che la posizione del suo assistito dovesse essere valutata dal tribunale dei ministri. Il legale aveva comunque sottolineato che dovrà essere il suo assistito a scegliere se sollecitare questa strada, non escludendo quindi la possibilità che Lunardi possa comunque presentarsi ai pm di Perugia per chiarire la sua posizione. Redazione online 21 giugno 2010(ultima modifica: 22 giugno 2010)
2010-06-19 nelle operazioni sarebbero coinvolti anemone e balducci Inchiesta G8, il cardinale Sepe e Lunardi indagati per corruzione Per l'alto prelato l'indagine riguarda la ristrutturazione e la vendita di immobili di Propaganda Fide nel 2005 * NOTIZIE CORRELATE * Propaganda Fide, il Papa accelera il ricambio dopo l'inchiesta (19 giugno 2010) * Appalti e favori, il dossier al Papa. Più controlli sulle case del Vaticano (17 giugno 2010) * Bertolaso: "La casa di via Giulia grazie al cardinale Sepe" (16 giugno 2010) nelle operazioni sarebbero coinvolti anemone e balducci Inchiesta G8, il cardinale Sepe e Lunardi indagati per corruzione Per l'alto prelato l'indagine riguarda la ristrutturazione e la vendita di immobili di Propaganda Fide nel 2005 Il cardinale Sepe (Eidon) Il cardinale Sepe (Eidon) PERUGIA - Il cardinale Crescenzio Sepe e l'ex ministro Pietro Lunardi sono indagati dalla Procura di Perugia nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta "cricca" che avrebbe lucrato sui Grandi eventi. Corruzione il reato contestato a entrambi. I loro nomi compaiono in due diversi tronconi dell'indagine. A entrambi sono stati notificati gli avvisi di garanzia emessi dai pm Alessia Tavarnesi e Sergio Sottani. LE ACCUSE - Per il cardinale Sepe, arcivescovo di Napoli, l'indagine riguarda in particolare la ristrutturazione e la vendita di alcuni immobili di Propaganda Fide nel 2005. Operazioni nelle quali risulterebbe coinvolto il costruttore Diego Anemone, considerato personaggio centrale dell'inchiesta sui Grandi eventi. Il sospetto degli inquirenti perugini è che l'alto prelato abbia ricevuto in cambio dei favori. Anche per quanto riguarda Lunardi l'accusa fa riferimento alla ristrutturazione e alla vendita di un immobile. In entrambe le operazioni sarebbe coinvolto l'ex presidente del Consiglio dei lavori pubblici Angelo Balducci, tuttora detenuto nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta cricca degli appalti. Pietro Lunardi (Emblema) Pietro Lunardi (Emblema) LA CASA DI BERTOLASO - Il cardinale Sepe è stato chiamato in causa giorni fa dal capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Questi ha detto ai magistrati di Perugia che era stato lui a indirizzarlo nel 2003 al professor Francesco Silvano, collaboratore di Propaganda Fide, che poi gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia a Roma. Tre anni dopo, nel 2006, il cardinale, allora prefetto di Propaganda Fide, fu allontanato da Benedetto XVI alla scadenza del primo quinquennio: una cosa "inconsueta", si fa notare, visto che il predecessore era rimasto sedici anni e tutti gli altri prefetti del Novecento erano andati ben oltre il primo mandato, salvo un caso di morte prematura. I beni di Propaganda Fide, un patrimonio immenso (si stimano oltre 9 miliardi di euro) frutto di proprietà e donazioni secolari, sono gestiti in totale autonomia dalla Congregazione e servono a sostenere le terre di missione, Africa e Asia in testa: per questo il prefetto viene definito "Papa rosso". IL CARDINALE SEPE - Sepe, 67 anni, dopo aver trascorso una vita nella diplomazia vaticana, è divenuto nel 1992 segretario della Congregazione per il clero. In questo ruolo ha cominciato a farsi conoscere come abile organizzatore di grandi eventi. Ha promosso, tra l'altro, gli incontri internazionali dei sacerdoti di tutto il mondo in preparazione al Giubileo del 2000 a Fatima e a Yamossoukro. In qualità di segretario della Congregazione per il clero, ha organizzato inoltre tutte le celebrazioni per i trent'anni della "Presbyterorum Ordinis" e per il cinquantesimo di sacerdozio di Giovanni Paolo II. Grazie a questi meriti, il 3 novembre 1997 è stato nominato segretario generale del Comitato e del Consiglio di presidenza del Giubileo del 2000. Ha dunque seguito in prima persona l'itinerario di preparazione all'Anno Santo, collaborando tra l'altro con Angelo Balducci e Guido Bertolaso, entrambi coinvolti - per parte italiana - nella preparazione del Giubileo. Il 9 aprile 2001 Giovanni Paolo II lo ha nominato prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, ex Propaganda Fide, il dicastero più ricco di tutta la Santa Sede. Poco dopo anche Balducci è diventato consultore della Congregazione. L'EX MINISTRO LUNARDI - L'ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi è nato a Parma il 19 luglio 1939. Sposato con figli, laureato in ingegneria civile, è un esperto in materia di gallerie e sottosuolo. Professore di geotecnica del sottosuolo alla facoltà di Ingegneria dell'università di Parma e presidente della Società italiana gallerie (Sig), ha cominciato la sua esperienza nella Cogefar, per la quale ha seguito la progettazione e la realizzazione di importanti opere in Italia e nel mondo. Nel 1980 ha fondato una sua società di ingegneria, la Rocksoil. È stato diverse volte consulente del governo come "consigliere per i problemi della conservazione del suolo e grandi infrastrutture", membro della Commissione per la Valtellina, della Commissione grandi rischi della Protezione civile, consulente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, membro della commissione di super esperti nominata per valutare i danni provocati nel 1999 dall'incendio nel tunnel del monte Bianco, consulente della società Autostrade per il tunnel della variante di Valico. Nel 2001, alla formazione del governo Berlusconi bis, diventa ministro per le Infrastrutture e i trasporti ed è il firmatario della legge Lunardi sulle Grandi opere. A lui è legata anche l'introduzione nel luglio 2003 della patente a punti. È stato tra i progettisti del traforo del monte Bianco e di quello del Frejus, ha realizzato tratti di metropolitane a Lione e Marsiglia, a Singapore e a Canton e anche a Roma, nel periodo dell'amministrazione Rutelli. Ha coordinato il programma delle grandi opere per la Casa delle Libertà. Alle elezioni politiche del 2006, Lunardi viene eletto per la prima volta in Parlamento, come senatore per Forza Italia nella regione Emilia-Romagna. Nell'inchiesta G8 spunta il suo nome dopo quello del ministro Scajola: secondo un testimone sarebbe stato il beneficiario di un'altra operazione targata Diego Anemone per la compravendita di un immobile di pregio. Redazione online 19 giugno 2010
2010-06-18 Atti alla procura di Roma: prosegue l'esame Inchiesta appalti G8, Cassazione: "Un sistema spregiudicato" "Relazioni professionali e personali che hanno realizzato una rete di interessi intrecciati" non legittimi * NOTIZIE CORRELATE * "Le mogli inserite nel sistema illegale di appalti e favori" di M. Imarisio (18 giugno 2010) * Anemone, tangenti dai conti della segretaria di F. Sarzanini (15 giugno 2010) * Fusi e il memoriale alla procura: "Sistema Balducci per appalti ai romani" di M. Imarisio (13 giugno 2010) Atti alla procura di Roma: prosegue l'esame Inchiesta appalti G8, Cassazione: "Un sistema spregiudicato" "Relazioni professionali e personali che hanno realizzato una rete di interessi intrecciati" non legittimi Fabio De Santis (Ansa) Fabio De Santis (Ansa) ROMA - Le persone coinvolte negli appalti per la scuola dei marescialli dei carabinieri di Firenze e per altre opere, si muovevano in una "situazione in attuale divenire, caratterizzata dall'utilizzazione spregiudicata di un sistema di relazioni professionali e personali che ha realizzato una rete di interessi intrecciati" non legittimi. Lo sottolinea la Cassazione che ha appena depositato le motivazioni della decisione con la quale lo scorso 10 giugno ha deciso il trasloco dell'inchiesta da Firenze a Roma confermando le misure cautelari per l'ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis (che la Corte Suprema giudica "protagonista) del sistema, l'avvocato Guido Cerruti, e l'imprenditore Francesco De Vito Piscicelli. Per la Suprema Corte le misure cautelari sono motivate dalla gravità degli indizi di corruzione. In particolare, gli indagati facevano parte "di un sistema di potere in cui appare normale accettare e sollecitare utilità di ogni genere e natura da parte di imprenditori delle opere pubbliche". ATTI A PROCURA- Intanto sono arrivati a Roma da Firenze gli atti dell'inchiesta sugli appalti alla Scuola marescialli dei carabinieri. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna e i sostituti Ilaria Calò e Roberto Felici ne hanno già cominciato l'esame per fare in modo che entro il 30 giugno possano chiedere al giudice per le indagini preliminari se confermare o meno i provvedimenti cautelari per De Santis, De Vito Piscicelli e Cerruti. È probabile che i magistrati romani esaminino anche la posizione dell'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci, che è coinvolto nella medesima indagine ma per il quale i difensori non hanno fatto il ricorso in Cassazione. Quanto alla competenza, si ribadisce che da un primo esame del carteggio emerge chiara la competenza della procura romana. È infatti nella capitale che si sarebbe consumato l'accordo dal quale è poi emersa l'ipotesi di reato di corruzione fatta per le persone coinvolte. Il 6 luglio prossimo a Firenze ci sarà il processo che vede imputati De Santis, Balducci e Cerruti e da questo giudizio emergeranno gli elementi che potranno far concludere ogni discussione sulla competenza a indagare. Redazione online 18 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
Firenze Il Riesame: Balducci e De Santis restino dentro "Le mogli inserite nel sistema illegale di appalti e favori" Stop al primo processo per corruzione Firenze Il Riesame: Balducci e De Santis restino dentro "Le mogli inserite nel sistema illegale di appalti e favori" Stop al primo processo per corruzione DAL NOSTRO INVIATO Fabio De Santis al tribunale del riesame (Milestone) Fabio De Santis al tribunale del riesame (Milestone) FIRENZE — La decisione di non decidere fa tutti contenti. Accusa e difesa, che per quattro ore se le sono suonate con cordialità e determinazione, accolgono con un sospiro di sollievo la scelta del presidente del Collegio Emma Boncompagni, che rinvia il processo al 6 luglio, ritenendo necessario aspettare le motivazioni della sentenza della Cassazione, che lo scorso 11 giugno ha stabilito che gli atti dell'inchiesta sulla Scuola Marescialli di Firenze dovessero essere inviati a Roma. Per Fabio De Santis non cambia nulla. L'udienza si è aperta con l'annuncio che l'ex provveditore alle Opere pubbliche toscane resta in carcere. Lo ha deciso il Tribune del Riesame, con motivazioni molto pesanti. Scrive il giudice che De Santis ha mantenuto un atteggiamento "di totale chiusura" nei confronti delle ipotesi accusatorie, a dimostrazione dell'"evidente carenza di percezione della antigiuridicità del proprio comportamento", suo e degli altri, tutti personaggi che hanno "legami profondi con soggetti di livello istituzionale molto elevato". Questa mancata "percezione della propria condotta" da parte di tutti gli indagati emergerebbe anche dal coinvolgimento dei familiari. "E in particolare delle mogli, ben inserite nel sistema, di cui conoscono i dettagli e se ne avvantaggiano in modo palese, anche se non con ruoli penalmente rilevanti". Il primo processo per corruzione alla presunta "cricca", procede a piccoli passi e con sorte sempre più incerta. L'ingorgo che si è creato con il verdetto della Suprema Corte, che si è pronunciata sull'ordinanza di custodia cautelare emessa a fine marzo nei confronti di Angelo Balducci, Fabio De Santis e Guido Cerruti, ritenendola valida ma fissando la competenza a Roma mentre intanto c'è un dibattimento in corso a Firenze, deve ancora trovare una soluzione. Ieri i pubblici ministeri toscani hanno sostenuto le loro ragioni, dicendo di essersi sempre ritenuta competente a livello territoriale. Ovviamente di tutt'altro avviso i difensori degli imputati. Il confronto è stato aspro ed è girato intorno a una sola data, un solo episodio. È la sera del 18 febbraio 2008. L'imprenditore Riccardo Fusi, patron della Baldassini Tognozzi Pontello, si incontra all'Una Hotel di Firenze con l'imprenditore Francesco De Vito Piscicelli e suo cognato, Pierfrancesco Gagliardi. Nella memoria depositata ieri dai pubblici ministeri si legge questo: "Piscicelli, supportato da Gagliardi, propone a Fusi di concludere un patto corruttivo che prevede la messa a disposizione dei funzionari ministeriali in favore della "Baldassini Tognozzi Pontello". In particolare, Piscicelli affronta, con il Fusi, la tematica del pagamento di una somma di denaro in favore dei funzionari ministeriali Balducci e De Santis". Si tratta del "momento genetico" di una corruzione continuata, e per questo la competenza di tutta l'inchiesta si radicherebbe a Firenze. Roberto Borgogno, difensore di Balducci, ha contestato questa versione dei fatti, ironizzando sul fatto che l'incontro fiorentino sia l'unico tra i tanti, tutti avvenuti a Roma, che "non vide tra i protagonisti i pubblici ufficiali" indagati nell'inchiesta. "Sarebbe il primo caso" ha detto "di corruzione per rappresentanza". Il discrimine è sottile, questione di interpretazioni, anche delle parole. E quella delle intercettazioni che ricostruiscono l'incontro di Firenze non è univoca, anzi, la lettura che ne danno accusa e difesa è diametralmente opposta. Proprio per questo possono assumere un certo rilievo le dichiarazioni di Gagliardi, successive all'ordinanza sulla quale si è espressa la Cassazione. Interrogato lo scorso 21 maggio dai pm, il cognato di Piscicelli ammette che qualcosa, quella sera a Firenze, è davvero avvenuto, citando un "accordo verbale" nel quale sarebbero stati fissati i parametri della "gratitudine" di Fusi per i servigi resi da Piscicelli. Il 6 luglio si saprà. Marco Imarisio 18 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-06-17 il processo Appalti, il tribunale prende tempo e rinvia la decisione sulla competenza Il tribunale prende tempo e decide di rinviare la decisione sulla competenza del processo per l’appalto della scuola marescialli. Aspetta la motivazione della Cassazione La scuola Marescialli La scuola Marescialli FIRENZE - Il tribunale di Firenze ha rinviato al prossimo 6 luglio il processo per la presunta corruzione sull’appalto per la Scuola marescialli dei carabinieri, tra i filoni dell’inchiesta sui Grandi Eventi, riservandosi di decidere sulla questione della competenza territoriale solo dopo aver acquisito le motivazioni con cui il 10 giugno scorso la Corte di Cassazione ha disposto il trasferimento degli atti da Firenze a Roma. Le motivazioni infatti non sono ancora disponibili e il presidente del collegio della prima sezione del tribunale di Firenze, Emma Boncompagni, ha letto in aula l’ordinanza dalla quale emerge che i giudici fiorentini "per avere tutti gli elementi utili" ai fini della decisione hanno necessità di attenderle. Il rinvio è stato deciso anche tenendo conto delle eccezioni sollevate dalle difese sulla competenza territoriale. RESTANO IN CARCERE BALDUCCI E DE SANTIS - L’udienza si era aperta con la comunicazione alle parti di un’altra decisione molto attesa, cioè quella del tribunale del riesame di Firenze che ha confermato l’arresto in carcere per Angelo Balducci e Fabio De Santis, respingendo così l’appello degli avvocati dei due imputati contro la conferma dell’ ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Rosario Lupo il 4 marzo scorso. Poi ha tenuto banco il confronto tra le parti sulla competenza territoriale. Ora il termine più vicino per sperare di uscire sono i 20 giorni scattati dal 10 giugno scorso, giorno della sentenza della Corte di Cassazione sul trasferimento a Roma degli atti del filone fiorentino. Il trasloco, per incompetenza territoriale, dell’inchiesta potrebbe far ripartire la situazione: un’altra procura e un altro gip, quelli della Capitale, potrebbero esprimersi sulle misure cautelari. Se ciò non accadrà, il prossimo 30 giugno i due ex funzionari pubblici potranno tornare in libertà. Questo, salvo che lo slittamento del processo fiorentino al 6 luglio non abbia effetto anche sui termini di carcerazione. Nelle motivazioni, il tribunale del Riesame di Firenze attribuisce ai due "uno stile di vita antigiuridico", un "atteggiamento di totale chiusura alle ipotesi accusatorie" e "legami profondi con soggetti di livello istituzionale molto elevato", elementi che fanno temere per la reiterazione del reato e per l’inquinamento delle prove. Ecco perchè, secondo i giudici, Balducci e De Santis devono restare in carcere. E neanche gli arresti domiciliari sono stati giudicati idonei per la detenzione. Motivo, spiega il Riesame, "la mancata percezione di antigiuridicità della condotta da parte dell’indagato, rivelatrice di carenza di autodisciplina necessaria per applicare una misura cautelare che a questa si affida". Ma i domiciliari sono stati negati anche "per il coinvolgimento, a vario titolo, di familiari, e in particolare delle mogli, ben inserite nel sistema di cui conoscono i dettagli e di cui si avvantaggiano in modo palese anche se in ruoli non penalmente rilevanti". De Santis De Santis IL PROCESSO SLITTA AL 6 LUGLIO - I pm - in aula c’erano il procuratore Giuseppe Quattrocchi e i sostituti Luca Turco, Giuseppina Mione e Giulio Monferini - hanno ribadito che la competenza è radicata nel capoluogo toscano; dello stesso parere l’avvocatura dello Stato parte civile per la presidenza del Consiglio. Invece, per i difensori di Angelo Balducci, Fabio De Santis e Guido Cerruti (presente in aula solo De Santis) la Cassazione ha chiarito che la competenza territoriale è a Roma. I pm hanno depositato una memoria dicendo che "non ci sono colpi di scena nè colpi di teatro: la procura ha portato avanti un ragionamento lineare nel quale si è convinta della necessità di poter richiedere le misure cautelari per alcuni indagati", in quanto si riteneva competente territorialmente per farlo. Per l’accusa, inoltre, ci sono stati "plurimi episodi di corruzione" e "vi è stata una premessa corruttiva, con molti episodi avvenuti a Roma" ma "il patto corruttivo si è consumato il 18 febbraio 2008 a Firenze". IL PATTO CORRUTTIVO - L’incontro avvenne a Firenze fra gli imprenditori Riccardo Fusi e Francesco Piscicelli, entrambi indagati, con il secondo, dicono i pm, "intermediario" di Fusi con Balducci e De Santis. Secondo l’accusa l’incontro fu decisivo nell’obiettivo di far riottenere alla società Btp di Fusi il cantiere della scuola avvalendosi di pubblici funzionari come Balducci e De Santis. E anche le testimonianze rese ai pm dal cognato di Piscicelli, Pierfrancesco Gagliardi, avvalora l’ipotesi che il patto corruttivo si sia stabilito in quella circostanza. Di altro avviso i difensori per i quali "l’eventuale corruzione sarebbe stata consumata in episodi avvenuti a Roma". L’avvocato Roberto Borgogno, difensore di Angelo Balducci, ha elencato una dozzina di incontri a Roma tra gennaio 2008 e gennaio 2009 ma poi ha evidenziato che a Firenze il 18 giugno 2008 ci fu "l’unico incontro che non vide protagonisti i pubblici ufficiali" indagati nell’inchiesta cioè Balducci e De Santis. "Sarebbe il primo caso di corruzione per rappresentanza", ha ironizzato il legale aggiungendo che "le condotte per un eventuale accordo corruttivo sono avvenute a Roma" e definendo "infondata" la posizione della procura fiorentina sulla competenza. Così, anche dopo che il pm Luca Turco ha informato l’aula che la procura ha trasmesso a Roma copia degli atti ma non il procedimento, a fine udienza il rinvio al 6 luglio ha messo d’accordo tutti, pm e difese. "È una decisione ragionevole, bisogna aspettare le motivazioni della Cassazione", hanno detto i magistrati Luca Turco e Giuseppina Mione, uscendo dal tribunale. Per Alfredo Gaito, legale di De Santis "è stata una giusta cautela". Gabriele Zanobini, difensore di Balducci, ha parlato di "anticipo della decisione che non potrà essere diversa dal trasferimento degli atti a Roma". 16 giugno 2010(ultima modifica: 17 giugno 2010)
inchiesta sul g8 Appalti e favori, il dossier al Papa Più controlli sulle case del Vaticano L'interessamento del segretario di Stato Bertone. In vista un cambio alla guida di Propaganda Fide * NOTIZIE CORRELATE * Bertolaso: "La casa di via Giulia grazie al cardinale Sepe" (16 giugno 2010) inchiesta sul g8 Appalti e favori, il dossier al Papa Più controlli sulle case del Vaticano L'interessamento del segretario di Stato Bertone. In vista un cambio alla guida di Propaganda Fide L'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe (Ansa) L'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe (Ansa) CITTÀ DEL VATICANO - Non si può dire che la bufera intorno a Propaganda Fide e al suo patrimonio immobiliare abbia colto di sorpresa i piani alti Oltretevere, in Vaticano si ostenta tranquillità, "la giustizia civile faccia il suo corso". Certo, "si leggono tante cose non vere", considerano più fonti nel giorno in cui le cronache riportano le dichiarazioni di Guido Bertolaso ai magistrati di Perugia: che il capo della Protezione civile potesse essere ospite dell’appartamento in via Giulia, senza che nessuno pagasse un affitto alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, "è escluso", si dice in Vaticano, "qualcuno deve averlo fatto". Che qualcosa non funzionasse, tuttavia, era già chiaro ben prima che intercettazioni e indagini rivelassero il giro vischioso di assegnazioni e vendite immobiliari di favore. Oltretevere si usa una parola dura: "Rimozione". Quattro anni fa, nel 2006, il cardinale Crescenzio Sepe, allora prefetto di Propaganda Fide, fu allontanato da Benedetto XVI alla scadenza del primo quinquennio: una cosa "inconsueta", si fa notare, visto che il predecessore era rimasto sedici anni e tutti gli altri prefetti del Novecento andarono ben oltre il primo mandato, salvo un caso di morte prematura. Altrettanto strano è che un capo congregazione, addirittura il potentissimo "Papa rosso" di Propaganda Fide, passasse a guidare una diocesi, per quanto illustre come Napoli: semmai accade il contrario. "GESTIONE NON ESEMPLARE" - No, qualcosa non ha funzionato, "la gestione non è stata esemplare", si considera con un eufemismo curiale: e la "riforma gentile" della Curia avviata da papa Ratzinger nel 2005 - gradualmente, senza scossoni - aveva già iniziato a porvi rimedio. In questi mesi l’attenzione è ovviamente aumentata - si è già deciso di cancellare il nome del "consultore " e "gentiluomo di Sua Santità" Angelo Balducci dall’Annuario Pontificio 2011 - e in Segreteria di Stato si sono fatti mandare tutte le carte e i documenti sulla faccenda, il cardinale Tarcisio Bertone si consulta "come per ogni questione" con Benedetto XVI, ci sono novità in vista. Anche se "non ci sarà alcun commissariamento della Congregazione", spiegano Oltretevere, smentendo voci circolate nelle scorse settimane. PATRIMONIO IMMENSO - Le cose sono però destinate a cambiare. I beni di Propaganda Fide, un patrimonio immenso (si stimano oltre 9 miliardi di euro) frutto di proprietà e donazioni secolari, sono gestiti in perfetta autonomia dalla Congregazione e servono a sostenere le terre di missione, Africa e Asia in testa: per questo il prefetto viene definito "Papa rosso". La gestione è distinta da quella dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica presieduta dal cardinale Attilio Nicora. Il problema è che la divisione è eccessiva, nel senso che le due gestioni procedono a compartimenti stagni: è quindi "auspicabile", spiegano fonti vicine alla Segreteria di Stato, che "si arrivi a un maggiore coordinamento e una maggiore vigilanza" sulla gestione della Congregazione. Non si tratta di trasferire competenze o beni immobiliari, ma di "garantire maggiore trasparenza interna": se non altro per evitare che atti e vendite del patrimonio immobiliare, com’è accaduto con la vecchia gestione, possano restare ignoti nella stessa Santa Sede, al di fuori del palazzo della Congregazione. TRASPARENZA - Del resto l’attuale prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Ivan Dias, venne nominato nel 2006 proprio per "avviare una gestione più trasparente": figura di grande spiritualità, indiano e già arcivescovo di Bombay, garantiva e garantisce una serena estraneità ai giri di amicizie romani. Il cardinale Dias, dicono Oltretevere, ha però chiesto a Benedetto XVI di poter lasciare l’incarico: è noto da tempo che abbia problemi di salute, anche se il desiderio sarebbe di mantenerlo al suo posto fino alla scadenza, a primavera 2011. In ogni caso, la questione andrà affrontata nei prossimi mesi. Di certo il successore sarà un uomo di fiducia del papa e del segretario di Stato, e una personalità di altissimo livello: difatti si fa il nome dell’arcivescovo Fernando Filoni, finissimo diplomatico e Sostituto per gli Affari Generali; in questo caso il problema sarebbe trovare una figura capace di prendere il suo posto ai vertici (è il numero due, assieme all’arcivescovo Dominique Mamberti) della Segreteria di Stato. Gian Guido Vecchi 17 giugno 2010
i numeri San Marino, 178 società irregolari segnalate al governo italiano La repubblica del Titano: "Tali dati confermano la piena collaborazione con Roma" i numeri San Marino, 178 società irregolari segnalate al governo italiano La repubblica del Titano: "Tali dati confermano la piena collaborazione con Roma" MILANO - Sono 178 le società irregolari che la Repubblica di San Marino ha segnalato alla Guardia di Finanza e all'Agenzia delle entrate italiana in poco più di un anno. Il dato è stato reso pubblico dal segretario all'Industria sammarinese, Marco Arzilli. Da aprile a oggi sono 27 le licenze revocate ad altrettante società sammarinesi da parte del Congresso di Stato. Di queste 14 sono riconducibili al settore elettronico con un fatturato che in tre anni aveva raggiunto i 314 milioni di euro. Su 69 delle 178 segnalazioni partite da San Marino, la Guardia di Finanza ha trovato effettivi riscontri. Tali dati confermano - ha detto il ministro Arzilli - la piena collaborazione di San Marino con le autorità italiane. "E non si può escludere che tra le venti società oggetto oggi di indagini da parte della Procura di Ancona per l'ennesima frode "carosello" - ha sottolineato ancora il segretario Arzilli - vi siano alcune di quelle già sospese dal nostro governo. Il successo delle indagini è il nostro successo". Massima allerta quindi sul Titano contro triangolazioni, società cartiere e esterovestizione. "Abbiamo messo in campo misure concrete - ha concluso il ministro - con il nucleo antifrode (costituito da 7 agenti di polizia), l'Ufficio di controllo e di vigilanza che indaga con massima autonomia, ma è stato soprattutto il decreto sull'Iva prepagata che ha detto stop per sempre alle frodi carosello". Nell'ambito della collaborazione tra le magistrature si segnala che nell'ultimo anno sono state 73 le rogatorie arrivate al tribunale sammarinese, di queste 58 sono state già evase e 15 sono in corso di lavorazione. (Fonte Ansa) 17 giugno 2010
Il rapporto del Ros - possibili connessioni con i clan della camorra Terremoto, gli intrecci della "cricca" con la cassa di risparmio dell'Aquila Legami con la Carispaq su appalti e subappalti. Gli appelli a Verdini per sbloccare le pratiche * NOTIZIE CORRELATE * L'Aquila, migliaia di persone al corteo per la ricostruzione (16 giugno 2010) * "Patto politico per i lavori in Abruzzo. Una riunione con Letta e Verdini" (16 giugno 2010) Il rapporto del Ros - possibili connessioni con i clan della camorra Terremoto, gli intrecci della "cricca" con la cassa di risparmio dell'Aquila Legami con la Carispaq su appalti e subappalti. Gli appelli a Verdini per sbloccare le pratiche Denis Verdini (Eidon) Denis Verdini (Eidon) ROMA - Le aziende che compongono il Consorzio Federico II si sono spartite appalti e subappalti per la ricostruzione del dopo terremoto. E grazie agli appoggi politici, anche locali, sarebbero riuscite a ottenere una corsia preferenziale per i nuovi progetti. Un rapporto dei carabinieri del Ros, acquisito dai magistrati abruzzesi titolari dell’inchiesta, rivela gli intrecci tra gli imprenditori e i loro referenti istituzionali assegnando un ruolo centrale nella trattativa con il governo ai dirigenti della Cassa di risparmio de L’Aquila (Carispaq) che parteciparono alla riunione del 12 maggio 2009 - tre giorni prima della costituzione del sodalizio d’impresa - a Palazzo Chigi e poi sollecitarono un nuovo intervento dell’onorevole Denis Verdini per sbloccare alcune pratiche in Regione. Ma individua anche i legami con personaggi collegati alla camorra di alcune ditte appartenenti a un altro consorzio, che sono riuscite ad aggiudicarsi commesse legate al G8. LA SEDE DELLA BANCA - Una settimana fa Ettore Barattelli, presidente del Federico II, si è presentato dal procuratore Alfredo Rossini per confermare l’esistenza di un accordo politico -suggellato durante l’incontro con il sottosegretario Gianni Letta e l’onorevole Denis Verdini - che fornì il via libera all’assegnazione dei lavori alla cordata guidata dalla Btp di Riccardo Fusi, amico da anni di Verdini. Barattelli è componente del consiglio di amministrazione della Carispaq e adesso si scopre che uno degli appalti assegnati al Federico II riguarda proprio la ristrutturazione di palazzo Branconio, sede principale dell’istituto di credito. Non solo. La relazione investigativa ricostruisce l’intreccio che ha determinato l’aggiudicazione delle commesse. "L’Ati costituita dalla Btp, dalla Cmp Costruzioni metalliche prefabbricate e dalla Vittorini Emidio costruzioni - evidenziano i carabinieri - ha ottenuto appalti per la ricostruzione della scuola Carducci anche mediante subappalti a società collegate". Lo stesso sistema è stato utilizzato anche per la "ricostruzione della caserma Capomizzi: l’appalto è stato assegnato alla ditta Marinelli ed Equizi che ha poi subappaltato una parte dei lavori alla Ettore e Carlo Barattelli". L’intero Consorzio ha ottenuto invece quattro incarichi per il puntellamento dei palazzi che, di fatto, sono uno degli incarichi più grossi nel comparto ricostruzione visto che per il resto si è deciso di sostituire le vecchie abitazioni con i prefabbricati del progetto "C.a.s.e.". VERDINI E LA REGIONE - Un ruolo chiave lo hanno certamente avuto il direttore della Carispaq Rinaldo Tordera e il suo vice Angelo Fracassi. Entrambi erano a Palazzo Chigi per "garantire" il consorzio. E anche in seguito si attivarono, come dimostrano le telefonate intercettate per ordine del giudice di Firenze e poi trasmesse alla magistratura de L’Aquila. Il 19 maggio è proprio Fracassi a contattare l’imprenditore Fusi. Fracassi: "Buonasera, la disturbo? Ci diamo del tu? okay... ascoltami... con Tordera (direttore generale della banca)... noi vorremmo riparlare un po' con Verdini perché vediamo una situazione di stallo qui in Regione... un po' preoccupante... niente... se ci procuri un appuntamento per la settimana prossima magari". Fusi: "Va bene, io posso anche giovedì ora giovedì o venerdì e allora dimmi il giorno...". Una settimana dopo l’imprenditore viene chiamato da Verdini che lo rassicura di aver parlato con Gianni (Chiodi, il presidente della Regione Abruzzo, ndr) e aggiunge: "Ha portato tutto a Bertolaso". Il 22 luglio il geometra Liborio Fracassi invia un sms a Fusi: "Abbiamo vinto il primo appalto, una scuola per 7,3 milioni da consegnare chiavi in mano il 10 settembre. È il primo, gli altri a breve. Ferie a L'Aquila". IL CONTATTO CON I CLAN - Nel rapporto dei carabinieri vengono evidenziate anche le possibili connessioni di un altro Consorzio, lo Stabile Novus, che ha partecipato ad alcune gare e, "attraverso una delle società, la Giardini e paesaggi, si è aggiudicato la sistemazione delle aree verdi in occasione del G8". Annotano i carabinieri: "Amministratore dello Stabile Novus è Mario Buffardi, regista occulto è Antonio Di Nardo al quale fanno capo la Soa e la Promocert. Di Nardo ha avuto rapporti di affari con Carmine Diana, legato a Francesco Bidognetti del clan dei Casalesi. La Soa ha rilasciato il certificato di attestazione alle seguenti imprese: Aerre costruzione srl il cui amministratore unico Antonio D’Oriano, fratello di Vincenzo ritenuto inserito nel clan camorrista di Ferdinando Cesarano e alla Edrevea spa il cui socio Crescenzio Verde è stato arrestato e poi prosciolto per 416 bis". Fiorenza Sarzanini 17 giugno 2010
2010-06-16 IL DOPO-TERREMOTO L'Aquila, migliaia di persone al corteo per la ricostruzione I manifestanti chiedono la sospensione dei contributi per tutti senza limiti e lo sblocco dei fondi IL DOPO-TERREMOTO L'Aquila, migliaia di persone al corteo per la ricostruzione I manifestanti chiedono la sospensione dei contributi per tutti senza limiti e lo sblocco dei fondi L'AQUILA - Striscioni, bandiere, anche vuvuzela, ma nessun simbolo politico, solo i colori neroverde, simbolo dell'Aquila: in migliaia hanno aderito all'appello della mobilitazione cittadina alla Villa Comunale per chiedere la sospensione dei contributi per tutti senza limiti - e non solo per gli autonomi con redditi inferiori di 200 mila euro annui - e lo sblocco dei fondi per la ricostruzione, oltre che per denunciare che decine di migliaia di persone - oltre 32 mila - sono ancora assistite. La mobilitazione, nella città colpita dal devastante terremoto dell'aprile 2009, è stata aperta da uno striscione con scritto 'SOS'. AUTOSTRADA - Al corteo hanno partecipato migliaia di persone: ventimila secondo gli organizzatori, diecimila per la questura. Alla manifestazione, oltre al sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente - senza fascia tricolore in segno di protesta - i sindaci di decine di altri comuni del cratere (i quali, però, indossavano la fascia). A un certo punto numerose persone si sono staccate dal corteo e si sono dirette verso il casello autostradale dell'Aquila Ovest, rimasto bloccato fino a quando i manifestanti - dopo avere percorso alcune centinaia di metri sull'autostrada A/24 - hanno fatto dietrofront. Ci sono stati disagi per gli automobilisti, ma la polizia stradale precisa che tutto si è svolto nella maniera più pacifica. Cialente è salito sul camioncino dei comitati, che ha fatto da apripista all'occupazione dell'autostrada, e preso il microfono ha improvvisato un comizio. "Non stiamo chiedendo nulla, ma rivendicando i nostri diritti" ha detto il sindaco dell'Aquila. Finito il discorso Cialente, visibilmente commosso, è stato abbracciato dagli altri sindaci e dagli organizzatori della manifestazione. Un momento della protesta Un momento della protesta LE RICHIESTE - I partecipanti chiedono il congelamento di tasse, mutui, prestiti e altre imposte per 5 anni e la successiva restituzione in 10 anni senza interessi; più garanzie per disoccupati, cassaintegrati e precari; provvedimenti per far ripartire le attività economiche e commerciali; subito le risorse necessarie per la ricostruzione, anche attraverso una tassa di scopo; lo snellimento delle procedure per la ricostruzione. Redazione online 16 giugno 2010
Il G8 e gli appalti - L’inchiesta "Patto politico per i lavori in Abruzzo Una riunione con Letta e Verdini" Barattelli e i legami con Fusi: a Palazzo Chigi fu trovato l’accordo sulle commesse Il G8 e gli appalti - L’inchiesta "Patto politico per i lavori in Abruzzo Una riunione con Letta e Verdini" Barattelli e i legami con Fusi: a Palazzo Chigi fu trovato l’accordo sulle commesse Riccardo Fusi Riccardo Fusi ROMA — "Sapevamo che la Btp aveva appoggi politici e per questo abbiamo chiesto di lavorare con loro in vista dell’assegnazione dei lavori per la ricostruzione del dopo-terremoto. Ci siamo rivolti alla Carispaq, la Cassa di Risparmio dell’Aquila, ed effettivamente poi siamo stati ricevuti a Palazzo Chigi da Gianni Letta insieme all’onorevole Denis Verdini. Tre giorni dopo quella riunione è stato costituito il Consorzio Federico II". C’è un testimone prezioso che può dare una svolta all’indagine sugli appalti assegnati in Abruzzo. È Ettore Barattelli, presidente del sodalizio di imprese che poi riuscì ad aggiudicarsi l’appalto per la scuola Carducci e quello per i puntellamenti nel centro storico. Dunque, uno dei costruttori che partecipò personalmente alle trattative per la spartizione delle commesse. La scorsa settimana aveva manifestato la volontà di essere interrogato dai magistrati che indagano sulle procedure di assegnazione delle commesse. E cinque giorni fa, l’11 giugno, accompagnato dal suo legale, si è presentato davanti al procuratore Alfredo Rossini. "Le grosse entrature" Trova dunque conferma quanto era già emerso nelle conversazioni intercettate dai magistrati di Firenze che indagavano sui "Grandi Eventi". Si delinea l’accordo preso a livello politico per modulare i tempi e così scegliere le aziende da impiegare. Ed è proprio su questo che si concentrano adesso le verifiche dei pubblici ministeri. Bisogna infatti stabilire la regolarità di quel patto che ha fornito il via libera alla costituzione del Consorzio mettendolo in una posizione privilegiata rispetto ad altre società che avrebbero potuto partecipare alle gare per l’assegnazione dei lavori. In primo piano rimane quella Btp di Riccardo Fusi finito sotto inchiesta in Toscana proprio perché sarebbe stato agevolato dal suo amico Verdini nella trattativa per la costruzione della Scuola dei marescialli. E che avrebbe sfruttato la stessa strada per lavorare a L’Aquila. Racconta Barattelli: "Noi imprenditori abruzzesi —parlo di me, ma anche della "Vittorini Emidio Costruzioni" e della "Marinelli ed Equizi" — ci siamo rivolti ai dirigenti della Carispaq perché volevamo lavorare con Btp. Sapevamo che aveva grosse entrature con il governo e dunque ci muovemmo. Ci fu un incontro presso la sede della banca alla quale partecipai io, il presidente della Btp Fusi e il procuratore della stessa azienda Liborio Fracassi. Trovammo un accordo e il 12 maggio fummo convocati a Palazzo Chigi". Quanto accaduto nelle settimane precedenti era stato ricostruito nelle informative dei carabinieri del Ros attraverso l’ascolto delle telefonate. Il 14 aprile 2009 Verdini avverte Fusi che una terza persona non specificata "mi voleva vedere per il consorzio per intervenire sul terremoto ". A questo punto l’imprenditore prende contatto con le banche per i finanziamenti. E un mese dopo, l’11 maggio, comunica a Fracassi che "ci sono concrete probabilità di successo". La sera gli invia anche un sms per confermargli un incontro per il giorno successivo: "Appuntamento a Palazzo Chigi alle ore 17.30". L’incontro da Letta Tre minuti dopo, nuovo sms per assicurare che "l’indomani all’incontro potrà partecipare il direttore della Cassa di Risparmio dell’Aquila (Rinaldo Tordera)". Il giorno dopo, Fusi avvisa un’amica di essere "qui a Palazzo Chigi... Sono da Letta qui in sala d’attesa". È Barattelli a raccontare i dettagli. "Oltre a me e Fusi, c’erano il direttore della Carispaq Rinaldo Tordera e il vicedirettore Angelo Fracassi. Poi Letta e Verdini. Analizzammo tutti gli aspetti della vicenda e fu raggiunto l’accordo". Nelle stesse ore, come hanno accertato gli investigatori, l’amministratore della Btp Vincenzo Di Nardo incontra gli altri imprenditori e alla fine manda un sms a Fusi: "Finito ora riunione con abruzzesi e loro commercialista. Definiti e scritti tutti i testi x costituzione società che avverrà venerdì all’Aquila presso banca". Alle ore 19.19 di quello stesso giorno Fusi viene contattato dal suo collaboratore Bartolomei per sapere com’è andata la riunione e i carabinieri danno conto della telefonata: "Fusi lo informa dell’esito più che positivo degli incontri odierni, lasciando intendere che l’intervento dell’onorevole Verdini è stato determinante ". Adesso è Barattelli a confermare la procedura seguita: "Tre giorni dopo, presso la sede della Carispaq abbiamo costituito il Consorzio Federico II e poi abbiamo preso i lavori. A noi è stata assegnata la ricostruzione della scuola Carducci e il puntellamento degli stabili pericolanti. In tutto 4milioni di euro". In realtà, secondo i calcoli fatti dai carabinieri, i lavori hanno portato nelle casse delle aziende 7 milione e 300.000 euro. Ed è soltanto l’inizio. Se si esclude l’appalto per la fornitura dei prefabbricati, altri lavori dovranno essere assegnati nelle prossime settimane e le aziende che fanno parte del Consorzio rimangono in prima fila nella spartizione. Per questo nei prossimi giorni potrebbero essere interrogati gli altri imprenditori che hanno partecipato al Filippo II, ma anche quelli che invece sono stati esclusi dalla spartizione degli appalti. Anche perché nelle carte trasmesse dai magistrati di Firenze ai colleghi dell’Aquila ci sono gli altri contatti che preludono alla ricerca di nuovi appoggi per ottenere i lavori. Come quell’sms che Fracassi invia a Fusi "la mattina del 6 giugno 2009 per informarlo che a breve saranno avviati i lavori per la ristrutturazione del Palazzo Brancomio a L’Aquila". Fiorenza Sarzanini 16 giugno 2010
2010-06-15 decisione del tribunale del capoluogo toscano: balducci e de santis restano in carcere Inchiesta G8, sette indagati a Roma Bertolaso interrogato dai pm a Perugia Trasferimento dell'inchiesta di Firenze sulla scuola Marescialli: nel registro anche Denis Verdini * NOTIZIE CORRELATE * Anemone: una decina di operazioni sospette F.Sarzanini (15 giugno 2010) decisione del tribunale del capoluogo toscano: balducci e de santis restano in carcere Inchiesta G8, sette indagati a Roma Bertolaso interrogato dai pm a Perugia Trasferimento dell'inchiesta di Firenze sulla scuola Marescialli: nel registro anche Denis Verdini Denis Verdini (Eidon) Denis Verdini (Eidon) MILANO - Sono sette gli indagati nel fascicolo aperto dalla procura di Roma riguardo l'inchiesta sull'appalto della scuola marescialli di Firenze dopo che la Cassazione ha disposto la trasmissione degli atti da Firenze a Roma. Al momento l'unico documento presente nel fascicolo è proprio l'estratto della pronuncia della Cassazione. Tra gli indagati l'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. BERTOLASO: "SONO INNOCENTE" - Il capo della Protezione civile Guido Bertolaso è stato sentito dai magistrati perugini nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per Grandi eventi. L'interrogatorio si è svolto davanti ai pubblici ministeri titolari dell'inchiesta, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. "Ho dimostrato la mia totale estraneità alle accuse che mi sono state mosse - ha detto Bertolaso -. Ho chiesto che abbia a terminare l'assurda e ingiustificata attività mediatica in corso dal 10 febbraio basata su voci e illazioni di cui si è dimostrata la completa infondatezza". BALDUCCI E DE SANTIS - Restano comunque in carcere Angelo Balducci e Fabio De Santis, arrestati proprio nell'ambito dell'inchiesta sull'appalto Scuola marescialli. Lo ha deciso il tribunale di Firenze, discutendo le istanze presentate dai due imputati che, sulla base della sentenza della Corte di cassazione di giugno chiedevano l'inefficacia della misura cautelare. Intanto è attesa la decisione del tribunale del riesame di Firenze, che ieri si è riunito per discutere i ricorsi di Balducci e De Santis contro il no pronunciato dal gip di Firenze il 5 marzo scorso alle richieste di scarcerazioni. La decisione del giudice del riesame non dovrebbe arrivare prima di mercoledì. PREOCCUPAZIONE - E proprio la questione della decadenza dei termini di custodia cautelare è al centro delle preoccupazioni dei pm della procura di Roma. "Se gli atti non arriveranno a Roma entro la fine del mese di giugno, le misure cautelari in atto decadranno" sottolineano. Del resto in procura, a Roma, c’è molta attesa per l’evolversi della situazione per quanto riguarda l’inchiesta sulla scuola marescialli, dopo la decisione della Cassazione sul trasferimento del processo da Firenze alla Capitale. Gli inquirenti, secondo la legge, hanno 20 giorni di tempo per la valutazione dei documenti all’interno del fascicolo e per chiedere la rinnovazione, o meno, di arresti, obblighi di dimora o quant’altro sia stato disposto sinora dai giudici del capoluogo toscano, nei confronti di alcuni degli indagati. "E più giorni passano e più si rischia", si spiega a piazzale Clodio, dove - si sottolinea - ancora non è arrivata alcuna carta o intercettazione. E siccome, presumibilmente si tratterà di studiare decine di faldoni, il lavoro deve essere programmato con la giusta attenzione. Redazione online 15 giugno 2010
Roma apre il fascicolo Anemone, tangenti dai conti della segretaria Una decina di operazioni sospette per oltre un milione di euro. Domani interrogato Rutelli * NOTIZIE CORRELATE * Inchiesta G8, la Presidenza del Consiglio parte civile nel processo alla "cricca" (15 giugno 2010) * Casa all’estero per Bertolaso, ricerche in Costa Azzurra (9 giugno 2010) * Ristrutturazioni in regalo ai potenti. Spunta una nuova "lista Anemone" (4 giugno 2010) Roma apre il fascicolo Anemone, tangenti dai conti della segretaria Una decina di operazioni sospette per oltre un milione di euro. Domani interrogato Rutelli Guido Bertolaso (LaPresse) Guido Bertolaso (LaPresse) PERUGIA — Oltre un milione di euro elargiti movimentando i conti intestati alla sua segretaria. Una decina di operazioni sospette a fronte di sette appalti ottenuti soltanto nel 2008. I pubblici ministeri di Perugia ricostruiscono il passaggio dei soldi versati da Diego Anemone, imprenditore privilegiato nell’assegnazione dei lavori per i "Grandi Eventi". Ma un nuovo conflitto rischia di essere sollevato dalle difese degli indagati. Senza neanche attendere la trasmissione delle carte da Firenze, la procura di Roma ha infatti aperto un fascicolo sul filone che riguarda il capoluogo toscano dopo che la Corte di Cassazione ne aveva decretato la competenza. E adesso anche Guido Bertolaso — che oggi dovrebbe essere interrogato — potrebbe chiedere lo spostamento del fascicolo, come del resto aveva annunciato nei giorni scorsi. Proprio nella capitale sarà ascoltato domani Francesco Rutelli: dopo aver sentito gli architetti che ottennero incarichi durante il governo guidato da Romano Prodi, i magistrati vogliono sapere quali criteri furono adottati nelle procedure per l’affidamento dei lavori per le celebrazioni dell’Unità d’Italia. I SOLDI DI ALIDA - Era stata la Guardia di Finanza a documentare l’ascesa della Anemone Costruzioni che due anni fa ha fatturato 34 milioni e mezzo di euro. Un balzo notevole rispetto agli 8 milioni del 2003. Ebbene, nel 2008 — anche grazie al decreto che inserisce il G8 de La Maddalena nei "Grandi Eventi" — l’impresa ottiene il primo lotto dei lavori in Sardegna a giugno, altri tre appalti decisi in vista del vertice internazionale appena un mese dopo, l’aeroporto di Perugia per festeggiare l’Unità d’Italia, un doppio incarico per i Mondiali di Nuoto che si svolgeranno a Roma l’estate successiva. Anemone, come si comprende dalle telefonate intercettate, è molto soddisfatto. E cerca di ricambiare i favori ottenuti. Si mostra riconoscente con il Provveditore Angelo Balducci al quale aveva già regalato case e soldi: soltanto per pagare gli arredi dell’appartamento del figlio spende oltre 40.000 euro, che però fattura alla società che si è aggiudicata la gara. Il resto lo elargisce in contanti facendo prelevare soldi dai conti che ha intestato a uno dei suoi prestanome più fidati: la segretaria Alida Lucci. Sono stati gli ispettori di Bankitalia a segnalare ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi le nove operazioni sospette per importi che oscillano tra i 100.000 e i 300.000 euro. I magistrati sono convinti che si tratti delle tangenti versate per ricompensare chi lo aveva aiutato e dunque attendono di conoscere chi siano i beneficiari di questi versamenti. La risposta potrebbe arrivare entro qualche giorno visto che si tratta di depositi aperti su istituti di credito italiani tra i quali spicca la Banca delle Marche. La scorsa settimana, davanti agli investigatori della Finanza, la donna aveva giurato di aver sempre agito seguendo le norme. E invece i tabulati dei suoi conti registrano movimentazioni continue proprio nel periodo in cui il volume d’affari del suo datore di lavoro subisce un’impennata. BERTOLASO E RUTELLI - Il capo della Protezione civile convocato come indagato di corruzione, l’ex ministro come testimone. Entrambi chiamati a chiarire i loro rapporti con i componenti della "cricca". Se Bertolaso dovrà spiegare come mai Anemone decise di pagargli affitti, ristrutturazioni e compensi per le consulenze concesse a sua moglie, Rutelli dovrà ricostruire i suoi contatti con Balducci. Ed eventualmente confermare le dichiarazioni di Antonio Di Pietro che davanti ai magistrati ha sostenuto di aver messo in guardia sia lui, sia il premier Prodi delle "criticità" relative agli appalti concessi alle società di Anemone e degli altri imprenditori a lui collegati. La scorsa settimana sono stati sentiti gli architetti Stefano Boeri e Roberto Malfatto. Il loro collega Angelo Zampolini aveva detto di essere stato scartato dal centrosinistra proprio per favorire loro. Entrambi hanno ribaltato queste dichiarazioni: "Siamo stati fatti fuori quando sono arrivati gli altri ". Una diatriba che appare senza sbocco per i magistrati che in realtà sono interessati a conoscere l’entità e la natura delle contropartite per l’aggiudicazione dei lavori. Ieri la procura di Roma ha aperto un fascicolo sui lavori per la Scuola dei marescialli di Firenze. La scorsa settimana era stata la Corte di Cassazione a dichiarare la competenza dei magistrati della Capitale così come sollecitato da Remo Pannain e Alfredo Gaito, legali di Fabio De Santis, e da Marcello Melandri, che assiste Francesco De Vito Piscicelli. E i pubblici ministeri non hanno perso tempo: senza neanche attendere la trasmissione del fascicolo dai colleghi si è deciso di affidare l’indagine al pubblico ministero Maria Letizia Golfieri. Chissà che adesso anche gli altri indagati, Bertolaso in testa, non diano seguito a quanto annunciato e presentino analogo ricorso. Il Tribunale del Riesame di Perugia ha già stabilito che questa parte di indagine deve restare in Umbria. Ma la scorsa settimana, quando si è saputo che nuovi accertamenti erano stati disposti per verificare l’esistenza di una casa all’estero che avrebbe avuto a disposizione all’estero, il capo della Protezione Civile ha affermato: "Potrei anche chiedere di essere "gestito" dalla Procura competente che non è Perugia". Fiorenza Sarzanini 15 giugno 2010
2010-06-04 L'imprenditore convocato questa mattina dai magistrati Ristrutturazioni in regalo ai potenti Spunta una nuova "lista Anemone" Un elenco con 30 nomi "vip". Accertamenti su Propaganda Fide * NOTIZIE CORRELATE * Il vescovo e il palazzo svenduto a Lunardi * La casa di Bertolaso: Zampolini accusa L'imprenditore convocato questa mattina dai magistrati Ristrutturazioni in regalo ai potenti Spunta una nuova "lista Anemone" Un elenco con 30 nomi "vip". Accertamenti su Propaganda Fide ROMA - Decine e decine di lavori inseriti nella "lista Anemone" non sono mai stati pagati. I primi accertamenti compiuti dalla Guardia di finanza dimostrano come gli interventi servissero soprattutto a soddisfare i desideri dei potenti. Gli investigatori hanno acquisto i contratti stipulati con i fornitori, i preventivi, alcune fatture. E dopo aver esaminato la contabilità aziendale hanno scoperto che in moltissimi casi non risultano versati soldi da proprietari e affittuari. Ora si va avanti, confrontando questi dati con quelli acquisiti nei computer di altri collaboratori del costruttore Diego Anemone, indagato di associazione per delinquere e corruzione. In particolare ci sarebbe un elenco trovato presso uno l'ufficio di uno dei geometri, che conterrebbe una trentina di nomi con accanto alcune cifre. Clienti famosi che avrebbero avuto contatti con lo stesso Anemone e sui quali si stanno svolgendo ulteriori accertamenti, anche per stabilire se alcuni possano aver ottenuto incarichi di consulenza. Il costruttore Diego Anemone (Ansa) Il costruttore Diego Anemone (Ansa) MATTONELLE E PARQUET - L'imprenditore è stato convocato questa mattina per essere interrogato, ma avrebbe già deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. La prossima settimana dovrebbero essere invece ascoltati Guido Bertolaso e Antonio Di Pietro. Entrambi chiamati a fornire spiegazioni sulle case in affitto che avrebbero avuto nella propria disponibilità, così come è stato rivelato dall'architetto Angelo Zampolini, che era stato delegato a compiere operazioni immobiliari. Il professionista ha dichiarato di aver pagato, per conto di Diego Anemone, il canone mensile dell'appartamento di via Giulia utilizzato dal capo della Protezione civile dal 2003 al 2006. E ha svelato l'esistenza di altre due abitazioni della congregazione Propaganda Fide che Di Pietro avrebbe ottenuto in affitto grazie all'interessamento di Angelo Balducci. Dimore che sarebbero state tutte ristrutturate dalle aziende dell'imprenditore finito sotto inchiesta. Nei giorni scorsi è stato ascoltato il fratello del costruttore, Daniele, che custodiva nel suo computer presso la sede della Anemone Costruzione la lista ritrovata durante una verifica fiscale. Ai finanzieri avrebbe detto che molti interventi annotati "erano in realtà sopralluoghi ai quali non si è poi dato seguito". Una versione che non appare affatto credibile. Più concreta appare l'ipotesi che si trattasse in realtà di favori e per questo i controlli si stanno concentrando sulle ristrutturazioni concesse ai politici, ai funzionari dello Stato e agli enti pubblici che avrebbero poi agevolato le ditte di Anemone nell'aggiudicazione degli appalti. E dunque, proprio per verificare la corrispondenza tra fatture emesse e pagamenti, sono stati acquisiti tutti i contratti stipulati con i fornitori. Mattonelle, parquet, sanitari: sono proprio gli accertamenti sugli ordinativi del materiale utilizzato per i lavori negli appartamenti a dimostrare che in molti casi nulla è stato versato dai committenti. Oppure che la cifra richiesta fosse di gran lunga inferiore al valore reale dei lavori effettuati. GLI AFFARI CON I PRELATI - Controlli mirati sono stati disposti dai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi pure sui rapporti tra il costruttore e Propaganda Fide, certamente favoriti da Angelo Balducci che era uno dei componenti del comitato dei saggi della Congregazione, nominato dal cardinale Crescenzio Sepe. Bisogna infatti verificare come sia riuscito a ottenere l'esclusiva della manutenzione degli stabili. Una traccia concreta è arrivata dal racconto dell'autista tunisino Ben Laid Hidri Fathi, il primo a raccontare che "Diego effettuava lavori per politici e prelati" e gli incontri "con monsignor Francesco Camaldo, dove lo accompagnavo spesso". Il nome del cerimoniere del Papa è contenuto nella lista accanto all'Università Cattolica San Giovanni. E nell'elenco ci sono molte altre annotazioni che si riferiscono a immobili del Vaticano. Oltre alla Congregazione del preziosissimo sangue dove economo era don Evaldo Biasini, ci sono la "Casa di santa Rita", "S. Agostino", alcune chiese, "via 4 fontane, prete", "Ancona, Duomo". Il sospetto degli investigatori è che nei rapporti con la Santa Sede Anemone si facesse pagare soltanto una piccola parte della cifra e che poi si tenesse il resto come provvista in contanti da utilizzare al momento del bisogno, anche per versare tangenti. Fiorenza Sarzanini 04 giugno 2010
2010-06-03 L’inchiesta - L’attuale vertice della curia di Napoli nel 2004 gestiva gli immobili di Propaganda Fide. Il pm: il ministro avrebbe pagato un quarto del prezzo Il vescovo e il palazzo "svenduto" a Lunardi Parla Zampolini: Sepe convinto da Balducci. "Un altro monsignore diede le case a Di Pietro" L’inchiesta - L’attuale vertice della curia di Napoli nel 2004 gestiva gli immobili di Propaganda Fide. Il pm: il ministro avrebbe pagato un quarto del prezzo Il vescovo e il palazzo "svenduto" a Lunardi Parla Zampolini: Sepe convinto da Balducci. "Un altro monsignore diede le case a Di Pietro" Il cardinale Sepe (Ansa) Il cardinale Sepe (Ansa) ROMA — C’è un monsignore che gestiva le case in affitto per conto della congregazione Propaganda Fide ed era in contatto con Angelo Balducci e Diego Anemone. A parlare di lui davanti ai magistrati di Perugia è stato l’architetto Angelo Zampolini, al quale i due avevano affidato il compito di curare le operazioni immobiliari. "Si occupava delle assegnazioni, mentre i contratti di vendita erano firmati dal cardinale Crescenzio Sepe. Nel 2004 fu proprio lui a cedere all’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi il palazzo di via dei Prefetti", ha raccontato. Uno stabile che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato acquistato a un quarto del suo valore effettivo. Un "favore" che l’alto prelato—attualmente arcivescovo di Napoli — avrebbe fatto anche su pressione dello stesso Balducci, da lui stesso inserito nel comitato dei saggi dell’istituto religioso. Lunardi ha sempre smentito di aver ottenuto sconti o trattamenti privilegiati, ma su quell’acquisto si continua a indagare visto che fu proprio Zampolini a curare la trattativa. I prelati e gli affitti L’inchiesta sulla gestione degli appalti per "Grandi Eventi" continua dunque a puntare verso il Vaticano. Perché è proprio da Propaganda Fide che politici e potenti funzionari statali avrebbero ottenuto appartamenti a prezzi stracciati. Dimore che Diego Anemone provvedeva poi a ristrutturare, come risulta anche dalla lista dei clienti trovata dalla Guardia di Finanza nel computer di una delle sue aziende. In quell’elenco ci sono pure gli stabili di via della Vite e di via Quattro Fontane, lì dove, racconta l’architetto, "Antonio Di Pietro prese due appartamenti". Nel primo c’era la sede del giornale dell’Italia dei Valori e ora si sta accertando se, come emerge dai primi accertamenti, il canone versato fosse inferiore a quello dichiarato nei documenti ufficiali. Nell’altro vive il tesoriere del partito Silvana Mura. In calce al suo contratto c’è la firma di monsignor Francesco Di Muzio, capo dell’ufficio amministrativo della Congregazione. Potrebbe essere proprio lui il prelato cui ha fatto riferimento Zampolini, ma gli inquirenti vogliono verificare anche il ruolo avuto in questo tipo di trattative da monsignor Massimo Cenci, nominato proprio da Sepe sottosegretario e dunque delegato alla gestione del patrimonio da affidare in locazione. La manutenzione delle case Sono numerosi i contratti che Guardia di Finanza e carabinieri del Ros stanno esaminando per ricostruire la mappa dei favori concessi da Anemone e Balducci attraverso gli amici della Santa Sede. Del resto Zampolini racconta che "anche Di Pietro chiedeva al Provveditore di essere introdotto in Vaticano e so che lui andò via dal ministero proprio perché diceva di essere pressato su questo". Il leader dell’Idv è stato già interrogato come testimone nei giorni scorsi ed è possibile che venga ascoltato nuovamente quando saranno terminate le verifiche su quanto è emerso sino ad ora. Oltre alle dichiarazioni rilasciate da Zampolini, nelle sedi delle imprese di Anemone sono stati infatti acquisiti tutti i contratti ottenuti per la manutenzione degli stabili e uno degli incarichi più remunerativi era certamente quello assegnato al giovane imprenditore da Propaganda Fide. Le buone entrature di Balducci presso la Santa Sede sono note e dimostrate anche dal fatto che fosse stato nominato Gentiluomo di Sua Santità. A raccontare che anche Anemone era ben introdotto negli stessi ambienti è stato invece il suo ex autista, il tunisino Laid Ben Hidri Fathi, quando ha rivelato che "lui si occupava delle ristrutturazioni delle case di politici e prelati ed ero io ad accompagnarlo da monsignor Francesco Camaldo". L’incrocio delle testimonianze rilasciate da Fathi e da Zampolini ha consentito ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi di ricostruire le operazioni immobiliari che entrambi hanno gestito. A Fathi era stato infatti affidato il compito di prelevare i contanti sui conti correnti di Anemone che venivano poi consegnati a Zampolini e trasformati in assegni circolari. Titoli utilizzati per acquistare appartamenti per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il genero del manager delle Infrastrutture Ercole Incalza. I nuovi conti L’esame dei depositi bancari affidati dall’imprenditore ad alcuni prestanome — tra gli altri il suo commercialista Stefano Gazzani e la segretaria Alida Lucci — avrebbe già portato la Guardia di Finanza sulle tracce di altri "favori" concessi a chi poteva agevolare Anemone nell’assegnazione degli appalti. Le verifiche effettuate avrebbero infatti consentito di accertare il percorso dei soldi e la destinazione finale, in alcuni casi estera. In attesa di fissare l’interrogatorio dell’ex ministro Claudio Scajola, i magistrati si stanno concentrando sulla ricostruzione degli altri contratti per legare ogni "favore" concesso da Anemone alla contropartita poi ricevuta. Fiorenza Sarzanini 03 giugno 2010
Di Pietro contro Zampolini: dice il falso L'ex pm sul suo blog: voglio essere sentito dai giudici. Prodi, Rutelli e Veltroni annunciano querela Il caso Di Pietro contro Zampolini: dice il falso L'ex pm sul suo blog: voglio essere sentito dai giudici. Prodi, Rutelli e Veltroni annunciano querela Antonio Di Pietro (LaPresse) Antonio Di Pietro (LaPresse) ROMA — "Non ho mai avuto né in affitto, né in vendita, né in comodato d'uso alcun immobile né da Anemone né da Propaganda Fide". Quando ormai è quasi ora di cena Antonio Di Pietro affida a cinque né ed un lungo messaggio sul blog la sua versione dei fatti. L'architetto Angelo Zampolini ha detto ai magistrati di Perugia che Angelo Balducci fece avere all'ex pm di Mani pulite due appartamenti romani di proprietà dell'istituto religioso Propaganda Fide. "Non è proprio vero quanto affermato da questo signore — scrive Di Pietro sul suo sito internet — al quale evidentemente qualcuno ha propinato false informazioni, per mettere tutti nello stesso calderone". E poi attacca "depistatori e professionisti della disinformazione" che "insisteranno nei prossimi giorni nel malcelato tentativo di fare di tutta un'erba un fascio". Il leader dell'Italia dei valori ha chiesto ai magistrati perugini di essere "sentito immediatamente" per fornire le prove che, a suo giudizio, dimostrano la sua "totale estraneità alla vicenda". Ma in attesa di essere ascoltato nuovamente in procura arricchisce il suo lungo intervento su internet, scritto dalla sua Montenero di Bisaccia, con alcuni documenti. Scrive Di Pietro che l'appartamento di via della Vite 3, vicino a piazza di Spagna, "non è mai stato nella disponibilità dell'Italia dei valori". L'immobile venne affittato da Propaganda Fide alla società editrice Mediterranea srl, che pubblica diverse riviste, tra cui in passato anche quella del partito dell'ex pm. Per la casa di via delle Quattro Fontane, invece, Di Pietro premette di "non voler entrare nel merito circa l'opportunità o meno di prendere in affitto dai preti un appartamento anche se non credo sia una scandalo". Ed è poi lui stesso a raccontare che, all'inizio, la casa era destinata alla figlia Anna e che quando questa decise di andare a studiare a Milano, venne assegnata al tesoriere del suo partito, Silvana Mura. È l'occasione per infilare un'altra serie di né: "Né io, né Mura né tanto meno mia figlia abbiamo mai avuto a che fare con il signor Anemone, persona che nessuno di noi conosce". Nel suo blog Di Pietro non parla solo di affitti e contratti. Ma tratta l'argomento anche da un punto di vista politico. Zampolini ha detto ai magistrati che "Balducci se ne era andato perché pressato dalla richieste del ministro che voleva essere introdotto in Vaticano". E Di Pietro ripete che invece è stato proprio lui a cacciare l'allora presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci perché "in Italia, in tema di grandi lavori pubblici, non si muove foglia che il Consiglio superiore non voglia". Di Pietro la racconta così: "Quando arrivai al ministero l'ho subito spostato e con me al ministero non ha mai svolto alcuna attività lavorativa". Anzi. Scrive l'ex pm di Mani pulite di essersi "opposto in modo fermo e risoluto alle modalità con cui venne istituita la missione" per la celebrazione dell'unità d'Italia "ed anche al modo poco trasparente con cui venivano realizzati gli appalti". Per questo tra i documenti allegati c'è una lettera inviata al presidente del consiglio ed ai suoi colleghi ministri: "Ci stiamo avviando verso macroscopiche violazioni di legge e questo non può essere accettato se riscontrato". L'architetto Zampolini non ha parlato solo di Di Pietro ( e di Bertolaso). Ma ha tirato in ballo pure altri politici sostenendo che nei lavori per il G8 alla Maddalena e per le celebrazioni dell'unità d'Italia "io fui estromesso mentre lavoravano quelli indicati da Prodi, Veltroni e Rutelli". I diretti interessati annunciano querela: "Il signor Zampolini spara nel mucchio — ribatte Romano Prodi — sapendo benissimo che non ho mai indicato alcun nome". Francesco Rutelli si lamenta del fatto che i "calunniatori finiscono sui giornali ma raramente i calunniati si vedono risarciti tempestivamente". Mentre Walter Veltroni parla di "affermazioni deliranti" perché "non mi sono mai occupato di queste cose". Lorenzo Salvia 03 giugno 2010
2010-06-02 "Non dico chi è il proprietario per non esporlo alla macelleria mediatica" Bertolaso: "La casa di via Giulia? Prestata da un amico. Non è Anemone" Il sottosegretario smentisce l'architetto Zampolini. "Ho già chiesto ai giudici di essere ascoltato al più presto" * NOTIZIE CORRELATE * La casa di Bertolaso, Zampolini accusa (2 giugno 2010) "Non dico chi è il proprietario per non esporlo alla macelleria mediatica" Bertolaso: "La casa di via Giulia? Prestata da un amico. Non è Anemone" Il sottosegretario smentisce l'architetto Zampolini. "Ho già chiesto ai giudici di essere ascoltato al più presto" Guido Bertolaso (Ansa) Guido Bertolaso (Ansa) ROMA - L'appartamento di via Giulia "mi venne messo a disposizioni gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto, non era Diego Anemone". Lo ha spiegato il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, replicando alle parole dell'architetto Zampolini che ai magistrati di Perugia avrebbe detto di aver pagato lui l'affitto al capo della Protezione Civile. Bertolaso "esclude" anche che quell'immobile quando lui vi andò nel 2003 fosse stato appena ristrutturato e ribadisce "di non aver mai conosciuto l'architetto Zampolini". "Ho già chiesto ai magistrati - ha detto il sottosegretario - di poter essere ascoltato su questa e le altre vicende che mi riguardano appena possibile". "AMICO PERSONALE" - "Non posso che riconfermare quanto comunicato al momento dell'uscita della cosiddetta lista Anemone - ha aggiunto parlando con i cronisti - e ribadisco che mi sono avvalso di un appartamento a via Giulia a Roma, per un breve periodo, verso la fine del 2003 ben prima quindi di qualsiasi rapporto di lavoro, ancorché indiretto con l'impresa Anemone". Un appartamento, ha evidenziato Bertolaso, che "mi venne messo a disposizione gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto non era Diego Anemone". Il capo della Protezione Civile ha poi escluso che l'appartamento "fosse stato appena ristrutturato" e ha detto "di non ricordare di aver mai conosciuto l'architetto Zampolini". "MACELLERIA MEDIATICA" - Bertolaso non ha voluto fare il nome dell'amico che gli ha prestato l'appartamento "per non esporlo alla macelleria mediatica in atto", tuttavia, ha sottolineato, "ho già chiesto ai magistrati di Perugia di poter essere ascoltato su questa e sulle altre vicende che mi riguardano appena possibile". "In quella sede - ha precisato - fornirò tutti gli elementi necessari a sgomberare definitivamente il campo da tali illazioni e confermerò ai magistrati anche l'immediata disponibilità della persona che mi ha prestato l'appartamento di via Giulia a fornire tutti i chiarimenti del caso". "VOGLIONO DISTRUGGERE TUTTO QUESTO" - Non solo. Secondo Bertolaso, che oggi ha preso parte alle celebrazioni per la Festa della Repubblica, le inchieste che lo vedono in qualche modo coinvolto sarebbero un pretesto per colpire la Protezione civile nel suo complesso. "Vogliono distruggere tutto questo" ha detto ad alcuni interlocutori sul palco delle autorità durante la parata militare ai Fori Imperiali. "Vogliono distruggere il lavoro di anni" ha aggiunto. . Al termine della parata, dopo una lunga chiacchierata con il suo vice, il prefetto Franco Gabrielli, Bertolaso ha lasciato il palco senza ulteriori commenti. "Quello che avevo da dire - ha sottolineato - l'ho detto nel comunicato". Lungo via dei Fori Imperiali il capo della Protezione Civile è stato più volte fermato da cittadini che gli hanno stretto la mano e fatto i complimenti per il lavoro svolto. Redazione online 02 giugno 2010
"Non dico chi è il proprietario per non esporlo alla macelleria mediatica" Bertolaso: "La casa di via Giulia? Prestata da un amico. Non è Anemone" Il sottosegretario smentisce l'architetto Zampolini. "Ho già chiesto ai giudici di essere ascoltato al più presto" * NOTIZIE CORRELATE * La casa di Bertolaso, Zampolini accusa (2 giugno 2010) "Non dico chi è il proprietario per non esporlo alla macelleria mediatica" Bertolaso: "La casa di via Giulia? Prestata da un amico. Non è Anemone" Il sottosegretario smentisce l'architetto Zampolini. "Ho già chiesto ai giudici di essere ascoltato al più presto" Guido Bertolaso (Ansa) Guido Bertolaso (Ansa) ROMA - L'appartamento di via Giulia "mi venne messo a disposizioni gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto, non era Diego Anemone". Lo ha spiegato il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, replicando alle parole dell'architetto Zampolini che ai magistrati di Perugia avrebbe detto di aver pagato lui l'affitto al capo della Protezione Civile. Bertolaso "esclude" anche che quell'immobile quando lui vi andò nel 2003 fosse stato appena ristrutturato e ribadisce "di non aver mai conosciuto l'architetto Zampolini". "Ho già chiesto ai magistrati - ha detto il sottosegretario - di poter essere ascoltato su questa e le altre vicende che mi riguardano appena possibile". "AMICO PERSONALE" - "Non posso che riconfermare quanto comunicato al momento dell'uscita della cosiddetta lista Anemone - ha aggiunto parlando con i cronisti - e ribadisco che mi sono avvalso di un appartamento a via Giulia a Roma, per un breve periodo, verso la fine del 2003 ben prima quindi di qualsiasi rapporto di lavoro, ancorché indiretto con l'impresa Anemone". Un appartamento, ha evidenziato Bertolaso, che "mi venne messo a disposizione gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto non era Diego Anemone". Il capo della Protezione Civile ha poi escluso che l'appartamento "fosse stato appena ristrutturato" e ha detto "di non ricordare di aver mai conosciuto l'architetto Zampolini". "MACELLERIA MEDIATICA" - Bertolaso non ha voluto fare il nome dell'amico che gli ha prestato l'appartamento "per non esporlo alla macelleria mediatica in atto", tuttavia, ha sottolineato, "ho già chiesto ai magistrati di Perugia di poter essere ascoltato su questa e sulle altre vicende che mi riguardano appena possibile". "In quella sede - ha precisato - fornirò tutti gli elementi necessari a sgomberare definitivamente il campo da tali illazioni e confermerò ai magistrati anche l'immediata disponibilità della persona che mi ha prestato l'appartamento di via Giulia a fornire tutti i chiarimenti del caso". "VOGLIONO DISTRUGGERE TUTTO QUESTO" - Non solo. Secondo Bertolaso, che oggi ha preso parte alle celebrazioni per la Festa della Repubblica, le inchieste che lo vedono in qualche modo coinvolto sarebbero un pretesto per colpire la Protezione civile nel suo complesso. "Vogliono distruggere tutto questo" ha detto ad alcuni interlocutori sul palco delle autorità durante la parata militare ai Fori Imperiali. "Vogliono distruggere il lavoro di anni" ha aggiunto. . Al termine della parata, dopo una lunga chiacchierata con il suo vice, il prefetto Franco Gabrielli, Bertolaso ha lasciato il palco senza ulteriori commenti. "Quello che avevo da dire - ha sottolineato - l'ho detto nel comunicato". Durante la parata, al passaggio della delegazione della Protezione civile, a lungo applaudito da molti dei presenti al banco delle autorità, il sottosegretario Gianni Letta si è alzato dal suo posto ed è andato ad abbracciare Bertolaso, seduto poco lontano da lui. Al suo arrivo, lungo via dei Fori Imperiali, Bertolaso era stato più volte fermato da cittadini che gli hanno stretto la mano e fatto i complimenti per il lavoro svolto. VELTRONI - Sulle dichiarazioni di Zampolini dice la sua anche l'ex leader del Pd Walter Veltroni: "Qualche giornale pubblica oggi stralci dell'interrogatorio di un architetto - Zampolini - legato alla vicenda Anemone. A un certo punto questo signore chiama in causa Prodi, Rutelli, e il sottoscritto, come suggeritori di "architetti che hanno lavorato al G8 alla Maddalena". Ho già dato incarico di sporgere querela nei confronti di questo signore, per grave calunnia e con richiesta di risarcimento danni che devolverò interamente per iniziative di solidarietà". Veltroni poi aggiunge che si tratta di "affermazioni deliranti: non so di che cosa si stia parlando, e non mi sono mai occupato di queste cose". PRODI - Adirà vie legali anche l'ex premier Romano Prodi. "Il signor Zampolini spara nel mucchio sapendo benissimo che non ho mai indicato alcun nome per la realizzazione delle costruzioni del G8 alla Maddalena. Evidentemente spera di poter dimostrare che siamo tutti eguali. Ma poichè non è così, ho dato mandato ai miei avvocati di adire alle vie legali". È quanto afferma in una nota l'ex presidente del Consiglio. Redazione online 02 giugno 2010 La casa di Bertolaso, Zampolini accusa "Pagava Anemone. Alloggi a Di Pietro. Lavori a chi era indicato da Prodi, Veltroni, Rutelli" * NOTIZIE CORRELATE * Bertolaso: "La casa di via Giulia? Prestata da un amico. Che non è Anemone" (2 giugno 2010) * L’autista di Anemone accusa Zampolini: venti versamenti sospetti (19 maggio 2010) * Appalti, si muovono le Fiamme gialle Acquisita la "lista Anemone" (18 maggio 2010) L’inchiesta - I verbali La casa di Bertolaso, Zampolini accusa "Pagava Anemone. Alloggi a Di Pietro. Lavori a chi era indicato da Prodi, Veltroni, Rutelli" Antonio Di Pietro (LaPresse) Antonio Di Pietro (LaPresse) ROMA —"L’affitto della casa di via Giulia di Guido Bertolaso l’ho versato io per conto di Diego Anemone. Era un piccola casa, Diego mi dava i soldi in contanti che io portavo al proprietario. Aveva anche provveduto a ristrutturarla". È il 18 maggio. Di fronte ai magistrati di Perugia parla l’architetto Angelo Zampolini. Conferma i sospetti degli inquirenti. E smentisce la versione fornita dal capo della Protezione civile che aveva negato fosse stato il costruttore a mettergli a disposizione quell’appartamento. Poi gli viene chiesto se sappia che tipo di rapporti c’erano tra l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro e Angelo Balducci. Zampolini glissa. Ma quattro giorni dopo chiede di essere nuovamente interrogato. E rivela: "Io so che Balducci fece avere al ministro due case in affitto a Roma attraverso la congregazione Propaganda Fide. La prima era in via della Vite ed è stata per un periodo una delle sedi dell’Italia dei Valori. L’altra era in via delle Quattro Fontane, credo fosse per la figlia. Anche in questo caso Anemone si occupò della ristrutturazione". Replica Di Pietro: "Escludo di aver preso quegli appartamenti, chiederò agli inquirenti di saperne di più". L’architetto Zampolini, che si era occupato dell’acquisto delle case per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il manager delle Infrastrutture Ercole Incalza — pagate in parte con i soldi di Anemone — conferma dunque la sua volontà di collaborare con i pubblici ministeri che indagano sugli appalti per i "Grandi Eventi". I carabinieri del Ros e la Guardia di Finanza stanno adesso verificando ogni dettaglio, compresi quelli che riguardano la scelta degli architetti per i lavori del G8 a La Maddalena e per le celebrazioni dell’Unità d’Italia. "Io fui estromesso, mentre lavoravano quelli indicati da Prodi, Veltroni e Rutelli", ha raccontato Zampolini. L’affitto per Bertolaso e il ritardo dei pagamenti Il riferimento a un appartamento di Bertolaso del quale si ignorava l’esistenza, viene rintracciato nella "lista Anemone". Accanto al cognome ci sono due indirizzi: quello di via Bellotti Bon, dove risiede con la famiglia, e quello in via Giulia. Poche ore dopo la pubblicazione dell’elenco, il Dipartimento della Protezione civile dirama un comunicato per affermare che "né lui né i suoi familiari possiedono alcun immobile in quella zona del centro della città. Per un breve periodo Bertolaso ha potuto utilizzare un appartamento in Via Giulia, posto nelle sue disponibilità da un amico — che non era il costruttore Anemone — e non ha mai notato nella sua permanenza attività di ristrutturazione, né di altre opere edili, che comunque non sarebbero state di sua competenza o responsabilità". A smentire questa versione ci pensa Zampolini. "L’amico — dichiara a verbale il 18 maggio — è proprio Anemone. Fu lui a incaricarmi di pagare l’affitto, 1.500 euro sempre in contanti. Ricordo che una volta c’era un ritardo di circa sei mesi e versai i soldi tutti insieme. Anemone si occupò anche della ristrutturazione dell’appartamento". Di tutto questo Bertolaso non aveva fatto alcun cenno durante l’interrogatorio del 12 aprile scorso, quando era stato convocato con il difensore perché indagato di corruzione. E aveva omesso di parlare anche dell’incarico ottenuto da sua moglie Gloria Piermarini per la ristrutturazione dei giardini del Salaria Sport Village, il circolo che Anemone aveva in società con il figlio di Angelo Balducci. Contratti sui quali sono stati disposti nuovi accertamenti. Le case per il leader dell’Italia dei Valori Quando l’interrogatorio sta per terminare i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavernesi chiedono a Zampolini se sia a conoscenza del tipo di rapporto che c’era fra Balducci e Di Pietro, quando quest’ultimo guidava le Infrastrutture. Il leader dell’Italia dei Valori è già stato ascoltato a Firenze come testimone, ha affermato di aver cacciato l’alto funzionario. Di fronte agli investigatori e al suo legale Grazia Volo, l’architetto tace. Ma il 22 maggio chiede di essere nuovamente sentito. E rivela: "Non è vero che Di Pietro ha cacciato Balducci, fu lui ad andare via perché era pressato dalle richieste del ministro che voleva essere introdotto in Vaticano. Io so che proprio Balducci gli fece avere in affitto due case di proprietà della congregazione Propaganda Fide. La prima si trova in via della Vite, nello stesso palazzo dove abita la giornalista Cesara Buonamici. Anemone si occupò della ristrutturazione e poi l’appartamento fu utilizzato come sede dell’Italia dei Valori. Non so se ha mai pagato l’affitto, comunque si trattava di una cifra molto bassa". Zampolini va avanti: "Mi risulta che Di Pietro chiese anche un’altra abitazione, era per la figlia. Si trova in via Quattro Fontane e ricordo che Anemone, oppure uno dei suoi collaboratori, mi disse che stavano facendo dei lavori di ristrutturazione per il ministro". L’architetto chiarisce che fu proprio lui a firmare alcune Dia, le "dichiarazioni di inizio lavori", poi depositate presso il Comune di Roma "anche se non ero sempre io ad occuparmene davvero". L’Auditorium di Isernia per avere il via libera Secondo l’architetto, Di Pietro quando era al governo "osteggiava gli appalti che erano stati programmati per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Erano lavori fortemente voluti da Romano Prodi e da Francesco Rutelli, mentre lui era contrario. Si convinse soltanto quando nel programma dei lavori fu inserito l’Auditorium di Isernia, per il quale erano stanziati oltre 20 milioni di euro. Appena fu approvato il progetto lui concesse il via libera anche a tutte le altre opere". Il 18 maggio, quando è stato interrogato dai pubblici ministeri di Firenze e Perugia, Di Pietro ha affermato di essere "un teste dell’accusa" e poi ha chiarito di non aver "mai ritenuto affidabili né Balducci, né Pietro Rinaldi", poi diventato commissario per i Mondiali di Nuoto e tuttora indagato per corruzione proprio perché accusato di aver accettato soldi e favori da Anemone. Una versione che Zampolini ha negato. I progetti per La Maddalena Durante il suo interrogatorio di dieci giorni fa, Zampolini si è soffermato sulle dinamiche del "sistema" messo in piedi per la gestione dei lavori e ha affermato che "durante il governo Prodi i miei progetti in vista del G8 a La Maddalena e delle opere per le celebrazioni dell’Unità d’Italia furono scartati perché venivano privilegiati altri". In particolare ha fatto due nomi. "Quelli che lavoravano erano Stefano Boeri, che era amico di Prodi e Rutelli. E l’architetto Napoletano che era amico di Walter Veltroni". Si tratta probabilmente del professionista che si è occupato anche della ristrutturazione del loft con vista sul Circo Massimo che è stato la prima sede del Partito democratico. Il nome di Boeri compare nelle carte processuali. Annotano i carabinieri del Ros: "Nella tarda serata del 31 luglio 2008 l’architetto Marco Casamonti riferisce al collega Stefano Boeri, cui è stata affidata la progettazione generale delle opere del G8 alla Maddalena, che la Giafi Costruzioni (Carducci Valerio), aggiudicataria di una di queste opere (un albergo) gli ha chiesto di predisporre la progettazione di una spa avendo verificato che il progetto predisposto dal tecnico incaricato, architetto Giovanni Facchini, è assolutamente carente... "Ti telefonavo per questo... mi ha chiamato una delle ditte che ha vinto le gare al G8... alla Maddalena... che sono quelli che han fatto con noi... sai... il concorso dell’Auditorium di Firenze. E devo venire alla Maddalena... ci hanno dato l’incarico di fargli una specie di spa per l’albergo... ma questo albergo pare che l’abbia progettato un certo Facchini... un nome così... e dice che è una cosa orrenda... ma tu l’hai visto questo progetto dell’albergo? Ma è veramente così brutto?". Boeri, dopo aver confermato che l’impresa Giafi Costruzioni è in difficoltà per l’esecuzione dei lavori a causa delle riscontrate carenze progettuali, comunica a Casamonti che provvederà ad organizzargli un incontro con l’ingegner Angelo Balducci che coordina l’intera attività edificatoria". Fiorenza Sarzanini 02 giugno 2010
LE REAZIONI ALL'INTERROGATORIO DELL'ARCHITETTO Appalti G8, Prodi querela Zampolini "Spara nel mucchio, mai indicato nomi" L'ex presidente del Consiglio: "Spera di poter dimostrare che siamo tutti eguali. Ma non è così" * NOTIZIE CORRELATE * La casa di Bertolaso, nuove accuse (2 giugno 2010) * La replica: "È macelleria mediatica" (2 giugno 2010) LE REAZIONI ALL'INTERROGATORIO DELL'ARCHITETTO Appalti G8, Prodi querela Zampolini "Spara nel mucchio, mai indicato nomi" L'ex presidente del Consiglio: "Spera di poter dimostrare che siamo tutti eguali. Ma non è così" Romano Prodi Romano Prodi ROMA - "Il signor Zampolini spara nel mucchio sapendo benissimo che non ho mai indicato alcun nome per la realizzazione delle costruzioni del G8 alla Maddalena. Evidentemente spera di poter dimostrare che siamo tutti eguali. Ma poiché non è così, ho dato mandato ai miei avvocati di adire alle vie legali". È quanto afferma in una nota l'ex presidente del Consiglio, Romano Prodi. L'INTERROGATORIO - La decisione arriva dopo le ricostruzioni dell'interrogatorio tenuto dall'architetto il 18 maggio di fronte ai magistrati di Perugia. Zampolini ha affermato ai pm che "durante il governo Prodi i miei progetti in vista del G8 a La Maddalena e delle opere per le celebrazioni dell'Unità d'Italia furono scartati perché venivano privilegiati altri". Redazione online 02 giugno 2010
2010-05-27 introiti dal mercato italiano: evasi 112 milioni di euro Scoperta maxi-evasione nel Comasco Denunciato l'amministratore di due società con sede in Svizzera operanti nel commercio all'ingrosso di tessuti introiti dal mercato italiano: evasi 112 milioni di euro Scoperta maxi-evasione nel Comasco Denunciato l'amministratore di due società con sede in Svizzera operanti nel commercio all'ingrosso di tessuti MILANO - Un'evasione di oltre 112 milioni di euro è stata scoperta dai militari della Guardia di Finanza di Olgiate Comasco al termine di verifiche fiscali condotte nei confronti di due società con sede in Svizzera, operanti nel commercio all'ingrosso di tessuti e abbigliamento. DENUNCIATO L'AMMINISTRATORE UNICO - L'amministratore unico delle due società è stato denunciato alla magistratura comasca per l'omessa dichiarazione di redditi prodotti in Italia. Le società - informa una nota - di fatto traevano dal mercato italiano la maggior parte dei propri introiti operando attraverso un proprio direttore commerciale che costantemente si recava in Italia al fine di acquisire ordinativi da molteplici aziende con sedi in diverse province, tra cui Roma, Napoli, Parma, Torino, Piacenza, Bergamo e Rimini. Nel frattempo il direttore delle società, residente in Italia, espletava sul territorio nazionale funzioni amministrative/gestionali tra cui lo sdoganamento della merce venduta, il trasporto al cliente finale ed i rapporti con le banche. LE INDAGINI - Le attività ispettive sono iniziate una segnalazione di un altro Reparto del Corpo, cui è seguita un'attività d'intelligence posta in essere attraverso il raccordo informativo con organismi esteri, la consultazione di banche dati e le verifiche sugli apparecchi telepass montati sulle autovetture riconducibili alle società elvetiche ed utilizzate dal responsabile commerciale, ha fornito tutti i passaggi ai caselli autostradali nazionali. Ciò, oltre ad altri riscontri, ha permesso di rilevare una presenza "abituale" del direttore nel territorio italiano al punto da attribuirgli la figura di "stabile organizzazione personale" riconducibile alle società svizzere le quali, di conseguenza, in base alla normativa fiscale italiana, assumono l'obbligo di presentazione anche della dichiarazione dei redditi. Redazione online 27 maggio 2010
2010-05-22 Controlli della Guardia di Finanza alla ricerca dei prestanome Fisco, prime verifiche su lista Falciani Ci sono società, avvocati e diplomatici Anche operatori della moda e commercialisti nell'elenco di presunti evasori sottratto dall'ex dipendente della Hsbc * NOTIZIE CORRELATE * Conti esteri, task force in ambasciata di M. Sensini (15 aprile 2010) * Falciani, la talpa fuggita a Beirut che adesso fa tremare gli evasori di F. Fubini (14 aprile 2010) * Nel mirino 10 mila conti in Svizzera di M. Sensini (14 aprile 2010) * Il furto delle informazioni bancarie di M. Gaggi (13 marzo 2010) * La lista del bancario-talpa che fa litigare Berna e Parigi di F. Fubini (22 dicembre 2009) Controlli della Guardia di Finanza alla ricerca dei prestanome Fisco, prime verifiche su lista Falciani Ci sono società, avvocati e diplomatici Anche operatori della moda e commercialisti nell'elenco di presunti evasori sottratto dall'ex dipendente della Hsbc Hervé Falciani (Ansa) Hervé Falciani (Ansa) MILANO - Prime verifiche e prime indiscrezioni sulla cosiddetta "lista Falciani", l'elenco di correntisti italiani sospettati di evasione fiscale che faceva parte del faldone sottratto dall'ex dipendente Hervé Falciani alla divisione svizzera di Hsbc. La parte italiana della lista è stata consegnata nei giorni scorsi alla Guardia di Finanza. Le società cui si riferiscono i settemila nomi contenuti nel faldone sarebbero circa quattrocento. Dell'elenco, farebbero parte poi professionisti, avvocati e commercialisti, ma anche operatori nel mondo delle confezioni e della moda. Nella lista ci sarebbero anche nomi di alcuni diplomatici che lavorano per Paesi stranieri. CONTROLLI SU IPOTETICI PRESTANOME - L'attività di controlli e verifiche sui nomi contenuti nel file, corredati da informazioni dettagliate, si sta svolgendo nel massimo riserbo. Le Fiamme gialle sono anche impegnate a verificare nomi di moglie o parenti che potrebbero aver fatto da prestanome. (Fonte Adnkronos) 23 maggio 2010
2010-05-22 "Come è possibile rimanere integri, anche fisicamente?" Bondi scrive a Napolitano e Berlusconi "Basta fango su di me, chiedo rispetto" Il coordinatore del Pdl sul suo presunto coinvolgimento nell'inchiesta di Perugia: "Nessuna verifica delle notizie" * NOTIZIE CORRELATE * Bondi: "Nulla a che fare con i faccendieri" (9 maggio 2010) * Il cognato, Anemone e l'appalto per gli Uffizi all'ingegnere-coiffeur (9 maggio 2010) "Come è possibile rimanere integri, anche fisicamente?" Bondi scrive a Napolitano e Berlusconi "Basta fango su di me, chiedo rispetto" Il coordinatore del Pdl sul suo presunto coinvolgimento nell'inchiesta di Perugia: "Nessuna verifica delle notizie" Sandro Bondi (Eidon) Sandro Bondi (Eidon) MILANO - "Non chiedo privilegi o immunità. Chiedo soltanto il rispetto della mia persona prima ancora che del mio ruolo politico e istituzionale. Mi domando e Vi domando: come può una persona tutelarsi da questo fango, da queste brutali insinuazioni? Come può una persona difendersi da accuse fatte circolare e continuamente alimentate dal circuito mediatico senza avere la possibilità di far valere i propri diritti di cittadino, esposto al pubblico ludibrio e alla disapprovazione morale e politica prima ancora che a qualsiasi verifica e esame giudiziario?". Con queste parole il coordinatore del Pdl Sandro Bondi si rivolge con una lettera aperta al capo dello Stato Giorgio Napolitano, al presidente del Senato Renato Schifani e al premier Silvio Berlusconi, per denunciare le notizie giornalistiche che lo chiamerebbero in causa nelle inchieste dei magistrati di Perugia. "NESSUNA VERIFICA" - "Come è possibile rimanere integri, anche fisicamente, quando ogni giorno il proprio nome viene associato a ogni genere di supposizioni senza alcuna verifica e controllo di attendibilità delle stesse notizie che vengono propagate? Credo ancora in un libero giornalismo che contribuisca alla denuncia dei mali del Paese e degli eventuali reati compiuti anche dalla classe politica, attraverso però una scrupolosa e attenta indagine sulle fonti di informazioni e sul rispetto della persona, che è un valore tutelato dalla nostra Costituzione - sottolinea Bondi -. Io credo ancora in una giustizia che persegua i reati, quando vengono accertati, e punisca severamente i colpevoli, con tutte le garanzie previste dallo Stato di diritto. Così come credo ancora in una democrazia capace di emendarsi e di rinnovarsi senza ricorrere alla gogna mediatica, alla punizione anticipata e preventiva di coloro che hanno la disavventura di entrare nel tritacarne mediatico-giudiziario, senza neppure che si attenda il responso delle indagini e dei processi e senza addirittura sapere se esistano o meno procedimenti penali a carico della persona oggetto di tali gravi insinuazioni". "GRAVI INGIUSTIZIE" - "Questo fenomeno e questo meccanismo - rileva il coordinatore del Pdl - lo abbiamo già visto all'opera, lo abbiamo già conosciuto nel passato, e sappiamo che non ha condotto a nessun autentico cambiamento della società italiana. Spesso ha condotto a gravi ingiustizie e a veri e propri drammi umani. Spero che ciò non si ripeta ancora, perché dimostrerebbe che il nostro Paese non è capace di rinnovarsi senza fuoriuscire dalle regole, senza passare attraverso la ricerca di capri espiatori, che non solo contrasta con il senso di giustizia, ma che alla fine si rivela un male peggiore di quello che si vorrebbe estirpare. Per queste ragioni mi sono rivolto a Voi, nella speranza che il mio caso, che è piccola cosa ma vive drammaticamente in me, possa suscitare qualche interrogativo prima che non sia troppo tardi". Redazione online 22 maggio 2010
2010-05-21 "Ho già dato mandato ai miei legali di proteggere il mio buon nome" Matteoli: mai avuto conti occulti E Bondi: "Vivo in un Paese barbaro" I due ministri smentiscono le notizie su disponibilità di denaro su conti esteri a loro riconducibili * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi: "Saremo severi con chi ha sbagliato" (21 maggio 2010) * Il retroscena: una storia che non è finita di G. Fregonara "Ho già dato mandato ai miei legali di proteggere il mio buon nome" Matteoli: mai avuto conti occulti E Bondi: "Vivo in un Paese barbaro" I due ministri smentiscono le notizie su disponibilità di denaro su conti esteri a loro riconducibili Il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli (Ansa) Il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli (Ansa) ROMA - "Non ho, nè mai ho avuto conti aperti nè disponibilità in banche estere, tantomeno in filiali di banche italiane operanti in Lussemburgo. Non possono dunque esistere operazioni bancarie direttamente o indirettamente a me riconducibili, ovvero a persone a me collegate". Lo afferma il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Altero Matteoli smentendo la notizia pubblicata oggi su alcuni quotidiani secondo la quale ci sarebbe un conto riconducibile al Ministro in una banca operante in Lussemburgo. "Quanto riportato da alcuni quotidiani è quindi assolutamente falso e calunnioso, specie per me che all'estero non ho mai messo piede in una banca. Ho già dato mandato al mio legale di proteggere il mio buon nome in ogni sede". IL COLLABORATORE COINVOLTO - Il nome di Matteoli era comparso nell'ambito dell'inchiesta su "appaltopoli" (la gestione degli appalti per i grandi eventi) in relazione al coinvolgimento di un suo collaboratore, Ercole Incalza, capomissione delle Infrastrutture. Incalza secondo i magistrati perugini sarebbe stato indiretto destinatario di una serie di assegni circolari da 10mila euro l'uno, per un totale di 520mila euro, versati dall'architetto Angelo Zampolini, già coinvolto nella vicenda dell'acquisto di un appartamento da parte dell'ex ministro Claudio Scajola e collaboratore dell'imprenditore Diego Anemone, al centro dello scandalo. BONDI: "PAESE BARBARO" - Anche il ministro Sandro Bondi, citato da alcuni quotidiani come persona coinvolta in movimenti sospetti di denaro all'estero, ha preso posizione: "Sapevo di vivere in un paese barbaro e incivile almeno per le persone oneste, ma non fino a questo punto". "Apprendo oggi su Libero - scrive Bondi in una nota - che il mio nome figurerebbe in una inchiesta su movimenti bancari transitati per una filiale di Unicredit a Lussemburgo. Si tratta di una notizia semplicemente comica. Purtroppo so bene che quando i fatti saranno accertati sarà sempre troppo tardi per rendere giustizia alla mia onestà. Comunque - conclude Bondi - in riferimento alle notizie riportate oggi sui quotidiani Libero e Il Fatto, gli autori delle calunnie ne risponderanno presto in tribunale". LA DIFESA DEL PDL - In difesa di Matteoli si è schierato il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, che parla di attacchi "assurdi" legati a vicende "strampalate e fuori dalla realtà". Lucio Malan, senatore del Pdl, prende invece posizione a sostegno di Bondi, spiegando che "è vergognoso il fango che viene gettato su Sandro Bondi" perché "per le persone oneste come lui la vita è spesso difficile in Italia, specialmente in politica". Redazione online 21 maggio 2010
Dichiarazione doppia. Che non smentisce Berlusconi e Vespa sul caso Verdini-Scajola. Ma l'ultima puntata non è stata ancora scritta IL RETROSCENA Dichiarazione doppia. Che non smentisce Berlusconi e Vespa sul caso Verdini-Scajola. Ma l'ultima puntata non è stata ancora scritta ROMA – Dicono a Palazzo Chigi che Silvio Berlusconi vorrebbe tanto un passo indietro anche dal coordinatore di Forza Italia Denis Verdini, così come ha fatto Claudio Scajola, dimessosi da ministro dopo lo scandalo della casa comprata dalla "cricca". Dicono che sia preoccupato per le indagini, per i sondaggi e che voglia in ogni modo distinguere i destini del partito e del governo dalle sorti penali e dalle eventuali responsabilità dei suoi uomini coinvolti nelle inchieste del G8 (Verdini) e negli scandali degli appartamenti di Balducci e Anemone (Scajola). Finora Silvio Berlusconi lo ha detto e ridetto nei suoi incontri privati. E lo ha confermato anche a Bruno Vespa, l’altroieri, che lo interrogava per il suo prossimo libro: "Si tratta di casi personali e isolati e dagli ultimi sondaggi risulta che per l'opinione pubblica è chiaro che questi casi non hanno nulla a che vedere né con l'attività di governo né con quella del partito", ha spiegato riferendosi a Verdini e Scajola. Nero su bianco nel libro, però, diventa una conferma ufficiale che Berlusconi vorrebbe "scaricare" i suoi due collaboratori, una dichiarazione politica, una condanna. E immediatamente il Cavaliere smentisce di aver fatto nomi. Vespa conferma di averli effettivamente fattti lui. Insomma una doppia precisazione che non smentisce granchè: a chi si sarebbe riferito altrimenti Berlusconi? Ed è un fatto che il Cavaliere non sia ancora riuscito a sostituire Scajola al ministero. Si era detto che non lo avesse perdonato, ma dopo l’intervista della moglie dell’ex ministro e un’affettuosa telefonata ha invitato Scajola a cena ad Arcore, quasi quattro ore di colloquio. Verdini per ora ha continuato a fare il suo lavoro di coordinatore, Berlusconi aveva pensato anche di fargli fare l’ambasciatore con Gianfranco Fini. Non sarà certo quella di oggi l’ultima puntata della vicenda. Gianna Fregonara 20 maggio 2010
"nessuna indulgenza e impunità per chi ha sbagliato" Berlusconi: "Appaltopoli? Casi personali che non riguardano governo e Pdl" Sulle recenti inchieste: "No a isterie giustizialiste". Il premier conferma la fiducia a Denis Verdini "nessuna indulgenza e impunità per chi ha sbagliato" Berlusconi: "Appaltopoli? Casi personali che non riguardano governo e Pdl" Sulle recenti inchieste: "No a isterie giustizialiste". Il premier conferma la fiducia a Denis Verdini Silvio Berlusconi (Emblema) Silvio Berlusconi (Emblema) MILANO - "Si tratta di casi personali e isolati che nulla hanno a che vedere con l'attività del governo e del partito". Lo dice Silvio Berlusconi a Bruno Vespa che, per il libro Nel segno del Cavaliere, gli chiede di commentare le recenti inchieste sulla "cricca". Il presidente del Consiglio risponde: "Si tratta di casi personali e isolati e dagli ultimi sondaggi risulta che per l'opinione pubblica è chiaro che questi casi non hanno nulla a che vedere né con l'attivitá di governo né con quella del partito. Una cosa è certa: il Popolo della libertà non ha mai ricevuto finanziamenti illeciti da nessuno e semmai è stato il presidente del Consiglio a intervenire sulle finanze interne con mezzi propri". L'EQUIVOCO E LA SMENTITA - Il punto è che questi "casi isolati" hanno anche un nome e un cognome. E quando le agenzie lanciano l'anteprima, nomi e cognomi sono quelli dell'ex ministro Claudio Scajola e del coordinatore Pdl Denis Verdini. Pochi minuti e arriva la precisazione del premier: "Mi dispiace che un banalissimo equivoco rischi di far nascere un caso che non esiste. Non ho mai pronunciato i nomi di Scajola e di Verdini, né altri nomi". E aggiunge: "Rispondendo a una domanda sull'ipotesi di una nuova Tangentopoli sollevata dai giornali ho risposto come avevo già fatto tante altre volte: "Assolutamente no, si tratta di casi isolati...'" I titoli non li faccio io e non ne posso rispondere". Quindi la nota ufficiale: "Il presidente del Pdl Silvio Berlusconi conferma la propria fiducia nell’onorevole Denis Verdini quale coordinatore nazionale del Popolo della Libertà". "SEVERITÀ, NO ISTERIE" - Per quanto riguarda le altre risposte sulle quali non è servita una precisazione, Berlusconi dice che "la nostra linea, da quando siamo scesi in campo, è sempre la stessa: nessuna indulgenza e impunità per chi ha sbagliato". Berlusconi aggiunge però: "Non mi è piaciuta per nulla l'ennesima esibizione di isteria giustizialista, con la pubblicazione di centinaia di nomi di clienti di un'azienda presentati come se fossero tutti dei colpevoli. Non è gettando fango su degli innocenti che si fa giustizia. Se ci saranno uno, due, tre casi di comportamenti illegittimi saranno i magistrati ad accertarlo. E in questo caso ci sarà severità di giudizio e di decisione nei confronti di chi fa politica e ha responsabilità pubbliche". VISIONE MORALE - "Il Popolo della Libertà - afferma Berlusconi - non ha mai ricevuto finanziamenti illeciti da nessuno e semmai è stato il presidente del Consiglio a intervenire sulle finanze interne con mezzi propri. In politica - rileva - penso di avere portato una nuova visione morale, che non è solo quella di non rubare per sé o per il partito, ci mancherebbe, ma è soprattutto quella di mantenere la parola data agli elettori realizzando gli impegni assunti con il programma elettorale. Su questo, nessuno può darmi lezioni. E sfido chiunque ad affermare il contrario". Redazione online 20 maggio 2010
2010-05-14 IL CASO ANEMONE SCUOTE IL GOVERNO Alfano: "Ora stretta sulla corruzione" Linea dura del governo. Frattini: "Situazioni intollerabili. Il Guardasigilli: "Ma non è Tangentopoli" IL CASO ANEMONE SCUOTE IL GOVERNO Alfano: "Ora stretta sulla corruzione" Linea dura del governo. Frattini: "Situazioni intollerabili. Il Guardasigilli: "Ma non è Tangentopoli" ROMA - "Abbiamo presentato un Ddl contro la corruzione che si fonda su l'inasprimento delle pene e un sistema di maggiore trasparenza dentro la pubblica amministrazione": così il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha risposto, a Milano, alle domande dei giornalisti in relazione alla nuova ondata di corruzione. "Con una serie di interventi previsti nel ddl anticorruzione, fortemente voluto dal presidente Silvio Berlusconi - ha sottolineato Alfano - che prevede una serie di interventi che hanno l'obiettivo di eliminare quei lacci e quei lacciuoli che spesso rappresentano dei passaggi a livello per superare i quali si paga la tangente" e fare sì, ha concluso il ministro, che "una maggiore fluidità nel funzionamento degli enti locali possa assicurare al contempo maggiore trasparenza". Per il ministro della giustizia la vicenda non indebolirà il governo. 14 maggio 2010
il costruttore al centro dell'inchiesta sugli appalti dei grandi eventi Inchiesta G8: i difensori di Anemone "Nessuna collaborazione" Per i suoi legali non ha reso interrogatori "o fatto dichiarazioni spontanee e non ha fatto ammissioni" * NOTIZIE CORRELATE * Anemone ora parla e incastra il generale dei servizi segreti Pittorru (14 maggio 2010) * Berlusconi, amarezza e rabbia "Licenzierò chi ha sbagliato" (14 maggio 2010) il costruttore al centro dell'inchiesta sugli appalti dei grandi eventi Inchiesta G8: i difensori di Anemone "Nessuna collaborazione" Per i suoi legali non ha reso interrogatori "o fatto dichiarazioni spontanee e non ha fatto ammissioni" Diego Anemone, il costruttore sotto inchiesta a Perugia (Ansa) Diego Anemone, il costruttore sotto inchiesta a Perugia (Ansa) PERUGIA - Nessuna collaborazione con gli inquirenti da parte di Diego Anemone, il costruttore al centro dell'inchiesta sugli appalti dei grandi eventi. Lo hanno sottolineato i suoi difensori, venerdì mattina a Perugia, a margine dell'udienza in programma davanti al gip del capoluogo umbro per esaminare la richiesta della Procura di commissariare le aziende del costruttore. GLI AVVOCATI - I legali hanno sottolineato che Anemone non ha reso interrogatori "o fatto dichiarazioni spontanee e soprattutto non ha fatto alcuna ammissione". Oggi alcuni quotidiani scrivono che Diego Anemone, l'imprenditore al centro della cricca degli appalti, ha cominciato a fare le prime ammissioni e con le sue risposte ha già smentito il generale della Guardia di Finanza ora all'Aisi Francesco Pittorru, beneficiario di due case a Roma pagate in parte con gli assegni dell'architetto Angelo Zampolini. Anemone, sempre secondo quanto riportano i quotidiani, avrebbe cominciato a parlare con gli investigatori il 5 maggio, il giorno dell'uscita dal carcere di Rieti dove era detenuto dal 10 febbraio scorso. Davanti a lui si presentano gli uomini della Guardia di Finanza, con un decreto di perquisizione, spiegandogli che nel corso dell'interrogatorio il generale Pittorru ha raccontato che i soldi per l'acquisto delle due case a Roma erano un prestito di Anemone e che c'era una scrittura privata a dimostrarlo, custodita in una casa di sua proprietà in Sardegna. I pm non credono a questa versione ma danno al generale qualche giorno per recuperarla. Quando però l'ufficiale si ripresenta ai magistrati, sostiene che le carte gli sono state rubate. Anemone smentisce questa versione e agli investigatori - scrivono i quotidiani - dice che non c'è mai stata una scrittura privata tra i due e di non aver mai concesso al generale un prestito. (Fonte: Ansa) 14 maggio 2010
L’inchiesta - L’uomo chiave Anemone ora parla e incastra il generale dei servizi segreti Il costruttore della "cricca" smentisce Pittorru Verifiche sugli indirizzi di politici e prelati * NOTIZIE CORRELATE * Inchiesta G8: i difensori di Anemone: "Nessuna collaborazione" (14 maggio 2010) * Anemone ora parla e incastra il generale dei servizi segreti Pittorru (14 maggio 2010) L’inchiesta - L’uomo chiave Anemone ora parla e incastra il generale dei servizi segreti Il costruttore della "cricca" smentisce Pittorru Verifiche sugli indirizzi di politici e prelati Diego Anemone (Ansa) Diego Anemone (Ansa) PERUGIA — L’interrogatorio si è svolto poco prima che lasciasse il carcere. E per la prima volta Diego Anemone ha accettato di rispondere alle domande degli investigatori. Nel muro di silenzio che aveva eretto sin dal giorno del suo arresto, si è dunque aperta una crepa. Adesso non è escluso che la situazione possa cambiare. Dopo la scelta di collaborazione di Angelo Zampolini—l’architetto al quale erano state delegate le operazioni di compravendita di appartamenti per i potenti — anche il principale indagato decide di fornire indicazioni preziose per l’inchiesta. E così "incastra" il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, al quale aveva regalato due appartamenti al centro di Roma e tre ristrutturazioni. Ora si va avanti. E proprio al giovane imprenditore si chiederanno chiarimenti su quella lista di 370 persone custodita in un computer della sua impresa. Politici, alti funzionari dello Stato, prelati, personaggi dello spettacolo: sono decine i "clienti" di Anemone. Le verifiche affidate alla Guardia di Finanza dovranno stabilire chi abbia goduto dei favori e chi invece abbia regolarmente pagato le fatture. E soprattutto quale di questi lavori "privati" sia legato alla concessione di appalti pubblici. L’incontro all’alba Sono le 5 di domenica scorsa, carcere di Rieti. Un ufficiale della Guardia di Finanza entra nella saletta colloqui e incontra Anemone prima che lui lasci la cella per scadenza dei termini di custodia cautelare. Esibisce un ordine di perquisizione. Spiega il motivo della sua visita. Qualche settimana fa è stato interrogato a Perugia il generale Pittorru. Ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi ha raccontato che i soldi per l’acquisto delle due case erano un prestito. "Esiste una scrittura privata che lo dimostra - ha giurato - ed è custodita nella mia casa in Sardegna ". Chiede qualche giorno per avere la possibilità di recuperarla. I magistrati non credono alla sua versione, decidono di concedergli comunque il tempo richiesto. Ma quando il generale torna in Procura afferma che le carte gli sono state rubate e non può dimostrare quanto ha sostenuto. "Chiedete ad Anemone", aggiunge, sicuro che l’imprenditore confermerà la sua versione. Non va così. Dopo aver ricostruito i fatti, l’investigatore spiega ad Anemone che si dovrà procedere a controlli per rintracciare il documento. A questo punto lui accetta di parlare. E smentisce la versione fornita dallo 007. Chiarisce che tra loro non èmai stata stipulata alcuna scrittura privata e soprattutto spiega di non aver concesso al generale alcun prestito. L’investigatore non va oltre, ma le risposte di Anemone bastano a confermare l’accusa di corruzione già contestata a Pittorru. Ora è possibile che all’imprenditore sia chiesto conto di altre circostanze emerse dall’indagine. Mentre era detenuto si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. Quanto è stato scoperto finora e, soprattutto il rischio di commissariamento di tutte le sue aziende, potrebbero averlo però convinto a cambiare atteggiamento. Gli indirizzi "coperti" Un chiarimento potrebbe essere sollecitato quantomeno sul criterio di archiviazione degli appalti ottenuti tra il 2003 e il 2008 elencati in quella lista custodita nel computer del fratello Daniele. Era il 14 ottobre 2008. Nel corso della verifica fiscale avviata dalla Guardia di Finanza sull’"Anemone Costruzioni" fu trovato quel foglio. La segretaria Anna, allarmata, si premurò immediatamente di avvertire il "capo": "Hanno aperto il pc e la cassaforte. Daniele ha detto che c’è questo mondo e quell’altro. Però sembrerebbe, da quello che sono riuscita a vedere perché mi sono messa lì vicino con una scusa, che stampavano gli elenchi di personale vecchio, lavori, ’ste cose qua". Effettivamente la lista è lunga e variegata. Oltre a politici e prelati, ci sono numerosi ufficiali della Guardia di Finanza, funzionari dei ministeri, agenti di polizia e dei servizi segreti. In alcuni casi compaiono soltanto gli indirizzi ed è su questo che si concentrano le verifiche per scoprire se questo accorgimento serva a proteggere personaggi di primo piano che potrebbero aver beneficiato di favori. Guido Bertolaso dovrà chiarire ai magistrati come mai non abbia fatto cenno nel suo interrogatorio ai tre interventi di ristrutturazione effettuati nei suoi appartamenti dalla ditta di Anemone, ammettendone soltanto uno. Stessa domanda sarà rivolta all’ingegner Rinaldi, che riceveva gli operai nelle sue dimore ed è accusato di aver agevolato l’imprenditore per i mondiali di Nuoto e per altri appalti, anche se il suo avvocato Titta Madia nega che ci siano mai stati favoritismi. E si interrogherà di nuovo anche Mauro Della Giovampaola, pure lui inserito nella "cricca " come delegato di missione al G8 della Maddalena, che avrebbe ottenuto lavori per l’appartamento di sua madre. Le altre liste Nei computer sequestrati negli uffici di Anemone e tra i documenti trovati nelle case degli indagati ci sono numerosi appunti che potrebbero svelare i nomi di nuovi beneficiari illustri dei favori elargiti dal costruttore. In particolare ci si concentra sui manager di Stato che lo avrebbero agevolato nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. E sulla concessione dei finanziamenti alle sue società. Per questo un ruolo chiave viene assegnato dagli inquirenti al commercialista Stefano Gazzani, che si occupava delle transazioni finanziarie. Il suo nome è inserito nell’elenco delle operazioni sospette segnalate dalla Banca d’Italia: trasferimenti di denaro in Italia e all’estero che potrebbe celare il versamento di tangenti, ma anche l’acquisto di altri appartamenti. I pubblici ministeri hanno sollecitato il suo arresto e già oggi il tribunale del Riesame di Perugia potrebbe rendere nota la decisione, stabilendo così se questa parte dell’indagine debba restare nel capoluogo umbro o se invece vada trasferita a Roma come aveva deciso il giudice delle indagini preliminari e ribadito l’avvocato di Gazzani, Bruno Assumma. Il "verdetto" appare determinante per il futuro dell’inchiesta. L’eventuale trasmissione del fascicolo nella capitale, ne provocherebbe infatti la frammentazione, mentre Sottani a Tavarnesi hanno evidenziato la necessità di procedere alle verifiche "in uno stesso contesto, visto che ci trova di fronte a un’associazione a delinquere che agiva per pilotare gli appalti pubblici" e procurare un arricchimento ai suoi componenti e a tutti coloro che erano in grado di aiutarla. La dimostrazione è in quei lussuosi appartamenti che Anemone contribuì ad acquistare, oltre che per Scajola e Pittorru, anche per il genero di Ercole Incalza, potente braccio destro dei ministri delle Infrastrutture Lunardi e Matteoli. Fiorenza Sarzanini 14 maggio 2010
L’inchiesta - Lo sfogo del l premier Berlusconi, amarezza e rabbia "Licenzierò chi ha sbagliato" Il premier chiama Bertolaso per avere la sua versione dei fatti * NOTIZIE CORRELATE * Anemone ora parla e incastra il generale dei servizi segreti Pittorru (14 maggio 2010) * Inchiesta G8: i difensori di Anemone: "Nessuna collaborazione" (14 maggio 2010) L’inchiesta - Lo sfogo del l premier Berlusconi, amarezza e rabbia "Licenzierò chi ha sbagliato" Il premier chiama Bertolaso per avere la sua versione dei fatti Silvio Berlusconi (Ansa) Silvio Berlusconi (Ansa) ROMA — C’era una volta il garantismo granitico del Cavaliere. Non è sparito, ma in questi giorni sta mutando: gli si affianca un’ansia preventiva, che non punta l’indice contro le toghe, protagoniste comunque di "un inaccettabile killeraggio mediatico", ma contro gli uomini del suo partito o del suo governo. Oggi, prima ancora che qualcosa accada, prima ancora che arrivino notizie di reato, il presidente del Consiglio si dice pronto a "licenziare" (anche dall’esecutivo) chi verrà coinvolto, con fondamento, nelle inchieste dei magistrati. È curioso,ma ha una spiegazione. Il caso Scajola è un precedente, ha lasciato l’amaro in bocca. Altri casi sono annunciati, sono nell’aria da alcune settimane: circolano nei Palazzi romani, e anche nel salotto del premier, più sospetti e indiscrezioni che verbali d’inchieste nelle redazioni dei quotidiani. Il Cavaliere è convinto che dopo l’ex ministro ligure potrebbe toccare ad altri, dunque si prepara. "Non è una nuova Tangentopoli", dice, ma senza aggiungere che si tratta soltanto di singole mele marce. E allora il "licenziare chi sbaglia" è un concetto utile da veicolare ancora prima di verificare l’esistenza dell’errore. Lo ha detto due sere fa agli imprenditori ricevuti a Palazzo Grazioli. Ha aggiunto che non si capacita della leggerezza di tanti, anche nel Pdl, cui la politica ha concesso onori e denari e che invece si dimostrano, da quello che emerge dalle inchieste, alla stregua di ladri di polli. Seguirà forse un’accelerazione sul ddl anticorruzione, nelle prossime ore. Servirà anche a dire che il governo non sta con le mani in mano, che la partita della legalità non è soltanto appannaggio di Fini. Se la gente mi vota — è il ragionamento aggiunto dal Cavaliere — "è anche perché consapevole di quanto ho costruito da solo, prima di entrare in politica, sa che il mio spirito non può essere la ricerca di un arricchimento". Il corollario, molto negativo, riguarda coloro che non hanno il suo stesso patrimonio ma certamente con la politica non sono finiti in miseria, eppure sembra che abbiano come unica mira quella di arricchirsi un po’ di più di quanto già non lo siano. Insomma anche se le inchieste che fanno discutere mirano comunque a indebolire il governo, nonostante il tritacarne mediatico inaccettabile per un Paese civile, le altre convinzioni del Cavaliere riguardano in questi giorni i suoi stessi collaboratori. Se arriveranno altri casi come quello Scajola, sarà inflessibile. Via dal partito e/o dal governo. Nessuno sa al momento se i sospetti si trasformeranno in provvedimenti giudiziari. Ma il Cavaliere, oltre alla comunicazione, affila anche piani di riserva. I canali aperti con Casini, e anche qualche telefonata diretta fra i due, servono nell’ottica del premier a rafforzare un governo eventualmente indebolito, forse anche ad aprire una stagione di vere riforme con l’apporto del nuovo partito della Nazione, in via di fondazione da parte dell’ex presidente della Camera. Ma i modi e le condizioni del premier, che fra l’altro coltiva anche lui i suoi buoni dubbi sull’operazione, non convincono del tutto i centristi: ci vuole una stagione nuova, dicono, un percorso politico che solchi una discontinuità con la prima fase della legislatura per ipotizzare collaborazioni. L’impressione è che tutti stiano lavorando, compreso il premier, con un orecchio alle possibili mosse delle Procure. La casella di Scajola resta vuota anche per questo motivo. La trattativa con Casini è segnata anche da queste dinamiche. Così come l’interminabile diatriba con Gianfranco Fini. Ieri sera Guido Bertolaso era di nuovo a colloquio con il premier, a Palazzo Grazioli, dopo esserci stato la settimana scorsa. Allora si disse che voleva dimettersi e che il presidente del Consiglio avesse dovuto faticare oltre due ore per farlo desistere. Ieri sera sembra che il copione sia cambiato: sarebbe stato Berlusconi a chiedere l’incontro e ad esigere alcune spiegazioni dal suo sottosegretario. Il tutto nonostante l’indisposizione del capo del governo, che di mattina non ha presieduto il Consiglio dei ministri perché colto da una fastidiosa laringite e da qualche linea di febbre. Marco Galluzzo 14 maggio 2010
LA NOTA Il Cavaliere tenta di gestire i contraccolpi delle indagini L’approccio sta diventando più guardingo, e aperto a tutti gli scenari: anche i più insidiosi per il governo. Il modo in cui Silvio Berlusconi parla delle inchieste giudiziarie, almeno in privato, tende a non escludere nulla. La parola d’ordine ufficiale è che l’Esecutivo va avanti; e che lo scandalo del G8 non somiglia a Tangentopoli, l’indagine che terremotò la classe politica all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Ma il presidente del Consiglio sembra consapevole che una nuova fase si è comunque aperta. E tenta di pilotarla, non soltanto di subirla. Per questo avrebbe ammesso durante una cena che "se qualcuno ha sbagliato pagherà le conseguenze". È il segno di un momento di attesa. Il premier non esclude che possano arrivare altre rivelazioni o provvedimenti riguardanti esponenti del centrodestra o addirittura membri del governo. Anche per questo non ha ancora sostituito il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, costretto alle dimissioni per alcuni favori ricevuti nell’acquisto di una casa. Ma il solo fatto che Berlusconi lasci filtrare l’irritazione per il modo in cui si è mosso Scajola, costituisce una novità. È come se Palazzo Chigi si aspettasse e quasi sperasse di vedere emergere i nomi di chi "ha sbagliato": per capire se può andare avanti con gli equilibri odierni, o se deve voltare pagina. Si tratta di una preoccupazione che il presidente del Consiglio condivide con Umberto Bossi. Anche il capo della Lega osserva con sospetto quanto accade. L’inchiesta gli appare "un po’ strana, un po’ preparata". Non ci sarà crisi, a meno che non "si portino via tutti i ministri ". Ribadisce che il governo non rischia "fin quando ci siamo io, la Lega e Tremonti". Ma concede che "la situazione è brutta". Quanto brutta lo diranno i prossimi giorni. Rispetto alla tesi del "complotto", però, il linguaggio è cambiato. È verosimile che i rapporti con Gianfranco Fini, tuttora pessimi, si evolveranno con lo sviluppo delle inchieste. Il presidente della Camera giura di non pensare ad imboscate parlamentari. Ma la diffidenza reciproca rimane intatta, anzi aumenta per l'assestamento progressivo della corrente finiana. L’eventualità di una rottura irrimediabile ora viene ammessa apertamente. Con quali contraccolpi, tuttavia, non è chiaro. Fini ieri ha confermato che, pur essendo "pro tempore", comunque non rinuncerà al ruolo di terza carica dello Stato. Se però davvero Berlusconi sta pensando ad un appello a Pier Ferdinando Casini, qualcosa potrebbe muoversi. Il Pdl cerca un nuovo baricentro, e arriva a definire l’Udc "una costola separata del centrodestra" con il ministro Ignazio La Russa, ex di An. Ma è difficile che l’Udc accetti di entrare nella maggioranza in questa logica. Solo se Berlusconi prendesse atto che la crisi economica richiede un coinvolgimento di tutti, Casini sarebbe pronto a spingere per una collaborazione delle opposizioni col governo. Ma l’"asse del Nord" non la pensa così: alle Regionali il partito di Bossi e quello di Casini si sono azzuffati. È vero che le Regionali sembrano lontane. Ma finora più che una soluzione si intravede solo tanta confusione. Massimo Franco 14 maggio 2010
STRISCIONI: FAI LA VALIGIA E casa Scajola al Colosseo va all'asta "Togliere ai ricchi per dare ai poveri" Blitz in via del Fagutale del gruppo "Fai la valigia": finta vendita dell'appartamento dell'ex ministro ROMA - Non si è trattato di una occupazione, come aveva annunciato il consigliere comunale di Roma, Andrea Alzetta, ma di un blitz di una trentina di giovani messo a segno davanti a casa dell'ex ministro Claudio Scajola, in via Fagutale 2 nei pressi del Colosseo. Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo Finta asta di casa Scajola al Colosseo FINTA ASTA - L'idea è stata del gruppo Facebook "Fai la valigia" che si è ritrovato sul cavalcavia pedonale che si trova sulla strada ai piedi del palazzo e ha inscenato, intorno alle 17, un'asta immobiliare con tanto di tavolino, simulando la vendita dell'appartamento. I dimostranti hanno appeso due striscioni con su scritto "Fai la valigia": uno sul cavalcavia e uno davanti all'ingresso del palazzo. Il gruppo di giovani si è poi dileguato all'arrivo delle forze dell'ordine. "LA SOLUZIONE" - Nell'annunciare il blitz, il consigliere di Roma in Action, Andrea Alzetta, aveva detto: "Ecco la soluzione per l'emergenza abitativa: togliere ai ricchi furfanti per dare ai poveri" Redazione online 13 maggio 2010 2010-05-13 LE CARTE DELL'INCHIESTA Ristrutturazioni, la lista di Anemone: 370 interventi anche per politici e prelati Il costruttore della "cricca" eseguì tre lavori nelle abitazioni di Bertolaso LE CARTE DELL'INCHIESTA Ristrutturazioni, la lista di Anemone: 370 interventi anche per politici e prelati Il costruttore della "cricca" eseguì tre lavori nelle abitazioni di Bertolaso Diego Anemone, l'imprenditore al centro della "cricca" Diego Anemone, l'imprenditore al centro della "cricca" DAL NOSTRO INVIATO PERUGIA - Le società di Diego Anemone avrebbero effettuato tre ristrutturazioni nelle case del capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Due volte sarebbero stati invece svolti lavori nell'appartamento privato dell'ex ministro Claudio Scajola, quella dimora con vista Colosseo per la quale l'architetto Angelo Zampolini aveva versato 900.000 euro. Alla mamma del funzionario Mauro Della Giovampaola sarebbe stata mandata una squadra in una casa di Ostia, mentre il commissario per i mondiali di nuoto Claudio Rinaldi avrebbe avuto gli operai per ben tre volte. Tra le "voci" anche Claps La lista degli appalti e delle commesse ottenute dal costruttore — accusato di aver corrotto politici e funzionari per aggiudicarsi i lavori pubblici, in particolare quelli inseriti nei Grandi Eventi — svela la sua rete di relazioni. Il documento, allegato agli atti dell'inchiesta, è stato sequestrato nel suo computer al momento dell'arresto. Contiene l'elenco dei 370 incarichi svolti tra il 2003 e il 2008, poco prima che l'indagine della magistratura rivelasse l'esistenza di una "cricca" in grado di pilotare le assegnazioni. L'analisi del documento è stata affidata agli investigatori della Guardia di Finanza che stanno controllando tutte le voci per verificare la regolarità delle procedure e soprattutto accertare se alle persone citate nella lista è stata emessa regolare fattura. Ma anche scoprire che cosa ci sia dietro alcune diciture che appaiono al momento incomprensibili. Per fare un esempio è citato due volte "Claps Potenza" che subito rimanda al caso della ragazza ritrovata morta nel soppalco, ma non si capisce in realtà a che cosa si riferisca. Lo "scambio" sugli appalti La scorsa settimana, durante la conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi, Bertolaso — che è indagato per corruzione — aveva svelato l'esistenza di un contratto di consulenza ottenuto da sua moglie per il rifacimento dei giardini del circolo Salaria Sport Village di Anemone e confermato come lo stesso costruttore si fosse occupato di alcuni lavori di falegnameria nel suo appartamento. Probabilmente sapeva che gli investigatori lo avevano già scoperto e ha detto di voler chiarire i termini della questione. Non ha però parlato di altri due incarichi che Anemone avrebbe svolto privatamente per suo conto. E su questo si concentra adesso l'attenzione dei pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. I magistrati sospettano infatti che questi "favori" elargiti dall'imprenditore siano la contropartita per gli incarichi ottenuti per il G8 de La Maddalena, i Mondiali di Nuoto e le celebrazioni dell'Unità d'Italia. Stesso discorso riguarda le case e le successive ristrutturazioni effettuate per Scajola e Pittorru. Entrambi hanno comprato appartamenti (uno l'ex ministro, due il generale) con soldi che sarebbero stati messi a disposizione dal costruttore e adesso si scopre che il "pacchetto" prevedeva anche interventi strutturali nelle dimore. Un beneficio del quale avrebbero goduto anche alcuni funzionari delle Infrastrutture. Nella lista c'è un riferimento alla figlia di Maria Pia Forleo, la responsabile dell'ufficio contratti, interrogata a Firenze nelle scorse settimane proprio sui regali che avrebbe ottenuto anche da altri imprenditori. Anche Della Giovampaola e Rinaldi — anche loro sotto inchiesta — dovranno esibire le eventuali fatture di pagamento per smentire l'ipotesi dell'accusa che i lavori privati siano stati in realtà una ricompensa per l'atteggiamento favorevole dei confronti del Gruppo Anemone. Politici e prelati Nell'elenco sequestrato ci sono le palazzine delle Fiamme Gialle e la sede della Protezione civile di via Vitorchiano a Roma, ma anche la camera da letto e la cucina di Palazzo Chigi. Ci sono il carcere minorile di Casal del Marmo e la sede del ministero del Tesoro, la sede dell'avvocatura e quella di Forza Italia, il palazzo dei congressi dell'Eur e una dicitura ancora misteriosa: "Appartamento via Arno del papa". Ci sono gli uffici del ministero per le Politiche Agricole e quelli dei servizi segreti in piazza Zama. E poi ci sono i lavori effettuati al Viminale grazie alla concessione del Nos, il nulla osta di sicurezza. Incarichi che Anemone sarebbe riuscito a ottenere grazie ad Angelo Balducci, potente Provveditore ai lavori pubblici che lo avrebbe favorito anche nell'ambito dei Grandi Eventi grazie alla possibilità di procedere a trattativa privata e fornendogli di fatto — nell'arco di tutti questi anni — l'esclusiva sulle opere che venivano autorizzate dai suoi uffici. Monsignor Francesco Camaldo, dal quale l'autista tunisino Ben Laid Hidri Fathi ha raccontato di aver accompagnato spesso Anemone, è citato in relazione all'Università Cattolica San Giovanni. E poi ci sono i lavori effettuati per l'attuale vicepresidente del Csm Nicola Mancino quando era ministro dell'Interno. Per alcune persone — per esempio Vietti, Lisi, Lupi — sono inseriti soltanto i cognomi e bisognerà verificare di chi si tratti realmente. Altri, come i vertici della polizia Antonio Manganelli e il suo predecessore Gianni De Gennaro sono inseriti nella lista ma nel primo caso si tratta di lavori non effettuati e nel secondo di interventi pagati e regolarmente fatturati. Gli amici famosi Negli atti depositati nelle scorse settimane ci le intercettazioni telefoniche di Anemone e di Balducci con numerose persone e nel corso di alcune conversazioni si parla anche di favori dati e ricevuti. Frequenti sono i contatti con Giancarlo Leone, potente funzionario Rai, che veniva contattato per far lavorare nelle fiction Lorenzo Balducci, figlio attore dell'alto funzionario. Il suo nome è contenuto nella lista delle "commesse", così come quello del regista Pupi Avati o del produttore cinematografico Andrea Occhipinti. È stato proprio Hidri Fathi a raccontare come Balducci facesse regali costosi ai registi pur di agevolare la carriera del ragazzo. Decine e decine di nomi apparentemente non forniscono alcun elemento di interesse per l'inchiesta, ma si dovrà verificare la posizione di tutti coloro che hanno rivestito incarichi pubblici per verificare se i rapporti con il costruttore celino in realtà interessi che riguardano gli affari. Per questo sarà probabilmente interpellato l'ex direttore generale di Alitalia Zanichelli e verranno verificate le posizioni di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza e alcuni agenti della polizia inseriti nell'elenco, per verificare che tipo di legame avessero con Anemone e se abbiano mai subito pressioni o richieste di favori. Fiorenza Sarzanini 13 maggio 2010
BERLUSCONI E LE INCHIESTE I timori del premier: è solo l'inizio E prepara un appello a Casini Per la prima volta il leader ha dubbi sui suoi. Nuovi scenari in caso di crisi BERLUSCONI E LE INCHIESTE I timori del premier: è solo l'inizio E prepara un appello a Casini Per la prima volta il leader ha dubbi sui suoi. Nuovi scenari in caso di crisi Il premier Berlusconi (Ap) Il premier Berlusconi (Ap) ROMA - Rubano tutti, o quasi tutti. Lo dice come un'amara constatazione, con un tono d'impotenza, nei momenti di sconforto, quando aggiunge che non capisce come si possa approfittare di una carica, quella politica, che dà tantissimi benefici, anche finanziari. Benefici che dovrebbero essere un deterrente e che invece a tanti, anche dentro il suo partito, non bastano. Sulle inchieste recenti Berlusconi ha detto poco o nulla. Almeno in pubblico. Ha avuto parole di considerazione per Claudio Scajola, al momento delle dimissioni, ma è il primo a sottolineare, in privato, che l'esperienza politica dell'ex ministro è finita. Il timore che ora le inchieste possano colpire altri ministri, sino alle dimissioni, è rafforzato dalla convinzione che in molte delle indagini ci siano parecchi dati non emersi. "Sono solo all'inizio", è la previsione del capo del governo, inviperito a tratti, e forse per la prima volta, più con gli uomini a lui vicini che con le toghe che di solito accusa. Ovviamente la convinzione che i tempi, i modi, le fughe di notizie, appartengano a un disegno organizzato resta una cornice dalla quale Berlusconi non si muove. Ma a differenza del passato, lo ha anche dichiarato, non esiste una congiura, almeno non solo quella. Se alcuni ministri finiscono sotto la lente dei magistrati può anche essere una manovra indiretta per colpire lui, ma di fronte a modalità illecite, o inopportune, che vedono l'emissione di assegni circolari è difficile individuare i soliti magistrati con in mano la falce e il martello al posto del codice di procedura. E Berlusconi è il primo a saperlo. La storia delle dimissioni di Scajola è anche quella dell'addio improvviso del capo, in modo riservato, al proprio ministro. Ma se altri casi arrivassero, se venissero colpiti "altri tre o quattro" esponenti del governo, allora sarebbe molto difficile coniugare gli avvicendamenti con la stabilità del governo e con il cuore della sua comunicazione classica: il suo partito che porta una nuova moralità, che mantiene gli impegni, che non ha bisogno della politica per mantenersi perché non la fa per professione. Anche questo sa bene il Cavaliere. "Se altri tre o quattro" può essere un esercizio retorico, ma svela sia la consapevolezza di non poter mettere la mano sul fuoco sugli esponenti del governo che presiede sia la paura di non riuscire a parare il colpo se arrivassero veramente altre ombre su Palazzo Chigi. La crisi di governo, di fronte ad "altri tre o quattro", sarebbe a quel punto inevitabile, è il resto del ragionamento. E se uno scenario può essere evocato anche solo per esorcizzarlo, di certo però, negli ultimi giorni, complice una distanza con Fini che non accenna a diminuire, il presidente del Consiglio avverte la necessità di uno scarto politico: a chi lo ascolta, anche ieri, nelle tante riunioni tenute e Palazzo Grazioli, capita sempre più spesso di apprendere della possibilità di "una collaborazione", auspicata imminente, con Francesco Rutelli e Pier Ferdinando Casini. Con quali modalità è ancora poco chiaro. Molto dipenderà anche dall'appuntamento di Todi, fra pochi giorni: l'Udc forse cambierà nome, diverrà partito della Nazione, cercando nel concetto di responsabilità nazionale un nuovo inizio. "E io subito dopo lancerò un appello", aggiungeva ieri pomeriggio il Cavaliere, con l'auspicio che il concetto possa far convergere in qualche modo Pdl e Casini. Un quadro in cui ovviamente le inchieste verrebbero derubricate a fattori privi di conseguenze significative. Come i timori, in quel caso infondati, di un premier oggi molto preoccupato. Marco Galluzzo 13 maggio 2010
Cautele e dubbi Cautele e dubbi Quando un’inchiesta giudiziaria coinvolge o lambisce, talvolta nemmeno sotto l’aspetto penale, uomini del governo e delle istituzioni, è inevitabile che susciti interesse, fibrillazione e pure qualche tentativo di inquinamento. Per esempio attraverso le informazioni veicolate o interpretate. Ancor più quando è indagato un importante sottosegretario e dopo che un ministro s’è dimesso per poter meglio giustificare la propria posizione. L’indagine sugli appalti dei Grandi Eventi e il sottobosco circostante dovrebbe aiutare a fare chiarezza sul presunto malaffare nascosto in quel giro di lavori e di milioni, ma al momento non si sa nemmeno quale ufficio giudiziario sarà chiamato a portarla avanti. Nel frattempo, ecco spuntare una lunga lista di nomi e luoghi — estratta dal computer di uno dei principali indagati, il costruttore Diego Anemone — che ancora non ha passato il vaglio di investigatori e inquirenti. È un elenco indistinto di interventi su fabbricati, appartamenti, sedi e strutture statali, case di proprietà pubblica e privata sui quali Anemone ha presumibilmente svolto interventi fra il 2003 e il 2008, quando, insieme al suo amico e ora co-indagato Angelo Balducci, godeva di stima e credito indistinti. Di qua e di là del Tevere, a destra come a sinistra, con ottime entrature nel mondo politico, istituzionale e imprenditoriale. Per capire se e quanto marcio c’è nel modo in cui sono stati aggiudicati gli appalti milionari, anche attraverso la presunta corruzione di cui sono accusati, sarebbe necessario fare chiarezza su ogni operazione. Anche la più apparentemente insignificante. In modo da poter stabilire se era tutto regolare oppure, com’è apparso nel caso del ministro dimissionario, c’erano passaggi talmente poco limpidi che nemmeno l’interessato è riuscito a spiegare. Il rischio è che questo lavoro, che spetta in primo luogo agli inquirenti, venga avvelenato e reso più difficile dalla confusione tra ciò che ha (o potrà avere) una motivazione lecita, e ciò che invece non ce l’ha e non potrà averla. E che la trasparenza a cui sono tenuti i personaggi e gli organismi tirati in ballo a vario titolo venga offuscata da una nebulosa di situazioni molto diverse tra loro, dove tutto si confonde. Col risultato di far perdere credibilità alle istituzioni e a chi le rappresenta, in una indistinta demonizzazione che alla fine potrebbe coinvolgere tutti e tutti affossare. O salvare. Sia chi ha davvero abusato del proprio ruolo o anche peggio, sia chi s’è comportato correttamente. Per evitare tutto questo è auspicabile che la magistratura possa continuare nel tentativo di individuare e perseguire i reati ipotizzati, rispettando i diritti e le garanzie di tutti; senza interferenze interessate, in modo da circoscrivere e recidere l’eventuale bubbone. E che le istituzioni e i loro responsabili, se e quando chiamate in causa, sappiano dare risposte rapide e convincenti; anche con un surplus di chiarezza e lealtà, che ne aumenterebbe il rispetto da parte dei cittadini. Giovanni Bianconi 13 maggio 2010
2010-05-12 Secondo l'avvocato Perroni "non ci sono più le garanzie difensive previste dalla legge" Scajola non si presenterà dai giudici L'annuncio del suo legale: la Procura di Perugia non è competente, va sentito a Roma. Insorge l'opposizione * NOTIZIE CORRELATE * Un altro ministero nello scandalo. Nei guai l'uomo delle Infrastrutture (12 maggio 2010) * Ma l'ingegnere si difende: "Sono tranquillo" (12 maggio 2010) * Scajola si dimette: "Devo difendermi". Berlusconi: "Ha senso dello Stato" (4 maggio 2010) Secondo l'avvocato Perroni "non ci sono più le garanzie difensive previste dalla legge" Scajola non si presenterà dai giudici L'annuncio del suo legale: la Procura di Perugia non è competente, va sentito a Roma. Insorge l'opposizione L'ex ministro allo Sviluppo economico, Claudio Scajola (Imagoeconomica) L'ex ministro allo Sviluppo economico, Claudio Scajola (Imagoeconomica) ROMA - L'ex ministro Claudio Scajola non si presenterà all'audizione fissata per il 14 maggio davanti ai pm di Perugia che indagano sugli appalti per le Grandi Opere perchè, dopo le notizie sull'inchiesta apparse in questi giorni sui giornali, verrebbe sentito "in una veste che parrebbe ormai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti". Lo afferma, in una nota, l'avvocato Giorgio Perroni, legale di Scajola. Secondo l'avvocato, l'audizione avverrebbe "senza, quindi, il rispetto delle garanzie difensive normativamente previste". "PERUGIA NON E' COMPETENTE" - Secondo Perroni, la procura di Perugia è incompetente ad indagare sulla vicenda che coinvolge il suo assistito ed anche questa è una ragione per la quale l'ex ministro - che ha rassegnato le dimissioni proprio per potersi meglio difendere in un'inchiesta che lo vede coinvolto anche se non come indagato per la vicenda della casa con vista sul Colosseo, pagata in parte dall'imprenditore Anemone - non si presenterà a deporre. "È mia convinzione - sottolinea l'avvocato - che la Procura della Repubblica di Perugia non sia competente a conoscere di questa vicenda sia perchè i fatti sono tutti, pacificamente, avvenuti a Roma, sia perchè, in ogni caso, la competenza a giudicare il ministro Scajola sarebbe, eventualmente, di altro organo, vale a dire del Tribunale dei Ministri". "GRAVE CHE SI SOTTRAGGA" - La decisione dell'ex ministro di non presentarsi davanti ai magistrati lascia sorpresa l'opposizione. "È grave e avvilente e comunque poco comprensibile - ha fatto notare Donatella Ferranti, capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera - che un uomo delle istituzioni adotti una linea di difesa che lo porta a sottrarsi ad un chiarimento della propria posizione di fronte all'autorità giudiziaria". "È una scelta opinabile - ha aggiunto - perchè chi non ha nulla da nascondere non ha paura di raccontare la verità dei fatti nelle sedi proprie e non soltanto nelle trasmissioni televisive". "FA COME BERLUSCONI" - Ancora più netto il commento di Massimo Donadi, capogruppo dell'Idv a Montecitorio: "Silvio Berlusconi ha fatto scuola. Anche l'ex ministro Claudio Scajola ha deciso di sottrarsi alla giustizia e di non presentarsi davanti ai giudici. Davvero un bell'esempio da parte di chi, sino a pochi giorni fa, era un importantissimo ministro della Repubblica. La Casta si sente intoccabile e non vuole farsi processare. È una delle degenerazioni prodotte da tanti anni di berlusconismo. Chissá che tra un pò non dovremo discutere di un lodo Scajola...". Redazione online 12 maggio 2010
2010-05-11 "Volevo lasciare nel 2009. Poi c'è stato il terremoto in abruzzo" Bertolaso: "Nessuna fuga anticipata" Il capo della Protezione civile: "La fine del mio mandato non è legata all'inchiesta sugli appalti" "Volevo lasciare nel 2009. Poi c'è stato il terremoto in abruzzo" Bertolaso: "Nessuna fuga anticipata" Il capo della Protezione civile: "La fine del mio mandato non è legata all'inchiesta sugli appalti" Guido Bertolaso Guido Bertolaso MONTAGUTO (Avellino) - Niente "fuga" né "dimissioni anticipate". Guido Bertolaso torna a ribadire che la fine del suo mandato alla guida della Protezione Civile non deve essere e non sarà in alcun modo legato all'inchiesta della procura di Perugia sugli appalti. "Esiste un percorso già disegnato da tempo e condiviso con il presidente del Consiglio dei ministri - spiega - quando sarà portato a termine, con l'assunzione dei giovani precari, la nomina dei dirigenti e la definizione di una road map per la missione di una realtà ammirata e rispettata a livello internazionale, allora finalmente potrò togliere il disturbo". Dunque, prosegue, "nessuna fuga anzi tempo, nessun abbandono improvviso, nè dimissioni anticipate". Ma soltanto, conclude il capo della Protezione Civile, "il desiderio di far crescere sempre più i nostri giovani e la voglia di mettersi in discussione su altri terreni, forse ancora più problematici di quelli coltivati fino ad oggi". TEMPI DEFINITI - Bertolaso è tornato sulla vicenda del suo addio alla Protezione Civile nel corso di un sopralluogo a Montaguto, nella zona dove è ubicato un radar che monitora lo stato della frana che ha diviso Campania e Puglia. "Sono anni che sostengo la necessità di immaginare tempi definiti per chi riveste compiti di grande responsabilità a livello istituzionale - sottolinea - Mi sono sempre augurato che nessun funzionario dello Stato potesse rimanere sulla stessa sedia per più di cinque anni e che non fosse immaginabile superare quella soglia di sette che la Costituzione attribuisce per la massima carica dello Stato". E Bertolaso è alla guida del Dipartimento della Protezione Civile dalla fine del 2001, dunque da quasi nove anni. Ecco perché "è dalla fine del 2008 che ho chiesto di affidare ad altri il privilegio di servire il paese come capo della Protezione civile. E c'ero quasi riuscito nei primi mesi del 2009 - afferma Bertolaso - quando, risolta l'emergenza rifiuti in Campania, intendevo avvalermi della norma che prevede la pensione anticipata per chi abbia lavorato per oltre 35 anni ed intende dedicarsi alle attività di volontariato". Il terremoto del 6 aprile "ha fermato le lancette di quell'orologio". Lancette "che oggi - conclude il capo della Protezione Civile - possono rimettersi in moto" (fonte: Ansa). 10 maggio 2010
gli affari sulla costruzione della scuola dei marescialli a firenze Gli appalti della "cricca": ecco le consulenze d’oro Incarichi a un giro di parenti: 3,5 milioni per un cantiere bloccato gli affari sulla costruzione della scuola dei marescialli a firenze Gli appalti della "cricca": ecco le consulenze d’oro Incarichi a un giro di parenti: 3,5 milioni per un cantiere bloccato ROMA— Consulenti pagati a peso d’oro anche se l’appalto era stato bloccato. Continua a riservare sorprese l’indagine sui lavori pubblici commissionati nell’ambito dei Grandi Eventi. Perché nelle carte processuali dei magistrati di Firenze che hanno indagato sulla costruzione della Scuola dei Marescialli a Firenze, c’è un intero capitolo dedicato agli incarichi affidati a professionisti esterni per un totale di oltre tre milioni e mezzo di euro. Basti pensare solo uno è stato ricompensato con oltre un milione di euro. Un elenco di personaggi, talvolta imparentati tra loro, che però non comparivano nelle liste ufficiali del Provveditorato. Non solo. Gli accertamenti affidati ai carabinieri del Ros hanno consentito di scoprire che era stata addirittura ingaggiata una società per svolgere le mansioni affidate a uno dei funzionari. Lui stesso è stato costretto ad ammetterlo quando gli sono stati mostrati i documenti acquisiti, relativi ai due lotti del cantiere. Ha sostenuto che era tutto concordato con il Provveditore della Toscana Fabio De Santis, tuttora in carcere con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione composta anche da Angelo Balducci, Guido Anemone e Mauro Della Giovampaola. Del resto le liste relative al 2009 mostrano come siano stati elargiti compensi per circa un milione di euro anche per altri lavori gestiti dalla stessa struttura. Nomi e compensi Il 19 febbraio scorso viene convocato Sergio Fittipaldi, 61 anni, "dirigente a contratto con il ministero delle Infrastrutture". Il 5 maggio 2009 è stato nominato "Responsabile Unico del procedimento" del cantiere. Pochi giorni dopo ha disposto la sospensione dei lavori. Secondo l’accusa, il blocco è stato determinato per favorire il costruttore Riccardo Fusi e la sua Btp che era stato estromesso in favore della società Astaldi. È il filone d’inchiesta dove è indagato anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini proprio perché avrebbe tentato di agevolare l’amico imprenditore. Fittipaldi viene dunque ritenuto testimone chiave. E, incalzato dai pubblici ministeri, riconosce a verbale di aver effettuato nomine esterne nonostante lo stop che aveva imposto. "Per la vicenda della scuola dei marescialli, durante l’incarico del mio Rup, furono disposte alcune consulenze che hanno coinvolto un gruppo di professionisti tutti coordinati dal professor Silvio Albanesi... Sono stati tutti nominati con lettere di affidamento subito operative a firma del provveditore De Santis che rimandavano ai particolari economici e quant’altro ad atti successivi, cioè a schemi di disciplinare che dovevano regolare il contratto. Ricordo di aver fatto il calcolo del compenso comunicandolo al ministero che ha le relative carte. Il professor Albanesi ha pattuito un compenso di 950.000 euro circa per il lotto A e il lotto B. L’architetto Carpenzano aveva un compenso di circa 200.000 euro per la parte architettonica, per l’impiantistica meccanica l’ingegner Eugenio Cimino aveva un compenso di circa 350.000 euro del tutto simile a quello della parte elettrica dell’ingegner Dario Zaninelli. Per la parte strutturale il compenso era stato congruito e accettato con la società Italingegneria di Roma, con direttore tecnico il figlio del professor Albanesi, ingegner Tommaso Albanesi ed era di circa 1 milione e 100.000 euro. Vi era poi l’incarico all’ingegner Fabio Frasca che aveva la consulenza degli impianti a rete esterna dell’area. Per costui il compenso accettato era di circa 90.000 euro. De Santis nel conferire gli incarichi pensava di attingere dal quadro economico generale gestito dal ministero con fondi del ministero dell’Interno eMinistero delle Infrastrutture con la particolarità che quelli dell’Interno sono definiti finanziamenti annuali e quindi in prima battuta erano erogazioni pubbliche, salvo poi addebitare all’impresa inadempiente l’esubero delle spese e quindi anche i costi di consulenza". Una tesi che i legali di De Santis, Remo Pannain ed Enzo Gaito, hanno già respinto. Fittipaldi riconosce poi che "Albanesi lo conosco da tempo, mentre il figlio l’ho conosciuto in questa occasione". La società Schema Fittipaldi nomina i consulenti, ma questo evidentemente non basta. E così decide di firmare un altro contratto con la società Schema, che di fatto svolge le mansioni a lui affidate. Quando i magistrati gliene chiedono conto, dichiara: "La ragione è che la struttura ministeriale stava a Roma e io a Firenze. La mia struttura mi doveva consentire di controllare il gruppo di consulenti nominati. Il precedente Rup non aveva l’esigenza di una verifica tecnica del gruppo di lavoro, che non c’era neanche. La società Schema mi mette a disposizione una persona all’occorrenza, che rimane presso la sede, a cui io mi rivolgo in relazione ai compiti e alle esigenze che man mano si manifestano. Ad esempio: la Schema fornisce supporto al Rup nei contati con i consulenti che devono redigere documenti progettuali aggiornati, quindi è una struttura tecnica che verifica la bontà delle soluzioni in variante che man mano si sviluppano. A tal fine mi sono avvalso dell’ingegner Bosi. Un altro esempio è questo: in cantiere vi sono due lotti, con due direttori dei lavori. Uno è nella struttura del provveditorato, uno nella struttura del ministero, quasi che fossero due appalti distinti. Il riordino delle riserve dell’impresa, lo screening sulle riserve, è stato fatto da Schema. Inoltre mi appoggio a Schema per i pareri legali. L’importo a favore della società Schema era una tantum e stabilito in 600.000 euro complessivi fino alla fine del procedimento. Il disciplinare non è mai stato formalizzato. Gli incaricati di tale società hanno fino ad ora lavorato in forza di una lettera di incarico dell’ingegner De Santis che daterei circa a giugno 2009". A Fittipaldi viene poi chiesto di elencare le ragioni che giustificarono il blocco del cantiere visto che secondo il suo predecessore era necessario un provvedimento motivato del ministero e anche in questo caso lui non può che "confermare la circostanza". Poi aggiunge: "È stata proprio questa la ragione del contrasto che ha poi portato alla sostituzione di Mercuri". Fiorenza Sarzanini 10 maggio 2010
LA FIGURA CHIAVE DELL'INCHIESTA SUI GRANDI EVENTI Anemone, scarcerazione super blindata "Ho sempre lavorato onestamente" Rieti, l'imprenditore libero dopo tre mesi. "L'aria libera mi ha sconvolto" LA FIGURA CHIAVE DELL'INCHIESTA SUI GRANDI EVENTI Anemone, scarcerazione super blindata "Ho sempre lavorato onestamente" Rieti, l'imprenditore libero dopo tre mesi. "L'aria libera mi ha sconvolto" A sinistra la foto Ansa sulla scarcerazione di Anemone. A destra l'imprenditore in una foto d'archivio A sinistra la foto Ansa sulla scarcerazione di Anemone. A destra l'imprenditore in una foto d'archivio MILANO - "Ho sempre lavorato onestamente, con tenacia, senza risparmiarmi e nel massimo rispetto di tutti i miei collaboratori". Sono le prime parole del costruttore Diego Anemone, figura centrale dell'inchiesta sugli appalti dei Grandi eventi, scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare. Anemone si dice certo "che la giustizia, nella quale continuo ad avere grande fiducia, farà chiarezza sulla mia totale innocenza". "Lavorerò sodo - aggiunge - per far emergere la verità rispetto le vicende delle quali mi si accusa ingiustamente e le carte processuali lo dimostreranno". SMENTIRO' TUTTO - "È mio prioritario interesse fare luce su ogni fatto e ci riuscirò", continua Anemone. "Tutti i fatti che mi si addebitano saranno certamente smentiti e chiariti nelle sedi competenti". "Intendo ripristinare la mia dignità - aggiunge il costruttore - e quella del nome della mia famiglia che ha sempre goduto di stima e di rispetto da più generazioni, costruendo con duro lavoro e sacrificio una ineccepibile reputazione. Accanto a mio padre ho imparato ad essere infaticabile. Dopo questa esperienza sono ancora più convinto che si possa sopravvivere a tutto". Anemone affida il ripristino della sua "dignità al corretto operato della Magistratura, sicuro dell'onestà e della serietà del mio lavoro che mi ha reso forte con la coscienza di essere meritevole della fiducia e della stima ricevuta negli anni, pronto ad affrontare anche questa esperienza traumatizzante ma con la consapevolezza che le accuse rivoltemi non abbiano fondamento nè il benchè minimo riscontro. Le imprese di costruzione Anemone hanno sempre operato nel rispetto della legalità. La attenta valutazione delle procedure osservate farà emergere come le opere siano state tutte eseguite con tempismo, con straordinario sacrificio e hanno raggiunto il migliore dei risultati visibili a tutti". Il G8, ricorda Anemone "è stato poi annullato per i fatti drammatici sopravvenuti ed imprevedibili", mentre "i lavori di ampliamento del Circolo sportivo sono stati realizzati sostenendone integralmente i costi, nel rispetto della procedura. La realizzazione ha contribuito in modo determinante a rendere possibile l'evento dei Mondiali di Nuoto a Roma; le Società sportive esclusivamente di proprietà mia e di mio fratello hanno dato solo lustro al mondo dello sport con la continua ricerca dell'eccellenza e tutti i numerosissimi soci e frequentatori ne sono stati e ne sono testimoni diretti quotidiani". "Continuerò a tenere fermo il convincimento - conclude Anemone - che le vicende giudiziarie debbano essere giudicate dalla competenza della Magistratura e collaborerò con i miei difensori tenacemente affinchè la verità che mi vede innocente emerga". ARIA LIBERA - "Questa mattina sono uscito dal carcere di Rieti. Improvvisamente ad un orario imprevisto sono tornato in libero. L'aria libera dopo alcune ore di procedure, notifica di atti processuali e dichiarazioni da rendere mi ha sconvolto e reso come un automa. Poi la realtà, gli affetti più cari e le notizie". Per Diego Anemone, riacquistare la libertà dopo tre mesi di carcere è stata un'esperienza, nel bene e nel male, "sconvolgente". "Sono grato a chi mi ha consigliato di non leggere i giornali durante gli ultimi tre mesi. Mi accorgo di essere stato infamato e diffamato", dice, pur rispettando "il sacrosanto diritto all'informazione e dovere di cronaca, convinto che debbano basarsi sulle verità processuali nel rispetto della persona e della sua dignità ". "Ho vissuto un periodo molto doloroso - aggiunge Anemone - soprattutto pensando alla mia famiglia e ai miei bambini. Sono grato e ringrazio pubblicamente tutto il personale penitenziario che ha avuto garbo e umanità e mi ha alleviato i momenti più duri di questa esperienza agghiacciante". L'USCITA DAL CARCERE - La fine della detenzione è avvenuta nel massimo della segretezza. Dopo che informazioni discordanti si erano susseguite durante tutta la giornata di sabato sull'orario sulla sua scarcerazione per evitare l'assedio dei giornalisti, Anemone ha lasciato la nuova casa circondariale di Rieti alle 6,20 di domenica mattina. Super blindata la scarcerazione (dopo tre mesi di detenzione) e testimoniata da pochi scatti Ansa: il costruttore, giubbotto e occhiali scuri e al polso un orologio con il cinturino blu elettrico, è apparso visibilmente dimagrito. FIGURA CHIAVE - Anemone è considerato dagli inquirenti la figura chiave dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i cosiddetti Grandi eventi - dai mondiali di nuoto a Roma al G8 che si doveva tenera alla Maddalena, ma anche le celebrazioni per il 150/o anniversario dell'Unità d'Italia. Come lui, ha lasciato il carcere anche Mauro Della Giovampaola, uno dei funzionari pubblici che operavano all'interno della Struttura di missione relativa al vertice degli otto Grandi inizialmente programmato in Sardegna. È infatti terminata la custodia cautelare in carcere disposta per il reato di concorso in corruzione dal Gip del capoluogo umbro Paolo Micheli nei loro confronti e a carico dell'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci e dell'ex sovrintendente alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis. Questi ultimi due sono però ancora detenuti perché per entrambi i pm di Firenze hanno ottenuto il processo con il rito immediato, per un'altra vicenda, l'appalto dei lavori per la scuola marescialli. L'INCHIESTA DI FIRENZE - Proprio nel capoluogo toscano l'inchiesta era partita e il 10 febbraio del 2010 il Gip fiorentino aveva disposto gli arresti dei quattro, la "cricca" secondo una delle definizioni emerse dalle carte. Un provvedimento adottato in via d'urgenza con il contestuale trasferimento del fascicolo a Perugia per il coinvolgimento dell'ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro (indagato per corruzione e favoreggiamento); tra gli indagati eccellenti anche il capo del Dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso. Secondo la ricostruzione accusatoria Anemone, anche tramite persone e società a lui riferibili o collegate, diede quelle che negli atti giudiziari sono state definite "utilità" (l'uso di telefoni cellulari e di auto, arredi per la casa ma anche il pagamento di prestazioni sessuali) a diversi funzionari pubblici per compiere atti contrari ai loro doveri d'ufficio connessi all'affidamento e alla gestione degli appalti per i Grandi eventi. CHIESTA UNA NUOVA MISURA CAUTELARE -Una volta approdato il fascicolo a Perugia, i pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, insieme al procuratore Federico Centrone, hanno chiesto per Anemone, Balducci, De Santis e Della Giovampaola una nuova misura cautelare per corruzione. Provvedimento disposto dal Gip il 27 febbraio scorso per la durata di tre mesi e la cui efficacia è terminata oggi. L'inchiesta perugina è però in pieno svolgimento. Martedì approderà davanti al tribunale del riesame l'appello dei pm contro la decisione del Gip di non concedere gli arresti dell'architetto Angelo Zampolini, del commercialista Stefano Gazzani e dell'ex commissario dei mondiali di nuoto a Roma Claudio Rinaldi. Il giorno successivo il Gip esaminerà la richiesta della procura di commissariare le aziende del gruppo Anemone. Venerdì sarà quindi sentito come persona informata dei fatti l'ex ministro Claudio Scajola, coinvolto nell'indagine per l'acquisto di un'abitazione anche con assegni circolari dell'architetto Zampolini, che gli inquirenti sospettano siano riconducibili ad Anemone. Redazione online 08 maggio 2010(ultima modifica: 10 maggio 2010) 2010-05-08
8 MAGGIO 2010 INCHIESTA G8 Bertolaso va all’attacco: volevo l’archiviazione Nessun appalto in Abruzzo per le imprese coinvolte nell’inchiesta sui Grandi Eventi. Guido Bertolaso si difende con veemenza dalle accuse di aver favorito la cosiddetta "cricca" e in particolare l’imprenditore Diego Anemone. Dice di non aver "mai mentito". Di avere la coscienza a posto e di voler difendere se stesso, la famiglia e la maglietta della Protezione civile che ha indosso, "screditata" anche dal film di Sabina Guzzanti. Sarà stato per rispondere alle critiche di Annozero, che ha trasmesso un brano della discussa pellicola per la quale il ministro del Turismo Michela Brambilla si riserva di adire le vie legali per danno di immagine al Paese. Sarà perché sull’asse Firenze-Perugia continuano a rincorrersi voci di possibili ulteriori clamorosi sviluppi delle indagini. Fatto sta che - in un momento in cui il Governo è sotto pressione dopo le dimissioni di Scajola, peraltro mai nominato dal sottosegretario - arriva il giorno della Bertolaso’s version. Berlusconi lo ha autorizzato, fa sapere quasi a stoppare subito le accuse - che poi arriveranno da esponenti di Pd e Idv - di aver usato una sede istituzionale. Nella conferenza stampa fiume il sottosegretario alla presidenza del Consiglio va nel dettaglio: data per data, intercettazione per intercettazione, atto ufficiale per atto ufficiale, ricevuta per ricevuta. "Speravo di commentare l’archiviazione o lo stralcio della mia posizione, ma purtroppo non è stato così, l’indagine va avanti e voglio chiarire alcune cose", ha esordito. E assicurata totale fiducia ai magistrati perugini, Bertolaso ha molti rilievi da fare su uso e interpretazione delle intercettazioni. Il G8 alla Maddalena. Alla fine di settembre 2008 i progetti sono pronti e dall’originario costo ipotizzato di 300milioni si arriva quasi al doppio. Ma dopo che Michele Calvi in ottobre diventa su indicazione di Bertolaso "soggetto attuatore", si torna a 380milioni. Da alcuni colloqui captati traspare il disappunto di chi si aspettava di più. Infine, anche l’Europa ha riconosciuto la rispondenza alle normative delle procedure attuate. Gli appalti all’Aquila. Dopo lo spostamento del G8, seguito al sisma del 6 aprile 2009, "nessuna delle imprese coinvolte in questa vicenda ha avuto appalti all’Aquila", ha sottolineato Bertolaso. "Anemone è venuto a trovarmi diverse volte, ma non ha avuto nessun affidamento". E nessuna intercettazione registra disappunto degli imprenditori per un "tradimento" di favori promessi. I massaggi. Bertolaso fornisce le date delle sedute, una decina, con la fisioterapista Francesca, leggendo un sms da lei ricevuto, per dimostrare assenza di rapporti confidenziali. Una sola volta con la brasiliana Monica - ma sempre per massaggi - che spera possa essere presto sentita. I rapporti con Anemone. Infine, il capo della Protezione civile ha voluto chiarire i rapporti con Anemone. La conoscenza risale a molti anni fa. A lui ha fatto eseguire lavori di falegnameria in casa per 20mila euro molti prima dei fatti contestati e la moglie di Bertolaso - architetto di giardini - ha avuto un regolare rapporto professionale con il Salaria Village nel 2007. Gianni Santamaria
2010-05-06
6 Maggio 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Appalti in Sardegna indagato Verdini L’acquisizione di documenti di due giorni fa da parte dei Carabinieri nella banca da lui presieduta, il Credito cooperativo fiorentino, era l’anticipazione della notizia confermata ieri: Denis Verdini, uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione, nell’ambito di un’inchiesta sull’assegnazione di una serie di appalti pubblici, riguardanti in particolare progetti per la diffusione dell’energia eolica in Sardegna. L’ipotesi accusatoria è quella di corruzione in concorso con altre cinque persone, il cui coinvolgimento era già noto: si tratta dell’imprenditore Flavio Carboni (il cui nome rimbalza nelle cronache giudiziarie degli ultimi 30 anni), il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu dell’Udc, il direttore generale dell’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa) della Sardegna Ignazio Farris e il geometra Pasquale Lombardi, già componente di commissioni tributarie. Le indagini, condotte dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli, s’intreccerebbero in parte con quelle sui Grandi eventi della procura di Firenze, altra vicenda giudiziaria che vede coinvolto Verdini. Il quale assicura di "non aver mai conosciuto Anemone", il costruttore ritenuto una delle figure chiave dell’inchiesta fiorentina. E si professa "totalmente estraneo" a "ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti", rispetto a quelle che definisce "una serie di notizie interessate che cercano d’infangare la sua reputazione". Il dirigente del Pdl si dice comunque determinato a "battersi fino in fondo in tutte le sedi" e "disponibile" a fornire spiegazioni ai magistrati, lamentandosi tuttavia "dell’abitudine, ormai invalsa, di sistematiche violazioni del segreto istruttorio per colpire determinati soggetti politici". Di seguito, conversando con alcuni giornalisti a Montecitorio, Verdini usa anche termini più pesanti per descrivere "il circo mediatico" intorno a certe inchieste. Forse pensa anche al caso di Claudio Scajola. Lui, però, non ha intenzione di lasciare l’incarico al vertice del partito: "Non ho l’abitudine, non fa parte della mia mentalità e non ho necessità di farlo. Vado avanti, sono abituato a cominciare da capo tutte le settimane". Sembra non mettere in conto, Verdini, che potrebbe essere il presidente del Consiglio a chiedergli di mollare: "Berlusconi è un uomo d grande serenità. Da vent’anni è abituato a questo massacro. In questi casi il migliore alleato è proprio lui". Solidarietà, intanto, gli giunge da diversi esponenti del Pdl, tutti provenienti da Forza Italia. Tra questi un altro dei coordinatori, Sandro Bondi, e il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. Il primo parla di "qualcosa di poco chiaro in questa nuova ondata d’inchieste", il secondo avverte "un clima generale assai inquietante". Per il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, invece, "non c’è nulla di nuovo sotto al sole: la maggioranza ha la cultura dell’illegalità". Danilo Paolini
6 MAGGGIO 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Berlusconi: "Ci attaccheranno ancora. E solo per disarcionarmi" "Tutto è così poco chiaro, così...". Silvio Berlusconi si ferma su quella parola. Cerca lo sguardo di Denis Verdini e riprende: "... Così allarmante". Con il premier e il coordinatore c’è solo Fabrizio Cicchitto che ascolta silenzioso un atto d’accusa appena agli inizi. "Scajola... Ora te... E se ascoltassi le voci...". Il Cavaliere usa frasi brevi. Messaggi netti. "Questa nuova ondata di inchieste, tutte contro di noi, non può essere un caso". Dubbi. Sospetti. Scanditi in mille "faccia a faccia" riservati. Sussurrati, nella notte tra martedì e mercoledì, in una cena con i "suoi" senatori a Palazzo Grazioli. "Siamo solo all’inizio... Attaccheranno ancora. Proveranno ancora a colpire esponenti di governo e uomini che mi sono da sempre vicini... Lo hanno fatto e lo faranno ancora". Tutti si guardano. Si chiedono se i nomi che ha in testa il premier sono anche quelli che girano nei palazzi della politica. "C’è una congiura di un sistema esterno al governo che ha in mano delle carte". Che le usa. Le diffonde. E lo fa con un solo obiettivo: "Tentare di disarcionare l’esecutivo". È solo uno l’argomento. Il Cavaliere ragiona a voce alta. Parla di un "gruppo quasi organizzato" che minaccia l’azione del governo. Racconta le sue impressioni. Come quella di un "dossier" aperto a rate. "Ogni mattina, aprendo i giornali, mi aspetto un nuovo capitolo", confida il Cavaliere che si chiude la bocca ed evita di fare nuovi collegamenti tra Gianfranco Fini e i nuovi attacchi giudiziari. Tace Berlusconi, ma molti nel Pdl "berlusconiano" agitano il Grande Sospetto: forse il presidente della Camera ha fatto quello che ha fatto perché sapeva con anticipo quello che sarebbe successo? Tutti parlano con tutti. Tutti riflettono sulla prossima mossa di Fini e un ministro di serie A avverte: se ci dovesse essere un altro Scajola Fini lascia il Pdl dicendo "scappo da questo partito di ladri". Il quadro è nero. Congiura? Complotto? Gasparri e Quagliariello, tornano sulla cena delle rivelazioni e provano a fare chiarezza: "Non si è mai parlato di nulla di simile", ripetono in una nota. Ma il tema è quello e il chiarimento arriva tardi. Fini e Bossi hanno già stoppato il Cavaliere che però continua a dire di non vederci chiaro. Parla di "vicende giudiziarie nebulose". E azzarda un parallelo che il portavoce Daniele Capezzone ufficializza: "Il 25 aprile del 2009, con Silvio Berlusconi applaudito ad Onna e al vertice di consenso e di popolarità, qualcuno fece scattare la catena del gossip e una campagna mediatica durata mesi, poi svanita nel nulla. Quest’anno, dopo la vittoria alle regionali si ritenta una operazione diversa negli strumenti ma convergente nell’obiettivo politico". Ecco, tutto in quattro settimane. "Un piccolo diluvio di attacchi esterni...". Berlusconi sottoscrive anche la chiosa del portavoce: "E il caso Scajola rischia di essere una tappa di un percorso più ampio, un ingranaggio di una macchina che ha obiettivi più ambiziosi: colpire complessivamente l’azione della maggioranza, mettere tra parentesi il voto degli italiani". Arturo Celletti
2010-05-05 5 Maggio 2010 POLITICA E GIUSTIZIA Appalti in Sardegna, Verdini indagato per corruzione Il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini è indagato per corruzione dalla procura di Roma nell'ambito di un'inchiesta su un presunto comitato d'affari che avrebbe gestito l'assegnazione di una serie d'appalti in Sardegna. Lo hanno detto oggi fonti giudiziarie. Per Verdini, già indagato a Firenze in un'indagine per l'assegnazione degli appalti nelle Grandi Opere, viene ipotizzato il reato di corruzione, lo stesso che i pm romani Rodolfo Sabelli e Ilaria Calò contestatno ad altre quattro persone; l'imprenditore sardo Flavio Carboni, Ignazio Farris, consigliere per l'Arpa della Sardegna, il costruttore Arcangelo Martino, il consigliere provinciale di Iglesias Pinello Cossu e il magistrato tributario Pasquale Lombardo. Nei giorni scorsi è stata perquisita la sede del Credito Cooperativo di Firenze, di cui Verdini è presidente, per verificare la destinazione finale di un giro di assegni di cui si sospetta la provenienza illecita. 4 Maggio 2010 L'INCHIESTA SUL G8 Scajola si fa da parte Interim a Berlusconi Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto nel pomeriggio al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, che gli ha sottoposto per la firma il decreto con il quale si accettano le dimissioni dell'onorevole Claudio Scajola da Ministro dello sviluppo economico e si affida l'interim del dicastero allo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri. L'ULTIMO GIORNO L’autobus che torna al capolinea sosta davanti al ministero per lo Sviluppo economico di prima mattina. Claudio Scajola sa bene di non poter attendere oltre e sa anche che – alla seconda esperienza di dimissioni in corso d’opera – questo potrebbe essere il viaggio senza ritorno sulla scena politica. A fianco ha i suoi due figli Lucia e Piercarlo, arrivati con lui nella sede di via Veneto. Il ministro, tirato in ballo nelle indagini di Perugia sugli appalti per le Grandi opere per l’acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo, ma per ora non indagato, appare visibilmente scosso. Qualche telefonata, qualche lacrima che non trattiene, ma ormai è pronto ad affrontare le telecamere. Le opposizioni lo vorrebbero in aula, per vederci chiaro in una vicenda intricata. Scajola va oltre e presenta le dimissioni. "Per difendermi non posso continuare a fare il ministro", esordisce. La svolta appare necessaria: da giorni "sto vivendo una situazione di grande sofferenza. Sono al centro di una campagna mediatica e non sono indagato". Una situazione imbarazzante, che ha suscitato le proteste dell’opposizione, ma pure malumori nella maggioranza. Il ministro ha sentito il gelo intorno, in queste ore. Non ci sta e a sera, da Porta a porta,si difende: "Sarebbe illogico e oltretutto una cosa assolutamente cretina, oltre che volgarmente tremenda" aver compiuto gli atti contestatigli, spiega. "Se la cosa è avvenuta, non lo so, sarà avvenuta prima, sarà avvenuta dopo, ma certamente non con me e con il notaio". Scajola si tiene completamente fuori dalla vicenda. "Se ho una colpa – dice – è quella di essere stato troppo superficiale". E a distanza di sei anni da quel rogito, "ho difficoltà a ricostruire tutta la vicenda" . Ovvero, "non so se Zampolini ci fosse o meno; quello che so lo sto leggendo dai giornali e da quello che ricordo. C’erano il notaio le sorelle e altre persone, parlano anche di un funzionario di banca, può darsi". Il ministro ripercorre la linea delle accuse rimbalzate sui giornali e le ricostruzioni che lo vogliono coinvolto nell’acquisto illecito dell’appartamento nel cuore della Capitale: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri, senza saperne io il motivo e l’interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per annullare il contratto". Ma al punto in cui sono le cose, il ministro sa di doversi dimettere, per consentire "all’esecutivo di poter andare avanti". Il lavoro fin qui fatto soddisfa il ministro, che traccia un rapido bilancio. Scajola spiega le sue mosse e saluta in fretta. Ormai restano solo le formalità burocratiche. La lettera che in serata arriverà al Quirinale e la telefonata al presidente Napolitano. Ma ci tiene a chiarirsi ancora una volta a quattr’occhi con il premier. Berlusconi lo difende, ma solo a dimissioni avvenute, secondo il ministro, che avrebbe sperato in qualcosa di più. "Il ministro Scajola – dice il premier – ha assunto una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato". Le dimissioni serviranno per "poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti, e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito". Roberta D’Angelo
2010-05-04
4 Maggio 2010 APPALTI G8 Inchiesta Grandi Opere Il ministro Scajola si dimette Claudio Scajola si è dimesso da ministro dello Sviluppo economico, dopo le notizie sull'acquisto dell'appartamento al Colosseo. Una decisione sofferta, ha spiegato il ministro durante la conferenza stampa: "devo difendermi. E per difendermi, non posso più continuare a fare il Ministro". "Sono certo - ha proseguito - che le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con il lavoro che anche io ho contribuito a fare in questi due anni". "Non potrei mai abitare in una casa comprata con i soldi di altri", ha affermato. Per la prima volta in dieci giorni, Scajola ha però preso in considerazione l'ipotesi che gli assegni che gli vengono contestati siano effettivamente stati versati: "Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto", ha affermato. Il procuratore di Perugia, Federico Centrone, ha confermato che al momento Scajola non è indagato e che sarà ascoltato come persona informata dei fatti. Il ministro ha riferito di aver ricevuto attestati di stima da Berlusconi, dai ministri e dalla sua maggioranza. La maggioranza ha solidarizzato, mentre l'opposizione ha accolto con soddisfazione le dimissioni. E già circolano nomi di possibili successori del ministro, da Paolo Romani a Giancarlo Galan. Dal Pdl il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ha ribadito la solidarietà a Scajola ed ha tuonato contro il fenomeno delle "sentenze anticipate" che "ha rappresentato uno degli elementi più inquietanti della vicenda italiana". Stessa linea da parte della maggioranza Pdl, che parla anche di "gogna mediatica". Dalla Lega toni più pacati, con il capogruppo al Senato Federico Bricolo che parla di "dimissioni volontarie" che bloccheranno le "inutili e dannose strumentalizzazioni politiche di questi giorni". Di dimissioni "inevitabili" parla il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che le ritiene anche "uno scossone per la maggioranza". "Mi pare che le cose che Scajola ha detto fin qui non sono convincenti per nessuno. Mi auguro questo verminaio di appalti venga scavato fino in fondo perchè questa vicenda francamente intollerabile". Bersani, che si è detto "sconcertato" per quanto emerso, ha parlato di "uno scossone piuttosto forte in una fase di impasse politica della maggioranza. Siamo tra la palude delle decisioni del governo e il rischio di precipitare della situazione politica. È un passaggio complicato, la situazione si sta facendo complicata e paludosa". E Dario Franceschini, capogruppo Pd alla Camera, ha anche polemizzato con Idv che ha presentato ieri la mozione di sfiducia: "La gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Se ci fosse stata la mozione difficilmente oggi ci sarebbero state le dimissioni". Ma Idv esulta, anche se ritiene le dimissioni "tradive". Esse sono comunque "una vittoria delle opposizioni ed una lezione per la Casta: nessuno è intoccabile". Ora, chiede il capogruppo alla Camera Massimo Donadi "governo e Parlamento non possono far finta di niente, è indispensabile portare in Aula al più presto il Ddl Anticorruzione".
2010-04-30 29 Aprile 2010 CAMERA Pdl, Bocchino si dimette Stavolta la decisione è irrevocabile Nuova lettera di dimissioni di Italo Bocchino al gruppo parlamentare, stavolta però "definitive", dalla carica di vicepresidente del gruppo del Pdl. È quanto ha annunciato il gruppo per sms a tutti i deputati che erano impegnati nella seduta d'aula. Alcuni finiani interpellati al riguardo hanno assicurato che le dimissioni del vicario sono "irrevocabili". Pertanto è stata annullata l'assemblea del gruppo parlamentare prevista per oggi, che aveva come oggetto la sua lettera di dimissioni e quella successiva di revoca.
29 APRILE 2010 ROMA Lavoro, il ddl passa alla Camera Primo giro di boa per il collegato lavoro che taglia il traguardo di Montecitorio passando così al Senato. Un provvedimento 'riccò di capitoli delicati come quello dell'arbitrato secondo equità su cui si è soffermato, fra gli altri, anche il Capo dello Stato nel messaggio di rinvio. Il nuovo testo presenta, quindi, modifiche significative solo alle parti citate dal Presidente della Repubblica: la norma sui danni da amianto per i lavoratori a bordo del naviglio di Stato che ora dà loro certezza di risarcimento; la norma sull'arbitrato che introduce nuovi paletti volti a garantire l'effettiva volontarietà delle parti di farvi ricorso; la norma sui licenziamenti individuali che ora prevede l'obbligo di comunicazione in forma scritta e la norma sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che ora obbliga l'azienda a stipulare un contratto a tempo indeterminato al collaboratore che abbia vinto la causa. Resta per il momento irrisolto il conflitto di interpretazione dell'emendamento Damiano (Pd) su cui il governo è stato battuto in Aula. Si tratta di una modifica all'articolo sull'arbitrato in base alla quale le commissioni di certificazione devono accertare l'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie già insorte (e non che eventualmente dovessero insorgere). Un participio passato che, stando all'interpretazione del Pd, significa che le parti devono dichiarare se vogliono affidarsi ad un arbitro non prima dell'insorgere di una controversia (come prevedeva il testo della Commissione), ma solo dopo. Interpretazione bocciata però da governo e maggioranza che ritengono invece ininfluente la modifica.
2010-04-27 27 APRILE 2010 GRUPPI PARLAMENTARI Pdl, Bocchino: "Mi candido alla presidenza" "Caro Fabrizio, dopo quanto accaduto in direzione nazionale credo sia opportuno favorire un chiarimento all'interno del gruppo parlamentare anche al fine di accogliere la richiesta di mie dimissioni reiteratamente avanzata dal presidente Berlusconi attraverso te e a mezzo stampa". Inizia così la lettera che Italo Bocchino, capogruppo vicario alla Camera del Pdl, ha scritto ieri e consegnato oggi al capogruppo Fabrizio Cicchitto, con il quale ha avuto un lungo colloquio.
"Ti comunico pertanto - si legge nella lettera - che è mia intenzione avviare il percorso che porterà alla formalizzazione di queste dimissioni nell'assemblea del gruppo, che dovremo convocare per eleggere i nuovi vertici. Il regolamento, infatti lega il destino del presidente al vicario (simul stabunt simul cadent) ed è inevitabile il ricorso all'assemblea, cosa assai utile anche per favorire l'espressione democratica dei colleghi deputati e per dare la possibilità alla minoranza di contare le proprie forze". "Prima di convocare congiuntamente l'assemblea del gruppo - aggiunge Bocchino - ti prego di favorire un mio incontro con il presidente Berlusconi anche alla presenza del coordinatore Verdini affinchè si possa dare vita ad un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare". "Visto il rapporto che ci lega - conclude - ho il dovere di comunicarti che all'assemblea del gruppo presenterò la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Ciò non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso". Cicchitto. "Ho preso atto della lettera di dimissioni", ha detto il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, precisando che "è evidente" che il problema delle dimissioni deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito. L'associazione di Italo Bocchino vicina a Fini, Generazione Italia, ha intanto annunciato che sono 400 gli amministratori locali che hanno aderito alla campagna "io sto con Fini".
2010-04-25 24 Aprile 2010 MILANO Resistenza, Napolitano: far uscire l'Italia dalle contrapposizioni indiscriminate Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo in occasione del 65esimo anniversario della Liberazione, ha auspicato uno sforzo collettivo per far uscire l'Italia da una spirale di contrapposizioni indiscriminate e per il superamento degli "steccati" e delle polemiche quotidiane. "La complessità dei problemi che si sono venuti accumulando nei decenni dell'Italia repubblicana - talvolta per eredità di un più lontano passato - esige un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità. Questa esigenza non può essere respinta, quello sforzo non può essere rifiutato come se si trattasse di rimuovere ogni conflitto sociale e politico, di mortificare la naturale dialettica in particolare tra forze di maggioranza e forze di opposizione", ha detto il capo dello Stato nel suo discorso al teatro La Scala, dopo aver ricordato - commuovendosi - l'attività partigiana dell'ex presidente della Repubblica Sandro Pertini. "Si tratta invece di uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate, che blocca il riconoscimento di temi e impegni di più alto interesse nazionale tali da richiedere una limpida e mirata convergenza tra forze, destinate a restare distinte in una democrazia dell'alternanza", ha continuato, interrotto di tanto in tanto dagli scroscianti applausi della platea, nella quale sedevano anche il premier Silvio Berlusconi e il sindaco di Milano Letizia Moratti. "All'auspicabile crearsi di questo nuovo clima, può contribuire non poco il diffondersi tra gli italiani di un più forte senso dell'identità di unità nazionale. Così ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche che segnano il terreno della politica", ha proseguito. Napolitano ha aggiunto che "le condizioni sono ormai mature per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura. Vedo in ciò una premessa importante di quel libero e lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario di cui ha bisogno il Paese".
2010-04-24 24 APRILE 2010 CRISI NEL PDL Bossi alza la voce: "A rischio l’alleanza" Non bastava Gianfranco Fini ad agitare i sonni di Silvio Berlusconi. Ci ha pensato pure Umberto Bossi, leader della Lega Nord, che preoccupato per quanto successo nel Popolo della libertà, ha attaccato sulla Padania (senza poi smentire) Fini (accusato di essere "rancoroso e invidioso della Lega" e "da cacciare dal Pdl") ed ha avvisato con decisione il premier sui tempi dell’agenda politica, avanzando, in caso di forti ritardi, anche l’ipotesi "crisi" e quella più funebre di un "esecutivo che se ne va a casa". Il Cavaliere, preoccupato per la sortita leghista, a margine del Consiglio dei ministri di ieri mattina ha voluto subito rassicurare sulla road map delle riforme e del federalismo il triumvirato del Carroccio: Bossi, Calderoli e Maroni. E in serata lo stesso Bossi ha ridimensionato in parte la portata delle sue uscite. "Andremo avanti", ha detto. Acqua sul fuoco anche dal ministro degli Esteri Franco Frattini. "La provocazione del ministro Bossi serve a fare più in fretta, non a far cadere il governo – ha precisato Frattini –. Dopo aver approvato la legge deroga sul federalismo fiscale non possiamo avere gruppetti e gruppuscoli all’interno del Parlamento che la boicottano. Il federalismo fiscale va approvato subito". Ma sul tema del federalismo, elemento centrale del programma di governo siglato prima delle elezioni del 2008, la Lega Nord non intende sentir ragioni. Anche perché, si vocifera nel quartier generale milanese del Carroccio in via Bellerio, non è affatto piaciuto il documento conclusivo della direzione nazionale del Pdl. Nel testo infatti non c’era nessun richiamo al federalismo, sul quale Fini ha attaccato duramente. "Siamo subalterni alla Lega, il federalismo danneggia il Meridione" è stato in sintesi il pensiero dell’ex leader di Alleanza nazionale. E c’è anche chi, come il sindaco di Verona Flavio Tosi, teme imboscate in aula, con richieste di "voto segreto" e apparizioni magiche di "franchi tiratori". "Io sono per la mediazione ma la gente del Nord no, ha perso la pazienza", ha detto Umberto Bossi, che da un lato si ritaglia il ruolo di mediatore, ma nel contempo avverte Berlusconi: "Il federalismo resta la via, ma bisogna farlo subito". Anche perché già ieri sulla <+corsivo>Padania<+tondo> lo stesso Bossi ha paventato il rischio di una fine della alleanza Pdl-Lega in caso di ritardi. Insomma, c’è da stare attenti. Taglia corto Bossi quando gli si chiede se abbia voluto dar fuoco alle polveri, se abbia deciso di cavalcare il fermento manifestato dal popolo leghista, che da due giorni ai microfoni aperti di Radio Padania non risparmia bordate durissime a Fini e anche delusione e perplessità nei confronti di Berlusconi, oltre al timore per la sorte delle riforme. Dice il Senatur: "Niente benzina sul fuoco, però ma noi vogliamo fare le riforme, i miei vogliono le riforme e io devo interpretare le richieste della base, della gente che è stufa". È questo l’avviso, se così si può chiamare, che lancia il leader del Carroccio al premier. Non parla più di crisi di governo nell’immediato, ma preme con forza sul Pdl, dicendo in pratica che "non è il caso di tirare troppo la corda con noi", perché sennò si va casa.. Davide Re
24 APRILE 2010 LA CRISI NEL PDL Berlusconi e Fini s’ignorano: indifferenza dopo la tempesta Nel primo giorno da separati in casa, dopo la lite in cui sono volati (verbalmente) i piatti, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si ignorano bellamente. Il primo si è concesso a telecamere e macchine fotografiche, ma non ai giornalisti, nel cortile di Palazzo Chigi, provando un nuovo modello di automobile russa. Una battuta, salendo a bordo: "C’è un meraviglioso predellino, ma – ha detto il presidente del Consiglio, riferendosi alla fondazione del Pdl certe cose non si ripetono". E quando i cronisti hanno provato a chiedergli come stava, sperando di tirargli fuori commenti sul duro scontro in direzione, ha risposto placidamente: "Si lavora, si lavora sempre troppo...". Il secondo ha rivestito i panni di presidente della Camera ed è andato a parlare a un corso di formazione a Firenze. Anche da parte di Fini nessun riferimento alla giornata di giovedì. Ma solo una lunga lezione sulle riforme istituzionali, durante la quale, però, ha ribadito i suoi punti di vista che coincidono poco o nulla con quelli del Cavaliere. Ovvero: opzione preferenziale per il ritorno al collegio uninominale, quando Berlusconi ha fatto sapere che la legge elettorale non si tocca. Ancora, il capitolo dell’immigrazione, con qualche indiretta stoccata alla Lega: "I problemi relativi a questo tema se affrontati in modo un po’ provinciale, da volantino, in modo un po’ propagandistico non portano molto lontano. E questo perché si tratta di questioni destinate a cambiare il volto delle nostre società occidentali". O, ancora, l’appello a fare riforme condivise, lodando esplicitamente il premier per averne parlato: "Se vogliamo trovare il bandolo della matassa invece che contrapporre i modelli, dobbiamo bandire la tentazione di fare riforme che siano convenienti da una parte e non gradite all’altra". Ma il silenzio pubblico dei due leader copre un intenso lavorio politico e il reciproco risentimento che continua a covare sotto la cenere. Berlusconi ha ricevuto a Palazzo Chigi il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ex An schierato con la maggioranza del Pdl, che si è comunque offerto per un ruolo di mediazione. E ha incaricato i suoi di sondare le intenzioni dell’Udc, i cui voti alle Camere potrebbero, in caso di defezione dei finiani, diventare preziosi per approvare provvedimenti del governo. Fini è rimasto in stretto contatto con i suoi, in vista delle prossime decisioni. L’impressione è che entrambi i due leader aspettino che sia l’altro, magari facendo un passo falso, a decretare la rottura definitiva. Il documento approvato dal Pdl tollera che ci sia una minoranza interna. Ma fa intendere chiaramente che non si accetteranno voti difformi in Parlamento. Per questo è stata, al momento, congelata la raccolta di firme per sfiduciare Italo Bocchino, fedelissimo dell’ex presidente di An, dall’incarico di vicecapogruppo alla Camera. Tra i due fronti contrapposti non mancano scaramucce. Il berlusconiano Giro definisce il discorso del presidente della Camera "distruttivo, lacerante e nichilista". Il finiano Bocchino "stizzita e non prevista" la replica di Berlusconi. E interviene di nuovo il presidente del Senato Renato Schifani, stavolta per spargere a piene mani parole di conciliazione: "Mi auguro che dopo la tempesta arrivi la quiete, perché il Paese ha bisogno di un clima meno teso e meno conflittuale". Giovanni Grasso
23 Aprile 2010 DECRETO INCENTIVI La Lega: test d'italiano agli stranieri che vogliono aprire un negozio Gli extracomunitari che vogliano aprire un negozio devono prima aver superato un esame di italiano: è quanto chiede la Lega, attraverso un emendamento al decreto legge incentivi, affidando alle Regioni il potere di introdurre i nuovi paletti. "Le Regioni – si legge nella proposta a firma della deputata leghista Silvana Comaroli – possono stabilire che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente qualora sia un cittadino extracomunitario di un certificato attestante il superamento dell'esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati". La proposta ha sollevato immediatamente molte polemiche. "A sentire molti degli esponenti del Carroccio che vanno in, tv un corso d'italiano con relativo esame sarebbe utile proprio a tanti di loro", commenta ironico il senatore del Pd, Roberto Di Giovan Paolo, che aggiunge. Sulla stessa lunghezza d'onda il portavoce nazionale dell'Italia dei valori, Leoluca Orlando: "L'emendamento conferma la deriva d'intolleranza dell'attuale maggioranza, fortemente condizionata dalla "cultura" della Lega". Un altro emendamento al decreto legge, presentato in Commissione dal capogruppo della Lega Maurizio Fugatti, prevede che se per conseguenza delle misure per gli incentivi messe in campo dal governo le aziende si trovassero a dover fare nuove assunzioni, esse sarebbero "obbligate ad assumere prioritariamente personale con cittadinanza di uno degli Stati appartenenti all'Unione europea". Un ulteriore emendamento della Lega, sempre a firma di Maurizio Fugatti, prevede che i bonus stanziati dal decreto legge siano concessi "alle aziende che si impegnano a non delocalizzare al di fuori dei Paesi membri dello Spazio economico europeo la produzione dei beni per i quali sono previsti gli incentivi".
2010-04-21
21 Aprile 2010 LA CRISI NEL PDL "Berlusconi ora accetti il dissenso" Il Pdl "deve essere libero e non può essere il partito nato dal predellino". Gianfranco Fini si ritaglia uno spazio di iniziativa dentro e fuori il Popolo delle libertà. Fa la conta dei fedelissimi e prenota una contro-relazione per domani, alla direzione del Pdl allargata ai gruppi parlamentari che si terrà nell’auditorium della Conciliazione, dal nome vagamente beneaugurante. Doveva essere, ieri, il giorno del varo della sua corrente e invece ne nascono due. Con Fini 14 senatori (nessuna new entry, smentisce l’adesione l’ex forzista Enrico Musso) e 39 deputati. Sono in 54, per la precisione i parlamentari che aderiscono all’appello di Fini nella blindatissima sala Tatarella (a proposito, chissà con chi si sarebbe schierato l’ideologo di Alleanza nazionale), ma qualcuno – come Manlio Contento e Carla Castellani – prende la parola solo per spiegare perché non firmerà. In compenso qualcun altro (come Nicola Cristaldi) fa sapere che la sua firma ci sarà, anche se non era presente. Da Strasburgo si schierano con Fini 5 eurodeputati, fra cui la Muscardini e la Angelilli. Ma intanto vanno alla conta anche i suoi ex colonnelli, i La Russa, i Gasparri, i Matteoli, che imbarcano anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno (fin qui spesosi nel ruolo di mediatore) e il ministro Giorgia Meloni (oltre all’ex ministro Landolfi e il sottosegretario Mantovano) e alla fine di firme ne contano 74: 41 deputati e di 33 senatori, per la precisione. Propongono, come mossa distensiva, un "congresso entro l’anno, per superare le quote interne". Congresso che auspica anche Fini, ma per la ragione opposta, per rimarcare meglio le distanze. Praticamente Fini si ritrova ad essere minoranza, prima che nel Pdl, nella sua stessa componente di ex An, ma questo forse lo aveva messo nel conto. Quel che non immaginava, semmai, è che gli ex amici andassero a caccia di firme proprio in contemporanea. E a poco vale che lui stesso, e con lui il fido Italo Bocchino dicano – curiosamente all’unisono con Alemanno – che quelle firme non sono "contro". "Anzi in cuore loro sono con me", si lascia sfuggire Fini con la Velina rossa. Ma se non contro di lui – verrebbe da dire – sono certamente per Berlusconi, e di questi tempi il risultato non cambia di molto. Ma che al suo fianco non ci sia più An, Fini lo sa. Sa, certo, che quelli che restano sarebbero sufficienti a fare gruppo sia alla Camera che al Senato, ma sa anche (e alcuni interventi lo rimarcano chiaramente) che i numeri diventerebbero più esigui proprio, paradossalmente, con la prospettiva reale di andare da soli: "La fase del 70 a 30 è finita. Mi auguro che Berlusconi accetti che esista un dissenso interno nel Pdl", si limita allora a dire ai suoi riuniti. "Nessuna scissione – e nemmeno gruppi autonomi –, no al voto anticipato, ma ora confronto costruttivo", certifica il documento, attento a misurare le parole per non perdere altri pezzi per strada al momento della firma. Ma Fini resta determinato a marcare le differenze, ogni qual volta ce ne sarà – di nuovo – bisogno. E ne dà un anticipo su Roberto Saviano, argomento che subito, appena trapela, apre nuove polemiche: "Come è possibile dire che con il suo libro ha incrementato la Camorra? Come si fa a essere d’accordo?", dice Fini. "Ci sono momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio, e io l’ho fatto", spiega ancora. "Ma non ho voglia né di togliere il disturbo, né di stare zitto". Assicura che quello che pone è un problema politico, "non di organigrammi". Niente contro GiulioTremonti, assicura ("Senza di lui saremmo come in Grecia"), e neppure contro la Lega, "alleato strategico ma che non può essere dominus". Resta tuttavia la sensazione che lo scontro sia solo rinviato. Forse già a domani, in direzione. Angelo Picariello
2010-04-17
17 Aprile 2010 LA CRISI NEL PDLO Fini, Berlusconi rilancia: "Nuovo gruppo è scissione" "Ho cercato di capirlo, di assecondarlo, di convincerlo... Ma è lui a voler fare i gruppi separati, è lui a voler andare per quella strada...". Silvio Berlusconi parla, restando in piedi, davanti all’ufficio di presidenza riunito d’urgenza a Palazzo Grazioli. C’è silenzio. Attesa. "... Se fosse davvero così, se Fini non capisse, la rottura sarebbe definitiva e nessuno scenario potrebbe essere escluso. Nemmeno il voto che è un’eventualità assolutamente da scongiurare". Il Cavaliere racconta l’ultimo "faccia a faccia" con Fini in maniera quasi asettica. Senza aggettivi. Senza considerazioni personali. Poi ascolta silenzioso gli interventi che si accavallano. Sono ore di riflessione. Ore per decidere una strada e renderla ufficiale. Più tardi, quando manca una manciata di minuti alle 20, il premier, davanti alle telecamere, invita l’ex capo di An a fermarsi. "...Abbiamo approvato all’unanimità un documento nel quale invitiamo Fini a desistere" dal costituire gruppi parlamentari autonomi. "...A fermarsi per continuare insieme la grande avventura del Pdl in cui si ritrovano gli italiani che non stanno con la sinistra". È un segnale, ma non è una mano tesa. Berlusconi non concede molto. Anzi non concede quasi nulla. Perchè vuole un chiarimento vero, profondo, definitivo. Perchè – ripete nelle conversazioni più private – "non è possibile ritrovarsi tra due settimane punto a capo... Io devo solo pensare a governare". E allora, prima scandisce l’avvertimento: "Se fa i gruppi è scissione". Poi assicura: "Il governo andrebbe comunque avanti lo stesso". Uno dopo l’altro, Berlusconi usa le domande che si accavallano nell’inattesa conferenza stampa per fissare i punti fermi su cui Fini sarà costretto a riflettere. Uno su tutti. Il ruolo di presidente della Camera è compatibile con quello di capo di un gruppo parlamentare? Berlusconi scuote la testa: "No, francamente no". I toni ultimativi si alternano a segnali distensivi. "Credo che verranno superate le incomprensioni", ripete il premier che va avanti così: "Continuiamo ma senza far vedere posizioni che facciano pensare ad un partito" litigioso quando invece, "il Pdl è coeso e democratico". Già, democratico. Perchè ora si terrà un ufficio di presidenza ogni quindici giorni, una direzione nazionale ogni due mesi e il prossimo congresso entro un anno. E l’appiattimento sulla Lega denunciato da fini? Berlusconi non ci sta: "Con la Lega abbiamo un’alleanza robusta, solida e stabile... La Lega è portatrice di esigenze talvolta del Nord ma non c’è mai stato in Cdm un solo argomento di distanza con il Pdl". A tarda sera le telecamere sono spente e c’è solo spazio per i ragionamenti privati. "Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri da capogruppo al Senato. Ma Gasparri è stato eletto dai senatori, non lo posso certamente togliere. Questa è democrazia", racconta sottovoce il Cavaliere che va avanti e si sfoga: "La verità è che Fini da un anno e mezzo dice sempre cose opposte a quelle che dico io e poi c’è la Bongiorno che in Commissione Giustizia alla Camera crea sempre problemi". Insomma la tensione c’è ancora e il premier pretende una svolta: "Questo stillicidio deve finire. O si trova un accordo oppure ognuno va per la propria strada... Perchè deve finire questa storia di mostrare divisioni che invece non ci sono... Perchè è ora di voltare definitivamente pagina". Arturo Celletti
2010-04-16 16 Aprile 2010 ALLEANZA IN BILICO Bossi: possibili elezioni se le cose non vanno a posto "Quale scenario? Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni": lo ha detto Umberto Bossi, rispondendo alla domanda su quali possano essere gli scenari possibili nel caso non si ricomponga la frattura tra Berlusconi e Fini. Vertice Pdl. È cominciato da qualche minuto a Palazzo Grazioli l'ufficio di presidenza del Pdl, convocato per ascoltare "comunicazioni urgenti" del presidente Silvio Berlusconi. "Questa legislatura è nata dal Pdl che Berlusconi ha proposto per realizzare un bipartitismo pieno. Se si spacca il Pdl, penso che sia estremamente difficile proseguire la legislatura". Lo dice ai cronisti, arrivando a Palazzo Grazioli, il ministro per l'Attuazione di programma di governo Gianfranco Rotondi, che aggiunge. "Spero di no, stiamo lavorando perchè non avvenga. I nostri elettori - rimarca il ministro Rotondi - si aspettano che il governo porti a termine il programma presentato agli elettori e si aspettano che il Pdl aiuti il governo a completare la legislatura". Per Rotondi "questa scissione andrebbe contro non la volontà di Berlusconi ma dei cittadini italiani". Quanto alla posizione del presidente della Camera Gianfranco Fini, Rotondi spiega: "Non do giudizi, dico però che bisogna lavorare tutti insieme per rispettare il programma di governo. Un programma - conclude Rotondi - che è pure la ragione sociale del mio ministero". "La situazione è critica, ma bisogna ricomporre l'unità del Pdl. No accetto l'idea di scissione , il Pdl è appena nato, deve trovare tempi e modi per strutturarsi trovando l'equilibrio tra le diverse posizioni". Lo dice il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ai cronisti, arrivando a Palazzo Grazioli. A chi gli chiede del ruolo di "pontiere", in questo momento fra le parti, Alemanno replica: "Mi sono autoincaricato di questo ruolo.Spero che già da questo ufficio di presidenza - conclude il sindaco di Roma - possa venir fuori un canale di dialogo per risolvere i problemi aperti".
16 Aprile 2010 RETROSCENA Schifani: se ci dividiamo si torna alle urne Il premier: è così, non mi farò mai ricattare "Leggo in queste ore della costituzione di eventuali gruppi diversi dal Pdl. E io ritengo che quando una maggioranza si divide al proprio interno non resta che ridare la parola agli elettori". È Renato Schifani ad agitare il fantasma delle elezioni anticipate. È lui, il presidente del Senato, a disegnare la prospettiva che ha in testa il presidente del Consiglio. Voto, avverte l’inquilino di Palazzo Madama, perché "quando una maggioranza eletta sulla base di un programma elettorale condiviso si divide al proprio interno" questa è l’unica strada possibile. Voto, perché davanti a uno strappo come quello minacciato da Fini, "non resta che ridare la parola agli elettori e ripresentarsi a questi con nuovi progetti ed eventualmente nuove alleanze". Sono ore complicate. Ore di tensione. I tg rilanciano il messaggio di Schifani; Berlusconi, a quell’ora, passa da una telefonata all’altra. È a Palazzo Grazioli e con lui c’è lo stato maggiore del Pdl. Il premier cammina avanti e ripercorre il "faccia a faccia" con Fini. Poi riflette e si interroga: "Mi ha ripetuto di escludere il voto... Vuole fare un gruppo e pensa di condizionarmi... Ma questo non sarà possibile, io non mi faccio ricattare". Su una scrivania nella residenza-ufficio di via del Plebiscito ci sono le ultime agenzie di stampa. Su una c’è una dichiarazione di Italo Bocchino, il vero braccio destro di Fini. Poche righe per replicare a Schifani. Per chiarire che "a Costituzione attualmente vigente in Italia si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza". Poche righe per inviare a Palazzo Grazioli e anche a Palazzo Madama il messaggio che conta: "E vale la pena ribadire che nessun parlamentare vicino al presidente Fini farà mai mancare la fiducia al governo Berlusconi in base al mandato ricevuto dagli elettori". Berlusconi legge e riflette ancora. Poi, mentre una smorfia di fastidio gli attraversa il volto, scandisce un messaggio che Fabrizio Cicchitto fa suo e rilancia sulle agenzie di stampa: "Le parole del presidente Schifani costituiscono un ammonimento che va preso sul serio, molto sul serio: mettono in evidenza i rischi insiti nella situazione, che non può essere affrontata con leggerezza o con motivazioni puramente tattiche o contrattualistiche e che poi, alla fine, può sfuggire di controllo". Oramai è una sfida dura. Anche nelle dichiarazioni. "La minaccia di elezioni anticipate è un’arma spuntata", ripete Bocchino che si chiede come "Berlusconi possa andare al Quirinale, dare le dimissioni, essere rinviato alle Camere, non farsi votare dai suoi parlamentari e come fa a pensare che possa esserci una maggioranza diversa...". Quei pensieri sono gli stessi del Cavaliere che solo oggi farà capire la prossima mossa. E nella notte confessa solo amarezza e sconcerto: "Le scelte di Fini sono incomprensibili... Solo incomprensibili". Arturo Celletti
16 Aprile 2010 L'escalation tra Berlusconi-Fini e l'asse Lega-Pdl Sull'orlo del riequilibrio (o forse di un'inattesa rottura) Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sono arrivati all’orlo della rottura irreparabile, se è vero – come pare – che il presidente della Camera ha parlato nell’incontro con il premier della "secessione" dei suoi sostenitori dai gruppi parlamentari del Popolo della libertà, ricevendo come risposta la richiesta di dimettersi dalla sua carica. Successivamente si è cercato di gettare acqua sul fuoco da ambo le parti, Fini ha ribadito il diritto di Berlusconi di portare a termine la legislatura e l’esigenza di rafforzare, non di distruggere, il partito che è stato fondato dalla coppia degli odierni antagonisti, Berlusconi ha negato di aver chiesto a Fini di lasciare la poltrona più alta di Montecitorio. Comunque vada a finire, è chiaro che la navigazione nell’ultima fase della legislatura, che appariva abbastanza tranquilla dopo l’esito delle elezioni regionali e amministrative, ritorna in acque assai agitate. Fini considera troppo stretto e in un certo senso subalterno il rapporto di Berlusconi con Umberto Bossi e intende esercitare nel partito una funzione determinante, anche e soprattutto sui temi della riforma istituzionale. Berlusconi sostiene che la discussione deve comunque avere come premessa l’accettazione, da parte di chi resta in minoranza nel Pdl, delle scelte che hanno ottenuto la maggioranza, il che confina i sostenitori di Fini in una condizione di inferiorità strutturale. L’ipotesi della costituzione di gruppi parlamentari autonomi sarebbe la conseguenza più traumatica di questa impasse attualmente insolubile. Berlusconi, a quanto trapela, si sarebbe dato un paio di giorni di tempo per fornire una risposta definitiva alle richieste del cofondatore del Popolo della libertà e, probabilmente, attende anche di conoscere la dimensione che assumerebbe l’eventuale secessione prima di prendere qualunque decisione. Altrettanto probabilmente, il presidente del Consiglio cercherà anche di convincere Bossi dell’esigenza di lasciare uno spazio sufficiente perché le esigenze politiche di Fini e dei suoi sostenitori incidano in qualche modo nelle scelte concrete della maggioranza. Il leader leghista è interessato alla continuazione di una legislatura che è nella condizione di portare a compimento la trasformazione federale del sistema fiscale e, forse, di quello istituzionale, e potrebbe quindi accettare una mediazione di Berlusconi, che in questo modo confermerebbe il suo ruolo di leader e punto di equilibrio della coalizione. Non si può neanche escludere, però, che le tensioni accumulate per mesi finiscano per mettere in moto un processo di rottura inarrestabile, con conseguenze difficili da valutare anche sul piano della stabilità del governo e della continuità della legislatura. Il presidente del Senato ha sostenuto che, in caso di rottura della maggioranza, l’unica risposta sarebbe il ricorso anticipato alle urne, e questo ammonimento fin troppo realistico potrebbe diventare il copione di una imprevista crisi politica dagli effetti dirompenti. Sergio Soave
2010-04-15 15 Aprile 2010 VERTICE TESO Fini incontra Berlusconi C'è aria di rottura L'incontro di oggi fra il presidente della Camera Gianfranco Fini ed il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato "tumultuoso" e Fini si sarebbe detto pronto alla rottura se il Cavaliere non mostra di essere autonomo rispetto a Bossi. È quanto riferisce una fonte vicina alla componente di An nel Pdl. "Fini chiede a Berlusconi di scegliere in modo chiaro se continuare a costruire il Pdl con lui o se preferirgli invece il rapporto con Umberto Bossi", dice la fonte. Secondo la fonte "non siamo alla rottura, ma dipenderà da cosa succederà nelle prossime ore". Da quel che è trapelato Fini si sarebbe detto pronto a propri gruppi parlamentari autonomi, cosa che secondo Berlusconi equivarrebbe a uscire dal Pdl. Probabile una riflessione di qualche giorno prima della decisione definitiva.
15 Aprile 2010 LA LINEA DELLA LEGA La sfida di Bossi: le banche del Nord ai nostri uomini La Lega straripa. Cabina di regia sulle riforme, sindaco di Milano nel 2011 e ora anche Palazzo Chigi, nel 2013. E soprattutto, banche del Nord. È un fiume in piena - giusto un Po - Umberto Bossi. Che sceglie, non a caso, l’insolita location di Montecitorio per lanciare i suoi segnali. Segnali evidentemente destinati al Palazzo, più che al suo popolo: "È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice "prendete le banche" e noi lo faremo", avverte con il suo solito periodare che non conosce perifrasi. Lo fa, paradossalmente, nell’unico giorno in cui - a memoria - accetta di rinunciare a una posizione che era saldamente sua, come il ministero dell’Agricoltura. Rivelatosi una gallina dalle uova d’oro, in termini di consensi, nel settore agricolo. Un mondo che il senatur non ha alcuna voglia di abbandonare, e un dicastero che ora anche Giancarlo Galan guarda con più interesse rispetto a qualche mese fa, e infatti ha scelto di accettare. "Un primo ministro leghista nel 2013? Vedremo, tutto è possibile. Abbiamo dimostrato che tutto è possibile", è l’altro affondo di Bossi. Solo un segnale. Per ora, almeno: "La Lega ha già tante poltrone e non ce ne interessa una in più", frena. Se ne parlerà a tempo debito, insomma. Nel frattempo ci sono le riforme da fare subito. Segnali, più diretti, allora, il senatur li lancia su questo, di fatto rivendicando, nuovamente, la cabina di regia. "La legge elettorale non si tocca", replica indirettamente a Gianfranco Fini, sposando in pieno la linea di Berlusconi. "Perché bisogna cambiare la legge elettorale? Va così bene questa! La gente ha dimostrato di non voler tornare a votare dopo due settimane", tuona Bossi. E rilancia: "Si tratta di togliere il doppio turno anche alle comunali". Il capo della Lega e il presidente della Camera parlano due lingue diverse. Uno degli argomenti usati da Fini, infatti, è sull’introduzione del Senato federale, che sembra richiedere un sistema meno "centralista" dell’attuale. Ma proprio sul Senato federale Bossi ne ha anche per il presidente del Senato Renato Schifani: "Non ha detto che non vuole il Senato federale. Ha detto che il Senato non deve diventare una Camera di seconda serie e non lo diventerà". E quanto all’obiettivo di realizzarle in maniera condivisa, che lo stesso Schifani rilancia (dopo che anche Fini aveva preso in considerazione, invece, l’ipotesi di farle a maggioranza) Bossi conferma la <+corsivo>road map <+tondo>già indicata da Berlusconi: "Si parte dal Consiglio dei ministri, che approva una legge, poi si vedono le modifiche che porta la sinistra". Ma resta il nodo vero, sullo sfondo: se l’opposizione, a quel punto, presenterà un contro-progetto, fino a che punto Bossi sarà disposto a spingersi nella trattativa con la minoranza parlamentare, pur di evitare il referendum? E c’è una doccia gelata anche per Berlusconi. Dal Pdl avevano ipotizzato una federazione, con la Lega. "No, la Lega sta da sola", avverte Bossi. Angelo Picariello
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it2010-07-26 Fidi, immobili e triangolazioni Così è nato il tesoro di Verdini I membri degli organi di vigilanza del Credito cooperativo composti da uomini legati al coordinatore del Pdl. Al centro dell'attenzione della Finanza i finanziamenti al gruppo Fusi e "Giornale della Toscana" di WALTER GALBIATI Fidi, immobili e triangolazioni Così è nato il tesoro di Verdini Denis Verdini MILANO - Ha ricevuto garanzie dal Mediocredito e possiede conti, titoli e garanzie presso Banca Intesa. Ha effettuato operazioni extraconto con Unicredit, ha aperto e chiuso rapporti con la Banca di Lodi e il Banco di Napoli e non ha disdegnato di avere titoli e obbligazioni in deposito alla Cassa di Risparmio di Firenze. Sono ancora attivi i suoi conti correnti presso Webank e la Banca Nazionale del Lavoro, mentre in passato ha ricevuto finanziamenti da Deutsche Bank. Una certa preferenza è andata al Monte dei Paschi di Siena con la quale ha registrato rapporti per garanzie, cassette di sicurezza, carte e conti correnti. Qualche passaggio lo ha fatto anche alla Popolare di Milano, alla Banca di credito cooperativo di Reggello, alla Aureo gestioni e altro, ma niente a che vedere con i 60 rapporti aperti con il Credito cooperativo fiorentino. E non è difficile capire perché Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, e oggi indagato per corruzione a Firenze (per l'appalto della Scuola marescialli), a Roma (l'indagine sull'eolico) e a L'Aquila (gli appalti della ricostruzione post-terremoto ottenuti dal "Consorzio Federico II") abbia scelto come sua banca di fiducia la banca di cui è presidente. Lì non solo ha una normale operatività in conti correnti, deposito titoli, risparmi, carte di credito e di debito, ma ha anche un considerevole numero di garanzie, crediti, operazioni extraconto e altro per un totale di 60 rapporti. Sui quali ora sta indagando il Nucleo di polizia valutaria di Roma. Del resto Verdini è il padre padrone del Credito cooperativo fiorentino. Lui è l'indiscusso presidente dal 1990 e il vertice della banca è praticamente in mano sua. Il vicepresidente vicario non è altri che il suo avvocato, Marco Rocchi, e due dei quattro consiglieri di amministrazione sono a libro paga nelle sue aziende: Enrico Luca Biagiotti è consigliere della Società Toscana di Edizioni ed è l'amministratore unico della Nuova editoriale, le società attraverso le quali Verdini controlla Il giornale della Toscana, mentre Fabrizio Nucci è addirittura socio di Verdini della Nuova Toscana Editrice (di cui è socio anche Massimo Parisi braccio destro di Verdini e parlamentare del Pdl). Chi poi deve controllare, il collegio sindacale, non brilla certo per indipendenza. Il presidente è l'avvocato "storico" di Verdini, Antonio Marotti, mentre gli altri due sindaci sono uno, Luciano Belli, socio della moglie di Verdini in Edicity, l'altro, Gianluca Lucarelli, presidente del collegio sindacale della stessa società. La mancanza di controllo all'interno del Credito cooperativo è diventata palese proprio nei rapporti con la Società Toscana di Edizioni (Ste), alla quale la banca ha concesso un fido superiore al 10% del proprio patrimonio (che a fine 2009 era di 56 milioni di euro). L'operazione, ritenuta sospetta dalle Fiamme gialle, avviene nel 2005, quando la Ste versa in base a un contratto preliminare 2,6 milioni di euro a Verdini e a Parisi per l'acquisto di quote di una nuova società, la Nuova toscana editrice. Sulla carta, la Ste si sarebbe procurata la provvista attraverso una plusvalenza di 2,6 milioni, ottenuta vendendo alcuni immobili proprio alla Edicity, la società di proprietà della moglie di Verdini e in cui siedono gli stessi sindaci della banca. In realtà gli investigatori stanno analizzando una serie di versamenti in contanti. Il giro di immobili e di contratti "tutto in famiglia" della Ste è simile alle compravendite ritenute "fasulle" dagli inquirenti fiorentini che hanno analizzato i finanziamenti concessi dal Credito cooperativo a un altro gruppo amico, la società di costruzioni Btp di Riccardo Fusi, al centro dell'inchiesta per l'appalto da 200 milioni di euro per la Scuola dei Marescialli. Il Credito concedeva prestiti a Fusi (fino a 10 milioni di euro) su preliminari di compravendite immobiliari che poi non venivano mai chiusi. Fusi è finito sul registro degli indagati con il direttore generale del Credito cooperativo, Piero Italo Biagini. E forse non era nemmeno un caso che la segretaria di Fusi, Monica Manescalchi fosse nel collegio dei probiviri della banca. La mancanza di controllo trova piena corrispondenza nel bilancio, dove alla voce "rapporti con parti correlate" non vi è nemmeno l'ombra di quanto avveniva tra le società di Verdini e la banca. Solo di recente la Banca d'Italia ha avviato un'ispezione sul Credito cooperativo, sebbene già nel '98 non erano mancate le prime avvisaglie, quando una prima ispezione era terminata con una multa da un milione di euro per ritardi nella iscrizione tra gli incagli di crediti andati a male. Ora ce ne sarebbe abbastanza per chiedere un commissariamento, anche perché, secondo l'accusa, sui conti del Credito cooperativo sarebbero stati resi liquidi parte degli assegni versati da Flavio Carboni, il faccendiere regista della P3, a Verdini per gli appalti in Sardegna nel settore eolico. Di quel milione, una tranche da 230 mila euro si è trasformata in denaro sonante a luglio 2009 presso la filiale del Credito Cooperativo di Campi Bisenzio, dove Antonella Pau, la convivente di Carboni, ha portato 23 assegni circolari da 10mila euro. Tra novembre e dicembre, ne sono arrivati altri otto da 12.499 euro. Importi non casuali, ma tali da non superare i limiti della normativa antiriciclaggio. Dopo i 12.500 euro scatta infatti la segnalazione. Nessuno obbligo quindi, ma nessuno in banca si è nemmeno insospettito di quei versamenti e prelievi, per cifre imponenti e con valori vicini ai limiti di legge. E non si può neppure dire che siano cifre insignificanti per una banca che nel 2009 ha riportato un utile di 240mila euro a fronte di 400 milioni di impieghi. (26 luglio 2010)
* Sei in: * Repubblica / * Cronaca / * Concussione e corruzione arrestati … * + * - * Commenta * Stampa * Condividi * Delicious * OKNOtizie * Google Buzz IL BLITZ Concussione e corruzione arrestati giudici e avvocati a Roma Quattro dei cinque i fermi sono componenti di una stessa famiglia. I due avvocati avrebbero dato o promesso denaro al giudice Dionesalvi se questi avesse ritardato o non eseguito alcune transazioni immobiliari Concussione e corruzione arrestati giudici e avvocati a Roma ROMA - Un ex imprenditore edile, sua moglie e i due figli, entrambi avvocati, tutti residenti a Roma: sono quattro dei cinque arrestati dai carabinieri nelle ultime ore al termine di un'indagine che ha portato anche all'arresto di un giudice della Capitale. Accusati di corruzione, concussione e altri reati, i cinque sono stati arrestati grazie a un'operazione condotta dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura di Perugia. Gli atti d'indagine erano già stati vagliati dal procuratore di Roma, Giovanni Ferrara, che poi li ha poi trasmessi per competenza al capoluogo umbro. I primi sospetti sono scaturiti da una denuncia dell'avvocatura generale dello Stato riguardo alcuni rapporti sospetti tra il ministero della Difesa e la ditta dell'imprenditore arrestato. Il magistrato arrestato si chiama Giovanni Dionesalvi ed è un giudice onorario che lavora presso il Tribunale civile. Gli altri fermi sono l'imprenditore Giampaolo Mascia, i suoi figli Vittorio e Gianmarco, entrambi avvocati, e la loro madre Piera Balconi. Tutti sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. In particolare, i due avvocati avrebbero dato o promesso denaro al giudice Dionesalvi se questi avesse ritardato o non eseguito alcune transazioni immobiliari. (26 luglio 2010)
2010-07-22 Inchiesta su falsi invalidi a Cosenza Tredici medici agli arresti domiciliari Anche il sindaco di San Fili coinvolto nell'operazione che riguarda funzionari e impiegati del distretto sanitario di Rende. Un sistema che forniva falsi certificati di invalidità e di malattia. Inoltre timbravano i cartellini dei colleghi assenti Inchiesta su falsi invalidi a Cosenza Tredici medici agli arresti domiciliari Ottorino Zuccarelli, medico e sindaco di San Fili (Cosenza) coinvolto nell'inchiesta COSENZA - Invalidità riconosciute senza porre alcuna domande ai pazienti sulle patologie documentate, visite fantasma, patologie concordate a tavolino con l'interessato, visite fiscali mai effettuate. Questi sono alcuni degli episodi scoperti nell'inchiesta su un giro di falsi invalidi civili che ha portato a 49 i provvedimenti cautelari emessi dalla Procura della Repubblica di Cosenza. Tredici ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari e 36 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria riguardano medici, funzionari e impiegati amministrativi del distretto di Rende dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza. Il reato contestato nell'inchiesta che riguarda circa 150 persone è il falso ideologico in atto pubblico. In particolare sono tredici i medici arrestati, cui è stato concesso il beneficio dei domiciliari, tra cui il sindaco di San Fili (Cosenza), Ottorino Zuccarelli del Pd. Tra le persone nei confronti delle quali è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria c'è poi il presidente del Consiglio comunale di Cosenza, Pietro Filippo, anche lui del Pd, e l'ex coordinatore provinciale di Cosenza del Pdl, Sergio Bartoletti. Anche loro sono indagati in quanto medici. L'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza ha annunciato che si costituirà parte civile. L'operazione, denominata "Ippocrate", è coordinata dalla procura della Repubblica del tribunale di Cosenza e fa seguito ad un'analoga operazione denominata "All included". L'inchiesta è scaturita da un'indagine condotta per quasi due anni dalla sezione di Cosenza nord della polizia stradale che aveva rilevato, nel corso di alcuni controlli, irregolarità in merito al riconoscimento dell'invalidità civile a decine di persone. Dall'attività investigativa è emerso che il riconoscimento delle false invalidità avveniva attraverso l'intervento autonomo dei medici, con la complicità di funzionari e impiegati del distretto sanitario di Rende, senza che venisse investita la competente commissione collegiale. Le indagini inoltre hanno messo in luce come alcuni medici, incaricati dell'esecuzione di visite fiscali per conto degli enti pubblici nei confronti dei dipendenti assenti per malattia, si accordavano con i presunti ammalati interessati sulle modalità di compilazione del referto medico legale da inviare alle amministrazioni di appartenenza, attestavano falsamente di aver eseguito i dovuti controlli ambulatoriali e domiciliari e provvedevano anche a far sottoscrivere agli interessati, in bianco, ulteriori referti medici e legali, da utilizzare per eventuali successivi controlli fiscali, in modo da evitare agli interessati anche di doversi recare presso la struttura sanitaria per apporre la sottoscrizione sui relativi verbali. E ancora, gli indagati sistematicamente facevano figurare la propria presenza in ufficio facendo timbrare i cartellini marcatempo da una sola persona. In pratica un paio di impiegati timbravano per tutti gli altri, portando con sé i cartellini di decine di colleghi. Il tutto è documentato in una serie di video girati con telecamere nascoste. Anche nelle visite mediche per il rinnovo della patente di guida alcuni medici rilasciavano certificati di idoneità psico-fisica senza eseguire nei confronti degli interessati nessuna visita medica. L'inchiesta di oggi, è stato chiarito in conferenza stampa, non si ferma e presto ci saranno nuovi sviluppi. Al momento sono dieci le persone poste agli arresti domiciliari. Oltre a Ottorino Zuccarelli, il rpovvedimento riguarda Ercole Vilotta, Giuseppe Soloperto, Vita Cupertino, Paolo Iuele, Vincenzo Cappuccio, Mario Vetere, Patrizia Fucilla, Francesco Vena e Alfredo D'Alessandro. Tre le ordinanze di custodia cautelare che non sono state ancora eseguite. Ventidue, al momento, gli obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria che sono state notificate e riguardano Francesco Totera, Maria Antonietta Baldino, Carmine Bartoletti, Sergio Bartoletti, Valentina Battendieri, Anna Maria Conforti, Marcello De Bartolo, Iolanda De Rago, Paola Ferri, Pietro Filippo, Ernesta Pellicanò, Mercedes Anna Principe, Francesco Ruffolo, Elgisa Sabino, Caterina Stancati, Rosetta Tavernese, Olivia Fallico, Dolorata Nicoletti, Teresa Licastro, Rosa Rovella, Giuseppe De Munno e Luigi Pulice. Gli obblighi di presentazione che non sono stati ancora notificati sono 14. (22 luglio 2010)
CRIMINALITA' Maxi blitz contro i Casalesi puntavano appalti post terremoto Sei arrestati per associazione a delinquere di stampo mafioso, tra cui quattro funzionari di banca. Operavano anche nel Lazio e in Toscana. Sotto sequestro 21 società, 118 immobili e altri beni e valori, per un ammontare complessivo di 100 milioni di euro Maxi blitz contro i Casalesi puntavano appalti post terremoto ROMA - La camorra tentava di infiltrarsi negli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila: è uno degli elementi centrali dell'indagine che questa mattina ha portato all'arresto di sei affiliati al clan dei Casalesi e a sequestri di beni per 100 milioni di euro. L'operazione "Untouchable" ha consentito di monitorare "in diretta" le infiltrazioni della camorra nelle commesse per la ricostruzione dell'Aquila dopo il devastante sisma del 6 aprile 2009. Sono stati intercettati i colloqui telefonici con i quali gli arrestati disponevano l'invio del denaro necessario a finanziare le imprese costituite, per conto loro, nel capoluogo abruzzese, con l'intenzione di aggiudicarsi i lavori per la ricostruzione. L'organizzazione, formata anche da imprenditori e funzionari di banca, ha pure cercato di inserirsi negli appalti per i lavori sull'autostrada A3: gli imprenditori versavano nella casse del clan una sorta di canone fisso per gli affari che riuscivano a procacciarsi, anche spendendo il nome dei malavitosi per incutere timore. Tra gli arrestati c'è anche Tullio Iorio, il cui nome compare nell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere il figlio del boss Francesco Schiavone, Nicola. Le indagini sono durate quasi due anni e hanno permesso di accertare come il Clan dei Casalesi, proprio attraverso il controllo del settore dell'edilizia, avesse ormai esteso la propria sfera di operatività anche fuori dalla regione Campania, accumulando un patrimonio mobiliare e immobiliare di rilievo. Coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, il blitz è stato effettuato da 500 uomini della Guradia di Finanza, sulla base di un'inchiesta sviluppata grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Sono state molto utili anche le intercettazioni di conversazioni in cui gli imprenditori locali venivano minacciati o si accordavano con gli altri per l'organizzazione; l'attendibilità di queste registrazioni telefoniche è stata verificata con accertamenti bancari dal Nucleo Polizia Tributaria di Roma. I gruppi imprenditoriali "Untouchable" ai quali il clan faceva affidamento, agivano spesso tramite prestanome e con il supporto, almeno dalla prima metà degli anni '90, degli esponenti di vertice delle varie ramificazioni territoriali dei Casalesi. Sui sei arrestati grava l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso e tutti, fanno sapere i finanzieri del GICO del Nucleo Polizia Tributaria di Roma, sono ''espressioni economiche'' del clan, operano nel Casertano e hanno esteso la loro attività anche in altre regioni d'Italia e in particolare nel Lazio, in Abruzzo e in Toscana. Complessivamente sono state denunciate 54 persone, considerate responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni ed esercizio abusivo di attività finanziaria. In tutto, finora, sono stati sequestrati 118 beni immobili, tra i quali due lussuose ville a Casal di Principe; 21 aziende, tra le quali una società aquilana operante nella ricostruzione post sismica; 33 autoveicoli, tra cui auto di lusso quali Ferrari, Daimler Chrysler e Audi Q7; quote societarie per un valore nominale pari a circa 600.000 euro; numerosi rapporti bancari, finanziari e assicurativi, riferibili al sodalizio, tuttora in fase di individuazione, per un valore complessivo di 100 milioni di euro. Contestualmente, sono state eseguite circa 80 perquisizioni locali presso i luoghi nella disponibilità degli indagati. Le indagini hanno anche consentito di smascherare quattro funzionari di banca "asserviti agli interessi del clan", come spiega la Guardia di Finanza. I quattro, nella consapevolezza di agevolare l'attività dell'associazione camorristica, avrebbero favorito l'operatività degli imprenditori "intoccabili" attraverso la concessione di finanziamenti e consentendo sistematicamente l'effettuazione di transazioni sui conti correnti senza l'autorizzazione dei titolari. "In questo modo - spiegano le fiamme gialle - sono state eluse anche le disposizioni antiriciclaggio in materia di segnalazioni per operazioni sospette. L'accusa per tre dei funzionari è quella di favoreggiamento. Il quarto è accusato di concorso esterno all'associazione camorristica". (22 luglio 2010)
2010-07-20 I VERBALI Inchiesta P3: "Da Carboni a Verdini un milione di euro per nomine e appalti" Gli inquirenti: "Utilizzati prestanome". La banca è il Credito cooperativo, del quale l'esponente politico è presidente. Descritte negli atti "quattro operazioni sospette". Il coordi-natore pdl indicato come beneficiario di EMILIO RANDACIO Inchiesta P3: "Da Carboni a Verdini un milione di euro per nomine e appalti" ROMA - Una contabilità parallela per effettuare almeno "quattro operazioni sospette". Una sorta di "cassaforte", che Flavio Carboni e la sua organizzazione avrebbe utilizzato per finanziare il Palazzo. E, in almeno tre circostanze, i carabinieri del Ros sono convinti anche di aver identificato il beneficiario finale, che infatti in questa inchiesta è indagato anche per corruzione. La conclusione è "che parte di titoli finanziari veicolati dal Carboni, sono stati con ogni probabilità negoziati dal parlamentare Verdini Denis o da persone dallo stesso delegate". Operazioni che, seguendo l'accusa, vanno messe in "connessione all'iniziativa imprenditoriale in Sardegna (appalti sull'eolico-ndr) e, in base a quanto riferito dal Carboni nel corso di alcune conversazioni, alle intense attività compiute dallo stesso al fine di ottenere la nomina di soggetti a lui collegati in ruoli politici di rilievo". Agli atti, emergono anche le fotocopie degli assegni girati poi al "Credito cooperativo fiorentino Campi Bisenzio, istituto bancario - specificano gli investigatori - nel quale lo stesso Verdini riveste la carica di Presidente del consiglio di amministrazione". L'operazione di rastrellamento fondi parte il 29 settembre scorso, quando Carboni invita i suoi soci "a una raccolta di somme di denaro per diversi milioni di euro". Al termine di una delle tre operazioni bancarie estremamente complesse, Carboni "viene chiamato dal parlamentare Verdini al quale chiede se fosse tutto a posto". Verificato che il versamento era andato a buon fine, al telefono, il coordinatore del Pdl "conferma e ringrazia". I versamenti complessivamente sfiorano il milione di euro. La prima operazione avviene tra giugno e luglio 2009. "Il trasferimento - annotano i carabinieri - è avvenuto mediante l'emissione, in data 26 giugno, di alcuni assegni circolari per il valore di 850 mila euro". "Solo" 230 mila gli euro "sono stati poi negoziati dal Credito fiorentino". "Come risulta dall'estratto conto, quello stesso giorno, dopo il versamento del titolo da 500.000 euro, dal conto di Antonella Pau (convivente di Carboni-ndr) vengono emessi e prelevati 23 assegni circolari del valore di 10.000 ciascuno, per complessivi euro 230.000". Per i carabinieri, "tutti i 23 assegni risulteranno successivamente (in data 13.07.2009) lavorati presso il Credito Cooperativo di Campi Bisenzio". La seconda operazione risale a ottobre, praticamente in concomitanza con il summit che si svolge nella residenza romana di Verdini "alla quale dovrebbero aver partecipano oltre al Carboni, il senatore Dell'Utri". In questo caso, l'importo "girato", attraverso assegni e prestanome, al coordinatore del Pdl Verdini ammonta a 487 mila euro. A fine novembre, le "operazioni sospette" si esauriscono. Sempre attraverso una complessa triangolazione bancaria, otto di trenta assegni circolari dell'importo di 12.499 euro sono stati successivamente (quattro il 30.11.2009 e quattro il 28.12.2009) lavorati presso il Credito Cooperativo Fiorentino-Campi Bisenzio". Anche in questo caso, il presunto versamento avviene in concomitanza di un summit a casa Verdini. "Si evidenzia - scrivono i carabinieri nel loro rapporto - che in data 26.11 il Carboni è stato impegnato in un importante incontro avvenuto presso la dimora romana del Verdini, incontro dedicato all'operazione pale eoliche ed al quale hanno verosimilmente partecipato, in base alle risultanze investigative, lo stesso Carboni, il Verdini, Dell'Utri Marcello, Martino Arcangelo e il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci". Lo scrupoloso lavoro investigativo rafforza le sue conclusioni con gli esiti di una perquisizione "effettuata il 28.04.2010". "Al fine di verificare chi abbia effettivamente proceduto alla negoziazione dei titoli emessi a seguito del trasferimento dei fondi messi a disposizione, nonché quale sia stata la destinazione delle relative somme, ha proceduto all'effettuazione dei primi accertamenti presso la sede del Credito Cooperativo Fiorentino". A questo punto arriva la conferma "che gli assegni che risultavano essere stati negoziati presso tale istituto sono stati effettivamente cambiati con operazioni allo sportello e che le relative somme sono state versate, con bonifico, sul conto di una società editrice, la Toscana di Edizioni di cui il Verdini è socio". Nella stessa operazione di perquisizione, i carabinieri hanno trovato nell'abitazione di Giuseppe Tomassetti, collaboratore di Carboni, ulteriori riscontri. Si tratta di "un foglio di carta A4 manoscritto a penna di colore nero, a firma di Tomassetti ed indirizzato al "Dott. On. le Denis Verdini", riportante la data del 2.10.2009. Sul documento è riportata la seguente frase: "In allegato le invio copia dei miei documenti. Rimango a sua disposizione per qualsiasi ulteriore richiesta o chiarimento, Cordialità!"". La conclusione, per i carabinieri, è certa, e cioè "che gli assegni in tema dovrebbero essere stati incassati/depositati da persona diversa dal Tommasetti e che questo ufficio identifica nel Verdini Denis". (20 luglio 2010)
2010-07-19 P3, Napolitano a Mancino "Ne discuta il prossimo Csm" Per il presidente toccherà al nuovo organismo occuparsi dei tentativi di interferire sugli orientamenti di alcuni consiglieri per favorire la nomina del presidente della Corte d'Appello di Milano, Alfonso Marra ("Ma nessuna ombra su chi lo votò") P3, Napolitano a Mancino "Ne discuta il prossimo Csm" Giorgio Napolitano ROMA - La lettera era attesa. Da quando era partita la richiesta del togato di Magistratura democratica, Livio Pepino, di un plenum straordinario del Csm. E oggi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha fatto sapere al vice Presidente del Csm Nicola Mancino, come la pensa. E cioè che di una questione delicata come il rapporto giudici-questione morale, è meglio che se ne occupi il prossimo Consiglio. Toccherà al nuovo organismo, dunque, occuparsi dei tentativi di interferire sugli orientamenti di alcuni consiglieri per favorire la nomina del presidente della Corte d'Appello di Milano, Alfonso Marra, come emerge dalle inchieste sulla cosiddetta P3. E su chi votò Marra "non bisogna gettare ombre, perché si pronunciò liberamente, al di fuori di ogni condizionamento". "La questione - scrive Napolitano - dovrebbe essere dibattuta in termini generali e propositivi prescindendo dalla esistenza di indagini penali, disciplinari e amministrative sull'episodio. A parte la seria preoccupazione, che è lecito mantenere, di non interferire in tali indagini, ritengo da un lato che il tema non possa essere affrontato in termini "generali e propositivi" con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa Consiliatura - mentre è corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito - e dall'altro che si debba essere bene attenti a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento, su quella proposta di nomina concorrendo alla sua approvazione". (19 luglio 2010)
Tarantini, chiesto il patteggiamento due anni e mezzo per il filone droga La procura e la difesa d'accordo sul rito alternativo per arrivare a un verdetto sul filone della cocaina che l'ex imprenditore della sanità pugliese ha fatto scorrere a fiumi durante la vacanza in Sardegna. Tarantini è coinvolto anche nelle inchieste sugli appalti nella sanità e sul giro di escort a Palazzo Grazioli Tarantini, chiesto il patteggiamento due anni e mezzo per il filone droga Gianpaolo Tarantini Due anni e mezzo per lo spaccio di cocaina. Accusa e difesa hanno concordato di procedere con il rito alternativo per quanto riguarda l'accusa di spaccio di sostanze stupefacenti per l'ex imprenditore della sanità pugliese coinvolte anche nelle inchieste sugli appalti e sul giro di escort a Palazzo Grazioli: secondo il pm e la difesa 30 mesi di reclusione sono una pena congrua per Giampalo Tarantini. A due anni e 10 mesi dovrebbe essere condannato invece Nicola De Palma, a un anno e 10 mesi Onofrio Spilotros, i due presunti pusher di Gianpi. Sulla richiesta di patteggiamento ora la parola passa al gip. Gli altri tre coinvolti nell'inchiesta, Stefano Iacovelli, Alessandro Mannarini e Massimiliano Verdoscia, hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato. (19 luglio 2010)
2010-07-18 Il grande albero delle bande di malaffare di EUGENIO SCALFARI La ricostruzione fatta ieri sul nostro giornale da Roberto Saviano di come sia nato il falso dossier contro il governatore della Campania, Stefano Caldoro, per impedirgli di candidarsi, è impressionante. È una ricostruzione basata sui fatti e sulla trascrizione letterale delle intercettazioni effettuate dalla Polizia giudiziaria, dalle quali emergono non solo i nomi di chi preparava il fango da gettare sul volto di Caldoro, a cominciare da Nicola Cosentino sottosegretario all'Economia e coordinatore del Pdl in Campania, ma il loro linguaggio, la loro tecnica delinquenziale, la loro disponibilità al malaffare, la rete delle loro relazioni politiche e giudiziarie. Saviano scrive che guardare a fondo in quella sentina "ti prende allo stomaco". È verissimo. Mentre leggi quelle conversazioni, ascolti quel dialetto che è l'"argot" di una banda, sei afferrato dal disgusto. Per andare avanti fino alla fine devi fare forza a te stesso. Ti sfilano davanti non soltanto i faccendieri della "malanità" ma personaggi del massimo rilievo politico e professionale, dirigenti del partito di maggioranza e lo stesso leader del Pdl e capo del governo nazionale. Ma se volti le pagine del giornale lo squallido scenario si ripete e addirittura si aggrava. Non è più soltanto la calunnia usata per appaltare un governo regionale al clan dei Casalesi, ma l'assedio ai supremi custodi della legalità: la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione. Lo scopo è quello di piegare quei collegi al volere del Sovrano - non a caso definito Cesare nel gergo della banda. Resta la possibilità di un governo di transizione. A dare le carte in questa partita sarà il presidente Napolitano I comitati d'affari non sono lì per caso, non hanno invaso una pianta che altrimenti avrebbe avuto radici solide Il premier e Bossi vorrebbero andare a elezioni anticipate per evitare i danni di un lungo logoramento Pensare che sia il Capo a bonificare le stalle è come far presiedere a Dracula l'associazione dei donatori di sangue
E si snoda attraverso un continuo "pressing" corruttivo che mette sul tavolo la commercializzazione delle carriere contro la legalità repubblicana. Qui la "malanità" tocca il culmine, si infiltra al vertice della Suprema Corte, coinvolge giudici costituzionali e membri del Consiglio superiore della magistratura. Dall'altra parte di quel sordido risiko i giocatori sono i massimi dirigenti del partito, quelli che il partito lo fondarono nel 1993 e quelli che ci arrivarono quando già aveva conquistato il potere e poteva essere usato come strumento eccezionalmente utile per soddisfare appetiti privati favorendo la nascita di bande, di Cricche, di svergognate massonerie del malaffare. Marcello Dell'Utri e Denis Verdini sono i punti di riferimento di questa losca architettura criminogena che occupa da mesi, anzi da anni le Procure di Roma, Firenze, Perugia, Milano, Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria, Napoli, L'Aquila e il procuratore antimafia Ilda Boccassini. Intercettazioni durate anni, effettuate da Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza che spesso si sono imbattuti in colleghi insospettabili e insospettati che giocavano su due o tre e perfino quattro tavoli, depistando, avvertendo, consigliando. Questa è la melma che sta montando, il puzzo che emana dai palazzi del potere alimentando la sfiducia e l'indifferenza antipolitica degli italiani. * * * Voglio qui citare un brano dell'articolo di fondo pubblicato dal "Corriere della Sera" di giovedì scorso e firmato da Massimo Franco, una delle firme più importanti di quel giornale. Scrive così commentando le dimissioni di Nicola Cosentino da sottosegretario all'Economia: "È come se nella penombra del grande albero berlusconiano si fossero annidati segmenti di società che usano il governo come guscio dentro al quale ingrassare i loro comitati d'affari. Si tratta d'un problema che sarebbe ingeneroso considerare un'esclusiva del Pdl. Ma anche per il modo con cui reagisce, la coalizione berlusconiana tende ad apparire più coinvolta di altri. La difesa a oltranza dei suoi esponenti chiamati in causa nelle inchieste, la sovraespongono fino a schiacciarla su una questione morale che ha delegittimato la Prima Repubblica e che alla lunga non può non logorare l'attuale". Franco è un giornalista avveduto e prudente. Scrisse qualche anno fa un libro su Giulio Andreotti che viene considerato un classico su un tema ed un personaggio così complessi. Dopo questa denuncia in piena regola di quanto sta accadendo, si rivolge direttamente a Berlusconi affinché si svegli dall'abulia che sembra averlo pervaso e spazzi le famose stalle che Ercole riuscì a ripulire come ultima delle fatiche che il Fato gli aveva imposto. Capisco il valore retorico di quel suggerimento, ma esso nasconde una verità che non può sfuggire a nessuno: i comitati d'affari che ingrassano annidati nel "grande albero berlusconiano" non sono lì per caso, non hanno invaso e inquinato un luogo che altrimenti avrebbe avuto radici solide e fronde verdi e colme di frutti. L'albero berlusconiano è nato esattamente come abitazione privilegiata degli affari di chi l'ha piantato e coltivato con grande e sapiente cura. Per questo è diventato il guscio dentro al quale ingrassano le bande. Non le correnti, che sono vietate, ma le bande che non possono esserlo perché tutte fanno riferimento al Capo dei capi, tutti se ne disputano il favore, tutti considerano quell'albero come la loro casa naturale. Pensare e sperare che sia il Capo dei capi a bonificare quelle stalle è come affidare a Dracula la presidenza dell'Associazione dei donatori di sangue. Non funziona perché non può funzionare e far finta che non sia così non aiuta a risolvere il problema. Noi non siamo massimalisti e non li amiamo, ma siamo consapevoli che i galli e le galline d'un pollaio non possono stringere ampie intese con le volpi e con le faine. C'è una contraddizione di natura che lo impedisce. Se la legalità è la base dello Stato di diritto e se lo Stato di diritto è la condizione necessaria all'esistenza d'una democrazia, l'obiettivo è quello di recuperare la legalità e lo Stato di diritto. Questo è uno spartiacque che non può in nessun caso essere dimenticato. * * * In teoria la Legislatura dovrebbe procedere fino alla sua fine naturale, cioè fino al maggio del 2013. Questo afferma il premier e questo sostiene anche Bossi che è il suo determinante alleato. Molti tuttavia sono convinti che la vera intenzione di Berlusconi (ed anche di Bossi) sia di andare alle urne anticipatamente per evitare i danni d'una troppo lunga fase di logoramento. Naturalmente non basta che la maggioranza si dichiari desiderosa d'un voto anticipato; occorre che si formi un'altra diversa maggioranza. Quest'ipotesi non è impossibile; potrebbe quindi formarsi un governo di transizione sostenuto da uno schieramento parlamentare che vada da Casini fino alla sinistra, con l'appoggio anche di Fini e dei suoi seguaci. L'obiettivo dovrebbe essere limitato: cambiare la legge elettorale in senso uninominale, affrontare nel segno della continuità la crisi economica perseguendo l'obiettivo di stabilizzare il debito pubblico e se possibile sostenendo i redditi più deboli e diminuendo il carico tributario su imprese e lavoratori dipendenti. La Cricca vede una soluzione siffatta come il fumo negli occhi: sancirebbe infatti la sua fine non per via di giustizia ma per via politica. Anche per il Cesare una soluzione del genere equivarrebbe alle Idi di marzo, salvo che non ci sarebbero i pugnali di Bruto e di Cassio ma una semplice evoluzione politica diventata ormai indispensabile. C'è un solo personaggio nel centrodestra interessato a non interrompere la legislatura anzitempo ed è - o dovrebbe essere - Giulio Tremonti. Il ministro dell'Economia ha legato il suo nome alla politica europea di stabilizzazione del debito. Un'interruzione traumatica della Legislatura proprio in coincidenza con massicce scadenze di titoli del debito pubblico italiano, potrebbe mettere il Tesoro in gravissima situazione. Dal punto di vista dell'interesse nazionale sarebbe un'avventura estremamente rischiosa della quale sembra strano che Tremonti possa rendersi corresponsabile. La domanda allora è questa: è ipotizzabile un governo Tremonti senza Berlusconi e senza la Cricca, cui non risulta che Tremonti appartenga? Oppure un governo Monti? Oppure ancora un governo Draghi? E insomma un governo del Presidente, con una maggioranza di "chi ci sta ci sta"? Questa partita si giocherà probabilmente all'inizio della prossima primavera e chi darà le carte sarà il presidente della Repubblica come prevede e sancisce la Costituzione. L'obiettivo, come ha detto in questi giorni Bersani, è quello di chiudere un ciclo nefasto e recuperare legalità e Stato di diritto, pulire le stalle, disperderne i miasmi, sciogliere i comitati d'affari criminogeni, modificare la zona grigia che fa da cuscinetto tra le mafie e le istituzioni. Tutti gli altri obiettivi passano in seconda linea salvo quello di non far precipitare il paese in una crisi finanziaria che l'interruzione della Legislatura provocherebbe. Qui si porrà il problema d'un riscatto della classe politica. Il fondo si è ormai toccato e un'apnea prolungata rischia di provocare la dissoluzione d'un paese. (18 luglio 2010)
"Sì, contattavo i consiglieri del Csm per spingere le nomine di giudici amici" di CARLO BONINI "Sì, contattavo i consiglieri del Csm per spingere le nomine di giudici amici" Lombardi: "Volevo acquisire meriti con Berlusconi sul lodo Alfano. Cosentino mi chiese se conoscevo in Cassazione, ho chiamato Carbone per il suo ricorso". "Volevo far vedere che potevo arrivare ai membri della Consulta. Mirabelli? Non conta più" ROMA - Sostiene Pasquale Lombardi da Cervinara, classe 1933, "l'uomo che sussurrava ai giudici", che, in fondo, quel che ha combinato - trafficare con le nomine al Csm, provare ad agganciare giudici della Corte Costituzionale alla vigilia della decisione sul "lodo Alfano", solo per dirne un paio - lo ha fatto per compiacere "il Capo". Per "acquisire meriti". Certo, concede, lui parlava con il presidente (ormai ex) della Cassazione Vincenzo Carbone dei ricorsi dell'amico Nicola Cosentino e caldeggiava, "incidentalmente", la nomina di Alfonso Marra alla presidenza della Corte di appello di Milano con il vicepresidente del Csm Nicola Mancino e con i consiglieri laici e togati del Consiglio. Certo, discuteva di "lodo" con il sottosegretario alla giustizia ed ex magistrato Giacomo Caliendo e con il Presidente Cesare Mirabelli, mentre "ragionava" di candidature alla Regione Campania con il capo degli ispettori ministeriali Arcibaldo Miller e faceva "rete" con almeno "400 magistrati" della sua "Associazione Diritti e Libertà". Ma per due "buone" ragioni, a sentir lui. Perché nella vita "è sempre bene avere amicizie per chiedere qualcosa in caso di difficoltà". E perché, "come si sa", nella corporazione togata, "le nomine sono influenzate in maniera determinante dalle quattro correnti in seno all'Anm e dalla politica, che può fare tutto". "VOLEVO ACQUISIRE MERITI CON IL CAPO". IL LODO ALFANO, VERDINI, DELL'UTRI, CALIENDO Alle 12.05 del 10 luglio, nel carcere di Avellino, Lombardi risponde alle domande dell'interrogatorio di garanzia. Professione? "Pensionato". Beni patrimoniali? "Nessuno". Titolo di studio? "Geometra". Ha esercitato uffici o servizi pubblici? "Giudice tributario". E premette: "Con riferimento alla vicenda del giudizio di costituzionalità relativo al cosiddetto "lodo Alfano", "ho parlato di interessarmi" (sic) per acquisire meriti con il capo del mio partito, l'onorevole Silvio Berlusconi, affinché potesse ritenersi che ero in grado di arrivare anche ai giudici della Corte Costituzionale". E' un canovaccio che chi lo interroga conosce. Che anche Flavio Carboni ha recitato. E che deve mandare in vacca l'accusa di una nuova P3, per la più confortante favola dei "quattro sfigati" in cerca di un posto al sole nel Partito e di uno strapuntino nella considerazione del Capo. Se necessario, come vedremo, anche rifugiandosi in molti "non ricordo" da anziano svampito. Il gip ascolta e muove le contestazioni, proponendo a Lombardi le intercettazioni telefoniche più significative che lo riguardano. 30 settembre 2009 - Lombardi parla con il presidente della Consulta Cesare Mirabelli per sapere come voterà sul lodo e se è possibile intervenire su uno dei giudici della Corte. "Una donna". "Ammetto di aver contattato il professor Cesare Mirabelli, ma lui ormai non conta più nulla. Il giudice donna a cui si fa riferimento è stata segnalata dal partito Pdl, ma non ne ricordo il nome. Confermo gli incontri in casa dell'onorevole Verdini ai quali hanno partecipato anche l'onorevole Dell'Utri, l'onorevole Caliendo, il giudice Miller. Non ricordo della presenza di Martone. In quelle occasioni, non abbiamo parlato dell'imminente giudizio di costituzionalità del "lodo Alfano", ma soltanto della candidatura alla presidenza della regione Campania. La presenza di Miller era legata proprio ad una sua possibile candidatura". 23 settembre 2009 - Lombardi parla con Caliendo: "Abbiamo fatto un discorso anche sulla Corte Costituzionale. Amm' a fà nu poco 'na conta a vedé quanti sonn i nostri e quanti song i loro, per cui se potimm correre ai ripari... Dobbiamo vedè a dò sta o buono e o malamente. Ormai, guagliò ti è spianata la via pe i' a fa o ministro". "Il riferimento al giudizio sul "lodo" con Caliendo è stato fatto soltanto di sfuggita. E nego che l'interessamento relativo al giudizio sul "lodo" sia stato posto con i vertici del partito come corrispettivo della candidatura dell'onorevole Cosentino". LA CANDIDATURA COSENTINO E LO SCAMBIO CON IL LODO. L'OLIO PER CARBONE 2 ottobre 2009 - Lombardi parla con Cosentino. "Lui è rimasto contento per quello che stiamo facendo per il 6. Ci deve dare qualche cosa. E ci deve dare te e non ha da scassare o cazzo". "Non ricordo la conversazione. E non sono in grado di dire a chi facessi riferimento quando dicevo "lui è rimasto contento per quello che stiamo facendo per il 6". Nego che si tratti dell'onorevole Verdini. Quanto alla candidatura dell'onorevole Cosentino, preciso che l'ho sempre sostenuta e che dopo l'ammissione del suo ricorso alla richiesta di arresto, poiché l'onorevole Cosentino mi ha chiesto se conoscessi qualcuno in Cassazione, perché per il 28 gennaio 2010, data fissata per la discussione del ricorso, era previsto uno sciopero degli avvocati, io ho chiamato il presidente Carbone per sapere se il ricorso sarebbe stato comunque trattato". Certo, aggiunge Lombardi, "con Carbone ho un rapporto di familiarità per cui le telefonate possono essere anche molto frequenti". Come quella del 28 gennaio 2010, quando promette al Presidente di "portare dell'olio in Cassazione". "Il riferimento è proprio a dell'olio di oliva. Essendo io di Cervinara e rifornendomi da un'azienda di quelle parti, provvedevo spesso a rifornire olio di oliva, previo regolare pagamento, affidandolo ad un carabiniere che prestava servizio in Cassazione". LA RETE DEI MAGISTRATI. LE PRESSSIONI AL CSM, I CONTATTI CON MANCINO Lombardi giura di "non sapere nulla" del dossieraggio sessuale su Caldoro. Né di appalti per l'eolico. Né di aver sollecitato ispezioni a Milano a seguito della decisione sul ricorso della lista Formigoni ("Sciocchezze. Chiamai Marra solo per informarmi dell'esito del ricorso"). Il suo mestiere - giura - era un altro. Organizzare convegni con la sua "Associazione Diritti e Libertà", "un'attività ventennale" per mettere intorno a un tavolo politici (come Formigoni, Bassolino, Cappellacci) e magistrati (come Ferri e Tinelli del Csm). Certo, ammette Lombardi, lui si occupava di spingere a Palazzo dei Marescialli alcune nomine agli uffici direttivi. "Intendo precisare che i magistrati di cui si parla, Alfonso Marra, Gianfranco Izzo (Procuratore di Nocera Umbra dal novembre 2009) e Paolo Albano (Procuratore di Isernia), sono persone con cui ho rapporti di amicizia ultraventennale. Mi hanno chiesto un interessamento per ottenere le nomine a incarichi direttivi. Lo hanno chiesto proprio a me poiché ho molte conoscenze ed amicizie nell'ambiente politico e giudiziario e come si sa queste nomine sono influenzate in maniera determinante dalle quattro correnti in seno all'Anm e dalla politica, che può fare tutto. Preciso che i contatti che ho avuto per sollecitare le nomine, li ho intrattenuti con i due consiglieri togati del Csm Ferri e Carrelli Palombi, e con i componenti laici Tinelli, Saponara e Bergamo". Quanto al vicepresidente del Consiglio, Nicola Mancino, Lombardi si fa felpato e contraddittorio. "Nego di aver avuto contatti con Nicola Mancino, con il quale peraltro ho rapporti di consuetudine da oltre 40 anni", è l'esordio. Poi, si aggiusta. "Effettivamente mi sono incontrato con l'onorevole Mancino, con il quale avrò parlato incidentalmente della nomina di Marra. E nel conversare con l'avvocato Donato Pennetta (con cui parlava anche del procuratore di Avellino ndr.), gli ho chiesto di parlare con Mancino della nomina di Marra, senza tuttavia avere riscontro, evidenziando nella conversazione che è sempre bene avere amicizie per chiedere qualcosa in caso di difficoltà". (18 luglio 2010)
Ecco l'agenda segreta della rete di Carboni I nomi di manager bancari, politici e magistrati. L'ultimo mistero dell'inchiesta sulla P3 è contenuto nel diario di Flavio Carboni, l'imprenditore sardo arrestato nei giorni scorsi assieme ad Arcangelo Martino e Pasqualino Lombardi di EMANUELE LAURIA Ecco l'agenda segreta della rete di Carboni Flavio Carboni Un'agenda segreta con i nomi di manager bancari, politici e magistrati. L'ultimo mistero dell'inchiesta sulla P3 è contenuto nel diario di Flavio Carboni, l'imprenditore sardo arrestato nei giorni scorsi assieme ad Arcangelo Martino e Pasqualino Lombardi. Sono i componenti della "loggia" che - secondo le accuse - avrebbe messo in atto un'attività di "interferenza" sulle istituzioni. L'agenda di Carboni, sinora rimasta nell'oblio, è uno dei documenti scottanti all'esame della procura di Roma. E' stata sequestrata dai carabinieri il 28 aprile scorso, nel corso della perquisizione di una borsa dell'indagato. e allegata all'informativa sulle manovre per la candidatura di Cosentino alla guida della Regione Campania. Gli inquirenti stanno valutando con molta attenzione il contenuto dell'agenda, per stabilire i collegamenti con i nomi citati: fra questi, c'è Italo Biagini, direttore generale della banca di Denis Verdini. Ma Carboni, stando a quanto emerge dal documento, per i suoi disegni oscuri avrebbe tentato di contattare anche Consorte e Bassolino. Di certo, l'esame del diario potrebbe dare un contributo decisivo alla ricostruzione della trama di condizionamenti occulti e affari disegnata da Carboni e soci, con l'appoggio di uomini vicini a Berlusconi quali Marcello Dell'Utri e Verdini. L'agenda si riferisce al 2007 ma, scrivono i carabinieri nel loro rapporto, "contiene evidentemente anche note riferite agli anni 2009 e 2010". Fra queste, un manoscritto nelle pagine del 3 e del 4 febbraio che fa riferimento direttamente al filone napoletano dell'inchiesta e al piano della banda per far andare alla guida della Regione Campania l'ex sottosegretario Nicola Cosentino, oggetto di una richiesta di arresto per rapporti con la camorra: "Cosentino (candidatura Campania)", l'appunto contenuto nell'agenda. In ogni caso, il manoscritto di Carboni fornisce delle importanti conferme agli inquirenti: ad esempio il legame fra i tre membri della cosiddetta "P3" e i magistrati di grido coinvolti - secondo i carabinieri - nelle trame devianti. Ecco quattro righe illuminanti, a parere degli investigatori: "Arcangelo (Martino, ndr) e gruppo - Miller, Martone e Lombardi - martedì 14 Majestic - pranzo Arcangelo". Scrive "gruppo", il faccendiere sardo, nel citare assieme ai suoi sodali il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller e l'ex avvocato generale della Cassazione Antonio Martone, prima di fare riferimento a un pranzo con Martino in un albergo di Napoli. Le circostanze sono da chiarire, ma i carabinieri hanno allegato il diario alla parte del rapporto in cui la banda, dopo la richiesta di arresto per Cosentino, lavora con Dell'Utri per imporre la candidatura del capo degli industriali napoletani Giovanni Lettieri. Le note vergate da Carboni sembrano andare oltre la vicenda campana. In bell'evidenza, in un foglio del diario, compare il nome "Biagini": è scritto accanto a un numero di telefono di Firenze, che corrisponde alla sede di Campi Bisenzio del Credito cooperativo fiorentino, la banca di Denis Verdini. Insomma, "Biagini" dovrebbe essere Pietro Italo Biagini, direttore generale dell'istituto di credito, uno degli indagati dell'inchiesta fiorentina sugli appalti del G8. Se così fosse, si tratterebbe di un robusto anello di collegamento fra le due inchieste che vedono protagonista il coordinatore del Pdl e che stanno scuotendo i palazzi delle istituzioni. Carboni, accanto al riferimento a Biagini, ha scritto "Condhotel". Possibile che l'imprenditore di Sassari - già condannato per il crac del Banco Ambrosiano - volesse contattare il dirigente bancario per sbarcare in un business immobiliare che ha preso piede negli Stati Uniti: quello del "Condo hotel", appunto, l'acquisto di singole stanze di albergo o frazioni di residence. Un investimento interessante, per chi ha ingenti quantità di denaro da spendere. O da riciclare. Più velato, nelle due pagine dell'agenda agli atti della procura, il richiamo a "Bassolino": nome scritto con il punto interrogativo sotto quello di Umberto Accettullo, un dirigente dell'Arpac (agenzia per la protezione dell'ambiente della Campania) che compare spesso nelle intercettazioni. Una raccomandazione da inoltrare al governatore campano? O un tentativo di infiltrarsi in una struttura che controlla un settore, l'ambiente appunto, caro alla banda? Nelle stesse pagine, per inciso, Carboni si appunta la necessità di chiedere notizie sulla discarica di Sassari oggetto di diffida. Accettullo è personaggio vicino all'associazione: dalle carte emerge che è l'uomo che, per conto di Ernesto Sica, avrebbe dovuto divulgare via fax il contenuto del dossier sulle fantomatiche frequentazioni trans di Caldoro. E l'agenzia in cui lavora Accettullo, l'Arpac, è la stessa che, nel novembre scorso, proprio quando andavano in scena i complotti della banda, veniva travolta da un'inchiesta con 25 arresti e 63 indagati, fra cui Sandra Lonardo, ex presidente del consiglio regionale campano e moglie di Clemente Mastella. Fra i fogli dell'agenda spunta anche il nome "Consorte", probabilmente riferito a Giovanni Consorte, l'ex presidente di Unipol rinviato a giudizio con l'accusa di aggiotaggio informatico e ostacolo alla vigilanza per la scalata a Bnl. "Consorte" compare, posto tra parentesi, sotto un altro riferimento scritto di proprio pugno da Carboni: "Avvocato Caputo". Quest'ultimo potrebbe essere un altro banchiere, l'avvocato Francesco Caputo Nassetti, ex vicepresidente di Banca Intesa e, fra l'altro, dal 2009 alla guida di Bioenergy Parks, una società con sede in Emilia che opera nel campo delle energie rinnovabili (in particolare biomasse), e che fa parte del gruppo Intermedia di cui è capo proprio Consorte. Il filo che lega questi nomi, insomma, potrebbe essere il business dell'energia alternativa: non è da escludere che lo spregiudicato imprenditore sardo abbia tentato almeno di contattare Caputo Nassetti o Consorte per sviluppare i propri affari nell'eolico che in Sardegna l'hanno messo nei guai, con le accuse di corruzione. Consorte, peraltro, sta puntando forte sul settore delle "rinnovabile": Intermedia Finance ha quote in otto spa del comparto. Fra i soci di Intermedia anche Lettieri, il capo degli industriali di Napoli che la banda Carboni, con l'ausilio di Dell'Utri, tentò di candidare al ruolo di governatore una volta sfumata l'opzione Cosentino. Si tratta solo di spunti investigativi, al momento. L'ennesimo riferimento da approfondire, negli appunti di viaggio di Carboni. Che, fra i memento segnati nell'agenda segreta, trova persino il tempo di mettere per iscritto la sua disillusione. Citando Don Bosco: "Il mondo è un cattivo pagatore. Paga con l'ingratitudine". (18 luglio 2010)
2010-07-17 Scandalo sanità, cinque arresti fra dirigenti Asl e imprenditori Ai domiciliarti sono finiti i re della gestione dei rifiuti, Francesco Petronella e Michele Columella, rispettivamente titolare e legale rappresentante della Vi.ri, società che si occupa dello smaltimento dei rifuti ospedalieri. Arrestati anche i dirigenti Asl Nicola Del Re, Filippo Tragni e Antonio Colella Scandalo sanità, cinque arresti fra dirigenti Asl e imprenditori Alberto Tedesco Nuovo colpo di scena nella maxi inchiesta avviata un paio di anni fa dalla pm Desirée Digeronimo su un presunto intreccio tra politica e affari nella gestione della Sanità pugliese. Cinque persone, fra imprenditori e politici, sono stati arrestati stamattina all'alba dai carabinieri del Ros su ordine del gip Vito Fanizzi. Nell'inchiesta è coinvolto, in pozione di vertice, l’ex assessore alle Politiche della Salute Alberto Tedesco, ora senatore del Pd. All'inchiesta lavorano anche i sostituti procuratori Quercia e Bretone. Ai domiciliarti sono finiti i re della gestione dei rifiuti, Francesco Petronella e Michele Columella, rispettivamente titolare e legale rappresentante della Vi.ri. srl (gruppo Tradeco), società che si occupa dello smaltimento dei rifuti ospedalieri. Tramite le intercessioni dei dirigenti della Asl di Bari, Nicola Del Re e Filippo Tragni, anche loro finiti agli arresti domiciliari, la Vi.ri. nel 2009 si è aggiudicata un appalto da 5 milioni per la gestione dei rifiuti ospedalieri della Asl barese. Agli arresti è finito anche Antonio Colella, ex capo dell'area patrimonio dell'Asl di Bari, ritornato in libertà qualche giorno fa perché coinvolto nell'indagine sul presunto giro di corruzione messo in piedi da Tarantini. I cinque, che sono agli arresti domiciliari, sono accusati, a vario titolo, di turbativa d'asta, corruzione, rivelazione di segreti di ufficio e falsità materiale in atti pubblici. Rigettate le richieste per mancanza di esigenze cautelari per Elio Rubino, genero di Tedesco, e Mario Malcangi, braccio destro del senatore pd. Anche per quanto riguarda Tedesco, sono al vaglio della procura ulteriori presunti episodi di irregolarità sulla gestione di alcuni appalti durante la sua attività di assessore alla Sanità ma finora non è stata avanzata alcuna richiesta d misura cautelare. Favori sarebbero stati fatti anche alla Draeger Spa, rappresentata da Elio Rubino, con l'assegnazione dell'appalto dell'ente pubblico dell'importo di circa 2 milioni e 600 mila euro, relativo alla fornitura di attrezzature necessarie per il completamento della nuova sede dell'Istituto ricovero e cura 'Giovanni Paolo II' di Bari (Istituto Oncologico) e alla Consanit scpa con l'assegnazione dell'appalto relativo alla fornitura di arredi di laboratorio per l'importo di circa 2 milioni di euro grazie all'attività illecita che sarebbe stata compiuta da Antonio Colella, pubblico ufficiale. Allarmante è risultata agli occhi degli inquirenti la facilità con cui gli indagati intervenivano nelle sedute dei seggi di gara al fine di attribuire punteggi decisamente superiori nelle valutazioni delle offerte dal punto di vista tecnico e qualitativo rispetto alle ditte concorrenti. (17 luglio 2010)
"Una società occulta devastante che condizionava le istituzioni" Parla il pm Giancarlo Capaldo: "Senza intercettazioni l'inchiesta sarebbe stata impossibile". E parla di "condizionamento della civiltà democratica": "Quel che sta emergendo è davvero preoccupante. Un gran danno alla nostra società" di FRANCESCO VIVIANO "Una società occulta devastante che condizionava le istituzioni" Giancarlo Capaldo ROMA - "É chiaro che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio ma quello che è emerso è davvero devastante. Riguarda l'assetto della società civile, configura un condizionamento della civiltà democratica. Ci sono interferenze effettuate da una società segreta che determinano condizionamenti sulla politica, sulle istituzioni, sulla vita stessa dei cittadini. Magari non sono violenze, estorsioni, omicidi, ma fanno sicuramente un gran danno alla nostra società. E i cittadini , più che la magistratura, possono emettere giudizi morali, perché quello che sta emergendo è davvero preoccupante". Dottor Capaldo, avrebbe mai pensato che un'inchiesta svelasse intrecci così inquietanti, che gettano ombre perfino su importantissime nomine di magistrati? "La nostra inchiesta non aveva questi obiettivi. L'indagine dei carabinieri di Roma era iniziata nei confronti di alcuni camorristi, o presunti tali, che avevano progettato di realizzare casinò online e gestire un giro di scommesse di livello nazionale e internazionale. Questa era l'inchiesta iniziale". E invece cosa è accaduto? "Intercettando alcuni indagati napoletani sono spuntate vicende distinte che avevano una rilevanza penale e quindi abbiamo messo sotto controllo altre utenze". E che cosa è emerso? "L'ordinanza di custodia cautelare è pubblica ed anche gli atti dell'inchiesta sono stati messi a disposizione degli avvocati, quindi è tutto noto o quasi". Non ha provato imbarazzo quando dalle intercettazioni sono emersi collegamenti tra esponenti della politica, delle istituzioni e della magistratura? Le è toccato di imbattersi in magistrati che chiedevano la "sponsorizzazione" di ex della P2 per farsi nominare ai vertici dei palazzi di giustizia, e in altri magistrati che avrebbero coordinato la preparazione di "dossier" nei confronti di personaggi politici. "Certamente non avrei immaginato una cosa del genere. Io sto coordinando le indagini e non posso entrare nel merito delle specifiche questioni. È chiaro che sono sorprendenti certe frequentazioni". Tra le ipotesi di reato contestate ad alcuni indagati c'è quella della violazione della legge-Anselmi, quella sulle associazioni segrete varata dopo la scoperta della loggia P2. Si può parlare dunque di "P3"? "Sono un magistrato, che tra l'altro sta svolgendo proprio questa inchiesta, quindi non posso darle una risposta. Sugli argomenti specifici non posso proprio parlare, me lo vieta la legge". Resta il fatto che il contenuto degli atti giudiziari è preoccupante. Ci sono state dimissioni di esponenti delle istituzioni: il sottosegretario Cosentino e l'assessore campano Sica. Alcuni suoi colleghi magistrati si sono dimessi ed altri sono nel mirino del Csm, lo stesso organismo che avrebbe subito pressioni da alcuni degli arrestati. "E' certo che siamo di fronte ad alcuni esponenti della criminalità e di altri personaggi che in vari modi comunicavano con le istituzioni. Ripeto: sono molto sorprendenti certe frequentazioni e conoscenze. Non si tratta solo di vicende penalmente rilevanti ma anche di momenti di vita democratica condizionati da interventi "esterni" non proprio limpidi". Emerge anche che alcuni suoi colleghi, magistrati di Cassazione, Csm e Corte d'Appello, avevano frequentazioni assidue con gli indagati che suggerivano candidati e nomine, e che tentavano di aggiustare processi. Ci può dire se parti di questa inchiesta sono già state trasferite ad altre procure per competenza territoriale? "È una domanda alla quale non posso rispondere perché sarebbe una violazione di legge". Questa inchiesta ha svelato affari illegali, reati veri e propri. Senza le intercettazioni, sareste stato possibile? "Non voglio entrare nel dibattito politico sulle intercettazioni. Ma è chiaro che senza le intercettazioni non avremmo scoperto nulla. Trattandosi di un'associazione segreta, quindi clandestina, senza le intercettazioni non avremmo scoperto nulla perché era necessario indagare dall'interno. E delle due l'una: o le intercettazioni telefoniche o una "gola profonda". Quindi o c'è un mezzo tecnico, in questo caso le intercettazioni, oppure qualcuno che dall'interno collabora con gli investigatori". (17 luglio 2010)
Fondi neri, le carte che accusano Finmeccanica "Cola uomo Sismi". Le amnesie di Guarguaglini Spuntano altri 4 milioni e mezzo di dollari riciclati fra la Svizzera e New York. I vertici sapevano dell'operazione "Digint", la piccola società informatica di proprietà per il 49% del colosso e per il 51% di Mokbel, e ne approvarono i termini finanziari di CARLO BONINI, MARIA ELENA VINCENZI Fondi neri, le carte che accusano Finmeccanica "Cola uomo Sismi". Le amnesie di Guarguaglini Pier Francesco Guarguaglini ROMA - I vertici di Finmeccanica sapevano dell'operazione "Digint", ne approvarono i termini finanziari, chiesero che la partecipazione dell'azienda fosse "schermata" da una società fiduciaria lussemburghese, una scatola vuota che avrebbe dovuto nascondere i nomi dei soci di quell'avventura - la "banda Mokbel" - e che avrebbe consentito la costituzione di una provvigione nera di 7 milioni e mezzo di dollari versati su due conti svizzeri di Lorenzo Cola. "L'uomo del Presidente" arrestato per riciclaggio l'8 luglio, suo consigliori di famiglia "almeno dal 1997". E, si scopre ora, pedina del Sismi, la nostra intelligence militare, che all'operazione Digint diede uno dei primi input. Gli atti depositati dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo al Tribunale del Riesame (che ha fissato per la prossima settimana la decisione sulla richiesta di scarcerazione presentata dagli avvocati Franco Coppi e Ottavio Marotta, legali di Cola) scrivono un nuovo cruciale capitolo dell'affaire che toglie il sonno a Pier Francesco Guarguaglini. Di più: documentano la sua drammatica testimonianza di lunedì 12 luglio, quando, di fronte ai pm, le sue parole, i suoi "ricordi" vengono smentiti non solo dagli atti interni dell'azienda, ma da uno degli uomini a lui più vicini, il direttore generale di Finmeccanica Giorgio Zappa. "IL PRESIDENTE, COLA E IL SISMI" Il calvario di Finmeccanica comincia giovedì 8 luglio, con l'arresto di Lorenzo Cola, ma prosegue venerdì 9 luglio. Quando, alle 14.55, negli uffici della Procura, depone Giuseppe Mongiello. Il professionista, 47 anni, veneziano, è il responsabile del settore fiscale dello "Studio Legale Tributario", partner di "Ernst&Young" e come tale incaricato, tra il 2007 e il 2008, di predisporre per conto "del cliente Finmeccanica" l'operazione Digint. "I miei rapporti con Finmeccanica - esordisce Mongiello - sono con il presidente Guarguaglini, con il responsabile delle comunicazioni Borgogni, con il responsabile del settore fiscale Correale. Ho conosciuto Lorenzo Cola a metà del 2006 e mi venne presentato da Guarguaglini o da persona a lui vicina come "consulente esterno". Posso dire però con tranquillità che, successivamente, ho incontrato varie volte Cola in Finmeccanica con Guarguaglini e ho avuto la conferma dei rapporti molto stretti tra i due. Posso qualificare Cola se non come "il braccio destro" di Guarguaglini, sicuramente come uomo di sua fiducia". Cola, dunque, non è esattamente uno dei tanti consulenti, come l'azienda ha maldestramente provato ad accreditare sin qui. Cola "è Finmeccanica". E anche qualcosa di più. "Cola - ricorda Mongiello - mi disse che Finmeccanica era intenzionata a rilevare una tecnologia di avanguardia per la protezione da intrusioni informatiche di cui era in possesso la società "Ikon". Ma con modalità riservate. Ricordo che la prima volta Cola mi parlò di questa cosa a casa sua, a Milano, alla presenza di un militare, tale Maurizio Pozzi, che si presentò come capocentro Sismi di Milano e che ora so essere a capo della sicurezza di "Alenia nord America"". Non è tutto. "Cola mi disse che la tecnologia Ikon gli era stata segnalata proprio da Pozzi, il capo centro Sismi. E da allora ho sempre ritenuto che Cola fosse vicino o comunque collegato ai Servizi. Questa circostanza, unitamente al fatto che Cola mi era stato presentato dai massimi vertici di Finmeccanica, mi induceva a non fare molte domande sulle operazioni che mi venivano richieste". Se Mongiello ha ragione, Cola è dunque, insieme, braccio di Finmeccanica e ventriloquo del Sismi. É un fatto che l'operazione "Digint", la sua architettura societaria, con la costituzione della fiduciaria lussemburghese (la "Financial Lincoln") che controlla le quote di Digint, non incontra un solo ostacolo nei vertici dell'azienda. Danno semaforo verde Luca Manuelli, allora amministratore delegato di "Finmeccanica group service" ("Ho assistito alle sue telefonate con Guarguaglini", ricorda Mongiello) e Lorenzo Borgogni, direttore delle relazioni esterne. Finmeccanica acquisisce il 49% delle azioni "Digint", mettendone in vendita il 51%, che verrà acquistato dalla "banda Mokbel" per un prezzo esorbitante (8 milioni e 300 mila dollari), da cui verrà ritagliata la provvigione nera di 7 milioni e mezzo di dollari. Di più, "Digint" acquista da "Ikon" la famosa tecnologia che nessuna società del gruppo Finmeccanica utilizzerà mai. E soci di "Ikon" sono persone nel cuore dell'azienda. Nicola Mugnato (uomo di Borgogni) ed Enrico Albini, ex funzionario della Digos. Chiosa Mongiello: "Ho sempre ritenuto che l'operazione Digint fosse economicamente neutra e quando ho letto sui giornali che Cola avrebbe ricevuto come pagamento per questa società 8 milioni e 300 mila dollari sono rimasto sbalordito". GLI INCONTRI CON LA "BANDA" E 4 MILIONI MISTERIOSI Mongiello ricorda nitidamente gli incontri con la "Banda Mokbel". "Con Marco Toseroni, il senatore Nicola Di Girolamo e Marco Iannilli, che mi era stato presentato come il commercialista di Cola e che verificai nel tempo essere la persona che si occupava di tutti gli affari di Cola". Iannilli è l'uomo che, nel 2008, per sua stessa ammissione, gira per conto di Mokbel sui conti svizzeri ("Yorkel" e "Riolite") dell'"Uomo del Presidente" i 7 milioni e mezzo di dollari della provvigione nera di Digint. Ma è anche l'uomo che lavora per Finmeccanica nella controllata Selex e, si scopre ora, che nel 2007 gira, sempre a Cola e per ragioni al momento misteriose, altri 4 milioni e 600 mila dollari. Lo racconta ai pm Corrado Prandi, padovano di 40 anni, che gestisce i conti in Svizzera di Cola. Nel suo verbale - pieno di "omissis" - del 13 luglio, dice: "Le somme, che arrivavano dalle società "Gartime" e "Emerald" riferibili a Iannilli, furono trasferite dalla Svizzera sul conto di Cola "Pamegard" a Londra e da qui a New York per l'acquisto di un immobile che non andò a buon fine. A quel punto, la somma venne divisa. Due milioni rientrarono in Svizzera e due milioni rimasero in un trust in America. Cola, alla fine, li utilizzò per comprare un appartamento a New York all'85esima strada". GUARGUAGLINI: "COLA CHI? L'HO FREQUENTATO POCO" Cola di qua, Cola di là. Operazioni di consulenza importanti (Mongiello ricorda l'acquisizione della americana "DRS technologies," quinto contractor della difesa Usa, e l'operazione di vendita degli elicotteri "C27Jspartan"). Soldi che viaggiano tra Svizzera, Londra, New York. Il Sismi. Eppure, Guarguaglini cade dal pero. Alle 17 del 12 luglio, i pm raccolgono una testimonianza che - nonostante i molti "omissis" - si rivela drammatica, costantemente sul filo della reticenza. "Dell'operazione Digint - dice il Presidente - mi sono occupato solo delle linee generali. So che aveva avuto una valutazione positiva da Claudio Chierici, direttore tecnico di Finmeccanica. Quanto a Cola, l'ho conosciuto alla fine del 2006, inizi 2007 e l'ho frequentato poco". "Non conosco Mokbel, né Toseroni, né Di Girolamo". E' vero, concede il Presidente, ho incontrato l'avvocato Chandra (traffichino di Singapore imbarcato dalla banda Mokbel nell'affare Digint). "Me lo presentò Cola, che mi disse che aveva conoscenze importanti nel governo dell'Indonesia. Che quel governo aveva budget importanti nella Difesa e questo poteva interessare il nostro Gruppo". Per il resto, Guarguaglini non vede, non sa, non chiede. "Ammetto - dice davanti agli stupefatti pm - che può sembrare strano che non abbia chiesto informazioni a Zappa dopo l'arresto di Toseroni e dopo che i giornali avevano pubblicato notizia dei suoi incontri proprio con Toseroni e Chandra". Non ricorda (gliela devono mostrare i pm) la nota che, nell'aprile 2007, gli viene inviata per renderlo consapevole del "veicolo" lussemburghese (la "Financial Lincoln") che deve schermare l'operazione Digint. Purtroppo per Guarguaglini, oltre a Mongiello, lo smentirà anche Zappa. Interrogato il giorno successivo, dice di Cola: "Lo conobbi nel 2005, un anno dopo il mio arrivo in Finmeccanica. Frequentava il settimo piano di piazza Montegrappa (la presidenza ndr.). Mi disse che arrivava da "Selex" (società del gruppo di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie di Guarguaglini ndr.) e che conosceva il Presidente e la moglie da circa, 7, 8 anni". (17 luglio 2010)
P3, Cosentino interrogato per 4 ore "Mai tentato di screditare Caldoro" L'ex sottosegretario all'economia è stato sentito in qualità di indagato per associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete. Il legale del premier: "Berlusconi non è Cesare". Casini: "Dal presidente del Consiglio segnali di debolezza". Gasparri attacca il procuratore aggiunto Capaldo P3, Cosentino interrogato per 4 ore "Mai tentato di screditare Caldoro" ROMA - "Ho trovato i magistrati molto gentili e disponibili ad ascoltare. Ritengo di avere chiarito la mia posizione". Dopo quattro ore di interrogatorio davanti al magistrati della Procura di Roma, l'ex sottosegretario Nicola Cosentino, indagato per associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete, ostenta ottimismo: "Ho risposto a tutte le domande che mi sono state fatte. In particolare Cosentino doveva chiarire la sua posizione sull'accelerazione dell'iter del ricorso in Cassazione presentato contro la richiesta di arresto fatta dai pm di Napoli e al tentativo di discredito dell'attuale governatore della Campania Stefano Caldoro. Vale la pena di ricordare, infatti, che il gruppo di Flavio Carboni, arrestato nelle scorse settimane, aveva puntato su Cosentino per la candidatura alla presidenza della Regione Campania al posto dell'attuale governatore Stefano Caldoro. Oggi, davanti ai magistranti, Cosentino ha negato di aver tentato di screditare Caldoro. Ghedini. "Cesare non è Berlusconi". Niccolò Ghedini, parlamentare del Pdl e avvocato del premier, nega che sia il presidente del Consiglio quel "Cesare" 1 che compare a più riprese nei colloqui dei personaggi coinvolti nello scandalo della cosidetta P3. E lo fa sottolineando un'incongruenze tra le cose dette e gli impegni del premier. "In una intercettazione fra Carboni e Martino del 16.9.2009, un mercoledì, si legge testualmente che Cesare è a Catania e rientra sabato e si dice che possa rientrare venerdì sera e che non sarebbe andato al Congresso - dice il legale - Ma Berlusconi quel fine settimana non è mai stato a Catania. Questo dimostra che sono solo illazioni". Capaldo. "L'atto istruttorio nei confronti di Cosentino non ha riguardato le intercettazioni telefoniche visto che queste non possono essere utilizzate quando riguardano imputati parlamentari" spiega il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo. Gasparri. Di "inaccettabile intervista in cui emette sentenze basandosi solo su valutazioni di carattere politico" parla Maurizio Gasparri. A far infuriare il presidente del senatori del Pdl è il colloquio di Capaldo 2 con Repubblica pubblicato stamattina. "Non c'è ancora limite alle smanie personali. Vorremmo ricordare che le sentenze le emettono i giudici in tribunale e a conclusione di indagini. Non attraverso la stampa - continua Gasparri - Queste condanne politico-mediatiche preventive sono una cronica abitudine di una parte della magistratura italiana che non rende onore alla categoria". Le reazioni. Nonostante i guai giudiziari, il Pdl fa quadrato. "Le dimissioni di Denis Verdini e Giacomo Caliendo non sono nemmeno ipotizzabili - taglia corto Sandro Bondi, coordinatore del Pdl, intervistato da SkyTg24 - La stella polare del Pdl sono la legalità e la correttezza e non il giustizialismo, cioè la condanna preventiva". Ma dal leader dell'Udc, Pierferdinando Casini arriva un avvertimento al governo: "Berlusconi dice che la vicenda dell'inchiesta eolico è soltanto una 'montatura vergognosa 3 e questo è un segno di impotenza". Poi una frecciata a Berlusconi: "Quando si è ai vertici dello Stato o di un partito bisognerebbe stare attenti a chi si frequenta. Insomma, io ci penserei bene prima di andare a cena con Carboni..." (17 luglio 2010)
Dossier, calunnie e voti comprati la macchina del fango targata Cosentino Quando si dà fastidio al governo, o un politico viene scelto al posto di un altro più potente ma indagato dall'antimafia, si attiva una macchina fatta di dossier: giornalisti conniventi e politici faccendieri cercano di delegittimare i rivaliCosì si è organizzato il gruppo che voleva delegittimare Caldoro candidato prescelto dopo che Nicola Cosentino è stato accusato di essere a disposizione del clan dei Casalesi di ROBERTO SAVIANO Dossier, calunnie e voti comprati la macchina del fango targata Cosentino Nicola Cosentino QUANDO si dà fastidio al governo o a chi comanda cosa succede in Italia? Quando un politico viene scelto al posto di un altro più potente ma indagato dall'antimafia cosa accade? Ora lo vediamo. In quel momento, infatti, si attiva una macchina fatta di dossier: giornalisti conniventi e politici faccendieri cercano attraverso media e ricatti di delegittimare i rivali. Così succede a chi non si allinea, fango, voci, raccolta dei vizi, sgretolamento delle virtù. Un mestiere in cui alcuni cronisti campani sono maestri, un meccanismo che in Campania è remunerativo più che altrove. Leggere le indagini di questi ultimi giorni 1 prende allo stomaco, crea vertigine. Per questo tutti devono sapere e chi non reagisce sceglie, in qualche modo, di essere complice. Provate a leggere e capire quanto organizza Nicola Consentino insieme a Arcangelo Martino, Pasquale Lombardi, Flavio Carboni, Ernesto Sica. Con un aiuto fondamentale. Quello del Presidente della Corte di Appello di Salerno perché secondo i carabinieri "Umberto Marconi 2 dà una consulenza giuridica a tutta l'operazione e connette le informazioni all'ambiente giornalistico e giudiziario". Il gruppo si organizza per cercare di delegittimare Stefano Caldoro candidato prescelto dopo che Nicola Cosentino è stato accusato dalla procura di Napoli di essere un politico e un imprenditore a disposizione del clan dei Casalesi e da questi costruito. Berlusconi è informato 3 - da quanto emerge nelle intercettazioni - di tutto. Attraverso Denis Verdini a Roma tutti sanno cosa sta facendo la banda del fango. Lasciano fare, per capire effettivamente se la diffamazione di Caldoro può oscurare le accuse di mafia a Cosentino. Tutto questo avviene inaspettatamente, essendo Caldoro un pupillo di Berlusconi, ma Cosentino è più potente più utile, e sa molte cose. Fino alla fine, il gruppo aspetta di convincere Berlusconi, che monitora e attende sino all'ultima ora disponibile per vedere se il piano viene realizzato o invece l'opinione pubblica ne resta indifferente. Cosentino vuole assolutamente diventare presidente della Regione Campania, e chi gli è intorno sa che con Cosentino presidente della Regione gli affari sarebbero esponenziali e quindi il gruppo - secondo l'indagine dei Carabinieri di Roma - inizia a raccogliere informazioni su Caldoro 4. La prima cosa che colpisce è che l'elemento chiave sono i suoi presunti rapporti omosessuali. L'omosessualità che attribuiscono a Caldoro diventa strumento di delegittimazione. Ed è una dimostrazione dell'arretramento della cultura politica. Quale sarebbe il "reato" o lo scandalo nell'essere omosessuale? Cosentino e il suo gruppo contano invece sul fatto che legare la vicenda Marrazzo a quella di Caldoro può incidere sull'opinione pubblica. L'obiettivo è fare pressioni sul Pdl romano, poiché, evidentemente, il sospetto di essere gay pesa più dell'essere indagati dall'antimafia. Emerge dalle intercettazioni che questa è la trovata di Cosentino e infatti alcuni vengono investiti del compito di compilare un dossier su Caldoro e i presunti suoi amanti uomini. Il dossier stenta ad arrivare e Martino e Cosentino sono preoccupati. Temono che tutto possa essere solo una storia di voci. Da dire con la "bocca". Loro voglio carte, dossier, dettagli da poter usare: Cosentino: Ma quell'amico la relazione l'ha portata no? Martino: L'ho chiamato sta venendo.. detto tra me e te mi sono anche molto arrabbiato nicò perché sono scocciato Cosentino: questo vuole piglià per il culo Martino: ho detto con la bocca con la bocca si mangiano i maccheroni diceva totò Cosentino: bravissimo bravissimo Martino: (...) Porta la cazzo di relazione perché sennò la scrivo io e non ne parliamo più Cosentino: bravo bravo bravo Martino: Se sai scrivere se poi non sai scrivere io lo so fare perché non sono fesso sono pure un poco laureato come te io non so che cazzo faccia nella vita.. Cosentino: non lo so manco io Martino: forse farà i pompini pure lui che ne so ci stanno tanta gente qua Caldoro coso.. tutti questi fanno questo. Tutti. I bocchini. Cosentino: I bocchiniani La battuta sul cognome di Italo Bocchino è scontata ma Martino riconosce a Cosentino il merito di aver descritto bene la corrente che gli si oppone nel Pdl Campania: Martino: Ma tu mi.. assai quando dicesti quel gruppo di ricchioni, di frocetti, di frocetti Cosentino: di frocetti ma io sono lungimirante... Martino: È lo so no tu sta cosa te la porti appresso perché sei stato un grande Cosentino: si si il fatto dei frocetti questo rimarà nella storia Martino è entusiasta della trovata di Cosentino di mostrare che i suoi rivali siano gay ed è convinto di poter aver un consenso enorme dall'elettorato su questa vicenda: Martino: io lo dirò nella prossima conferenza stampa che farò allo stadio San Paolo con te, ti porterò 70, 80 mila persone. Ma te lo giuro tu pensi che io scherzo nicò Così si forma il gruppo, si affidano "indagini" per capire. I giornalisti sono "guaglioni è barbiere" ossia "ragazzi di barbiere" che lavorano per loro, i testimoni vengono definiti "cantatori" perché cantano storie e dettagli sulla vita privata del loro rivale. Così le informazioni vengono raccolte. Martino e Sica si sentono su questo. Martino: si! Sica: è abbastanza chiaro? M: si è chiaro ma vedo solo... S: questo è... queste sono diciamo... M: solo date praticamente! S: no è dove c'è la certificazione! Mo bisogna vedè diciamo... anche la fotocopia delle cose vabbuò?! E ciooè ... qua sembra.... M: Ma io vedo... vedo soltanto ... S: le date e i... e i luoghi M: ehehe... e i luoghi... luoghi.. S: eh! M: eh poi non vedo più niente qua dice particolarmente etc etc S: eh! è dice M: poi basta non c'è più niente eheh! Non c'è un... un... unnnn.... Martino vorrebbe i nomi delle persone che Caldoro avrebbe incontrato, Sica gli ha procurato i nomi degli hotel e gli promette anche altri documenti. Poi svela il suo piano: terrorizzare Caldoro senza diffondere le notizie. Sica: ... quello già sbanda perché sono veritiere voglio dire! Adesso tutto il resto veramente è contorno perché la ci sta proprio nome e cognome! Quindi basta che tu gli dici ma tu gli dici il 19 settembre sei andato la! Quello... poi dopo di che veramente .... mo bisognerebbe avere una copia... una cazzata perché queste sono leeee perché poi lì lui lì andava bimestralmente il vizio è pesante ehhhh Caldoro diventa un problema vero per Cosentino, perché lui ha il potere elettorale e imprenditoriale ma Caldoro è più presentabile. Martino nell'intercettazione è chiaro. Bisogna eliminare la candidatura di Caldoro definito "culattone" nell'ottica tipica napoletana che chiama "ricchione" il gay povero e "culattone" il gay ricco. Martino: "Qua la cosa importante è culattone... e domani dice: vabbuò togliamo a culattone adesso parliamo". Cosentino: bravo bravo bravo.... d'accordissimo questo è l'obiettivo principale poi tutto il resto è... La costruzione del dossier è partita. Parlano con Denis Verdini, cercano Berlusconi, li avvertono che girano queste voci. Martino e Cosentino non si fidano dei loro "contatti" con Berlusconi. Li definiscono tutti uomini con la "posta", con una taglia, una paura, un ricatto. Martino arriva persino a dare dello "stronzo" a Berlusconi perché non capisce chi ha il potere e chi è invece solo un "frocetto" Martino: Sono tutti femminielli e frocetti capito Cosentino: Davanti fanno eh bravo davanti fanno la cosa poi quando vanno di fronte al Cavaliere ognuno si vede la posta capito? M: E quello il Cavaliere per questo è uno stronzo solo la gente come me può dire che è no stronzo Non vengono stoppati. Sembra piuttosto che vogliano aspettare le reazioni dei loro elettori. Cosentino e Martino si sentono dopo aver ricevuto una nuova versione del dossier. Sono contenti del risultato. Martino: allora lì ci sono tutte cose circostanziate definite e puntuali di date di dove va ma va fino all'altro ieri eh? Attenzione Cosentino: Ah... M: questo è metodico C: addirittura M: fino all'altro... si è metodico ma fino all'altro ieri, e l'ha sanno ovviamente con chi va tra i clienti è molto conosciuto. Chi si porta alti belli biondi. Coso... occhi azzurri eccetera (...) Ogni volta che parlano dei presunti compagni di Caldoro sono sempre più precisi nella descrizione fisica e si trovano spesso riferimenti a "persone fonti". Il che fa pensare che siano loro stessi a "costruire" le persone per gli incontri. Ma c'è di più, di peggio. C'è un passaggio in cui Cosentino chiede a Martino se c'è solo la vicenda dell'omosessualità o anche "l'altro". "L'altro" secondo i Carabinieri è il tentativo di fabbricare un'accusa di camorra. Così da pareggiare la partita. Camorra Cosentino, camorra Caldoro. Ma su di lui peserebbe anche il "sospetto" di essere gay. Prendi un vecchio pentito, fuori dai giochi e gli fai sparare qualche accusa, il tempo di finire sui giornali; poi magari i pm dimostrano che è falsa, ma intanto il fango ti è arrivato. Un vecchio gioco delle organizzazioni criminali che solo procure antimafia forti e integerrime riescono a sventare. La logica qui è la medesima dei quotidiani della loro area, ossia sostenere che niente è pulito, tutto è sporco, tutti si è uguali nei vizi e negli interessi. Dunque nessuno può fare la morale. La macchina del fango vive di questo desiderio di mettere tutti sullo stesso piano: tutti corrotti, tutti viziosi. Un meccanismo che si riesce a bloccare quando non si contrappongono più santi a demoni, ma piuttosto quando si dimostra che pur nella contraddizione che è degli esseri umani, gli interessi sono diversi, le azioni sono diverse. E anche le debolezze sono diverse. Cosentino: la relazione riguarda soltanto quell'aspetto là... o pure l'altro... Martino: no l'altro c'è pure quello, però questo è una cosa che come fece quel Piero là C: mm, si si M: che poi è stato visto tutto dopo, qua lo si vede prima, e scusate questo lo fa tutti i giorni mo, e con queste date ovviamente appena esce ci sta chi le mette fuori C: vabbè vabbè M: ci fa il servizio anche ben probante e pulito (...) M: io credo questa sia la svolta C: È' finita.. Invece non è finita per niente. Il dossier non sortisce effetto. Allora Pasquale Lombardi 5 geometra avellinese, faccendiere che ha relazioni con i poteri che contano, giudici, imprenditori, politici, e che vuole la candidatura di Cosentino, spinge per far uscire il dossier sulla stampa. Non alla loro stampa: sarebbe troppo chiaro il disegno. Propone di dare il dossier alla redazione di Repubblica a Napoli, sperando che venga pubblicata perché è contro il centrodestra. Ma il tentativo non riesce. Lombardi: Ma chest sai che bulemm fa? Piuttosto na cosa di chest potrebbe essere data a la Repubblica in una busta accussi, virit che succer', anche questo...(ma questo sai che vogliamo fare piuttosto una cosa di questa potrebbe essere data a la Repubblica in una busta così vedete che succede anche questo) Ma a questo punto la banda del fango non può più sperare che la cosa sia risolta da Roma, anche perché la Cassazione respinge il ricorso di Nicola Cosentino. Sembrano nulle le possibilità di essere il prossimo Presidente della Regione Campania. Eppure ha la certezza dei voti, ha il piano degli affari, tutto gli sembra così vicino. Il pentito da usare contro Caldoro è Bruno Rossi ex boss della zona di Fuorigrotta che avrebbe dovuto parlare di una alleanza tra lui e Caldoro negli anni '90 contro Amato Lamberti. Martino riceve un sms: "Dici a nicola che dovrebbe uscire il rapporto di Caldoro con i trans forse del problema ha parlato anche un pentito. Che fine abbiamo fatto siamo finiti in un mondo di froci. Povero Berlusconi." Esce infatti l'articolo, vero e proprio capolavoro di intimidazione. Esce su un blog, www. campaniaelezioni. altervista. org. Un blog visto da pochissimi. Ma anche questa è una logica rodata e molto utilizzata in Campania. Di cronisti frustrati e licenziati ce ne sono tanti. Il blog ti mette al riparo dalle querele, al massimo viene chiusa la pagina, ma permette che la notizia arrivi agli addetti ai lavori. Così le redazioni dei giornali vengono a sapere informazioni private su Caldoro. Un articolo che pubblica esattamente il dossier voluto dalla banda del fango e che finge di essere a favore di Caldoro, dicendo che "è una valanga di sterco caduta a valle", fa riferimento al "sobrio" Caldoro scelto al posto di Cosentino. Finge di difenderlo ma diffonde il fango. Appena esce il blog, Sica e Martino ricevono molte telefonate preoccupate. Fingono di non sapere niente. Martino riceve mentre è a cena davanti ad altri del partito la telefonata di Sica. È una messa in scena. Sica: Mo mo stavo leggendo ho visto internet na cosa campagna elezioni per esempio ma pure un altro blog come si chiama elezioni. it (..) sul conto del candidato nostro una cosa incredibile dice: un marrazzo in campania, nuovo caso Marrazzo Martino: Vabbè è un attacco di merda ma come si permettono Recitano la parte dei "feriti dalla notizia" e chi è lì al tavolo ovviamente prende atto che loro non ne sapevano nulla. Ed invece il sindaco di Pontecagnano (e assessore regionale poi costretto alle dimissioni) Sica e Arcangelo Martino sanno tutto, sono loro gli artefici di quel dossier. Sperano che Annozero, avendo due campani, come Santoro e Ruotolo a gestire la trasmissione si occupi con maggior dettaglio della vicenda Caldoro, e sperano che pur di battere il Pdl, De Luca il candidato del centrosinistra sia disposto a riprendere le notizie del dossier. Guardano con piacere che si sta diffondendo in tutte le redazioni la notizia, anche se non esce su nessun grande giornale, tutti ne parlano e il vento della calunnia diventa tempesta, sperano Caldoro si ritiri terrorizzato, che la sua famiglia possa rompersi, vogliono minare il suo equilibrio. Fino alla fine sperano di poter vedere Caldoro inciampare così da dimostrare che Cosentino solo avrebbe potuto traghettare alla vittoria il Pdl. La notizia si diffonde ovunque e Sica e Martino iniziano ad accusare la "sinistra" di diffondere il dossier costruito da loro, addirittura dicono che è una "porcata". A leggere sembra che pensino di essere intercettati e quindi vogliono dare la colpa ad altri, o forse sono rimasti talmente impressionati dalla diffusione del dossier che pensano davvero che i "nemici" politici lo stiano sfruttando. Martino: queste sono porcate ma secondo te è la sinistra che sta facendo sta cosa? S: io penso di si sono.. M: La sinistra eh... S: quelle porcate che si fanno proprio... S: quelle porcate che fanno sotto elezioni sti delinquenti pensa un po' che oggi ho parlato con uno... questi verseranno ancora altro veleno sopra tutto diciamo il gruppo storico che si... monnezza solo su monnezza, un clima proprio mammamia M: addirittura? Un clima proprio terribile che verrà fuori domani su Annozero S: domani c'è Annozero, quello De Luca se lo mangia voglio dire non c'è partita. Cosentino e co. Dopo che Caldoro viene designato come candidato, cercano in extremis di puntare su Lettieri che gli garantirebbe, a leggere le cose che dicono, le stesse condizioni di Cosentino. Ma neanche Lettieri verrà poi prescelto. A quel punto la banda del fango vuole portare i voti al centrosinistra per punire Caldoro: "Arcangelo dice che farà un pensiero su De Luca"... "Arcangelo gli dice che anche lui a questo punto è orientato a spostarsi a sinistra" sono le ultime intercettazioni. Dall'altra parte bassoliniani ostili a De Luca votano Caldoro. Tutto diventa una battaglia tra bande che comprano voti e non c'entra più nulla l'idea, la passione politica, il programma, il piano, la Campania diviene l'emblema di questo Paese. Il paese intero, governo in testa, ricattato da questo sistema. Cosentino ne esce apparentemente sconfitto quando l'informazione nazionale si occupa di lui costringendo i suoi a non candidarlo. Ma sa di avere sotto ricatto molti, sa di essere il politico che conta, con i voti, i soldi, le informazioni. Ma sembra che il suo potere continui a sopravvivere soprattutto nei dossier e nella capacità di egemonizzare con il suo ruolo il ciclo dei rifiuti: perdi Cosentino, la Campania torna a sommergersi di rifiuti. E questo il governo non può permetterselo, avendo sbandierato la finta soluzione dell'emergenza rifiuti. Qualunque sia il tuo stile di vita, qualunque sia il tuo lavoro, qualunque sia il tuo pensiero, se ti poni contro certi poteri questi risponderanno sempre con un'unica strategia: delegittimare. Delegittimare il rivale agli occhi della pubblica opinione, cercare di renderlo nudo raccontando storie su di lui, descrivere comportamenti intimi per metterlo in difficoltà, così che le persone quando lo vedono comparire in pubblico possano tenere in mente le immagini raccontate e non considerarlo credibile. Un vecchio boss della Nuova Famiglia, Pasquale Galasso, alla domanda "Perché non uccidete magistrati?" rispose chiaramente: "Signor giudice noi preferiamo delegittimarli". ©2010 Roberto Saviano/Agenzia Santachiara (17 luglio 2010) 2010-07-16 La corruzione nel nome di Cesare Le carte dell'inchiesta sulla nuova P3 scoprono l'abisso nel quale stava e sta tuttora per precipitare la nostra democrazia. Un metodo di governo e un sistema di potere costruito per servire gli interessi personali del presidente del Consiglio di MASSIMO GIANNINI La corruzione nel nome di Cesare IN nome di "Cesare" 1. Le carte dell'inchiesta sulla nuova P3 scoprono l'abisso nel quale stava e sta tuttora per precipitare la nostra democrazia. In mano a una "cupola" che, sul Lodo Alfano, non ha esitato a giocare una partita mortale, dentro e contro lo Stato di diritto. L'ha persa, ma non per questo appare oggi meno pericolosa. Perché il "metodo di governo" che c'è dietro, il "sistema di potere" che organizza e difende, è costruito per servire gli interessi personali del presidente del Consiglio, e per riprodurne i metodi corruttivi all'interno del tessuto politico, del contesto economico e dell'apparato istituzionale. La pericolosità criminale di questa "rete" al servizio di Silvio Berlusconi viene fuori con paurosa chiarezza, a leggere le centinaia di pagine dei verbali. Si resta allibiti nel verificare la frenetica "attività" del comitato d'affari, riunito intorno al coordinatore di fiducia del Cavaliere dentro al Pdl Denis Verdini, al suo braccio destro nell'avventura di Publitalia e di Forza Italia Marcello Dell'Utri, al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, e a personaggi come Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. Tutti impegnati, a vario titolo e con funzioni diverse, a cercare di condizionare la decisione dei quindici giudici costituzionali chiamati a decidere sulla legittimità del Lodo. Tutti ingaggiati, probabilmente, dallo stesso premier: col quale hanno incontri, al quale devono costantemente riferire. Altro che "quattro sfigati in pensione": queste carte ci dicono che a cavallo di quel settembre/ottobre del 2009 ci fu un vero e proprio "assedio" agli ermellini della Corte, per estorcergli un verdetto positivo da consegnare tra gli allori al Cesare "trionfatore", citato nelle carte ben 23 volte. Altro che gente che "trama per sei bottiglie di vino", come scherzano i giornali di famiglia: in quei giorni la posta in gioco, altissima per il Cavaliere, era il suo salvacondotto processuale, cioè la sua salvezza politica. Solo grazie ad essa la nuova P3 avrebbe potuto continuare a prosperare, nel quadro di quel collaudato "scambio di favori tra reti criminali" di cui ha parlato il procuratore antimafia Pietro Grasso. E poco importa se, alla fine, l'assedio fallì e il verdetto fu negativo: l'ultimo degli studenti di giurisprudenza sa bene che per il diritto penale il reato tentato, ancorché non consumato, non indica affatto una minore pericolosità criminale. IL VERTICE A CASA VERDINI Il lavoro è sporco, ma qualcuno lo deve pur fare. E allora l'offensiva del "gruppo di lavoro" incaricato di tutelare e di riferire "a Cesare" comincia il 22 settembre di un anno fa. Per il successivo 6 ottobre la Consulta ha fissato l'udienza nella quale deve stabilire se il Lodo Alfano viola o meno i principi di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge fissati dalla Costituzione. Non c'è tempo da perdere. Così il 22 Pasquale Lombardi, "l'uomo che sussurrava ai giudici", come ha scritto Alberto Statera, cioè l'intermediario che ha il compito di avvicinare e circuire le toghe attraverso convegni e viaggi offerti da un suo improbabile centro di studi giuridici, si attacca al telefono per convocare una riunione il giorno dopo, a casa di Denis Verdini, a Palazzo Pecci Blunt, in piazza dell'Ara Coeli. La prima telefonata è per Antonio Martone, avvocato generale della Cassazione (che per altro ha fatto domanda da procuratore generale). "Oh, ti ricordi alle tredici... poi ti do l'indirizzo preciso, ma intorno a Piazza Venezia....". La stessa telefonata Lombardi, ancora più agguerrito, la fa a Flavio Carboni: "Io sarò un poco prima, con l'elmetto in testa". Poi chiama Dell'Utri: "Mio caro Marcello, ciao, ciao...". E il plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia vuole sapere quanti saranno all'incontro. "Siamo sei noi, più te sette", spiegando che ci saranno anche tre magistrati. Poi aggiunge: "Abbiamo scoperto qualcosa che ti devo riferire di persona. sì veramente una cosa incredibilmente importante...". Il giorno dopo, alle 10, Lombardi richiama Carboni, al quale conferma: "Saremo ricevuti a casa dell'uomo verde...". Poi richiama Arcangelo Martino, e i due concordano insieme chi deve convocare a casa Verdini il sottosegretario Caliendo e Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministero della Giustizia. Di quest'ultima convocazione si occupa lo stesso Lombardi, che da a Miller le coordinate dell'appuntamento e lo saluta con un "Ok, a dopo. Un bacione...". Molto più che un rapporto confidenziale: un rapporto incestuoso, vista la sovrapposizione e il conflitto degli interessi in gioco. La stessa impressione si ricava dalla telefonata immediatamente successiva che lo stesso Lombardi fa alle 11,45 all'altro magistrato convocato. Martone ha un problema di orari: "Ho una riunione adesso, dal Procuratore, comunque spero di fare in tempo...". Il faccendiere perde la pazienza, e risponde in dialetto, non come se parlasse a una toga ma a un sottoposto: "Sì, sì, mandalo affanculo che chist nun porta voti e poi vieni adda noi...". Poco dopo le 13, dunque, il gruppo di lavoro composto da Dell'Utri, Caliendo, Martone, Miller, Lombardi Martino e Carboni si ritrova in casa di Denis Verdini. L'ordine del giorno lo si desume dalle telefonate successive, e i verbali lo riassumono così, riprendendo le parole di Lombardi: "Dovranno svolgere il seguente compito afferente la prossima decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano". La sintesi in dialetto che lo stesso Lombardi fa a Caliendo dice tutta la portata eversiva del tentativo messo in piedi da questo pezzo di anti-Stato: "Abbiamo fatto un discorso per quanto riguarda la corte costituzionale... amm' fa nu poc' nà conta a vedè quanti sonn' i nostri e quani songo i loro, per cui se putimm correre ai ripar', mettere delle bucature, siamo disponibili a fare tutto...". Non solo. Il sensale dei giudici spiega anche l'intenzione "programmatica" del gruppo: "Giustamente abbiamo fissato che ogni giorno... ogni giorno... ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra di noi e vedere andò sta o' buono e ando stà o' malamente... Io farei una ricognizione, i favorevoli e i contrari. Poi vediamo come bisognerà per vedere di raggiungere i contrari...". E per convincere il sottosegretario, Lombardi fa l'ultimo affondo, indicandogli anche una possibile ricompensa personale: "Questa è una cosa molto importante. Ormai, vagliò, ti è spianata la via per i' a fa o' ministro, o' vuoi capiscere o no?". "POI DOBBIAMO VEDERE CESARE" Avviata la "procedura" dell'infiltrazione e dell'interferenza, compare quello che potremmo definire il manovratore iniziale e, al tempo stesso, l'utilizzatore finale del meccanismo. Lombardi dice a Caliendo, nella stessa telefonata: "... Poi ammo a vedè Cesare quanto prima...". Da qui fino al 7 ottobre, data della sentenza della Corte sul Lodo, il riferimento a "Cesare" che bisogna vedere, che bisogna informare, che bisogna accontentare, diventa sistematico. Conta troppo, per Berlusconi, la pronuncia della Consulta. E il sodalizio che lavora per lui se ne rende conto. "Quattro sfigati in pensione", di nuovo? Non si direbbe, a leggere la conversazione tra un pezzo da novanta come Dell'Utri e l'antico socio negli affari sardi Carboni. "È stato un ottimo incontro", dice Dell'Utri. E il faccendiere incassa: "Ecco, questa è la parola che più mi fa piacere... amico mio... È che io non posso... non potevo fare di più, anche quando Denis mi parla, tu lo capisci, io lo lascio parlare, ma sono tutte cose che abbiamo già fatto, no?". Come dire: l'ingranaggio è già oliato da tempo. Un'ultima domanda di Carboni, infine, sembra rimandare di nuovo a "Cesare", anche se non in modo esplicito: "Era soddisfatto l'uomo, sì?". Dell'Utri rassicura: "Sì, sì, sì. Comunque soddisfatto...". Di che "uomo" stanno parlando? Cesare, Cesare e ancora Cesare. In suo nome, ancora una volta, lo stesso Carboni parla in serata al telefono con Arcangelo Martino, sia dell'avvio della missione Lodo Alfano, sia della candidatura del plurinquisito Nicola Cosentino alla Regione Campania: "Sei contento?", chiede Martino. "Sì beh, soddisfattissimo. Credo che sia già arrivato nelle stanze di Cesare, i tribuni hanno già dato notizia...", rassicura Carboni. Da quel momento in poi, parte la corsa contro il tempo per intercettare i giudici della Consulta prima dell'udienza del 6 ottobre, e per renderne conto al premier. Telefonate quotidiane. Lombardi ripete a Carboni: "Io adesso mi metto in contatto per il giorno sei, cosa bisogna fare...". E Carboni: "Sì , bravissimo, bisogna sapere i nomi...". Sullo sfondo, sempre l'ombra di Cesare. Lombardi a Martino: "Flavio ha detto che più tardi mi darà un colpo di telefono perché parlerà pure con Cesare...". Martino a Carboni, il giorno dopo, parlando dei numeri telefonici dei giudici da contattare: "Sì, queste informazioni, se bisogna fare l'incontro con Cesare...". Dal brogliaccio delle intercettazioni, a dispetto della "teoria del polverone", emerge il ruolo centrale di Verdini e Dell'Utri, come collettori di notizie e promotori di interventi sulla Consulta. Lo dice Carboni, nei giorni successivi, al telefono con Martino, chiedendogli i primi esiti della riunione a casa di Verdini: "Sono ansioso... adesso io chiamo Marcello... chiamo Denis i quali mi chiederanno, allora s'è saputa qualche notizia? Che risposta do?". Col passare dei giorni, il lavoro del gruppo verso i giudici della Consulta sembra dare qualche risultato. Si tratta di capire come voteranno i 15 ermellini in camera di consiglio. Carboni parla con Martino: "Denis, Marcello, io tu e lui aspettiamo i numeri...". La risposta sembra confortante: "Siamo ottimisti.. glielo puoi dire, diglielo...". A chi deve dirlo, il faccendiere sardo, è subito chiaro: "Diglielo a Cesare, che siamo...". "Cesare", insomma, vuole sapere quanti giudici voteranno sì al Lodo e quanti voteranno no. Nell'attesa, non disdegna aggiornamenti sul caso Cosentino e sulla sua candidatura a governatore. Ancora Martino a Carboni: "Cosentino può proseguire, credo che sia bravo come candidato...". Carboni approva: "Denis è favorevole a questo... E poi chiamo anche Cesare, d'accordo?". Ma l'ossessione principale resta il Lodo Alfano. E per avere più certezze sulle scelte dei singoli giudici, Lombardi non esita a contattare prima un esponente dell'opposizione, Renzo Lusetti, poi un altro esponente del centrodestra, Angelo Gargani: a tutti e due la stessa richiesta, il numero di telefono di un ex presidente della Consulta. Cesare Mirabelli viene effettivamente contattato, pochi giorni dopo, dallo stesso Lombardi, che saluta affettuosamente: "Presidente buongiorno, sono Pasqualino Lombardi, come andiamo?", poi gli chiede udienza: "È una cosa un po' urgentuccia...". La otterrà, sempre al telefono, il giorno successivo. Non prima di aver esultato con Martino per aver stabilito un contatto prezioso per il suo "committente". "Domattina incontrerò il personaggio più importante d'Italia..", dice. Allude ancora a "Cesare", che nel frattempo sta tampinando anche lo stesso Martino, che a sua volta chiosa: "Mio cugino Cesare vuole sapere... mi ha chiamato, mio nipote Cesare... concretezza... concretezza e risultati". LA SIGNORA DELLA CONSULTA A testimoniare tutta la pericolosità del network criminale c'è proprio la telefonata di Lombardi al presidente emerito Mirabelli: "Siccome il 6 ottobre si verificherà il lodo del ministro... in quell'occasione i suoi amici ex colleghi su che posizione staranno?". Mirabelli svicola: "Ahh, è una bella domanda...". Ma il faccendiere non molla: "Quella della Consulta che è la donna, dice che è sua amica... possiamo intervenire almeno su questa signora?". Il riferimento è a Maria Rita Saulle, giudice costituzionale, che Mirabelli conosce. Ma l'ex presidente svicola, di nuovo: "Non è che gli interventi valgano granché, eh!? Ma comunque cosa avete come iniziative?". E qui Lombardi spiega, senza tante perifrasi: "Abbiamo fatto per lo meno accertare di raggiungere un po' quasi tutti e le dico, il risultato, quattro negativi, cinque positivi, tre nì...". Poi l'estremo tentativo: "Comunque, vedi un poco se sulla signora possiamo avere un riscontro... Mi stanno mettendo in croce gli amici miei... che sono anche amici suoi...". Il primo ottobre c'è un nuovo incontro a casa Verdini. E stavolta il livello del coinvolgimento delle "toghe sporche" sale ulteriormente. Lombardi annuncia a Martino che al pranzo, oltre ai "soliti noti" Caliendo, Martone, Miller, Carboni, "viene a mangià anche o' presidente da cassazione". Cioè Vincenzo Carbone. Anche questo convivio a casa "dell'uomo verde" soddisfa tutti. Lombardi, stavolta, lo dice direttamente a Cosentino: Tutt'appost, tutt'appost, uagliò...". E del buon esito del vertice, ancora una volta, occorre che sia informato l'immancabile "Cesare". "I mo comm' stann' e cose a settiman che trase m'incontro pure co Cesare... Lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il sei ottobre...". Cioè per la data dell'udienza della Consulta sul Lodo. AL BAR DELL'EDEN, ASPETTANDO LA CORTE Tutto sembra pronto per l'ordalia del sei ottobre. La Consulta convoca l'udienza. La sentenza arriverà il giorno dopo, cioè il 7. Negli stessi minuti in cui la Corte è chiusa in camera di consiglio e sta per annunciare il verdetto, a poca distanza dal palazzo di fronte al Quirinale c'è un'altra riunione, non meno significativa. Al bar dell'Hotel Eden, in via Ludovisi, si riuniscono Dell'Utri, Carboni, Martino e Lombardi, ad aspettare il verdetto. Alle 18 e 20 Martone chiama i "quattro amici al bar", e gli dà la ferale notizia: la Corte ha bocciato il Lodo. Lombardi sbotta: "Noi nun comandamm' manco o cazz' cò sti quindici rincoglioniti...". Martino è amareggiato: "Che figura di merda, va...". Dell'Utri, uomo di mondo, è più prosaico: dice solo "eh sì, sì, va beh...". "La P3 al telefono sembra un film di Totò", ironizzano adesso i cantori berlusconiani e i frenatori terzisti, per trasformare in burletta il nuovo scandalo dell'eolico. In realtà, l'esame di questo inquietante canovaccio di contatti, di colloqui, di incontri tra Verdini, Dell'Utri, Caliendo, Cosentino e una colorita schiera di affaristi senza scrupoli, magistrati senza etica, trafficanti del sottobosco campano del Pdl, suggerisce un'altra trama. Drammatica, per chi la voglia capire fino in fondo, rifiutando le comode banalizzazioni di regime. Tragica, per chi ha a cuore lo Stato di diritto ferito a morte e le sorti di questa democrazia sempre più squalificata. La trama è quella di un gigantesco, pericoloso "Romanzo criminale". Scritto, ideato e sceneggiato "in nome di Cesare". (16 luglio 2010)
P3, Cicchitto: "Operazione distruttiva" Zanda: "premier potenzialmente ricattabile" Pdl: "Serrare le fila contro questa campagna disgregante". I fedelissimi di Berlusconi all'attacco dei giornali. Ghedini: "Pubblicati atti in violazione della legge per screditare il presidente del Consiglio". Alfano: "Non fare di tutt'erba un fascio" P3, Cicchitto: "Operazione distruttiva" Zanda: "premier potenzialmente ricattabile" Fabrizio Cicchitto ROMA - "Dai quattro pensionati" di Silvio Berlusconi, all'operazione "distruttiva contro il governo" di Fabrizio Cicchitto. Nel pieno della bufera sulla cosidetta P3 che vede coinvolti alcuni esponenti del Pdl, gli uomini del Cavaliere gridano al complotto: "C'è un'operazione politica e mediatica che punta a offuscare e a stravolgere i risultati ottenuti dal governo Berlusconi al punto tale da aprire un dibattito sulla sua imminente dissoluzione, come ha fatto ieri D'Alema la cui ipotesi di un governo di transizione è chiaramente un'esca lanciata verso qualche ipotetico settore della maggioranza" dice il presidente dei deputati del Pdl. Che parla "di una campagna distruttiva", contro la quale "è indispensabile serrare le file, realizzare un compromesso sulla legge sulle intercettazioni e riprendere il cammino riformista e modernizzatore del governo, respingendo le tendenze disgreganti e distruttive". Anche il legale del premier Niccolò Ghedini attacca "la parziale pubblicazione di atti di indagine, in palese violazione di legge", denunciando il tentativo "di gettare discredito nei confronti del presidente Berlusconi" e negando che il premier sapesse qualcosa sulle mosse degli uomini della cosidetta P3. Il legale del presidente del Consiglio minaccia: "E' evidente che saranno esperite tutte le azioni giudiziarie del caso". Che il premier sia "potenzialmente ricattabile" è la valutazione del vicepresidente dei senatori del Pd Luigi Zanda: "E' difficile dare una valutazione sulla decisione di Berlusconi di accettare le dimissioni di Cosentino senza conoscere bene i fatti specifici. Ma di certo possiamo fare considerazioni generali sul sistema di relazioni politiche costruito da Berlusconi e constatare che tutti i giorni spuntano come funghi questioni che hanno a che fare con la legge penale - ha detto Zanda in un'intervista all'Unità -. Se poi Cosentino continua a fare il coordinatore del Pdl campano perché controlla molti voti o perché ha argomenti diciamo 'più convincenti' nei confronti di Berlusconi non siamo in grado di dirlo. Ma certo esistono motivi seri di preoccupazione".
Ma il governo, per bocca del Guardasigilli Angelino Alfano, fa quadrato: "Abbiamo una certezza: che il sistema-giustizia ha dentro di sè tutti gli anticorpi per reagire. Non si può fare di tutta un'erba un fascio e non si può dare la caccia alle streghe". (16 luglio 2010)
Berlusconi: "I giornali vogliono indebolirmi" Intercettazioni: "Presto una nuova legge" Il premier ai Promotori della Libertà: "Ridaremo agli italiani la libertà di usare il telefono senza correre il rischio di veder pubblicate le proprie vicende private. Il governo lavora bene". Poi annuncia: "Ridurremo le tasse. E completeremo programma e legislaura" Berlusconi: "I giornali vogliono indebolirmi" Intercettazioni: "Presto una nuova legge" Il presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi ROMA - "Loro e i loro giornali, che continuano con le chiacchiere, gli insulti, le calunnie, i falsi teoremi per cercare di infangare e di indebolire un governo che lavora, concretamente e bene, nell'interesse di tutti gli italiani". E' un passaggio dell'audio messaggio ai Promotori della Libertà con cui Berlusconi è tornato ieri sera a difendersi sui casi giudiziari che lo coinvolgono, a elencare i successi del governo e ad attaccare le opposizioni e la stampa. "Alcuni giornali - dice il premier - stanno mettendo in atto una nuova vergognosa montatura già smentita dai fatti tentando di coinvolgere il presidente del Consiglio e il Popolo della Libertà in vicende poco chiare da cui siamo lontani anni luce". Poi aggiunge: ''Questa settimana, se ci pensate bene, ci dà ancora una volta la fotografia delle due Italie. Noi che lavoriamo insieme alla grande maggioranza degli italiani che lavorano, arrestando centinaia di criminali e varando in Senato una manovra rigorosa che mette le basi della ripresa della nostra economia che funziona". "Fango da stampa e opposizione". "Loro e i loro giornali, continuano con le chiacchiere, gli insulti, le calunnie, i falsi teoremi per cercare di infangare e di indebolire un governo che lavora, concretamente e bene, nell'interesse di tutti gli italiani". I successi del governo sono "un messaggio preciso che fa anche piazza pulita del clima assurdo e giacobino, creato da alcuni giornali che stanno mettendo in atto una nuova vergognosa montatura già smentita dai fatti tentando di coinvolgere il Presidente del Consiglio e il Popolo della libertà in vicende poco chiare da cui siamo lontani anni luce". "Siamo il pilastro del governo". Nel messaggio Berlusconi torna sul tasto del potere inamovibile perché acquisito con il voto: "Abbiamo vinto tutte le sfide elettorali, degli ultimi due anni: le elezioni politiche, le elezioni europee, le elezioni amministrative, le elezioni regionali. Siamo quindi il pilastro portante del governo, e nella realtà e nei numeri non ci sono ipotesi diverse di governo. Siamo di fronte all'ennesimo tentativo della sinistra di ribaltare per via giudiziaria il risultato delle urne, siamo di fronte all'eterna pretesa e all'eterno sogno della sinistra di far diventare maggioranza la minoranza, con un gioco di prestigio". "Presto una nuova legge sulle intercettazioni". E sul ddl intercettazioni annuncia presto una nuova legge: "Presto condurremo in porto la nuova legge per ridare agli italiani la libertà di usare il telefono senza correre il rischio di veder pubblicate sui giornali le proprie vicende private, come succede ora", ha assicurato Berlusconi. E tra le riforme che il governo ha "in cantiere" annuncia "quella del fisco, con la determinazione di ridurre la pressione fiscale". Lotta alla criminalità. 'Ancora una volta, grazie a noi e alle nuove leggi che abbiamo introdotto, lo Stato è tornato a fare lo Stato, con l'obiettivo di sconfiggere tutte le organizzazioni criminali e quindi non solo la mafia ma anche la 'ndrangheta, la camorra e la Sacra corona unita". "Noi siamo assolutamente determinati, noi vogliamo liberare l'Italia da questo male oscuro, vogliamo estirpare questo anti-Stato una volta per tutte", ha assicurato, "è una priorità del nostro governo, una priorità che ci siamo impegnati a completare entro i prossimi tre anni e a cui lavoriamo ogni giorno con forte determinazione". "E in effetti, i numeri, i fatti parlano chiaro e dimostrano che nessun governo ha fatto meglio del nostro nella storia della Repubblica italiana", ha ribadito. "Realizzeremo il programma fino in fondo". "Il nostro governo, ci piace chiamarci governo del fare - dice il presidente del Consiglio - continuerà a lavorare nei prossimi tre anni per realizzare fino in fondo il programma su cui ci siamo impegnati con gli elettori appunto durante la campagna elettorale e quindi nel nostro programma elettorale. Siatene certi: lavorando con serenità, che non ci ha mai abbandonato, come abbiamo sempre fatto, completeremo nella legislatura il nostro programma di governo, senza farci condizionare dai continui tentativi di delegittimazione di una opposizione che nella realtà continua a perdere peso e voti". Pd: "Delegittima fiducia nelle istituzioni". Dal Pd arriva la replica al premier sull'inchiesta P3. "Facendo finta di non vedere e cercando di derubricare l'indagine a gossip giornalistico - dice la capogruppo democratica in commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti -, Berlusconi, invece, non dimostra responsabilità politica e delegittima la fiducia nelle istituzioni. Ancora più goffo il tentativo di prendere distanza da un'inchiesta che ha già portato alle dimissioni del sottosegretario Cosentino e che vede coinvolto il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, e alti rappresentanti delle istituzioni. Mi sembra che ce ne sia abbastanza per tirare fuori la testa dalla sabbia". Bersani: "Seve una riscossa civile". Per Bersani, il premier invece di "minimizzare" dovrebbe andare in Parlamento a dire cosa pensa dello stato della Repubblica. "Bisogna che le intercettazioni siano garantite, che la magistratura possa fare il suo lavoro e che la politica, quando c'è qualcuno coinvolto, abbia la forza di dire dimettiti", ha sottolineato. Ma, ha aggiunto, "serve anche qualcosa di più: una riscossa civile" del Paese. (16 luglio 2010)
2010-07-15 P3, il Csm trasferisce Marra "Incompatibilità ambientale" L'avvio della procedura da parte della prima commissione del Consiglio superiore della magistratura. Il nome del togato appare in alcune intercettazioni dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico. Verrà ascoltato nei prossimi giorni. La prima reazione: "Non c'entro nulla" P3, il Csm trasferisce Marra "Incompatibilità ambientale" Una seduta del Consiglio superiore della magistratura ROMA - La prima commissione del Csm ha deciso di avviare la procedura di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale per il presidente della Corte d'Appello di Milano, Alfonso Marra, il cui nome appare in alcune intercettazioni dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico 1. La decisione è passata con quattro voti a favore. A votare per l'avvio della procedura di trasferimento di ufficio sono stati i consiglieri Pilato, Fresa, Volpi e Patrono. Non ha partecipato al voto, invece, Giuseppe Maria Berruti che nelle intercettazioni viene indicato come il consigliere che rappresentava il maggior ostacolo alla nomina di Marra. Ha votato contro il laico del centrodestra Gianfranco Anedda. La Prima Commissione, che aveva chiesto pochi giorni fa al Comitato di presidenza l'apertura di una pratica dopo gli sviluppi dell'inchiesta nella quale figurano nomi importanti della magistratura, ha deciso quindi di muoversi senza esitazioni. Di Alfonso Marra parlano alcune delle persone finite in carcere per l'inchiesta della Procura di Roma, facendo riferimento a pressioni su alcuni consiglieri del Csm per favorire la sua nomina alla guida della Corte d'Appello di Milano. Quanto agli altri magistrati - tra cui il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller - citati nell'ordinanza di custodia cautelare del gip la Prima Commissione ha disposto un'istruttoria chiedendo all'autorità giudiziaria gli atti anche per capire la loro esatta posizione e le eventuali contestazioni nei loro confronti. "Sono tranquillo - ha commentato Marra - io non c'entro niente in questa vicenda. Sono contento che il Csm abbia aperto la procedura così si chiarirà la mia posizione". Fiorella Pilato, presidente della prima Commissione del Csm, chiuderà entro lunedì prossimo il documento con le contestazioni rivolte a Marra, che verrà convocato nei prossimi giorni per essere ascoltato. Obiettivo della Prima commissione è quello di chiudere l'iter del trasferimento per incompatibilità ambientale entro la fine della consiliatura, il 31 luglio prossimo. I tempi tecnici non permetteranno di portare in plenum la questione Marra prima di settembre. Gli atti, infatti, devono essere depositati e il magistrato ha 20 giorni di tempo per mettere a punto la sua difesa. Nel frattempo, la Commissione ha chiesto all'autorità giudiziaria di Roma di riferire se vi siano anche altri magistrati coinvolti oltre a quelli già emersi dalle intercettazioni. Da notizie di stampa, infatti, alla prima Commissione risulta che in una delle intercettazioni non allegate all'ordinanza di custodia cautelare di Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino, vi sarebbe anche il nome di Umberto Marconi, presidente della Corte d'appello di Salerno, in riferimento alla vicenda dell'ex sottosegretario Cosentino 2. (15 luglio 2010)
Nelle carte spunta "Cesare" pseudonimo del premier di EMANUELE LAURIA MARIA ELENA VINCENZI Nelle carte spunta "Cesare" pseudonimo del premier "Cesare". È un nome che ricorre decine di volte nelle conversazioni della banda Carboni. Il ministro Nei verbali dei carabinieri una nota spiega il riferimento al premier. Così come nei dialoghi intercettati dei tre membri dell'associazione segreta rubricata come "P3" E per i carabinieri non ci sono dubbi: "Cesare", quella persona che ritorna frequentemente nelle parole del faccendiere Flavio Carboni, del tributarista Pasquale Lombardi e dell'imprenditore campano Arcangelo Martino, altri non è che Silvio Berlusconi. "Cesare" è lo "pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio": così è scritto in una breve nota che segue un'informativa agli atti della Procura di Roma. Carboni, Lombardi e Martino fanno riferimento a contatti ripetuti con "Cesare", alludono a incontri da organizzare con il capo. Dando corpo al sospetto che il premier fosse a conoscenza degli affari e delle manovre occulte della combriccola. A partire da quelle per condizionare la Consulta sul lodo Alfano. Niccolò Ghedini, l'avvocato del premier, non ci crede. E smentisce i carabinieri: "L'interpretazione data negli atti oltre che inveritiera è ridicola. Mai per queste vicende nessun contatto, diretto o indiretto, vi è stato fra il presidente Berlusconi e i soggetti indicati". La magistratura sta valutando con attenzione il rapporto del nucleo investigativo dell'Arma. In Procura c'è chi lavora su un'ipotesi alternativa, per la quale Cesare potrebbe essere in realtà Marcello Dell'Utri. Anche se non mancano conversazioni in cui i due nomi - quelli di Cesare e Marcello - compaiono insieme. Come quella in cui Martino annuncia a Ernesto Sica, l'ex assessore della giunta campana che avrebbe contribuito al dossier infamante su Caldoro, che l'obiettivo di una sostituzione del candidato governatore sta per essere raggiunto: "Sono già al cambio della guardia. Domani mattina arriva Cesare... Però già ha parlato con Marcello...". "AMMA VEDÈ CESARE" Una storia che lascia interrogativi inquietanti. Soprattutto perché lo pseudonimo di Cesare viene utilizzato prima e dopo l'ormai famoso pranzo del 23 settembre 2009, a casa Verdini, in cui - alla presenza di Dell'Utri e del sottosegretario Caliendo - si sarebbe studiato un piano per interferire sulla Consulta in vista del giudizio sul lodo Alfano. Subito dopo l'incontro, Lombardi dice a Caliendo che è andato via in anticipo: "Antonio (Antonio Martone, ex avvocato generale in Cassazione, ndr) poi ha completato, ha fatto un'ottima relazione. Siamo stati fino alle quattro lì. E abbiamo vis... Poi amma vedè Cesare quanto prima... Abbiamo fatto un discorso per quanto riguarda la Corte Costituzionale. Bisogna vedere quanti sono i nostri e quanti sono i loro, per cui se potimm' correre ai ripari, mettere delle bucature, siamo disponibili a fare tutto". E ancora a Caliendo: "Ogni giorno... Ogni settimana ci dobbiamo vedere, capire dove sta o' buono e dove o' malamente. Vagliò, tu hai la strada spianata per fare o' ministro".
"L'UOMO È SODDISFATTO?" Poi Lombardi parla con Antonio Martone e gli dice di fare una "ricognizione sui favorevoli e i contrari. Per vedere come raggiungere i contrari". Quindi al telefono con Dell'Utri: "È stato un ottimo incontro", dice il senatore riferendosi ancora al pranzo. Lombardi: "Ti informo perché domani mi daranno altre notizie". Dell'Utri: "Tienimi informato, eh". Lombardi: "Era soddisfatto l'uomo, sì?". "Sì, sì. Comunque soddisfatto, sì". E l'uomo, secondo gli inquirenti, potrebbe essere sempre Cesare, ovvero il premier. "DIGLIELO!" In una successiva telefonata, Carboni parla con Martino del complotto per screditare la candidatura di Caldoro alla presidenza della Regione Campania. Carboni, alludendo al falso dossier su Caldoro, dice: "Credo sia già arrivato nelle stanze di Cesare. I tribuni hanno già dato notizia". Sempre dopo la riunione del 23, Lombardi al telefono rassicura Martino: "Più tardi (Carboni, ndr) mi darà un colpo di telefono, perché parlerà pure con Cesare". Poi Martino chiama lo stesso Carboni: il tema spinoso è sempre quello della pronuncia della Consulta sul Lodo Alfano, dei voti dei giudici costituzionali da conquistare. "Servono queste informazioni, se bisogna fare l'incontro con Cesare, con gli altri, e questa cosa dei numeri...", dice Martino. Il 25 settembre l'imprenditore campano si dice "molto ottimista" sull'esito della vicenda. E sprona il sodale Carboni a farlo sapere a chi di dovere: "Diglielo a Cesare!". IL "CUGINO" Il 30 settembre la "P3" sta preparando una nuova riunione a casa di Verdini e ancora Martino dice all'amico Lombardi: "Dobbiamo vederci assolutamente alle 15 allo stesso posto, perché mio cugino Cesare vuole sapere prima delle cose, hai capito?". Dopo dieci minuti lo stesso Martino si vanterà: "Mi ha chiamato mio nipote Cesare. Concretezza e risultati". E l'imprenditore dà per "probabile" la presenza del fantomatico Cesare alla riunione in programma di lì a qualche ora. LO SCAMBIO Il 2 ottobre Lombardi contatta il sottosegretario Cosentino. E parla dell'incontro avuto "con l'amico nostro Marcello e Denis". Ai quali lo stesso tributarista e Martino avrebbero "mostrato i denti": "Visto come stanno le cose - dice Lombardi - la settimana prossima mi incontro pure con Cesare". Cosentino annuisce e Lombardi continua: "Lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6 (giorno della decisione del lodo Alfano, ndr) e allora giustamente quello che diceva Arcangelo: lui ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te". L'allusione è a uno scambio: il sì alla candidatura di Cosentino in Campania come premio per le pressioni fatte dalla "combriccola" sui giudici costituzionali. (15 luglio 2010)
Cosentino si dimette da sottosegretario "Fini vuole solo il potere nel partito" "Lascio il governo per concentrarmi sul Pdl in Campania". La decisione dopo un vertice con Berlusconi a palazzo Chigi, presente anche Verdini. L'Anm: "I magistrati coinvolti nelle inchieste vadano via" Cosentino si dimette da sottosegretario "Fini vuole solo il potere nel partito" Il sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino ROMA - Dopo un vertice a Palazzo Chigi con il premier, Nicola Cosentino, coinvolto nell'inchiesta sulla cosiddetta P3, si è dimesso da sottosegretario all'Economia. "Ho deciso di concerto con il presidente Berlusconi di rassegnare le mie dimissioni da sottosegretario per potermi completamente dedicare alla vita del partito, particolarmente in Campania, anche al fine di contrastare tutte quelle manovre interne ed esterne poste in essere per fermare il cambiamento", ha detto. La decisione è arrivata dopo che il presidente della Camera Gianfranco Fini, duramente contestato dai berlusconiani e dalla Lega, aveva calendarizzato per la prossima settimana una mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario che avrebbe messo a rischio la tenuta della maggioranza. E ora l'opposizione canta vittoria, incassando un successo analogo a quello riportato qualche giorno fa con le dimissioni del ministro Aldo Brancher 1. In una nota diffusa subito dopo le dimissioni, Cosentino ha commentato proprio l'operato di Fini: "Il presidente della Camera con solerzia degna di miglior causa, dopo che già per due volte proprio alla Camera dei deputati analoghe mozioni erano state votate e respinte con larga maggioranza, così come anche una al Senato, ha ritenuto di volerle calendarizzare in tempi brevissimi basandosi quindi soltanto su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa". E sempre in merito a Fini ha scritto: ''E' risibile che l'onorevole Fini voglia far passare le sue decisioni come se derivassero da una sorta di tensione morale verso la legalità quando si tratta soltanto di un tentativo, anche assai scoperto, di ottenere il potere nel partito tramite Bocchino". Poi l'attacco al 'circo mediatico': ''Contro di me - ha detto - è in atto da due anni una persecuzione dal solito circo mediatico, da L'Espresso a la Repubblica, probabilmente perché ho messo fine alle sconfitte del centrodestra in Campania''. Più tardi, ai microfoni del Tg2, Cosentino ha negato che a chiedergli le dimissioni sia stato Berlusconi: ''Assolutamente no - ha risposto -. Sono io che le ho offerte perché è diventata una situazione insostenibile''. Il deputato mantiene comunque il ruolo di coordinatore del Pdl in Campania. Nel pomeriggio, dopo la calendarizzazione della mozione di sfiducia alla Camera, Cosentino e il coordinatore del Pdl Denis Verdini sono stati a palazzo Chigi a colloquio con Berlusconi, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri, il ministro della Difesa e coordinatore del Pdl Ignazio La Russa, il vice capogruppo al Senato Gaetano Quagiarello. Subito dopo il vertice, Berlusconi ha fatto sapere di aver condiviso la scelta di Cosentino, ma allo stesso tempo si è detto convinto della sua "totale estraneità" alle accuse che gli vengono rivolte. "Ho condiviso la decisione di Nicola Cosentino di dimettersi da sottosegretario - ha affermato il rpemeir in una nota - Ho altresì avuto modo di approfondire personalmente e tramite i miei collaboratori la sua totale estraneità alle vicende che gli sono contestate. Sono quindi certo che la sua condotta durante la campagna elettorale per la regione Campania è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro". E sul ruolo di Cosentino all'interno del Pdl, Berlusconi ha scritto: "Ritengo che potrà proficuamente continuare a svolgere il suo importante ruolo politico nell'ambito del nostro movimento per consentirci di conseguire ancora quegli eccellenti risultati di cui è stato artefice come coordinatore regionale". All'uscita da Palazzo Chigi, ai cronisti che gli chiedevano se siano opportune le dimissioni di Verdini, Cosentino ha risposto: "Assolutamente no". Secondo l'ormai ex sottosegretario, ha ripreso vigore "quello spirito di Tangentopoli che ha fermato l'Italia per anni. Dobbiamo tornare alla presunzione di innocenza, non basta un avviso di garanzia" per rendere colpevole una persona. Su Verdini ferma anche la posizione del coordinatore Pdl e ministro della Difesa, Ignazio La Russa: ''Non ho visto nessuno che ha chiesto le dimissioni di Verdini, per me non si è aperta tale questione, e nessuno lo ha chiesto''. Non si è fatto attendere l'intervento di Gianfranco Fini: "Dimettersi anche per potersi meglio difendere in sede giudiziaria era per l'onorevole Cosentino un atto indispensabile e doveroso di correttezza istituzionale per una evidente e solare questione di opportunità politica". E sulle accuse che l'ex sottosegretario gli ha rivolto, il presidente della Camera ha detto: "Quello che dice mi lascia del tutto indifferente". Poco prima delle dimissioni di Cosentino, l'ex leader di An aveva insistito sulla necessità di "una politica durissima con chi non ha un'etica del comportamento pubblico, una politica che sia intransigente nei confronti di coloro che pensano attraverso la politica di mettersi al riparo dei doveri che ciascun cittadino ha nei confronti della comunità". Le opposizioni. "La maggioranza è nei guai - ha commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, in visita negli Usa - Questa è una vittoria netta delle opposizioni e del Pd, che poi il partito di Berlusconi voglia farsi rappresentare in Campania da una figura come quella di Cosentino lo lasciamo al giudizio degli elettori". Vari esponenti democratici hanno osservato che è il terzo caso di dimissioni di un componente del governo, dopo Scajola e Brancher, nel giro di poche settimane, che la maggioranza è ormai "alle corde" e l'esecutivo "cade a pezzi". E al tempo stesso hanno sottolineato che la decisione di Cosentino non risolve "la questione politica aperta dal quadro inquietante emerso dalle indagini in corso". Soddisfatto Antonio Di Pietro: ''Era ora. Cosentino non poteva fare altrimenti. Avrebbe dovuto dimettersi da tempo, visti i suoi precedenti, come più volte è stato chiesto dall'Italia dei valori - ha affermato in una nota il leader dell'Idv riferendosi alle accuse di associazione mafiosa mosse dalla magistratura al coordinatore del Pdl in Campania - Adesso chiediamo, come abbiamo fatto oggi in aula, che la Camera autorizzi il suo arresto, come ha già chiesto l'autorità giudiziaria. E dopo la mozione di sfiducia contro Cosentino, l'Idv si prepara a chiedere una mozione contro l'intero governo Berlusconi. Continueremo a batterci a difesa della legalita' e della democrazia''. Di atto di ragionevolezza, anche se tardivo, ha parlato anche il numero uno dell'Udc Pier Ferdinando Casini: "Le dimissioni di Cosentino sono un gesto di ragionevolezza. Resta il rammarico che abbia aspettato la presentazione della mozione di sfiducia". La maggioranza. "Una scelta sofferta e responsabile, per sottrarre il governo a polemiche strumentali" è il giudizio di Gasparri. Dal canto suo, il finiano Italo Bocchino ha ringraziato il premier: "Ringraziamo Berlusconi per aver ascoltato il nostro grido d'allarme rispetto al danno elettorale che la permanenza al governo di Nicola Cosentino stava provocando al Pdl". Secco 'no comment' dal ministro dell'Interno Roberto Maroni che già nel pomeriggio non aveva voluto sbilanciarsi sulla questione, dicendo solo: "C'è un membro del governo che è sottoposto ad indagine, ma non mi risulta che sia stato condannato. I casi individuali sono tali, ma sono più gravi degli altri perché chi riveste cariche pubbliche deve andare oltre l'affermazione di innocenza''. Anm. Per non gettare ombre sulla categoria, segnali forti sono chiesti anche dai magistrati. L'associazione nazionale magistrati chiede le dimissioni delle toghe coinvolte nelle inchieste sulla cosiddetta P3 scaturita dalle indagini sull'eolico. "Servono segnali forti. Bisogna avere la capacità di farsi da parte - ha detto il segretario del sindacato delle toghe Giuseppe Cascini - se un sospetto cade sulla tua persona lambisce l'istituzione. Un segnale forte sarebbe che i magistrati coinvolti liberassero l'istituzione e non la coinvolgessero". Secondo il segretario dell'Anm, "il tentativo di sottovalutare la gravità della vicenda è una linea pericolosa perché questa ha le caratteristiche analoghe a quelle degli anni Ottanta. Le differenze riguardano solo aspetti più grotteschi e poco istituzionali anche rispetto alla loggia P2 ma il rischio maggiore è proprio quello di sottovalutare la gravità del fenomeno". Cascini sottolinea che "i fatti che emergono sono chiarissimi, per questo noi abbiamo espresso subito la nostra indignazione". (14 luglio 2010)
Carboni, 500 milioni in valigia "Verdini sa risolvere tutto" Dalle trascrizioni delle intercettazioni emerge un intreccio fra il faccendiere sardo ed esponenti della camorra interessati a riciclare denaro. Una rete per corrompere i magistrati di EMANUELE LAURIA, FRANCESCO VIVIANO e CORRADO ZUNINO Carboni, 500 milioni in valigia "Verdini sa risolvere tutto" Marcello Dell'Utri e Denis Verdini ROMA - L'ultimo mistero dell'inchiesta sulla "P3" è la missione di uno dei suoi protagonisti, l' affarista Flavio Carboni, che giunge a Milano con un pacco pieno di soldi: "500 milioni di dollari", dice lui mentre viene intercettato. Una vicenda ancora a tratti oscura che rivela però un altro vasto capitolo dell'indagine della Procura di Roma. Dalle intercettazioni trascritte nelle oltre 15 mila pagine del rapporto dei carabinieri emerge un inquietante intreccio fra Carboni, i suoi sodali ed esponenti della camorra interessati a riciclare ingenti somme di denaro. Obiettivo: realizzare casinò negli alberghi di tutt'Italia ed entrare con forza nel business dell'eolico. La malavita campana, insomma, dietro l'associazione segreta composta da Carboni, dall'imprenditore Arcangelo Martino e dal tributarista Pasquale Lombardi (tutti e tre arrestati) che poteva avvalersi di una rete di politici, magistrati e funzionari pubblici. Sullo sfondo anche un giro di tangenti: quelle che la camorra avrebbe distribuito ad alcuni parlamentari per essere "agevolata" nei suoi affari. IL RUOLO DELLA CAMORRA Scrivono i carabinieri nel loro rapporto che "un gruppo di soggetti di origine campana, ritenuti contigui alla camorra e attivi in operazioni di riciclaggio e impiego di risorse economiche di provenienza illecita nel settore del gioco, si sarebbe adoperato per riciclare denaro sporco". E di questo gruppo il capofila sarebbe Pasquale De Martino, del clan Sarno del quartiere napoletano "Ponticelli". "Tramite l'imprenditore Carlo Maietto, il De Martino ha instaurato rapporti con i noti Lele Mora e Flavio Carboni e, dal tenore di molte conversazioni intercettate, tali contatti sembrano essere finalizzati a realizzare importanti iniziative imprenditoriali verosimilmente nel settore dei casinò". È sempre attraverso Maietto, affermano i carabinieri, che De Martino è riuscito ad avere delle "entrature" in ambienti politici e istituzionali. "In tale contesto - prosegue il rapporto - è emersa una chiara vicenda di natura illecita che vede protagonisti Ivano Chiusi, Maietto e De Martino e che sembrava prevedere il pagamento di somme in denaro, anche in favore di un uomo politico, per ottenere vantaggi". LE TOGHE DEVIATE Dalle carte rimbalza con forza il ruolo rivestito da toghe deviate, magistrati compiacenti. Sensibili alle sollecitazioni della "P3", anzi componenti a tutti gli effetti della rete in grado di condizionare l'attività di organi costituzionali e amministrazioni pubbliche. Già nelle premesse del loro rapporto i carabinieri spiegano che il sodalizio composto da Carboni, Martino e Lombardi si avvaleva di giudici "che prendevano parte alle riunioni nel corso delle quali venivano impostate le principali operazioni e che parevano fornire il proprio contributo all'azione di interferenza: Arcibaldo Miller (capo degli ispettori del ministero della Giustizia, ndr), Antonio Martone (avvocato generale in Cassazione) e il sottosegretario Giacomo Caliendo". Ma i nomi agli atti sono molti, molti di più. La scena principale è Milano, dove la "combriccola" preme per la nomina del magistrato campano Alfonso Marra alla presidenza della Corte d'appello. La missione riesce, grazie alle pressioni sul Csm. Il regista della manovra, in questo caso, è Lombardi. Che il 22 ottobre del 2009 parla con Caliendo, invitandolo esplicitamente a "lavorarsi per bene" Carbone (primo presidente della Corte di Casszione) prospettandogli una legge per l'aumento dell'età pensionabile da 75 a 78 anni. Il voto di Carbone è utile per l'elezione di Marra. E lo stesso Lombardi, in un'altra intercettazione dice "di avere in pugno" il presidente di Cassazione. Proprio perché ne conosce i desideri. Carbone il 22 settembre aveva chiesto esplicitamente al suo interlocutore ora finito in carcere: "Io ti voglio dire una sola cosa: che faccio dopo la pensione?". "Non ti preoccupare: ne sto parlando con l'amico mio di Milano", la risposta di Lombardi. IN VISITA DA MANCINO Lombardi parla personalmente della questione che gli sta a cuore - l'elezione di Marra - anche al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. La prima il 24 novembre. E a Caliendo subito dopo racconta: "Ho fatto gli stessi discorsi che gli hai fatto tu - dice Lombardi al sottosegretario - Nicola mi ha detto che prima vuole vedere come (i consiglieri del Csm, ndr) fanno la relazione". Lombardi racconterà a Marra di aver rivisto Mancino per pochi minuti anche a fine gennaio, riferendo di aver trovato il vicepresidente del Csm più morbido: "Ha detto: va bene, vediamo che si deve fare". Mancino voterà a favore di Marra, così come Carbone. "Lombardi? L'ho incontrato ma non gli ha dato alcuna rassicurazioni perché non ho mai pensato di rispondere a lui su incarichi giudiziari", replica l'ex ministro. Ma nel periodo antecedente all'elezione del presidente della Corte d'appello di Milano è frenetica l'attività "diplomatica" di Lombardi: il tributarista tenterà invano di parlare anche con Gianni Letta al quale - tramite la segretaria - chiederà di fare una telefonata a Carbone. E, in vista di alcune nomine, farà un vero e proprio elenco di magistrati graditi alla "P3": il 21 gennaio, parlando con Celestina Tinelli, componente del Csm, suggerisce anche i nomi di Paolo Albano per la Procura di Isernia e Gianfranco Izzo per quella di Nocera Inferiore. È uno spaccato di rapporti disinvolti, di lotte senza scrupoli per accaparrarsi poltrone istituzionali. Basta leggere come Marra, futuro presidente della Corte d'Appello di Milano, parla di Giuseppe Maria Berruti, un membro del Csm che si oppone alla sua elezione: "A quello gli devo dare un cazzotto in bocca e far saltare tutti i denti...". UNA MANO A FORMIGONI Non appena Marra ottiene la carica, i componenti dell'associazione gli chiedono esplicitamente, "dietro mandato dello stesso Formigoni", di intervenire sull'esclusione della lista riconducibile al governatore Lombardo. Il primo marzo 2010 Formigoni parla con un altro componente della combriccola, l'imprenditore partenopeo Arcangelo Martino: "Ma l'amico Lombardo, Lombardi è in grado di agire?". Risponde Martino: "Sì, ha già fatto qualche passaggio". Lombardi, lo stesso giorno parla con il giudice Gaetano Santamaria: "Ho già chiamato Fofò (Marra)... gli ho detto io domani mattina alle undici stongo da te... domani arrivo io verso le undici e cercasse di chiamare questi quattro stronzi perché... presenta in mattinata il ricorso". Santamaria garantisce: "Adesso parliamo con Alfonso". Anche il sottosegretario Caliendo, parlando con Lombardi, dice di essere intervenuto con Marra per sollecitarlo ad accogliere il ricorso di Formigoni: "Non credo che lo farà", dice Caliendo. IL PIRELLONE E LA "NEVE" La triade composta da Martino, Lombardo e Carboni si muove anche per ottenere un'ispezione del ministero della Giustizia negli uffici della Corte d'appello che ha escluso la lista di Formigoni. È Martino a chiederla direttamente ad Arcimboldo Miller, il capo degli ispettori, che in una telefonata del 5 marzo suggerisce al suo interlocutore di far presentare un esposto allo staff del candidato governatore lombardo. Da quel momento Formigoni si informerà più volta con la "combriccola" dell'esito della vicenda. Anche con linguaggio allusivo: il 10 marzo chiede a Martino "se malgrado la neve ci saranno degli spostamenti verso il Nord", riferendosi appunto agli ispettori. Il giorno seguente c'è un pranzo, al ristorante Tullio di Roma, partecipano Lombardi e Miller, in seguito al quale Lombardi dice a Martino che la documentazione inviata al ministero è incompleta. I presunti nuovi piduisti, in pratica, fanno da intermediari fra Formigoni e via Arenula per ottenere il via libera all'ispezione. L'esposto suggerito da Miller, attraverso Martino e Lombardi, arriva alla segreteria del Guardasigilli Alfano e del sottosegretario Caliendo. Ancora Formigoni chiederà a Martino il 15 marzo se "chi deve camminare lo sta facendo". Martino lo rassicura: "Arriverà dalle tue parti a fine settimana". È confortato dal colloquio con un alto esponente istituzionale. Lo stesso Formigoni chiarirà che la persona a cui fa riferimento l'imprenditore (ora agli arresti) è il ministro Angelino Alfano. Il quale, alla fine, si opporrà all'invio degli ispettori. Ma si sentirà in dovere di giustificarsi sia con il governatore Lombardo che con il "mediatore" Martino. Si evince da una conversazione fra Martino e Formigoni del 24 marzo. Martino: "Ti chiamò Angelino?". Formigoni: "Mi chiamò". Martino: "È tutta gente di basso profilo". Formigoni: "Mi sono molto arrabbiato con lui, perché sabato lui si era impegnato. E gli ho detto: ma guarda che è il nostro capo che ha bisogno di una cosa del genere...". Il capo, va da sé, sarebbe Silvio Berlusconi. IL BUSINESS SARDEGNA Il ruolo di Carboni, condannato a 8 anni e 6 mesi per il crac Ambrosiano, rimane centrale. Ed è esercitato soprattutto nella sua Sardegna. Il faccendiere controlla la giunta regionale. Ha previsto un investimento nell'isola per 400 impianti eolici su discariche abusive, lo devo fare "perché quelli di Roma sono incazzati neri". Fa nominare "con gli interventi decisivi di Denis Verdini e Marcello Dell'Utri", scrivono i carabinieri, il fidato Ignazio Farris alla presidenza dell'Arpas Sardegna (agenzia ambientale): ieri il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, ha allontanato il tecnico. Verdini rivela a Carboni: "Domani fanno la giunta e sabato ne fanno un'altra volante per la nomina... Cappellacci mi ha detto di rassicurare te e Marcello". Carboni promette incarichi a uomini del suo gruppo affaristico e tiene in pugno il presidente Cappellacci: "Il governatore - scrivono i carabinieri - fa approvare dalla giunta regionale un documento redatto dal suo gruppo, più lucrevole e agevole". Sui direttori dei dipartimenti della Regione dice Carboni: "Adesso tocca a noi". E promette a Marcello Garau: "Domani tu sarai un vice... Dobbiamo fare un piano operativo sulle nomine". "E come si fa senza vederci?". "Domani sera io c'ho l'incontro". "CON TE TUTTO A POSTO" C'è una richiesta di finanziamento di Carboni alla banca di Verdini, il Credito Fiorentino, che non è andata a buon fine. Carboni a Verdini: "Con te tutto va a posto, sei un maestro". Verdini: "Sono rapido, più che altro sono rapido". Carboni: "E sei concreto e sei pratico, ecco, e sei una persona leale, degnissima. Sei una mazza e molto simpatico, complimenti amico mio". Carboni lo chiama sua eccellenza il signore di Firenze, ma anche "l'uomo verde". Gli incontri nella casa di Verdini smentiscono la versione data dal coordinatore del Pdl: "A casa mia non si è parlato né di Lodo Alfano né di eolico". In una telefonata del 9 dicembre Marcello Dell'Utri spiega a Carboni che non potrà liberarsi prima delle 18 e propone di vedersi direttamente da Verdini. Dell'Utri: "Direttamente lì, da Denis". Carboni: "Direttamente da Denis, perché sono arrivati i miei due amici sardi, uno è già arrivato, l'altro è in arrivo... Ignazio (Farris) e coso per spiegare, ecco, quali sono... Loro sono i tecnici, cioè, quelli che proprio fanno... Adesso chiamo Denis, non possiamo prenderci un appuntamento senza che ci sei tu". (14 luglio 2010)
Nel Santuario la 'ndrangheta consacra il suo nuovo capo Alcuni filmati registrati dai carabinieri nel corso delle indagini mostrano per la prima volta le immagini dei capi delle cosche che si riuniscono, in pubblico e in un luogo sacro calabrese, stretti attorno al nuovo capo. Che dà le sue regole e i suoi codici d'onore di PIERO COLAPRICO Nel Santuario la 'ndrangheta consacra il suo nuovo capo La Madonna di Polsi ha due devozioni: una popolare e cattolica, e un'altra elitaria e da setta, ed è quella della 'ndrangheta. Il filmato che è stato ripreso all'ombra del santuario mostra quel mix di simbologia sacra e di potere nero, occulto, invasivo, che ha reso i clan calabresi tra i più forti e temuti del mondo. Votare, dirsi chi è Il Crimine, e cioè il boss dei boss, mentre intorno si accendono candele sacre da parte dei fedeli serve a sgarristi e picciotti anche a sentirsi "parte di una comunità" più estesa, più vasta. Il rito pagano si mischia al rito religioso e c'è la sensazione, e la tentazione, di avvertire come "divino" un potere che ha a che fare con omicidi, con estorsioni, con sequestri di persona, con il traffico della droga, con l'ecomafia che avvelena la terra dove cammineranno anche i loro figli. GUARDA IL VIDEO 1 Nemmeno Francis Ford Coppola avrebbe potuto concepire per il suo "Padrino" la verità che emerge da queste riprese, fatte da un tecnico che ha lavorato insieme con i detective. Come a Polsi si decidono i destini degli uomini, le carriere, chi è bravo e chi deve modificare il suo atteggiamento (la pena per chi esagera con l'indipendenza è la morte), così a Milano, nel circolo intitolato a Falcone e Borsellino, si sono visti i boss votare il loro Capo, quello che incarna per tutti al Nord il volere della 'ndrangheta. Quella che sembrava un gruppo di famiglie scollegate una dall'altra, dopo quest'inchiesta, è diventata qualcosa d'altro. I pm vogliono che la Cassazione riconosca che anche i clan calabresi hanno una cupola, che esiste un Totò Riina della 'ndrangheta, e che nessuno estraneo, prima della retata di lunedì notte, lo sapeva. (14 luglio 2010) © Riproduzione riservata
'ndrangheta, le relazioni pericolose fra il boss e l'ex assessore provinciale Dalle intercettazioni emergono i contatti di Oliverio con l'imprenditore arrestato Perego "Io rompermi in giro con la politica, tu pensa invece a pagarmi lo stipendio a fine mese" 'ndrangheta, le relazioni pericolose fra il boss e l'ex assessore provinciale L'ex assessore provinciale Antonio Oliverio "Devo organizzarti una cena elettorale ... Io ti presento le persone ... dopodiché sei tu che mi dici: allora a questo qui diamogli spazio, a quest'altro non glielo diamo". Così l'ex assessore provinciale milanese Antonio Oliverio (già segretario provinciale dell'Udeur), indagato nell'inchiesta della Dda di Milano che ha portato a oltre 300 arresti, si rivolge, intercettato, a Ivano Perego, imprenditore arrestato e responsabile della Perego General Contractor, società riconducibile alla cosca della 'ndrangheta degli Strangio. Nell'ordinanza firmata dal gip mialnese Giuseppe Gennari, nella quale si parla dei lavori, anche pubblici, acquisiti a Milano e in Lombardia dalla Perego, si citano spesso i tentativi da parte della cosca di avvicinare esponenti politici attraverso delle cene. "Tu non devi mica fare politica, tu sei un imprenditore e devi fare il mestiere d'imprenditore", dice Oliverio a Perego, accusato di associazione mafiosa, in una conversazione intercettata l'8 maggio 2009. Il mestiere di imprenditore di Perego, secondo Oliverio, "consente a me di stare lì a rompermi i coglioni in giro con Podestà (Guido, attuale presidente della Provincia), con la politica, con le cose e a pagarmi lo stipendio a fine mese ci pensi tu". Il 19 maggio 2009 viene organizzata in casa di Andrea Pavone, arrestato e accusato di associazione mafiosa, una cena a cui è stato invitato anche Emilio Santomauro, per due volte consigliere comunale ed ex esponente della Udc. "Cena andata alla grande", racconta Pavone, intercettato, e parlando di Santomauro aggiunge: "E' ben inserito anche lui in tutto a Milano, Nord Italia". In un'intercettazione del 18 giugno 2009, Oliverio spiega a Perego che devono andare a Milano per salutare, come spiega il gip nell'ordinanza, "Zambetti Domenico, assessore regionale all'Artigianato e servizi". E in un'altra telefonata sempre dello stesso giorno "Perego afferma di aver già chiamato Allevi, presidente eletto della Provincia di Cremona". Sempre lo stesso giorno "Oliverio propone invece una cena elettorale con Podestà Guido, al 'Plaza' di San Donato milanese. Perego acconsente, aggiungendo che ci sarebbero stati anche i proprietari della cava" di Crema, che interessa alla Perego. Per la "questione cava" Perego si reca anche ad Agnadello (Cremona) per incontrare il sindaco Marco Belli. Come riporta l'ordinanza, l'incontro avviene in un'altra località vicina "perché il sindaco non gradiva farsi vedere davanti al municipio". Oliverio nega categoricamente di essere stato tramite fra il mondo politico e la 'ndrangheta, anche se ammette di aver collaborato con Perego. Ha detto di essere "sconcertato" del suo coinvolgimento nell'inchiesta e ha annunciato che il suo legale è andato dagli inquirenti a dire che è disponibile ad essere ascoltato "quando lo riterranno opportuno. Nella magistratura - ha osservato - ho piena fiducia". (14 luglio 2010)
MAXI BLITZ / MILANO Ecco come i boss seguivano le indagini "C'è la Boccassini, non ce la scampiamo" La magistratura ha dovuto combattere le talpe a libro paga della 'ndrangheta. Quelle conversazioni che parlano di "voti" da far convogliare verso candidati amici di PIERO COLAPRICO e EMILIO RANDACIO Ecco come i boss seguivano le indagini "C'è la Boccassini, non ce la scampiamo" MILANO - L'inchiesta di Milano e Reggio Calabria sta svelando aspetti molto preoccupanti dell'infiltrazione delle cosche in Lombardia. È stata filmata una "visita" alla Regione Lombardia e sono state registrate conversazioni che parlano di "voti" da far convogliare verso candidati amici. Uno di questi è Giancarlo Abelli, formigoniano di ferro, al quale i clan arrivano attraverso il direttore della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, che sembra un personaggio da film noir. È un funzionario della sanità, ma a telefono parla di mancati assassinii. Se da sempre esistono le "talpe", anche quest'indagine che riguarda la trama della ndrangheta nel cuore economico del Paese, si è dovuta difendere da varie infiltrazioni. Di una di queste parlano chiaramente Alessandro Manno, a capo della locale (l'intera banda strutturata) di Pioltello e Emanuele De Castro, capo della locale di Legnano/Lonate Pozzolo. Citano un carabiniere di Rho, Michele Berlingieri, che è "a libro paga". E, già nel novembre del 2008, gli uomini della 'ndrangheta conoscono quest'inchiesta. Hanno dunque un anticipo di un anno e mezzo. E sanno che è gestita da Ilda Boccassini: "Gli è passata un'ambasciata di 200 mandati di cattura "Mafia", tutti calabresi e siccome dice Pioltello, Legnano, stavolta non ce la scampiamo, dice che deve mettere mano la Boccassini". Quando ascoltano questa intercettazione, gli inquirenti ovviamente trasecolano. Restano incise anche altre parole, e cioè che questo carabiniere accusato di corruzione "se la passa bene, basta che ne ha la mancia e gli fa sapere tutto". E ci sarebbe anche una tariffa, della quale parlano i clan: "Ogni volta che gli porta una notizia, spende mille, duemila, addirittura tremila euro". Eppure, nonostante questi "avvisi", il lavoro dei detective ha permesso di registrare persino una votazione del nuovo boss di tutti i boss lombardi, avvenuta per alzata di mano, in un centro per anziani di Paderno Dugnano. Particolare surreale: è intestato ai giudici Falcone e Borsellino. (13 luglio 2010)
Maxi blitz contro la 'ndrangheta trecento arresti in tutta Italia L'operazione svela una struttura simile a Cosa Nostra: tre mandamenti calabresi, c'è un organo di vertice e "la Lombardia", la struttura nordica, con una "Camera di controllo deputata al raccordo tra le strutture lombarde e calabresi". In manette anche Domenico Oppedisano, 80 anni, numero uno delle cosche calabresi Maxi blitz contro la 'ndrangheta trecento arresti in tutta Italia ROMA - Chi litiga è un uomo morto. È stato un omicidio di due anni più che a rivelare, a certificare la "mutazione genetica" della 'ndrangheta. Si chiamava Carmelo Novella, detto compare Nuzzo, aveva sessant'anni e il 14 luglio del 2008 viene ammazzato in un bar di San Vittore Olona. Sembrava il risultato di una faida legata agli appalti nell'edilizia, invece Novella aveva detto in giro che "la Lombardia", e cioè tutti i gruppi di 'ndrangheta trapiantati al Nord, avrebbero potuto "fare da soli", senza la casa madre calabrese. Il desiderio di autonomia è stato stoppato con le pallottole, Novella non sarà più un problema e viene nominato un altro calabrese, Giuseppe Neri, come uomo del raccordo tra il Nord danaroso e il Sud antico e sanguinario. È questo sangue che scorre al Nord un importante episodio nell'inchiesta ribattezzata "Il Crimine", che è in corso mentre scriviamo, sono in programma tra i duecento e i trecento arresti, tra Calabria e Lombardia. Nei fascicoli dei procuratori Ilda Boccassini e Giuseppe Pignatone sono entrati anche due filmati senza precedenti. Il più clamoroso è stato registrato a Paderno Dugnano, in un centro intitolato - incredibilmente - ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per alzata di mano, e all'unanimità, è stato scelto, dai vertici dei clan calabresi del Nord tutti riuniti, il "mastro generale", e cioè Pasquale Zappia. Una scena degna del film "Il Padrino", ma senza smoking, una versione con abiti casual in stile provincia milanese. L'altro filmato è avvenuto in Aspromonte, alla Madonna dei Polsi, dove si sono riuniti i boss calabresi. Senza l'aiuto di pentiti, sono stati documentati circa quaranta incontri. E da quanto raccontano i documenti redatti dai carabinieri e dalla polizia, è stata fatta una fondamentale scoperta. La 'ndrangheta sinora non era mai stata considerata come una struttura unitaria, cioè non sembrava "come" Cosa Nostra. E se allora, per stabilire le regole in Sicilia, ci volle il pentito Tommaso Buscetta, qua, oggi, per comprendere le regole calabresi è stato necessario un lavoro certosino. Ma, piano piano, sono emersi i tre mandamenti della 'ndrangheta in Calabria, poi un organo di vertice, che "ne governa gli assetti, assumendo o ratificando le decisioni più importanti". E poi esiste - ed è sorprendente - "La Lombardia", cioè la federazione dei gruppi trapiantati al Nord, con una "Camera di controllo deputata al raccordo tra le strutture lombarde e calabresi". Una "struttura unitaria", accusano i pm, e hanno scoperto che, ovviamente, i clan al Nord avevano in mente di prendersi qualche buon appalto per l'Expo. Non ci sono riusciti "per il fallimento" della Perego general contractor srl: una ditta di rilievo dove Salvatore Strangio, espressione della famiglia Pelle, soprannominata "Gambazza", faceva il bello e cattivo tempo, per favorire "numerose imprese controllate dagli affiliati lombardi". Ne sono stati individuati ben 160, ma i boss si dicono "che hanno circa 500 unità". I procuratori Boccassini e Pignatone, che hanno organizzato questa retata senza precedenti, si sono convinti che sia stato il sequestro di Alessandra Sgarella, portata via dalla sua casa bella zona di San Siro nel dicembre del 1997, l'ultima "azione" dei clan tradizionali. Dal Duemila la 'ndrangheta si è trasformata in "mafia imprenditrice". Ci sono i criminali, ma accanto a loro affiliati lombardi, spesso senza problemi con la giustizia, com'è il caso di un alto funzionario della sanità lombarda: "In virtù del proprio ruolo istituzionale - viene detto di lui - assicura l'assistenza sanitaria, ma anche l'interessamento per investimenti immobiliari e coltiva e sfrutta per i "fini comuni" i legami con gli esponenti politici locali". L'inchiesta sembra riguardare anche il recente voto in Lombardia. Inoltre, da una lavanderia nel centro commerciale di Siderno, gestita dal boss Giuseppe Commisso, si è arrivati a nove locali individuati a Toronto e uno a Thunder Bay, controllati dalla provincia di Reggio. Un'intera rete di relazioni, affari, sembra venire allo scoperto e sono stati sequestrati beni per 60 milioni di euro. Tra le persone arrestate a Milano, Carlo Antonio Chiriaco, classe 1959, nato a Reggio Calabria, direttore sanitario dell'Asl di Pavia, Francesco Bertucca, imprenditore edile del pavese e Rocco Coluccio, biologo e imprenditore residente a Novara. I tre sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della 'ndrangheta attiva da anni sul territorio di Milano e nelle province vicine. Nel corso dell'operazione sono state fatte 55 perquisizioni e sequestri di beni immobili, quote societarie e conto correnti il cui valore è ancora da quantificare. E in manette è finito anche Domenico Oppedisano, 80 anni, considerato dagli investigatori l'attuale numero uno delle cosche calabresi. La sua nomina a 'capocrimine' - cioè colui che è al vertice dell'organismo che comanda su tutte le 'ndrine ed e' denominato 'Provincia' - sarebbe stata decisa il 19 agosto del 2009 nel corso del matrimonio tra Elisa Pelle e Giuseppe Barbaro, entrambi figli di boss. Un particolare significativo del personaggio: quando Oppedisano doveva parlare non usava il telefono. I suoi ordini arrivavano a Bollate attraverso Rocco Ascone, caposocietà e vicario della cosca locale comandata da Vincenzo Mandalari. (13 luglio 2010) 2010-07-12 Eolico, indagati Dell'Utri e Cosentino "Carboni voleva influenzare i pm del G8" Altri due esponenti del Pdl sotto la lente dei magistrati. Nuove accuse contro l'imprenditore arrestato insieme all'ex esponente della Dc campana, Pasquale Lombardi e dell'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino. Idv: "Mozione di sfiducia contro il sottosegretario". Martone lascia la toga Eolico, indagati Dell'Utri e Cosentino "Carboni voleva influenzare i pm del G8" Flavio Carboni ROMA - Anche il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario all'economia Nicola Cosentino sono indagati a Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla cosidetta P3 1nata da uno stralcio dell'indagine degli appalti sull'eolico in Sardegna. Dell'Utri e Cosentino sono accusati di associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulla costituzione delle associazioni segrete. Carboni. Secondo i magistrati, inoltre, Flavio Carboni, dell'ex esponente della Dc campana, Pasquale Lombardi e dell'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino, arrestati nell'ambito dell'inchiesta stralcio sugli appalti per l'eolico (che vede chiamato in causa anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini 2), volevano avvicinare i magistrati della procura di Firenze che stavano indagando sui Grandi Eventi e sugli appalti legati al G8. Secondo la ricostruzione il gruppo utilizzava l'associazione culturale "Centro studi giuridici per l'integrazione europea Diritti e Libertà" come strumento "per acquisire e rafforzare utili conoscenze nell'ambiente della politica e della magistratura". Tra le iniziative "l'invito al convegno milanese programmato per il marzo 2010 (e poi annullato) rivolto ai magistrati della Procura di Firenze dopo l'esecuzione di alcune misure cautelari ad opera di quell'ufficio, nel mese di febbraio 2010, in relazione ad alcune ipotesi di reato che coinvolgevano rappresentanti della pubblica amministrazione, del mondo politico e dell'imprenditoria". Il progetto però non andò in porto perchè fu annullato allorchè fallì l'intervento per fare accogliere il ricorso elettorale della lista 'Per la Lombardia' di Roberto Formigoni. "Nessuno di noi è stato avvicinato proprio perchè nessuno è andato a quel convegno" conferma Il procuratore capo della Repubblica di Firenze, Giuseppe Quattrocchi. Dell'Utri. Il nome di Dell'Utri è citato nella cena della sera del 23 settembre scorso, in casa di Verdini. A quell'incontro presero parte oltre a Carboni e Dell'Utri, anche Arcangelo Martino, Pasquale Lombardi, l'onorevole Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Dell'utri avrebbe partecipato anche ad altre due riunioni, avvenute il 9 e il 13 dicembre scorso, l'una in casa di Verdini e l'altra in Sardegna, a cui presero parte Carboni e gli altri, tra cui lo stesso governatore Cappellacci. Idv contro Cosentino. "Adesso basta. Cosentino deve fare la stessa fine che ha fatto Brancher. Se ne vada a casa e si metta a disposizione dei magistrati"A questo Paese non servono i vari Dell'Utri, Cosentino, Verdini che operano contro e non per la democrazia. L'Italia dei Valori, già da domani, presenterà una mozione di sfiducia nei confronti di Cosentino" afferma il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. "Pronti a votare la mozione" dice il centrista Pierferdinando Casini. All'attacco anche i finiani. "Chiediamo le dimissioni di Cosentino e non da oggi. La questione morale non può più essere negata, nè da Bondi, nè da La Russa - dice il deputato Fabio Granata - Sulla questione morale nessuno potrà tapparci la bocca: auspichiamo che anche su Cosentino, come su Verdini, il Pdl tolga dall'imbarazzo i parlamentari. E non solo i cosiddetti finiani". Cosentino reagisce. "Sono accuse surreali,basta con l'uso politico giustizia - replica il sottosegretario all'Economia - Questa volta mi pare si tratti di una sorta di 'banda del torchio', dal sapore davvero surreale. Mi chiedo quando e se si finirà di usare la magistratura per altri fini. In ogni caso, anche questa volta, le impronte digitali sono le stesse". Martone. Nel frattempo Antonio Martone, avvocato generale in Cassazione che nei giorni scorsi ha deciso di lasciare la magistratura, si difende in una lettera aperta al presidente dell' Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara: ""Ribadisco con forza che non ho mai fatto pressioni sui giudici della Corte Costituzionale e che sono completamente estraneo a tutti gli episodi che i giornali hanno tratto dall' ordinanza del Gip". Martone smentisce di aver partecipato alla cena del 23 settembre scorso nella casa romana del coordinatore del Pdl Denis Verdini nel corso della cena si sarebbe discusso di un tentativo di avvicinamento dei giudici della Consulta che dovevano decidere sul Lodo Alfano. "Non sono un frequentatore di salotti - ribadisce Martone - e il 23 settembre del 2009 non ho partecipato ad alcuna cena, come da giorni tento disperatamente di precisare con scarso successo agli organi di stampa". (12 luglio 2010)
Bondi e Cicchitto contro Bocchino "Dichiarazioni gravissime" Secca la replica del vicecapogruppo Pdl: "Nessun complotto. Tutto è chiaro, limpido e pertanto senza alcun mistero". L'Anm torna sull'inchiesta che coinvolge Denis Verdini e Flavio Carboni. "La scelta dei dirigenti deve essere ancorata al merito" Bondi e Cicchitto contro Bocchino "Dichiarazioni gravissime" Il vicecapogruppo Pdl alla Camera, Italo Bocchino ROMA - Continua la polemica interna tra finiani e Pdl. Tra domande e risposte. Per il ministro Sandro Bondi, coordinatore del Pdl, e Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, le dichiarazioni su Verdini di Italo Bocchino 1 sono state "gravi in maniera inaudita". "Le dichiarazioni dell'On. Bocchino di essere a conoscenza dei verbali di intercettazioni riguardanti indagini giudiziarie in corso, che secondo lui saranno pubblicate a breve sui mezzi di comunicazione, secondo il mal costume in voga nel nostro Paese, sono di una gravità inaudita", hanno detto su quanto affermato dal vicecapogruppo a Montecitorio, secondo il quale Denis Verdini "sarà costretto a dimettersi quando emergeranno le intercettazioni che hanno portato a indagare lo stesso Verdini". "A questo punto l'On. Bocchino ha l'obbligo di riferire come sia giunto in possesso di tali verbali, in che modo e attraverso quali canali - hanno aggiunto Bondi e Cicchitto -. "Questa vicenda dimostra a quale livello di degrado e di spregiudicatezza giungano alcuni esponenti politici. Inoltre rivela, se fosse confermata, l'intreccio perverso non solo tra una parte della magistratura e il mondo dell'informazione, ma anche tra ambienti giudiziari e esponenti politici, che utilizzano notizie coperte da segreto istruttorio come strumento di lotta politica". La replica di Bocchino non ha tardato ad arrivare in una nota ufficiale: "Gli amici Bondi e Cicchitto possono star tranquilli che non c'è alcun complotto in giro, né misteri. Quando ho parlato di atti che a mio giudizio porranno un problema di opportunità politica a Berlusconi sul caso Verdini, mi riferivo semplicemente all'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carboni e soci, documento in possesso di tutte le redazioni dei giornali". Il vicecapogruppo Pdl alla Camera aggiunge: "A pagina 50 si parla di un'informativa dei carabinieri di duemila pagine con allegate altre 4000 pagine di atti e documenti, gran parte intercettazioni. Sempre a pagina 50 c'è scritto che il pm allo stato ha formalizzato richieste solo per il reato associativo e non per i delitti-fine quali corruzione, abuso d'ufficio e altro, chiarendo a pagina quattro di aver utilizzato soltanto le telefonate con parlamentari necessarie a sostenere la misura nei confronti degli altri indagati. Tutto chiaro e limpido pertanto, senza alcun mistero". In campo scende anche l'Associazione nazionale dei magistrati, che esprime nuovamente preoccupazione 2 per gli sviluppi dell'inchiesta della procura di Roma 3 che coinvolge Denis Verdini 4 e Flavio Carboni, dalla quale stanno anche emergendo pressioni esercitate per favorire la nomina di determinati magistrati in ruoli delicati o di condizionare i giudici della Consulta nel voto sul lodo Alfano. "Sono vicende che al di là del merito danno un quadro di inquinamento preoccupante e quindi non può che preoccuparci e riproporre in modo forte il tema della questione morale all'interno della magistratura", ha detto Luca Palamara, presidente dell'Anm. "Il tema della questione morale - ha spiegato Palamara a margine di un convegno del Csm - va di pari passo con quello della scelta dei dirigenti che deve essere ancorata come non mai al merito e svincolata da logiche di appartenenza". Su questi argomenti l'Anm chiede "chiarezza e nettezza di posizioni". "La magistratura che noi vogliamo - ha assicurato - non può permettersi di avere al suo interno situazioni di opacità anche quando queste riguardano le nomine di importanti uffici direttivi". Sul fronte delle indagini, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci ha formalizzato stamani la richiesta di rinvio dell'interrogatorio originariamente fissato dai magistrati della Procura di Roma per domani alle 18. All'origine del rinvio un'esigenza professionale del difensore Guido Manca Bitti che domani sarà impegnato per tutto il giorno in un processo a Cagliari. Nelle prossime ore i magistrati romani comunicheranno all'avvocato di Cappellacci la nuova data. A proposito della richiesta da parte dei finiani delle dimissioni 5 di Verdini, Filippo rossi - direttore di Ffwebmagazine, periodico online della fondazione Farefuturo -, ferma la discussione: "Il giustizialismo non c'entra nulla. E nemmeno lo strapotere dei magistrati. E' solo voglia di normalità. Voglia di giustizia". "Forse - si legge nell'articolo - è un sogno un po' demodé, forse è troppo ingenuo, ma gran parte degli italiani ha il desiderio represso di poter essere finalmente orgogliosa della propria classe dirigente. Utopia?". E prosegue: "L'onorabilità, la presentabilità di una classe politica è data anche e soprattutto dalla capacità di esprimere sicurezza, di dare il buon esempio". "Esistono - si legge nel corsivo - una serie di comportamenti, di amicizie, di atteggiamenti che non possono non essere messi sotto osservazione, che non possono non generare giudizi negativi". (12 luglio 2010)
Caso Verdini, caos in Campania via l'assessore che spiava Caldoro Si dimette Sica e comincia la resa dei conti nel Pdl regionale. Il governatore: vicenda squallida, il partito affronti il problema di CONCHITA SANNINO Caso Verdini, caos in Campania via l'assessore che spiava Caldoro Stefano Caldoro NAPOLI - L'esecutore del complotto si dimette. L'assessore regionale Ernesto Sica è fuori, dopo appena cinquanta giorni, dalla giunta Caldoro. Ma la resa dei conti interna al Pdl campano è appena cominciata. "Primo scoglio, archiviato. Però era ovvio. Resta tutta aperta la questione dentro il partito", commenta Stefano Caldoro, comunicando agli altri colleghi di giunta che da oggi "dobbiamo mettere il turbo, si riparte. Senza farci frenare dallo squallore". Tuttavia, alle sette di un'afosa domenica, il governatore sotto attacco dei nemici interni non ha certo un'espressione serena mentre si chiude alle spalle l'ufficio in cui ha trascorso, praticamente asserragliato, un lungo e duro weekend. L'inizio di una partita che non si sa ancora quanto durerà. Il faccia a faccia tra Caldoro e l'assessore regionale Ernesto Sica si è consumato invece in dieci minuti. Sufficienti ad incassare le sue dimissioni. Sica, coinvolto nell'inchiesta romana sulla banda specializzata in campagne diffamatorie, interferenze su giudici e appalti dell'eolico, aveva offerto in queste ore la versione della vittima: "Anche io sono stato travolto". Poi, lo sfogo di un attimo: "Guarda che io sono il più fesso, là in mezzo". Raccogliendo solo il gelido consiglio di Caldoro: "Suggerirei di dirlo al magistrato. Questo non è argomento che può interessare un governatore". Eppure Sica, sindaco di Pontecagnano (Salerno), ha sperato fino all'ultimo di restare in sella, grazie anche all'assordante silenzio dei vertici romani del Pdl sull'opportunità che un "congiurato" restasse in giunta. Singolare anche che l'ex assessore abbia convocato una conferenza solo per venerdì prossimo: tra cinque giorni. Un tempo necessario a inviare o ricevere segnali? Per ora l'ex enfant prodige della politica salernitana - guascone amante di mondanità e scorribande in Sardegna, e a Pontecagnano regista delle brillanti feste dell'allora Margherita, prima che il vecchio De Mita lo scaricasse - deve difendersi dall'ipotesi di "violenza privata". L'uomo ombra voluto dal premier Berlusconi nella giunta Caldoro compare in decine di telefonate mentre, per il giudice, cura l'attività di dossieraggio su uno scandalo sessuale, fatto "di incontri con trans e coperture di camorra", che avrebbe dovuto mettere fuori gioco Caldoro, insieme con il faccendiere Flavio Carboni, e i "soci" Pasquale Lombardi ed Arcangelo Martino. Sulla posizione di Nicola Cosentino, il coordinatore Pdl che ascoltava al telefono e vedeva agire la banda, invece, si attendono ulteriori valutazioni. Già lo scorso mese, i pubblici ministeri di Napoli, Giuseppe Narducci ed Alessandro Milita, titolari dell'inchiesta che ha portato all'ordinanza di custodia in carcere per Cosentino con l'accusa di associazione mafiosa, si erano incontrati con i magistrati romani per valutare le vicende collegate alle pressioni esercitate dalla banda per l'accoglimento del ricorso avanzato in Cassazione dai legali di Cosentino. Circostanza che richiama una precisa mossa del travagliato inverno di Cosentino. "Aspettiamo gennaio. Se la Cassazione accoglie il ricorso, sono in pista di nuovo", era la strategia indicata a Roma. Richiesta esaudita. Fino al verdetto, infausto, della suprema Corte. E allo scandalo costruito "alla Marrazzo": per affossare l'uomo che gli aveva usurpato un futuro da governatore. (12 luglio 2010)
Ganzer condannato a 14 anni per traffico di droga e peculato Il generale, attuale comandante del Ros, è stato processato per la costituzione di associazione a delinquere finalizzata alla vendita di stupefacenti. Condannato anche all'interdizione perpetua dai pubblici uffici Ganzer condannato a 14 anni per traffico di droga e peculato Il comandante dei Ros, generale Ganzer MILANO - Il generale Giampaolo Ganzer, attuale comandante del Ros, è stato condannato a 14 anni di carcere a Milano nell'ambito del processo su presunte irregolarità in operazioni antidroga condotte negli anni '90 da un piccolo gruppo all'interno del reparto speciale dell'Arma. Ganzer è stato inoltre interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. "Le sentenze non si possono che rispettare. Aspettiamo le motivazioni", è stato l'unico commento del generale. Giampaolo Ganzer era accusato insieme ad altre 17 persone di aver costituito un'associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, al peculato, al falso e ad altri reati. Per Ganzer è scattata anche l'interdizione perpetua ai pubblici uffici. Condannato anche l'ex colonnello del Ros e attuale membro dell'Aise (servizi segreti) Mauro Obinu, a cui è stata inflitta la pena di sette anni e dieci mesi di carcere, oltre che l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. La Corte, presieduta da Luigi Capazzo, dopo una settimana di camera di Consiglio, ha dunque accolto solo in parte le richieste del pm Luisa Zanetti che sosteneva che "all'interno del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri c'era un insieme di ufficiali e sottoufficiali che, in combutta con alcuni malavitosi, aveva costituito una associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, al peculato, al falso e ad altri reati, al fine di fare una carriera rapida". (12 luglio 2010)
2010-07-11 Anm: "No a toghe vicine a comitati d'affari" E i finiani chiedono le dimissioni di Verdini I magistrati: "Il clima di inquinamento e di condizionamento è allarmante". Duri i finiani. Della Vedova: "Fare senza dire che è tutto un complotto". Bocchino: "La degenerazione del Pdl è a livelli di guardia" Anm: "No a toghe vicine a comitati d'affari" E i finiani chiedono le dimissioni di Verdini Il presidente dell'Anm, Luca Palamara ROMA - Le indagini legate all'affare dell'eolico in Sardegna non si fermano e non possono considerarsi concluse con l'arresto di Flavio Carboni 1, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Per l'associazione nazionale dei giudici "il tema della questione morale non ammette indugi e tentennamenti". "Non vogliamo magistrati contigui al potente di turno e vicini ai comitati d'affari - hanno dichiarato il presidente dell'Anm Luca Palamara e il segretario generale Giuseppe Cascini, commentando gli ultimi sviluppi dell'inchiesta della procura di Roma per associazione per delinquere -. Vogliamo, invece, magistrati indipendenti e integri la cui attività si affermi nelle aule di giustizia e non nei salotti". "Il clima di inquinamento e di condizionamento che emerge dagli atti - hanno continuato - è allarmante. Chiediamo alle istituzioni competenti di intervenire con prontezza e rigore". Dure le reazioni dei fianiani. Benedetto Della Vedova chiede a Denis Verdini di chiarire 2 i contorni della vicenda che lo ha coinvolto. "Credo che Verdini debba valutare attentamente le cose, lui conosce i fatti meglio di chiunque altro, spieghi in maniera convincente come sono andate le cose - ha detto il deputato del Pdl -. Dovrebbe fare chiarezza, non resistere dicendo che è tutto un complotto, fare così non è nell'interesse del Pdl". Il deputato ha chiesto responsabilità nei confronti del partito. "Nell'interesse del Pdl, Verdini deve trovare il modo di spiegare - ha detto Della Vedova -. Dire che è una macchinazione, è un atteggiamento sbagliato. Serve responsabilità nei confronti del partito". Per il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino "dal punto di vista politico c'è un enorme problema di opportunità che il premier non può far finta di non vedere. Il Berlusconi 'ghe pensi mi' come ha risolto il caso Brancher così deve risolvere il caso Verdini". "Sui profili penali non voglio esprimermi. Da amico, mi auguro che Denis Verdini sappia dimostrare la sua innocenza - ha rimarcato Bocchino -. Più in generale c'è un problema della classe dirigente del partito che non riesce a interpretare il progetto originario di Berlusconi e Fini. La degenerazione è arrivata a livelli di guardia". Nei prossimi giorni, a seguito di altre attività investigative legate all'affare dell'eolico in Sardegna, non sono esclusi nuovi sviluppi. Secondo quanto scritto dal quotidiano L'Unione Sarda, da ambienti della procura romana si smentirebbe che si vada a uno stralcio delle indagini per il filone sardo. Per la prossima settimana è prevista a Roma l'audizione del presidente 3 della Regione Autonoma della Sardegna, Ugo Cappellacci, che però potrebbe slittare. Inizialmente era indicata per le 18 di martedì 13 luglio ma l'avvocato del presidente, Guido Manca Bitti, chiederà un rinvio perché impegnato in un altro processo. Così solo lunedì si saprà se i magistrati romani accetteranno di fissare una nuova data per sentire Cappellacci, che figura nell'elenco degli indagati nell'ambito dell'indagine sull'eolico ma non per la parte d'inchiesta che ha portato all'arresto due giorni fa dell'imprenditore sardo Carboni (costituzione di società segreta). Per Cappellacci, infatti, l'accusa è di abuso di ufficio e concorso in corruzione per gli appalti eolici e non per l'ipotesi del reato riconducibile alla costituzione di un'associazione segreta. (11 luglio 2010)
INCHIESTA EOLICO Carboni, cene segrete da Verdini per pilotare nomine e giudici L'arresto dell'imprenditore sardo. Ai summit partecipava anche Dell'Utri. Il gruppo cercò di influenzare il voto della Consulta sul Lodo Alfano e provò a candidare Cosentino al posto di Caldoro in Campania di CORRADO ZUNINO Carboni, cene segrete da Verdini per pilotare nomine e giudici Denis Verdini ROMA - In carcere l'intramontabile uomo delle trame Flavio Carboni, 78 anni, il giudice tributario Pasquale Lombardi, 77 anni, e l'imprenditore napoletano Arcangelo Martino, lui 63. Avevano costituito, dice la Procura di Roma, un'associazione a delinquere che con la corruzione, l'abuso d'ufficio, la diffamazione e la violenza privata mirava a condizionare "il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale" nonché di "apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali". Come si legge nelle ultime tre righe della lunga ordinanza di custodia cautelare, la loro era "una realtà organizzata del tutto corrispondente alla cosiddetta legge della Loggia P2". La P2 del 2010. I tre avevano organizzato una rete di contatti, larga e profonda, che consentiva a persone vicine al gruppo di essere collocate "in posizioni di rilievo in enti pubblici e apparati dello Stato" ed ottenere "appalti pubblici, provvedimenti giudiziari e amministrativi favorevoli". Il "gruppo di potere occulto" ha mosso a fini corruttivi 4 milioni di euro ed è stato intercettato al telefono con diversi parlamentari. Tra settembre e ottobre 2009 i tre tentarono l'avvicinamento di alcuni giudici della Corte costituzionale per influire sul giudizio del lodo Alfano (la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato, in realtà poi bocciato dalla Consulta). Il "clou" dell'attività del gruppo si realizzò il 23 settembre con una riunione - se ne contano sei, prima e dopo - nella splendida casa romana alle pendici del Campidoglio di Denis Verdini, coordinatore del Pdl, già indagato per l'eolico, il filone toscano dell'inchiesta sulla Protezione civile e la ricostruzione all'Aquila. Oltre a Carboni, Lombardi e Martino, quel giorno parteciparono Marcello Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia (e magistrato) Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Al telefono preparando l'incontro, Lombardi dirà a Caliendo: "E poi stasera chiamo Antonio (Martone) per quanto riguarda la Corte costituzionale. Amm' fà nu poc' na conta a vedé quanti sonn' i nostri e quanti sonc i loro... andò sta o' buono e ando sta o' malamente... Poi vediamo come bisognerà raggiungere i contrari... ci sono tutti i mezzi possibili". Parallelamente il gruppo si è mosso per ottenere la candidatura alla presidenza della Regione Campania di Nicola Cosentino, sottosegretario alle Finanze indagato per concorso esterno in associazione camorristica. Lombardi esercitando pressioni su componenti del Csm, cercò di pilotare diverse nomine di alti magistrati, tra cui il campano Alfonso Marra alla presidenza della Corte di appello di Milano. Il 4 febbraio Marra, sostenuto dalle correnti della magistratura di centrodestra, fu eletto. A Marra l'ex magistrato Lombardi chiese subito un intervento per riammettere la lista formigoniana "Per la Lombardia" alle ultime elezioni regionali, "ma fu infruttuoso", registrano gli inquirenti. In una telefonata il gruppo, invece, si vantò di aver fatto ritirare un candidato in Puglia. In diverse intercettazioni, ancora, s'ipotizza l'intervento sulla Suprema Corte per evitare alla Mondadori il pagamento di 200 milioni di euro per evasione fiscare. Il magistrato Martone si difende: "Non ho mai fatto nessuna pressione sui giudici della Corte costituzionale". Il sottosegretario Caliendo conferma la sua partecipazione a una cena, "ma non si parlò del lodo". (10 luglio 2010)
rame a tutto campo durante i vertici "Roviniamo Caldoro dicendo che va a trans" Negli incontri in casa di Verdini si cercò di intervenire sul voto in Campania e Lombardia e sulle decisioni della corte costituzionale sul Lodo Alfano di FRANCESCO VIVIANO Trame a tutto campo durante i vertici "Roviniamo Caldoro dicendo che va a trans" Flavio Carboni SI RIUNIVANO a casa del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, per concordare strategie, nomine ed affari. Per ben sei volte, tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010. Gli incontri avvenivano a casa Verdini: Palazzo Becci Blunt in piazza dell'Ara Coeli. Del gruppo facevano parte Flavio Carboni, Pasquale Lombardi, l'imprenditore Arcangelo Martino ed il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri. Verdini e Dell'Utri non sono però indagati, la loro posizione è ancora al vaglio del procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo. Vertici segreti che sono l'aspetto più inquietante dell'inchiesta, che era partita indagando su alcune organizzazioni camorristiche interessate al business dell'eolico in Sardegna, e che si è allargata quando sono spuntati nomi eccellenti delle istituzioni, magistrati della Corte di Cassazione, del Csm e della Corte Costituzionale, che di volta in volta venivano "avvicinati" da Pasquale Lombardi. Nell'ordinanza del gip Giovanni De Donato, viene descritto chiaramente il raggio d'azione del terzetto massonico-affaristico. IL LODO ALFANO "Nel corso dei mesi di settembre e ottobre 2009 Carboni, Martino e Lombardi - scrive il gip De Donato - hanno concordato l'avvicinamento di giudici della Corte Costituzionale allo scopo di influire sull'esito del giudizio sulla legge nota come "Lodo Alfano". Ed il 30 settembre del 2009 Lombardi telefona al presidente della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli dicendogli che gli deve parlare di "una cosa urgente". Lo richiama alcune ore dopo e spiega a Mirabelli che si tratta del "Lodo del ministro" chiedendogli: "I suoi amici e colleghi su che posizioni staranno?". Mirabelli è imbarazzato ma Lombardi insiste: "Possiamo almeno intervenire su questa signora? (altro giudice della Corte Costituzionale, Maria Sauelle ndr)". LA CANDIDATURA DI COSENTINO Pasquale Lombardi si attiva per fare intervenire il presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone per accogliere il ricorso di Nicola Cosentino contro la richiesta d'arresto della Procura di Napoli per camorra. E il 7 gennaio 2010 viene registrata una telefonata di Lombardi a Carbone: "Stai in Cassazione stamattina? Allora ti raggiungo verso le undici e mezzo, mezzogiorno". E poche ore dopo è lo stesso Carbone a chiamare Lombardi informandolo che l'udienza è stata fissata per il 28 gennaio. Due giorni prima dell'udienza "Lombardi - scrive il gip - chiama il presidente Carbone, annunciandogli una piccola regalia e spendendo il nome di Letta. Lombardi: "Stammi a sentire - dice a Carbone - io mi sò fatto portare l'olio e te lo porto domani mattina. Ci vediamo in Cassazione e facciamo il trasbordo... Stammi a senti', ti ha chiamato Letta?". Carbone risponde: "No, perché?". E Lombardi: "Perché ti doveva chiamare". Carbone ribadisce che Letta non lo ha chiamato. "E di tale telefonata - scrive il gip - va detto non vi sarà neanche in seguito nessuna traccia". GLI ATTACCHI A CALDORO Dopo il rigetto del ricorso di Cosentino e la candidatura da parte del Pdl di Stefano Caldoro, Carboni, Martino e Lombardi si attivano per organizzare una strategia di delegittimazione nei confronti di Caldoro. Attraverso siti Internet e blog, mettono in giro la voce che Caldoro vada a trans, e che sia "il Marrazzo della Campania". Ma anche che c'è un pentito di camorra che lo accusa di avere rapporti con la criminalità napoletana. E commentano con soddisfazione le notizie false che a mano a mano vengono pubblicate da siti come il blog "Campaniaelezioni. altarvista. org" dove veniva pubblicato un articolo dal titolo "Un Marrazzo in pectore: le passioni strane di Caldoro". E poi un altro titolo ancora: "Pentito di camorra accusa: nel '99 stringemmo un patto con Caldoro". L'ELEZIONE DEL GIUDICE MARRA Sempre Carboni, Martino e soprattutto Lombardi si attivano anche per fare eleggere il giudice Marra a Presidente della Corte d'appello di Milano. Intervengono sul Csm e contattano il giudice Celestina Tinelli, si attivano anche con altri personaggi influenti. Marra, per coincidenza o per l'effettivo intervento di Lombardi, viene eletto presidente della Corte d'Appello di Milano ed in quella veste lo contattano per intervenire a favore del ricorso della lista "Per La Lombardia" vicina a Formigoni (agli atti una richiesta di intervento esplicita di Formigoni a Martino) ed esclusa dalla competizione elettorale. "Tale tentativo è stato operato mediante il diretto intervento di Lombardi sul magistrato Alfonso Marra appena insediatosi". L'EOLICO E LA BANCA DI VERDINI Un altro capitolo dell'ordinanza del gip è dedicata all'affare dell'eolico in Sardegna. Se ne parla spesso in alcune riunioni in casa Verdini a Roma con Dell'Utri ed il presidente della Sardegna, Ugo Cappellacci, che nomina Farris a presidente dell'Agenzia Regionale per l'ambiente in Sardegna. Nell'inchiesta vengono citati i rapporti dei carabinieri di Roma che registrano passaggi di denaro, una decina di milioni di euro, raccolti da Flavio Carboni e dirottati sul Credito Cooperativo Fiorentino, la banca di Denis Verdini. E su questo argomento c'è agli atti del gip soltanto un'intercettazione di Verdini che chiama Carboni dicendogli: "Ti volevo ricordare anche del mio problema a Firenze sul Giornale (Verdini è azionista di maggioranza del Giornale della Toscana ndr)". (10 luglio 2010)
EUTELIA In manette i "killer di aziende" arrestati 7 manager per bancarotta L'unico a non essere finito in manette è Samuele Landi, ex presidende del cda di Agile e amministratore di Eutelia. È a Dubai, dove si cercherà di prenderlo di ELSA VINCI In manette i "killer di aziende" arrestati 7 manager per bancarotta ROMA - "Killer di aziende. Hanno messo in strada i dipendenti deliberatamente, c'era un patto dietro il fallimento della società". Arresti e 22 perquisizioni in tutta Italia per la bancarotta milionaria Agile-Eutelia, importante gruppo societario nel settore delle telecomunicazioni e dell'information technology. Otto le ordinanze di custodia cautelare, sette eseguite, l'unico a non essere finito in manette è Samuele Landi, ex presidende del cda di Agile e amministratore di Eutelia. È a Dubai, dove si cercherà di prenderlo. Nel novembre dell'anno scorso era entrato nella sede romana di Eutelia, occupata dai lavoratori, capeggiando un gruppo di vigilantes e minacciando i dipendenti. Il suo blitz, immortalato dai tg, è uno degli elementi d'accusa nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Roma, Elvira Tamburelli. "Samuele Landi - scrive il giudice - noncurante della dismissione seppure soltanto formale da cariche del cda, fa irruzione in azienda sprezzante nei confronti dei dipendenti che tentavano di far valere le loro ragioni e che per effetto dei reati da lui commessi hanno perso il lavoro". Landi e un gruppo di soci "hanno acquistato diverse società organizzando una colossale operazione dolosa con l'obiettivo di provocare, tra l'altro, il fallimento di Agile". Un esempio? "I crediti invece di essere riscossi sono stati ceduti per garantire le obbligazioni di un'altra società del gruppo, la Omega". La cricca, scrive il giudice, si è mossa "con lo scopo di spogliare Agile dei suoi asset, svuotando la cassa, caricandola di debiti e sottraendo garanzie ai creditori, soprattutto ai 1.992 lavoratori messi in strada". Per questo la procura di Roma ha chiesto e ottenuto gli arresti dei vertici di Eutelia, Agile e Omega. In manette Pio Piccini, Leonardo Pizzichi, Claudio Marcello Massa, Marco Fenu, Salvatore Riccardo Cammalleri, Antonangelo Liori, Isacco Landi. I magistrati contestano "la distrazione di 11.179.989 milioni dalla Agile srl e la sottrazione di crediti della stessa società, ceduti senza garanzia ad altri soggetti, per 5.529.543 milioni". L'indagine nasce dal lavoro svolto dai custodi giudiziari nominati dal tribunale fallimentare di Roma nel febbraio scorso. I rappresentanti di Agile avevano chiesto un concordato ma offrendo fideiussioni false, chi le aveva garantite era la Cofiar, altra società sotto inchiesta. Dalle intercettazioni i finanzieri del valutario e i pm coordinati da Nello Rossi hanno scoperto che il gruppo ha tentato di avvicinare i custodi giudiziari offrendo consulenze. Al telefono si parla con disinvoltura di documenti falsi, delle manovre per svuotare la società con l'intento di avviare nuove imprese in Italia e in Romania. Infischiandosene di quanti perdevano il lavoro. La prova in una intercettazione dell'aprile scorso. Antonangelo Liori racconta al fratello di aver incontrato i sindacati ai quali ha detto: se c'è fallimento "io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero, la mia villa.... Tutto uguale e loro non ce l'hanno un lavoro... Questa è la storia".
(10 luglio 2010)
Inchiesta Finmeccanica, arrestato Cola I pm: "Ha riciclato denaro del gruppo Mokbel" Il manager indagato nella veste di consulente della società, fermato a Roma poche ore prima di imbarcarsi per gli Stati Uniti. La procura lo accusa di riciclaggio di sette milioni e mezzo per l'acquisto del 51% della Digint srl di MARIA ELENA VINCENZI ed ELSA VINCI Svolta nell'indagine su Finmeccanica. Alle tre di oggi pomeriggio i carabinieri del Ros hanno arrestato Lorenzo Cola, 44 anni, nella veste di consulente di Finmeccanica, con l'accusa di concorso in riciclaggio aggravato. A Cola è stato notificato un provvedimento di fermo firmato alle 2.30 della notte tra mercoledì e giovedì dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai sostituti Rodolfo Sabelli, Giovanni Bombardieri, Francesca Passaniti. Al manager, consulente personale del presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, e della moglie e amministratore delegato di Selex, Marina Grossi, la procura contesta il riciclaggio di sette milioni e mezzo di euro versati dal gruppo di Gennaro Mokbel (coinvolto nella megafrode da due miliardi di euro Fastweb e Telecom Italia Sparkle) per l'acquisto del 51 per cento della società Digint srl. Questa somma, secondo quanto ricostruito con rogatorie a Hong Kong, San Marino e Svizzera, faceva parte di un versamento complessivo di otto milioni e 300 mila euro nominalmente utilizzati per l'acquisizione societaria. In realtà, quei sette milioni e mezzo sarebbero stati il prezzo illecito preteso da Cola per chiudere l'affare Digint Finmeccanica. Di Cola ha parlato all'inizio dell'indagine il presidente Guarguaglini 1, mentre ieri Finmeccanica ha precisato che è un loro "ex consulente". Cola è stato fermato a Roma, nella centrale piazza San Lorenzo in Lucina, poche ore prima di imbarcarsi sul volo che, via Parigi, lo avrebbe dovuto portare stanotte negli Stati Uniti. Il manager era arrivato in Italia nei giorni scorsi, a Milano, proveniente dalla Svezia dove sua moglie aveva appena partorito. A rendere necessario il fermo, secondo la Procura, ''il concreto e fondato pericolo di fuga'', dimostrato dalla ''consapevolezza dell'indagato di un'indagine a suo carico e dall'imminente allontanamento per l'estero''. Cola è stato trasferito nel carcere di Rebibbia dove ha nominato quali suoi avvocati il professor Franco Coppi e Ottavio Marotta. La perquisizione della sua abitazione a Roma, nel quartiere Parioli, è proseguita per tutto il pomeriggio. Entro 48 ore il gip dovrà interrogarlo e decidere se convalidare o meno il suo fermo. (08 luglio 2010)
2010-07-08 Inchiesta eolico, arrestato Flavio Carboni "Voleva influenzare la Consulta sul Lodo Alfano" Nell'inchiesta è accusato di riciclaggio Denis Verdini. Il Gip: "Ci fu una riunione a casa del coordinatore del Pdl alla quale partecipò anche Dell'Utri". Arresto anche per l'ex esponente della Dc Pasquale Lombardi e l'imprenditore napoletano Arcangelo Martino. Il Pd: "Il governo riferisca in Parlamento". L'Idv: "Attentato allo stato di diritto" Inchiesta eolico, arrestato Flavio Carboni "Voleva influenzare la Consulta sul Lodo Alfano" Flavio Carboni ROMA - L'imprenditore sardo Flavio Carboni è stato arrestato questa mattina dai carabinieri su ordine della magistratura romana nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti dell'eolico. Insieme a Carboni, 78 anni, che è stato condotto a Regina Coeli, sono stati arrestati il geometra Pasquale Lombardi, ex esponente della Dc ed ex sindaco del suo paese di origine in provincia di Avellino, e l'imprenditore napoletano Arcangelo Martino. Nell'ordinanza del gip si legge che i tre erano legati in "una associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti" caratterizzata "dalla segretezza degli scopi" e volta "a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali nonché degli apparati della pubblica amministrazione". Il difensore di Carboni, Renato Borzone, ha già annunciato che farà ricorso al Tribunale del riesame. Nella stessa inchiesta è accusato di riciclaggio il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Secondo il gip Verdini incontrò Carboni per stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della Consulta. Dall'inchiesta "emerge un quadro allucinante - commenta il segretario del Pd Pierluigi Bersani - Innanzitutto i magistrati vadano fino in fondo e poi il governo venga, per favore, in Parlamento a dirci qualcosa di questa vicenda". Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro parla di "tentativo chiaro di condizionare l'attività della magistratura, un vero e proprio attentato allo Stato di diritto". Il gip: "Volevano inflenzare il lodo Alfano". Nell'ordinanza con cui ha disposto gli arresti, il gip Giovanni De Donato afferma che tra settembre e ottobre 2009 i tre arrestati tentarono di avvicinare i giudici della Corte Costituzionale allo scopo di influire sull'esito del giudizio sul cosiddetto lodo Alfano, la legge che prevedeva la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato. L'episodio si intreccia col tentativo dei tre di ottenere la candidatura dell'ex sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino, alla carica di presidente della Regione Campania, in cambio appunto degli interventi compiuti sulla Corte Costituzionale. L'incontro con Verdini. Il 23 settembre dello scorso anno, a pochi giorni dal giudizio della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, avvenne una riunione nell'abitazione romana di Verdini per stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della Consulta. All'incontro erano invitato anche Carboni, il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, oltre a Martino e Lombardi. E' quanto emerge dal provvedimento del gip. I preparativi dell'incontro sono stati ricostruiti dal magistrato attraverso le conversazioni avvenute nei giorni 22 e 23 settembre dalle quali tra l'altro emerge che fu Lombardi a curare i contatti con Caliendo, Martone e Miller. Tra le personalità avvicinate da Lombardi, secondo quanto è scritto nell'ordinanza, c'era anche il parlamentare Renzo Lusetti che secondo le intenzioni di Lombardi avrebbe dovuto far da tramite con i giudici della Consulta, una richiesta alla quale Lusetti reagisce con imbarazzo. L'altra personalità avvicinata è il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli che a sua volta cerca di sottrarsi alle richieste di Lombardi che chiedeva appunto di avvicinare uno dei giudici che avrebbe dovuto pronunciarsi sul lodo Alfano. Il 7 ottobre 2009 la Corte boccia il provvedimento, suscitando le ire di Carboni e Martino, che accusano Lombardi del fallimento e della figuraccia fatta con i propri referenti politici, a partire da Verdini. L'inchiesta. Il fascicolo che ha portato agli arresti nasce da uno stralcio, aperto quest'anno, dell'inchiesta sugli appalti per l'eolico in Sardegna in cui è coinvolto, tra gli altri, anche il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellaci. La richiesta d'arresto di Carboni e dell'ex esponente della Dc Campana, Pasquale Lombardi, è stata fatta dal pm della procura di Roma, Rodolfo Sabelli e accolta dal gip Giovanni De Donato. L'ipotesi di reato è quella di associazione a delinquere e di violazione degli articoli 1 e 2 della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Il filone di indagine è collegato all'inchiesta della procura capitolina su un presunto comitato d'affari che avrebbe gestito l'assegnazione di una serie di appalti pubblici in Sardegna per la realizzazione di parchi eolici. Secondo quanto accertato dagli investigatori, il comitato d'affari per l'eolico sorto intorno a Flavio Carboni, avrebbe raccolto enormi capitali di imprenditori siciliani, calabresi e campani. Una parte di questo denaro sarebbe finito in alcune banche italiane, tra cui il Credito Cooperativo Fiorentino di Denis Verdini, e parte in istituti stranieri. I fondi sarebbero stati usati come tangenti per agevolare la concessione di licenze e la realizzazione di parchi eolici in Sardegna. (08 luglio 2010)
Eolico in Sardegna, nuove accuse per Verdini il reato di riciclaggio Al setaccio i conti del coordinatore del Pdl. Si appesantisce anche la posizione di Flavio Carboni: associazione per delinquere di FRANCESCO VIVIANO Eolico in Sardegna, nuove accuse per Verdini il reato di riciclaggio
Con la legge bavaglio non leggerete più questo articolo ROMA - Si aggrava la posizione del coordinatore del Pdl, Denis Verdini nell'inchiesta sull'eolico in Sardegna. Accusato inizialmente di corruzione, adesso la Procura della Repubblica di Roma gli contesta anche il pesante reato di riciclaggio che sarebbe stato compiuto, secondo le ipotesi del Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dei sostituti Rodolfo Sabelli ed Ilaria Calò, con il "faccendiere" Flavio Carboni. Ma anche la posizione di quest'ultimo si è appesantita. Carboni deve rispondere anche di associazione per delinquere in questa inchiesta che vede indagati, tra gli altri, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, il "tributarista" Pasquale Lombardi, Arcangelo Martino, costruttore, Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias, Ignazio Farris, direttore generale dell'Arpa Sardegna. Tutti accusati per concorso in corruzione. L'incriminazione di Denis Verdini per riciclaggio è stata provocata dalle indagini bancarie svolte sia dalla Banca d'Italia che dai carabinieri i quali, su incarico della Procura di Roma, hanno perquisito e sequestrato molta documentazione proprio nella banca di Denis Verdini, il Credito Cooperativo Fiorentino dove - tra l'altro - sarebbero transitati 800 mila euro dirottati da Flavio Carboni verso l'istituto di credito gestito da Verdini. Per l'accusa quei soldi sarebbero stati "raccolti" da Flavio Carboni grazie ai versamenti di alcuni imprenditori che avrebbero "anticipato" future donazioni di denaro (tangenti) a quanti, funzionari pubblici e politici, avrebbero potuto dare una mano per realizzare impianti eolici in Sardegna. Verdini ha respinto l'accusa di avere fatto transitare dalla sua banca "fondi neri" giustificando quel passaggio di denaro come aumento di capitale del "Giornale della Toscana" di cui il coordinatore del Pdl detiene la maggioranza azionaria. "Si tratta di denaro di nuovi soci della società editrice" aveva dichiarato Denis Verdini. Una versione che non convince per nulla il Procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo che ha delegato la Guardia di Finanza ad indagare sui conti di Verdini e sulle sue società. E nei prossimi giorni Denis Verdini sarà convocato dai magistrati romani che gli chiederanno conto e ragione di tutti quegli strani movimenti di denaro, dei suoi rapporti con il Governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci e con il senatore Marcello Dell'Utri (che non è indagato) i quali avrebbero pilotato la nomina di Ignazio Farris come presidente dell'Arpa Sardegna, l'agenzia deputata ai controlli ed al rilascio delle concessioni per gli impianti eolici in Sardegna. "La sua nomina a presidente dell'Arpa è fondamentale, altrimenti io esco dall'affare", ha detto Flavio Carboni in una conversazione telefonica intercettata dai carabinieri. Gli investigatori, sulla base di intercettazioni e di pedinamenti, hanno infatti registrato alcuni incontri (che sono stati poi ammessi sia da Cappellacci che da Verdini) a Roma dove veniva sollecitata la nomina di Fabris che avrebbe potuto agevolare gli interessi degli imprenditori "raccomandati" da Marcello Dell'Utri e da Flavio Carboni. Ma i guai giudiziari di Denis Verdini potrebbero aggravarsi ancora di più. L'indagine della Procura di Roma s'incastra infatti con quella della Procura di Firenze dove Verdini è indagato per corruzione nell'inchiesta sul G8 e dei Grandi Eventi per l'appalto dell'ormai noto "Palazzo dei Marescialli" di Firenze. Il comune denominatore delle due inchieste è rappresentato dagli affari e dalle operazioni finanziarie finite anche nel mirino degli 007 della Banca d'Italia. Si stanno verificando alcune operazioni finanziarie di Verdini condotte con l'altro indagato dell'inchiesta fiorentina, l'imprenditore Riccardo Fusi. E sia Roma che le Procure di Perugia e Firenze sospettano che ci siano dei "tesori" nascosti in alcune banche straniere. Soldi occultati in conti correnti e forzieri di banche e società finanziarie del Lussemburgo. Il sospetto dei magistrati di Perugia, Firenze e Roma è che la il coordinatore del Pdl Denis Verdini e i vari personaggi coinvolgi nell'inchiesta G8 siano riusciti a mettere al sicuro all'estero ingenti somme truffate allo Stato Italiano ed all'Unione Europea. (27 maggio 2010)
Flavio Carboni e i misteri italiani Dai "Frati Neri" alle pale eoliche Il suo nome rientra nelle inchieste più scottanti degli ultimin trent'anni, dall'assassinio di Roberto Calvi al sequestro Moro alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Con una sola condanna per il crack del Banco Ambrosiano Flavio Carboni e i misteri italiani Dai "Frati Neri" alle pale eoliche 6 ottobre 2005. Flavio Carboni in aula al processo per l'assassinio di Roberto Calvi ROMA - Flavio Carboni, arrestato nell'ambito dell'inchiesta 1 sull'eolico in Sardegna, sembra il comune denominatore di quasi tutti i grandi misteri italiani degli ultimi trent'anni. Il passepartout con cui aprire e addentrarsi in qualsiasi dossier, dalla banda della Magliana all'omicidio di Roberto Calvi, al sequestro Moro, ai piani sovversivi di Licio Gelli, al caso Orlandi. E alla fine ritrovarsi ancora con quella chiave in mano, lucida e pronta a un nuovo utilizzo. Perché ad oggi, Flavio Carboni è stato riconosciuto colpevole solo una volta: 8 anni e sei mesi di reclusione per il fallimento del Banco Ambrosiano, insieme a Umberto Ortolani e Gelli, ai quali sono stati inflitti 12 anni, e a Francesco Pazienza, condannato a otto anni. Poi, una collezione di assoluzioni. Dall'accusa di concorso nell'omicidio del banchiere Calvi, ritrovato il 17 giugno 1982 impiccato a Londra sotto Blackfriars Bridge, il ponte dei frati neri, nella messinscena di un suicidio. Per Carboni il pm aveva chiesto l'ergastolo. Assolto dall'accusa della ricettazione della borsa di Calvi con tutto il suo compromettente contenuto: Carboni era accusato di aver venduto il materiale a monsignor Pavel Hnilicaad, alto prelato dello Ior, che dichiarò di voler proteggere il buon nome della Chiesa e di Papa Giovanni Paolo II. Assolto dall'accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, il vice di Calvi all'Ambrosiano. E ancora, assolto dall'imputazione per falso e truffa ai danni del Banco di Napoli. Carboni crocevia di trattative segrete e inconfessabili, Carboni mediatore tra i poteri occulti, referente per politici, imprenditori e criminali per qualsiasi "faccenda". Un ruolo che Carboni si guadagna con la potenza del denaro e i tanti modi in cui lo si può utilizzare. L'improvviso successo economico di Carboni comincia negli anni '70, con una serie di società immobiliari e finanziarie. In quegli anni si muove anche nel mondo dell'editoria: proprietario del 35% del pacchetto azionario della "Nuova Sardegna" ed editore di "Tuttoquotidiano", per il fallimento del quale era stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma. Nell'estate del 1982 il primo arresto, in Svizzera. Da quel momento inizia per Flavio Carboni la lunga e assidua frequentazione di inchieste e tribunali. Provato il suo stretto legame con esponenti della banda della Magliana e della mafia. Banda della Magliana implicata a sua volta nell'assassinio di Roberto Calvi. Carboni è chiamato in causa, ma assolto, oltre che per l'omicidio, anche per la falsificazione del passaporto e l'espatrio clandestino del banchiere e per concorso in esportazione di capitali. Nel 1978, durante il sequestro di Aldo Moro, Carboni avvicinò esponenti Dc offrendosi di sollecitare l'intervento della mafia per la liberazione del presidente della Democrazia Cristiana. Qualche giorno dopo Carboni riferì che la mafia non voleva aiutare Moro perché troppo legato ai comunisti. Il nome di Carboni compare anche nel falso dossier di Demarcus pubblicato sull'Avanti, per il quale recentemente è stato indagato anche Cesare Previti. Il documento sosteneva un legame tra Stefania Ariosto, implacabile accusatrice di Previti, e i servizi segreti. Tra le pieghe spuntava anche un incontro tra la Ariosto e Carboni. Infine, il nome di Flavio Carboni entra anche nell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e solo il 4 febbraio scorso si registra la sua testimonianza sul caso in procura a Roma. I magistrati gli hanno chiesto se fosse a conoscenza di particolari sulla vicenda, soprattutto alla luce dei rapporti che Carboni ha avuto con esponenti del Vaticano e, nell'ambito della sua attività di uomo d'affari, con soggetti legati in qualche modo alla Banda della Magliana. Rapporti con il gruppo criminale capitolino che Carboni ha sempre negato, affermando che si trattava di rapporti con persone di cui ignorava l'appartenenza alla banda. (08 luglio 2010)
Dal Sito Internet de L'ESPRESSO http://espresso.repubblica.it/dettaglio/articolo/2126091Vento di mafia di Fabrizio Gatti Il business dell'eolico. Il ricco bottino dei fondi pubblici. Nel mirino di imprenditori legati alle cosche. E di faccendieri. In Sardegna è partito l'assalto all'industria dell'energia pulita (29 aprile 2010) Il faccendiere Falvio Carboni è stato arrestato questa mattina dai carabinieri su ordine della magistratura romana nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti nell'eolico. Carboni, 78 anni, è stato condotto a Regina Coeli. Il suo difensore, Renato Borzone, ha già annunciato che farà ricorso al tribunale del riesame. Nella stessa inchiesta è accusato di riciclaggio il coordinatore del Pdl Denis Verdini. L'indagine sulle tangenti per l'eolico in Sardegna era stata anticipata il 6 maggio scorso su "L'espresso" da questo articolo esclusivo di Fabrizio Gatti.
Ci siamo giocati anche la Sardegna. Stanno cadendo uno dopo l'altro gli ultimi territori liberi dalla mafia. Gli interessi di imprenditori in contatto con gli uomini di Cosa nostra sono arrivati fin qui, nel cuore più antico dell'autonomismo. Da queste parti gli amici degli amici non sparano. Vengono armati di mappe meteorologiche, anemometri e soldi. Montagne di calcare e granito rosso, di pascoli e sughereti sono state sventrate per innalzare eliche e torri. Ovunque. L'entroterra incontaminato dell'isola non sarà più lo stesso che abbiamo visto o sentito raccontare. L'energia eolica regala elettricità pulita in tutto il mondo. Non nell'Italia del malaffare certificato. Bastano 10 mila euro per conquistare il diritto a demolire il paesaggio. È il capitale necessario per costituire una piccola srl. E per accaparrarsi poi le concessioni e i milioni di finanziamento pubblico. Si possono vedere all'opera a Cagliari amministratori di società che a Napoli si occupano di noleggio di pedalò: in fondo si tratta sempre di fonti alternative. Oppure capita di inciampare nelle aziende del capitalismo nazionale. E scoprire che l'ex socio che ha aperto la via del vento ai fratelli Gianmarco e Massimo Moratti è stato condannato il 9 marzo a Palermo per corruzione. Con l'aggravante di avere favorito proprio Cosa nostra. Si chiama Luigi Franzinelli, 66 anni: ha disseminato l'Italia di pale e piloni. Commenta attualità Vento di mafia di Fabrizio Gatti (29 aprile 2010)
L'imprenditore viene condannato in primo grado poco più di un mese fa dal giudice di Palermo, Daniela Troja. Due anni con rito abbreviato: corruzione, aggravata dall'avere agevolato Cosa nostra. Il processo riguarda la costruzione del parco eolico intorno a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. Secondo l'accusa, i boss hanno scelto e favorito la società Sud wind di Franzinelli. In cambio di tangenti versate a un esponente locale di Forza Italia, candidato alle Regionali del 2006. Condannato a un anno e 10 mesi anche uno dei soci, Antonio Aquara, 52 anni, salernitano di Ottati. Otto anni e quattro mesi per associazione mafiosa invece a Giovan Battista Agate, 68 anni, fratello del boss massone Mariano. A processo, funzionari del Comune di Mazara e imprenditori vicini al capo dei capi, Matteo Messina Denaro. Luigi Franzinelli è accusato di reati commessi tra il 2004 e il 2007. Quello che sfugge alle cronache giudiziarie è che proprio in quegli anni Franzinelli e alcuni suoi familiari sono in affari con Corrado Costanzo, l'attuale direttore finanziario della Saras di Cagliari, il gruppo petrolifero dei fratelli Moratti. Insieme si occupano della realizzazione del parco eolico di Ulassai per conto della Saras. Né i Moratti né Costanzo, come risulta dall'inchiesta, erano al corrente dell'attività in Sicilia dell'ex socio finito nei guai per avere aiutato la mafia. E dal 2008 hanno interrotto ogni rapporto con l'imprenditore e con i suoi familiari. Quello di Franzinelli è il classico identikit dello 'sviluppatore': una figura tutta italiana nell'affare delle energie alternative. Lo sviluppatore è come un incursore: fonda o amministra società a responsabilità limitata da 10 mila euro, si accaparra i terreni, convince i Comuni, spiana la strada ai progetti, ottiene le concessioni e alla fine cede la società o l'attività alle grandi imprese che gestiranno i generatori e venderanno l'elettricità al gestore del servizio elettrico nazionale. Una sorta di testa di legno. E come per le più misteriose teste di legno, il passato non è custodito in Sicilia ma al Nord. Franzinelli è nato in provincia di Trento, a Molina di Ledro. Prima di diventare imprenditore dell'energia, si fa notare come segretario della Cgil in Trentino. Negli atti dell'inchiesta sulla mafia di Mazara oltre alla Sud wind, che non ha nessun legame con il gruppo Saras dei Moratti, si accenna al suo ruolo di amministratore delegato nella Sarvent di Cagliari. Questa è una srl da 10 mila euro costituita il 14 giugno 2001 da Franzinelli e da Antonio Aquara, il socio condannato con lui a Palermo. Nel 2002 parte delle quote vengono vendute alla Ensar srl, la società elettrica dei Moratti. E poco dopo, a un'altra società del gruppo Saras, la Sardeolica nella quale Franzinelli viene nominato amministratore delegato e Aquara consigliere, accanto al presidente Corrado Costanzo. Nel 2003 la Sarvent viene incorporata nella Sardeolica e scompare. E a fine 2004 Franzinelli e Aquara escono dal consiglio di amministrazione. Nello stesso periodo però il gruppo dei Moratti costituisce a Cagliari con Luigi Franzinelli e i suoi familiari una società di progettazione nel settore eolico, la Nova Eolica srl, passata nel 2008 sotto il controllo totale del gruppo Saras. L'uscita dei Franzinelli avviene proprio mentre l'imprenditore trentino è sotto inchiesta per i rapporti con la mafia. Alla fine del balletto di quote e cariche, la concessione sul terreno comunale del parco eolico di Ulassai, finanziato dal fondo europeo di sviluppo per un totale di 2.900 ettari, rimane alla Sardeolica. Nel bilancio 2008 la società dichiara un giro d'affari di 23 milioni e 800 mila euro grazie all'elettricità ricavata dal vento e una produzione in grado di soddisfare il fabbisogno di 160 mila famiglie. Il Comune di Ulassai, per la concessione, incassa ogni anno da Sardeolica 761mila euro. Il progetto ha creato 20 posti di lavoro. Ma le famiglie e le imprese del paese non hanno nessuna agevolazione sui consumi elettrici. Da quando l'alleanza trasversale centrodestra-centrosinistra ha bocciato il piano paesaggistico e due anni fa ha provocato le dimissioni del governatore Renato Soru, gli 'sviluppatori' investono ovunque. Cercano accordi direttamente con i Comuni a caccia di soldi e posti di lavoro o con le altre amministrazioni locali. Così ha fatto nei mesi scorsi Stefano Rizzi, 48 anni, genovese residente a Montecarlo. È l'amministratore unico di una società con capitale in Lussemburgo, la Is Arenas renewable energies, che vorrebbe costruire una piattaforma eolica proprio davanti alla spiaggia gioiello di Is Arenas, vicino a Oristano. Rizzi è anche socio in provincia di Bergamo di un'azienda del gruppo K. R. Energy di Milano, che nel 2008 a sua volta si è fusa con la Kaitech spa. Secondo un'interrogazione alla Camera presentata lo scorso ottobre dall'ex presidente della Regione Mauro Pili (Pdl), nelle casse della Kaitech sarebbero passati soldi del tesoro dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. L'inchiesta della Procura di Palermo è del 2005. In quell'anno presidente del consiglio di amministrazione della Kaitech è Stefano Camilleri, sindaco di Palermo nel 1984 e dimissionario dopo appena 22 giorni. Già tre anni fa Italia nostra e altre associazioni ambientaliste intuiscono cosa sta accadendo: "L'approssimazione e la mancanza delle più elementari regole di pianificazione stanno caratterizzando la proliferazione degli impianti di produzione energetica da fonte eolica", è scritto nel dossier 2007 sull'Italia: "Assistiamo alla progressiva perdita di grandi valori territoriali legati al paesaggio, nonché alla decadenza delle regole democratiche nelle piccole comunità sotto la spinta di interessi economici". Un allarme che oggi può essere trasferito in Sardegna. Dove le imprese pronte a dare l'assalto al vento raramente sono sarde. Come la Vento Macchiareddu tirata in ballo nell'inchiesta sul faccendiere Flavio Carboni: sede a Napoli e interessi nei progetti eolici del Consorzio per l'area di sviluppo industriale nella zona Macchiareddu a Cagliari. Le quote societarie fanno riferimento a Francesco Azzarito, Cristina La Marca, Angela Leone, imprenditori napoletani che tra le loro attività vantano anche il noleggio di barche e pedalò. E che dopo essersi occupati delle discariche campane, danno la caccia al vento e ai finanziamenti. Dalla Puglia alla Sicilia. Non sono sardi nemmeno i proprietari della Geopower Sardegna srl. L'impresa che sta cambiando i connotati alle montagne di granito rosso tra Buddusò e Alà dei Sardi è stata costituita con 10 mila euro e appartiene alla britannica Falck renewables limited, dell'omonimo gruppo milanese. È uno dei progetti curati direttamente dai committenti, senza interventi di mediatori e 'sviluppatori' sospetti. I lavori sono tuttora in corso. Nel 2007, durante la presidenza Soru, la Regione ha fermato il cantiere. Contava sul piano paesaggistico che prevedeva la costruzione di torri eoliche soltanto nelle zone industriali o già compromesse. Nove mesi dopo il Tar ha dato ragione alla Geopower, che aveva ottenuto tutte le autorizzazioni richieste. Così sopra i sughereti della Gallura vedremo presto 69 eliche alte novanta metri. Daranno lavoro a 25 persone del posto e, secondo i sindaci dei due Comuni favorevoli al progetto, forniranno elettricità a buon mercato. In Sardegna maestrale e libeccio non mancano. Ma grazie agli aiuti pubblici, l'eolico italiano è anche un affare. Che troppo spesso soffia nella direzione sbagliata: invece di produrre energia pulita e proteggere l'ambiente, alimenta l'economia sporca e il potere dei clan.
REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it2010-07-08
Inchiesta Finmeccanica, arrestato Cola I pm: "Ha riciclato denaro del gruppo Mokbel" Il manager indagato nella veste di consulente della società, fermato a Roma poche ore prima di imbarcarsi per gli Stati Uniti. La procura lo accusa di riciclaggio di sette milioni e mezzo per l'acquisto del 51% della Digint srl di MARIA ELENA VINCENZI ed ELSA VINCI Svolta nell'indagine su Finmeccanica. Alle tre di oggi pomeriggio i carabinieri del Ros hanno arrestato Lorenzo Cola, 44 anni, nella veste di consulente di Finmeccanica, con l'accusa di concorso in riciclaggio aggravato. A Cola è stato notificato un provvedimento di fermo firmato alle 2.30 della notte tra mercoledì e giovedì dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai sostituti Rodolfo Sabelli, Giovanni Bombardieri, Francesca Passaniti. Al manager, consulente personale del presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, e della moglie e amministratore delegato di Selex, Marina Grossi, la procura contesta il riciclaggio di sette milioni e mezzo di euro versati dal gruppo di Gennaro Mokbel (coinvolto nella megafrode da due miliardi di euro Fastweb e Telecom Italia Sparkle) per l'acquisto del 51 per cento della società Digint srl. Questa somma, secondo quanto ricostruito con rogatorie a Hong Kong, San Marino e Svizzera, faceva parte di un versamento complessivo di otto milioni e 300 mila euro nominalmente utilizzati per l'acquisizione societaria. In realtà, quei sette milioni e mezzo sarebbero stati il prezzo illecito preteso da Cola per chiudere l'affare Digint Finmeccanica. Di Cola ha parlato all'inizio dell'indagine il presidente Guarguaglini 1, mentre ieri Finmeccanica ha precisato che è un loro "ex consulente". Cola è stato fermato a Roma, nella centrale piazza San Lorenzo in Lucina, poche ore prima di imbarcarsi sul volo che, via Parigi, lo avrebbe dovuto portare stanotte negli Stati Uniti. Il manager era arrivato in Italia nei giorni scorsi, a Milano, proveniente dalla Svezia dove sua moglie aveva appena partorito. A rendere necessario il fermo, secondo la Procura, ''il concreto e fondato pericolo di fuga'', dimostrato dalla ''consapevolezza dell'indagato di un'indagine a suo carico e dall'imminente allontanamento per l'estero''. Cola è stato trasferito nel carcere di Rebibbia dove ha nominato quali suoi avvocati il professor Franco Coppi e Ottavio Marotta. La perquisizione della sua abitazione a Roma, nel quartiere Parioli, è proseguita per tutto il pomeriggio. Entro 48 ore il gip dovrà interrogarlo e decidere se convalidare o meno il suo fermo. (08 luglio 2010)
Trenitalia: l'indagine non riguarda Sepe Lepore: "la sua condotta è corretta" Per il procuratore l'accenno che si fa al cardinale "dimostra un comportamento perfetto". "Il suo nome è stato fatto in un'intercettazione telefonica tra due persone estranee. Non è stato intercettato lui" Trenitalia: l'indagine non riguarda Sepe Lepore: "la sua condotta è corretta" Il cardinale Crescenzio Sepe NAPOLI - "L'indagine che stiamo conducendo su Trenitalia non riguarda assolutamente il cardinale Crescenzio Sepe". A dirlo oggi a Napoli è stato il procuratore della Repubblica, Giovandomenico Lepore, a margine della conferenza stampa dell'Aci che si è tenuta in curia alla presenza del presule. "Il suo nome è stato fatto in un'intercettazione telefonica tra due persone estranee - ha continuato Lepore - non è stato intercettato mica Sepe". Secondo il procuratore l'accenno che si fa al cardinale "dimostra anzi che, premesso che lui non è indiziato di reato per alcunché, la sua condotta è stata perfettamente corretta". Tirato in ballo da alcuni arrestati nell'ambito dell'inchiesta su Trenitalia della Procura di Napoli, il cardinale di Napoli ha sostenuto di non conoscere Anna De Luca, sorella dei titolari di un'impresa arrestati nell'ambito degli appalti su Trenitalia. La donna che ha fatto il suo nome in una telefonata come presunto interlocutore per ricevere agevolazioni da Bertolaso e dai vertici di Trenitalia in due differenti occasioni. "Io non l'ho mai vista - ha detto Sepe - sono assolutamente sereno, come sempre. Queste ultime cose sono inconsistenti". Si farà chiarezza? "Certamente", ha risposto il cardinale. (08 luglio 2010)
Finte rottamazioni e pezzi rubati così funzionava la truffa dei treni Secondo le intercettazioni gli imprenditori ridevano dei lavori taroccati. La procura di Napoli ha individuato 106 carri che, dichiarati rottamati, non lo sono mai stati di CARLO BONINI Finte rottamazioni e pezzi rubati così funzionava la truffa dei treni NAPOLI - Se la ridevano di un ponte pericolante da collaudare comunque. Ma se la ridevano anche di quei poveri disgraziati che pagano il biglietto per salire su un treno passeggeri ignorando che tipo di "lavoretti" di manutenzione erano stati fatti sui vagoni, cannibalizzandone i pezzi di ricambio. "France', chi lo prende nel culo è l'ultimo che prende quel treno". Il florilegio di intercettazioni dell'inchiesta sugli appalti di "Trenitalia", non racconta soltanto la storia di un ponte ferroviario di metallo. Ma anche cosa accadeva ed è accaduto nelle officine di manutenzione. Chi l'ha preso in quel posto fino a qualche settimana fa. E se è vero che "Trenitalia" spiega oggi che il ponte di Quarto (Napoli) non è affar suo, che non appartiene alla Rete, ma è di proprietà della società privata Sepsa-Eav (che, a sua volta, giura sia opera di ingegneria civile "che rispetta a pieno le norme" e collaudata "dal genio civile e da un professionista di conclamata esperienza e competenza"), è altrettanto vero che il sindaco di Quarto, Sauro Secone, non sembri particolarmente rasserenato ("Prendo atto di quanto dice la Sepsa, ma resto sgomento e attendo le valutazioni della magistratura"). Così come è vero che i treni su cui mettevano le mani i fratelli Giovanni e Antonio De Luca della "Fd costruzioni" fossero sì di "Trenitalia". Come lavorassero i De Luca lo documenta una telefonata del 6 maggio 2009. Giovanni De Luca parla con l'ingegnere Francesco Manco, che lamenta i costi che deve sostenere per la fornitura dei pezzi di ricambio dei treni di cui ha vinto l'appalto di manutenzione. Degli Etr450, i primi modelli di Eurostar. Dice Manco: "Perché loro ("Trenitalia", ndr) pigliano e mettono nel capitolato tutto il materiale a carico del fornitore. Si scassa un interruttore, si scassa una cosa... si scassa una centralina, si scassa qualcosa e devi cambiarli tu, hai capito?". Risponde De Luca: "Belli cazzi". E Manco: "Questa è la fregatura. Però, voglio dire, ma su un treno quanti cazzi di interruttori dobbiamo cambiare? Quanti cuscinetti?". De Luca ha la soluzione. Un trucco facile facile. "Tu sai cosa fai? Dal treno che entra dopo, tu smonti la roba e te la metti sul treno che stai facendo". Manco ora ride. In fondo, cannibalizzare dei pezzi di ricambio dall'ultimo treno che entra in officina per sistemare quello che deve essere consegnato per primo è un gioco da ragazzi e a costo zero. De Luca compiaciuto continua: "E poi, mano a mano, chi lo prende nel culo è l'ultimo che prende quel treno". Già, l'ultimo che dovrà mettere le mani su un treno entrato in officina con tutti i suoi pezzi originali e ridotto a una carcassa. Insomma, un po' come andare dal gommista, pagare per quattro pneumatici nuovi e ritrovarsi, senza saperlo, un treno di gomme usate, sfilate dall'automobile parcheggiata in officina accanto alla propria. Del resto, la prassi doveva essere assai diffusa, se è vero, come è vero, che con i treni merci andava anche peggio. La procura di Napoli individua almeno 106 carri che, dichiarati rottamati, non lo sono mai stati. La prova? 54 risultano demoliti due giorni prima della partenza verso la stazione di demolizione, 50 lo stesso giorno della partenza verso la rottamazione, 2 vengono certificati come demoliti due volte. Il 31 dicembre 2002 e l'1 gennaio 2003, notoriamente due giorni di pieno lavoro in ogni officina del Paese. (08 luglio 2010)
2010-06-29 Buste che scottano fra Brancher e Calderoli Fiorani: "Soldi dati a Aldo perché li dividesse" Buste che scottano fra Brancher e Calderoli Fiorani: "Soldi dati a Aldo perché li dividesse" Roberto Calderoli MILANO - È il 15 maggio 2009 quando Roberto Calderoli varca il cancello della caserma di via Fabio Filzi a Milano per difendersi in un interrogatorio dalle accuse di Gianpiero Fiorani, l'ex numero uno della Popolare di Lodi. Due, secondo l'avviso di conclusioni indagini del pm Eugenio Fusco, sarebbero i versamenti in contanti ricevuti dal ministro della Lega. Tutti e due per mano di Aldo Brancher. Calderoli nega e se c'era, quando le buste sono state consegnate, "non ha visto". Il primo episodio è avvenuto tra marzo e aprile 2001: una sorta di ricompensa per la presentazione di un candidato gradito alla banca nel collegio di Lodi, una busta consegnata da Donato Patrini, uomo di fiducia di Fiorani, allo stesso Brancher all'autogrill di San Donato Milanese. Patrini ha ammesso il fatto, ma ha più volte ribadito di non aver mai conosciuto il contenuto della busta. Fiorani invece ha rivelato che lì dentro c'erano 200mila euro per Brancher da dividere con Calderoli. Il secondo episodio viene collocato a Lodi, nell'ufficio di Fiorani, il 31 marzo 2005. Questa volta è Silvano Spinelli, segretario di Fiorani, a preparare la busta. Dentro vi sono altri 200mila euro per sostenere in Parlamento "il partito" del governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Fiorani la consegna sempre a Brancher "il quale - scrive il pm - raggiungeva Calderoli, che si trovava con lui in quel luogo, e divideva con costui la somma in parti uguali". È nel verbale del 15 maggio che Calderoli sostiene con forza la sua tesi: "Per la prima accusa, io non ho mai ricevuto da Brancher la somma che mi viene contestata". L'esponente leghista ammette di conoscere Patrini: "Me lo ha presentato Fiorani nella sede della Lega di via Bellerio. La Lega era già correntista della Lodi e io già conoscevo Fiorani, mi era stato presentato da Brancher per le elezioni amministrative del 2000". Calderoli chiarisce anche i successivi rapporti con Patrini: "Gli avevo chiesto la gentilezza di interessarsi per un immobile da acquistare o prendere in affitto a Lodi", ma non se ne fece nulla. Calderoli si difende anche dalla seconda accusa. Questa volta il ministro della Lega era presente "sul luogo del delitto", si trovava a Lodi, nella sede della banca, per la presentazione del candidato sindaco leghista, Mauro Rossi, un dipendente della Popolare di Lodi. Prima della conferenza, Calderoli e Brancher vanno nell'ufficio di Fiorani. "Siamo rimasti - ammette Calderoli - io lui e Brancher. Abbiamo parlato del possibile successo di Rossi e dell'operazione Antonveneta". Usciti dall'ufficio, Calderoli dice di essersi allontanato ("mi sono avvicinato a Rossi e Gibelli", cioè Andrea, onorevole della Lega). Ma cosa è successo? Il pm nell'interrogatorio lo incalza, vuole sapere se ha visto passare di mano la busta. "Brancher - chiede Fusco - era rimasto più indietro rispetto agli altri?". Calderoli non ha dubbi: "Io ero davanti di sicuro, anche per il cerimoniale. Quello che è accaduto alle mie spalle non ho potuto vederlo e quindi non posso narrarlo". E taglia corto: "Brancher non mi ha mai dato denaro". Ora Brancher, una volta esaurita l'udienza preliminare, arriverà a giudizio, mentre la posizione di Calderoli è stata archiviata. Ma se nel dibattimento dovessero emergere fatti nuovi, le cose potrebbero cambiare. E la posizione di Brancher non è facilissima. Nell'avviso di conclusione indagini i pm contestano altri 4 capi di imputazione al neo ministro. Due insieme con la moglie, Luana Maniezzo, e due in proprio. Nel 2003, Brancher e la compagna, tra i correntisti privilegiati della banca, quelli che in Borsa vincevano sempre, avrebbero guadagnato soldi grazie a operazioni su titoli Tim e sui titoli Autostrade. La Maniezzo avrebbe incassato sul conto 16124-20 aperto presso la Lodi ben 300 mila euro e altri 124 mila euro, soldi poi riversati sul conto 15718/02 intestato a Brancher. Brancher, da solo, invece, avrebbe ricevuto due bustarelle da 100mila euro ciascuna, una consegnata sempre nell'ufficio di Fiorani a Lodi, l'altra a Roma, quando il banchiere lodigiano si era recato nientemeno che nell'ufficio di segreteria dell'onorevole Brancher, allora sottosegretario al Welfare. (29 giugno 2010)
2010-06-28 Propaganda Fide, il Vaticano ammette "Sono stati fatti errori di valutazione" Una niota della Santa Sede difende il dicastero chiamato in causa nello scandalo della compravendita di immobili a Roma, che coinvolge Bertolaso, Lunardi e il cardinale Sepe. "Nel corso degli anni si è fatta strada la consapevolezza della necessità di migliorare la redditività del patrimonio immobiliare e finanziario" Propaganda Fide, il Vaticano ammette "Sono stati fatti errori di valutazione" Il cardinale Crescenzio Sepe CITTA' DEL VATICANO - Il Vaticano ammette che Propaganda Fide possa aver "commesso degli errori di valutazione". E in una lunga nota diffusa oggi, la Santa Sede difende la "buona fama" del dicastero - coinvolto nello scandalo della compravendita di immobili a Roma, che coinvolge anche Guido Bertolaso, Pietro Lunardi e il cardinale Sepe - pur ammettendo che, nell'amministrazione del proprio patrimonio immobiliare, può "essere esposto ad errori di valutazione e alle fluttuazioni del mercato internazionale". Nel corso ''degli ultimi anni - si legge nella nota del Vaticano - si è progressivamente fatta strada la consapevolezza della necessità di migliorare la redditività'' del patrimonio ''immobiliare e finanziario'' di Propaganda Fide e, a questo scopo, ''sono state istituite strutture e procedure tese a garantirne una gestione professionale e in linea con gli standard più avanzati''. Lo spiega una nota della Sala Stampa vaticana diffusa oggi per spiegare il funzionamento e i compiti della Congregazione dopo le recenti notizia giudiziarie che hanno coinvolto anche l'ex prefetto, l'arcivescovo di Napoli cardinale Crescenzio Sepe. Propaganda Fide è finita nell'inchiesta sulla "cricca degli appalti", in relazione alla gestione avvenuta sotto la guida del cardinale Sepe, dal 2001 al 2006, attualmente indagato per corruzione dai magistrati di Perugia. In particolare, per lo "scambio di favori" in cui sarebbe rientrata la disponibilità dell'alloggio in via Giulia offerta al capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, della vendita a prezzi stracciati all'ex ministro Lunardi di un palazzetto di proprietà di Propaganda Fide in via dei Prefetti e dei lavori in messa in sicurezza di un lato del palazzo dello stesso ente ecclesiastico in piazza di Spagna. Addebiti cghe, in una lettera aperta alla città di Napoli, il prelato ha respinto, sottraendosi poi all'interrogatorio dei magistrati perugini, autori di una rogatoria internazionale per poter indagare a fondo su tutta l'attività di Propaganda Fide nel biennio 2004-2006. In particolare, su appalti, mutui e conti riconducibili a quella che attualmente è denominata la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. Ma l'alleanza affaristica, la "lobby del mattone", stretta tra la "cricca", Guido Bertolaso e il cardinal Sepe, risalirebbe addirittura al Giubileo del 2000 e ai lavori connessi all'evento. (28 giugno 2010)
2010-06-27 Dal Borromini ai suini gli affari improbabili della Beni Culturali Spa Le bietole aleggiano nel ministero di via del Collegio Romano. Fondi per 500 mila euro alla Fondazione Pianura Bresciana per un convegno sulle cinque razze di maiali. La logica del fare e fare in fretta di ALBERTO STATERA Dal Borromini ai suini gli affari improbabili della Beni Culturali Spa L'ex ministro Pietro Lunardi Dal Borromini ai suini. Dai suini alle bietole. Che male c'è? La "Beni Culturali Spa" non si formalizza tra siti storici, musei, opere d'arte, statue, dipinti, archeologia e porcilaie. E persino campi di bietole per produrre agroenergia, nuova passione del direttore dei Musei Mario Resca. Attraverso le sorelline culturali Arcus Spa e Ales Spa, società pubbliche ma di diritto privato, si tratta di spendere centinaia di milioni di denaro pubblico in deroga, senza controlli di legittimità del Parlamento e della Corte dei Conti, in ossequio alla religione berlusconiana del fare e fare in fretta. Fare che? Soprattutto fare affari. Come nel modello Protezione Civile Letta-Bertolaso. E come in quello dell'ex ministro Pietro Lunardi, che pare si sia portato via un palazzo nel centro di Roma a un quarto del suo prezzo, complice l'eccellente dominus vaticano Crescenzio Sepe, cardinale nella manica di Papa Wojtyla, ma esiliato subitaneamente a Napoli da Papa Ratzinger. Per merito degli antichi predecessori Gregorio XV e Innocenzo X, fu il Borromini verso il secondo decennio del 1600 a disegnare la facciata del palazzo di Propaganda Fide a Roma in piazza di Spagna, la cui ristrutturazione a spese dell'Arcus, secondo i magistrati di Perugia avrebbe prodotto per riconoscenza la proprietà di un palazzetto vista Montecitorio all'ex ministro Lunardi, detto El Talpa per la sindrome incontrollabile che ha di progettare, ben retribuito con denaro pubblico, tunnel ferroviari e autostradali in tutta Italia, attraverso le sue società di famiglia. Non si sa bene invece chi fu a mettere in campo i suini, che pure hanno la loro indubitabile valenza culturale. Infatti la società di diritto privato Arcus, posseduta dal Tesoro italiano e controllata dai Beni Culturali, ha finanziato per 500 mila euro la Fondazione Pianura Bresciana per un risolutivo convegno sulle cinque razze autoctone di maiali. Cinque le razze suine? Forse sono anche di più. Ma accontentiamoci e rendiamo grazia al generoso ministero dei Beni Culturali. Un deputato dell'opposizione, Vincenzo Vita, ha provato a chiedere conto del singolare finanziamento culturale, tra i tanti, al governo. Ma, come al solito, nessuno se lo è filato. La cultura è cultura, mica vorremo imbrigliarla in una storia di maiali. Così come sacrosanti sono i milioni distribuiti al Santuario della Madonna di Pompei, alle monache Clarisse di Santa Rosa, alla Fondazione Aquileia. O all'Università di Padova, dove opera, superba scienziata, la dottoressa Ghedini. Ghedini? Ghedini chi? Ma sì, è proprio lei, la sorella dall'avvocato onorevole del premier Niccolò Ghedini, l'ex giovane di studio che arrancava un po' lento, come ricordano i suoi ex colleghi, nell'ufficio del principe del Foro di Padova Piero Longo e che oggi produce a getto continuo leggi dello Stato per conto del premier. Leggi che, con tutta la buone volontà, non passano neanche la prima prova di ragionevolezza e di costituzionalità. È lei, Elena Francesca Ghedini, archeologa, accreditata di scienza ben superiore a quella fraterna, ad assurgere a consigliere del ministro Bondi per le aree archeologiche, al Consiglio superiore dei Beni Culturali e ad ottenere fondi cospicui per le sue legittime esigenze di ricercatrice. Esaudita. Arcus, fiore all'occhiello di quella che i vecchi funzionari esautorati dei Beni Culturali chiamano il braccio operativo della "Banda Bondi", ha una sorellina che si chiama Ales, che la prossima settimana, si impossesserà di fatto dei servizi museali, governando gli appalti per un business da 100 milioni l'anno, che le aziende operanti nel settore museale giudicano uno scippo. Di nascosto, con un emendamento al decreto sugli enti lirici, il governo ha abrogato la gestione integrata dei 190 musei, che avrebbe consentito l'accesso dei privati ai servizi e che ora lascia tutto nelle mani della Beni Culturali Spa, evoluzione della Protezione Civile Spa bloccata in extremis, pronta per intercettare "in deroga" anche i due miliardi e mezzo di euro di fondi europei per i beni e il turismo culturale. Grande polmone finanziario dell'Italia berlusconiana del "fare", mondata da ogni controllo di legittimità, in onore di una suprema deroga appaltatrice, per teatri da ricostruire, zone archeologiche da ripulire, siti d'arte da salvare, monumenti da sbiancare, palazzi da ristrutturare, statue da rigenerare, quadri da restaurare, biblioteche da puntellare, musei da gestire, biglietterie, librerie, bar e ristoranti da affidare possibilmente agli amici e agli amici degli amici, la Beni Culturali Spa era pronta, con i buoni uffici di Gianni Letta, a un luminoso destino. Ma incalzato dalle inchieste sui fasti della coppia Lunardi - Sepe, il ministro Bondi, che al ministero impersona il ruolo del passante impegnato da par suo nella poesia e nell'esegesi poetica del Capo, ha bloccato i residui pagamenti per il palazzo di Propaganda Fide e ha appena nominato il nuovo presidente di Arcus. Gli innumerevoli rilievi della Corte dei Conti raccontano di spese per centinaia di milioni a pioggia, in modo opaco, in incarichi e consulenze clientelari e favori vari. Quasi una scienza, ormai, certificata nella sua sofisticazione dalle gesta del cardinale Sepe e dall'ex ministro Lunardi. El Talpa ha cercato di difendersi con un'intervista - manifesto che dovrà restare nei libri di storia nei secoli dei secoli: "Che male c'è? ", si è chiesto. Che male c'è per un uomo di Stato se, di questi tempi, favorisce se stesso e gli amici, approfittando del proprio potere pro tempore? Ma non speriate che le notizie un po' nefande siano finite qui. Dobbiamo riferirvi ancora delle bietole che, tra musei e razze suine, aleggiano quotidianamente nel ministero di via del Collegio Romano. Sì, perché il direttore generale del ministero Mario Resca, intimo di Berlusconi, ex amministratore delegato di Mc Donald's Italia, santificato dal "Foglio" di Giuliano Ferrara in un ditirambo come un superbo benefattore dell'umanità, si è fissato che vuole produrre energia alternativa dalle bietole negli ex zuccherifici italiani. Ma non con i soldi suoi - cosa di cui gli sarebbero tutti grati - ma con quelli pubblici dei bieticoltori (centinaia di milioni, in gran parte fondi europei). I quali, alquanto incavolati, tramite la Coldiretti, spogliata surrettiziamente dei fondi Finbieticola, hanno appena fatto ricorso alla Corte dei Conti. I ricorrenti sperano di vedere presto il deus ex machina della cultura condannato, perché, al di là degli scopi istituzionali, sta distraendo nel progetto di agroenergia tanti soldi loro, in combutta con Giuseppe Grossi, re delle bonifiche ambientali, finito in carcere con l'accusa di aver triplicato i costi della bonifica milanese di Santa Giulia, e Giancarlo Abelli, re della sanità lombarda. In tandem con Resca nelle multiformi attività viene dato anche Salvo Nastasi, giovane capo di gabinetto della Banda Bondi al Collegio Romano e pluricommissario in deroga a teatri e musei. Piccoli potenti crescono. a.statera@repubblica.it (27 giugno 2010)
2010-06-22 CONTRATTI PUBBLICI Authority appalti, allarme corruzione "L'illegalità annienta gli onesti" ROMA - "Il mancato rispetto delle regole e la presenza radicata e diffusa della corruzione è causa di una profonda e sleale alterazione delle condizioni concorrenziali che può contribuire ad annientare le imprese oneste, costringendole ad uscire dal mercato". E' l'allarme lanciato dal presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Luigi Giampaolino, che nella relazione annuale al Parlamento ha rilevato "l'insorgere, all'interno della pubblica amministrazione, di gravi episodi di corruzione ed illegalità". Gli lleciti - dice il capo dell'Authority - rappresentano "un fenomeno" che preoccupa un settore "ancora una volta e con ciclicità preoccupante investito con forza da simili eventi", dice il presidente dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici. Giampolino apprezza "l'atteggiamento delle istituzioni" che è "oggi più attento rispetto al passato", anche per i nuovi strumenti previsti da provvedimenti del governo ora al vaglio del Parlamento. Ma sottolinea che "dovrebbe costituire oggetto di approfondimento l'affievolimento nella pubblica amministrazione del principio di legalità e dell'etica del servizio pubblico, nonchè la non completa instaurazione nel mercato di una vera condizione di concorrenza". Sono anche 'alcune peculiarita' del mercato", per l'Autorità, a facilitare "l'insorgere di fenomeni di illegalita": lo ha detto per poi soffermarsi su frammentazione, accesso, iper-regolamentazione e contenzioso. "Gli strumenti finora proposti dall'ordinamento come soluzione alle descritte criticità, costituiti dalle procedure in deroga e dal ricorso all'arbitrato, hanno spesso portato a disfunzioni maggiori dei benefici previti", ha quindi sottolineato il presidente dell'Autorità di vigilanza. (22 giugno 2010)
2010-06-19 G8, indagati il card. Sepe e Lunardi Per entrambi accusa di corruzione Avviso di garanzia dalla Procura di Perugia per il filone sui Grandi Eventi. Sia per l'arcivescovo di Napoli che per l'ex ministro si fa riferimento a ristrutturazione e vendita di immobili, in cui sarebbero coinvolti Anemone e Balducci G8, indagati il card. Sepe e Lunardi Per entrambi accusa di corruzione Il cardinale Crescenzio Sepe ROMA - Due nuovi indagati eccellenti nell'inchiesta sui "Grandi Eventi" e sugli appalti per il G8 alla Maddalena. Si tratta del cardinale Crescenzio Sepe e dell'ex ministro delle Infrastrutture Piero Lunardi, a cui è stato notificato l'avviso di garanzia emesso dai pm di Perugia Alessia Tavarnesi e Sergio Sottani. A entrambi è contestato il reato di corruzione. L'arcivescovo di Napoli e l'ex ministro sono stati indagati in due diversi tronconi dell'inchiesta. Per il cardinale Sepe, l'indagine riguarda in particolare la ristrutturazione e la vendita di alcuni immobili di Propaganda Fide nel 2005. Operazioni nelle quali risulterebbe coinvolto il costruttore Diego Anemone, considerato personaggio centrale dell'inchiesta sui Grandi Eventi. Il sospetto degli inquirenti perugini è che l'arcivescovo di Napoli abbia ricevuto in cambio dei favori. Nessuna reazione dalla curia di Napoli, dove un collaboratore del cardinale si limita a riferire che "Sua Eminenza non è in sede" Riferendo ai magistrati sull'ormai famoso appartamento in via Giulia, a Roma, il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso aveva dichiarato 1 che era stato proprio il cardinale Sepe a procurargli la sistemazione, dopo un periodo di permanenza in un istituto ecclesiastico i cui orari erano incompatibili con le esigenze dello stesso Bertolaso. Anche per quanto riguarda Lunardi l'accusa fa riferimento alla ristrutturazione e alla vendita di un immobile. In entrambe le operazioni sarebbe coinvolto l'ex presidente del Consiglio dei lavori pubblici Angelo Balducci, tuttora detenuto. In un'intervista a Repubblica 2, l'ex ministro aveva ammesso e difeso lo "scambio di favori" di cui era stato protagonista quando era titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti. (19 giugno 2010)
LA SCHEDA Crescenzio Sepe, il regista del Giubileo Crescenzio Sepe, il regista del Giubileo L'ATTUALE arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, 67 anni, dopo aver trascorso una vita nella diplomazia vaticana, è diventato nel 1992 segretario della Congregazione per il Clero. In questo ruolo ha cominciato a farsi conoscere come abile organizzatore di grandi eventi. Ha promosso, tra l'altro, gli Incontri Internazionali dei sacerdoti di tutto il mondo in preparazione al Giubileo del 2000 a Fatima e a Yamossoukro. In qualità di Segretario della Congregazione per il Clero, ha organizzato inoltre tutte le celebrazioni per i trent'anni della "Presbyterorum Ordinis" e per il cinquantesimo di sacerdozio di Giovanni Paolo II. Grazie a questi meriti, il 3 novembre 1997 è stato nominato Segretario Generale del Comitato e del Consiglio di Presidenza del Grande Giubileo dell'Anno 2000. Ha dunque seguito in prima persona l'itinerario di preparazione all'Anno Santo, collaborando tra l'altro con Angelo Balducci, indagato nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti del G8, e Guido Bertolaso, entrambi coinvolti - per parte italiana - nella preparazione del Giubileo. Il 9 aprile 2001 Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ex Propaganda Fide, il dicastero più ricco di tutta la Santa Sede e attraverso cui transita il denaro per le missioni in tutto il mondo. Poco dopo anche Balducci è diventato consultore della Congregazione. (19 giugno 2010)
2010-06-18 Inchiesta G8, la Cassazione "Un sistema spregiudicato" Depositate le motivazioni con le quali i giudici di via Cavour hanno respinto la scarcerazione degli indagati e disposto il trasferimento dell'inchiesta da Firenze a Roma. De Santis definito "protagonista" Inchiesta G8, la Cassazione "Un sistema spregiudicato" Il cantiere della Scuola Marescialli dei carabinieri * video Protezione civile sotto accusa * Atti trasferiti da Firenze a Roma lo ha deciso la Cassazione articolo Atti trasferiti da Firenze a Roma lo ha deciso la Cassazione * Inchiesta G8, la Cassazione "Un sistema spregiudicato" articolo Inchiesta G8, la Cassazione "Un sistema spregiudicato" * G8, nuove indagini dei pm di Perugia nel mirino decine di operazioni sospette articolo G8, nuove indagini dei pm di Perugia nel mirino decine di operazioni sospette ROMA - Le persone coinvolte nell'inchiesta sull'appalto per la Scuola dei Marescialli 1 dei carabinieri, filone toscano dell'inchiesta sui Grandi eventi, si muovevano in una "situazione in attuale divenire, caratterizzata dall'utilizzazione spregiudicata di un sistema di relazioni professionali e personali che ha realizzato una rete di interessi intrecciati" non legittimi. Lo dice la Cassazione, che ha appena depositato le motivazioni della decisione con la quale, lo scorso 10 luglio, ha deciso il trasferimento dell'inchiesta fiorentina 2 a Roma, confermando le misure cautelari per Fabio De Santis, Guido Cerruti, e Francesco De Vito Piscicelli. La sentenza. La Suprema Corte, con la sentenza 23427, affronta il tema della "sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza" per l'emissione delle misure cautelari nei confronti degli indagati. Secondo la Cassazione i giudici fiorentini hanno fornito motivazioni "indicative di una situazione in atto e in divenire anche con specifico riferimento ai fatti soppesi alle imputazioni allo stato formulato, idonee a configurare l'urgenza del provvedere provvisoriamente". In sostanza, secondo i giudici di piazza Cavour, gli arresti, sebbene firmati da un giudice territorialmente incompetente, sono motivati dalla gravità degli indizi di corruzione dei quali viene "dato conto". In particolare, gli indagati facevano parte "di un sistema di potere in cui appare normale accettare e sollecitare utilità di ogni genere e natura da parte di imprenditori del settore delle opere pubbliche, settore nel quale quei pubblici ufficiali hanno potere di decisione e notevole potere di influenza, e gli imprenditori hanno aspettative di favori". De Santis "protagonista" del sistema. Nel sistema ricostruito dall'inchiesta, Fabio De Santis, ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana (attualmente recluso a Sollicciano) "è, con altri, protagonista". Inoltre, i giudici, rilevano che l'imprenditore De Vito Piscicelli - quello che la notte del terremoto in Abruzzo rideva pensando agli 'affari' della ricostruzione - è "in consolidato rapporto" con il sistema e la stessa cosa si può dire dell'avvocato Guido Cerruti "anch'egli in stabile e consolidato rapporto in particolare con De Santis e altri dei coindagati, disponibile a cogliere l'occasione palesemente anomala" come quella di un "incarico professionale che giunge da imprenditore non conosciuto, su sollecitazione di pubblici ufficiali, con cui ha il consolidato rapporto, che sono o mirano a divenire tra gli interlocutori istituzionali di quell'imprenditore". Scambi e accordi a Roma. Il "corrispettivo" pattuito dagli accordi dagli indagati - tra i quali l'appalto per la Scuola dei Marescialli dei carabinieri a Firenze, rappresenta solo uno degli "obiettivi" cui mirare - è stato versato a Roma, in momenti diversi. Per questo, sottolinea la Cassazione, l'inchiesta fiorentina sul G8 deve essere trasferita a Roma. Pm romani a lavoro su faldoni fiorentini. Intanto i magistrati di Roma sono già al lavoro sui documenti, in tutto 40 faldoni, ricevuti ieri da Firenze. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna e i sostituti Ilaria Calò e Roberto Felici, che lavoreranno sui documenti per tutto il week end, stanno esaminando gli atti per poter chiedere al gip e ottenere entro il 30 giugno l'eventuale conferma delle misure cautelari nei confronti di Fabio De Santis (attualmente in carcere), Francesco Maria De Vito Piscicelli (domiciliari) e Guido Cerreti (obbligo di dimora). E' ipotizzabile che ai tre si aggiunga anche la posizione dell'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, il cui legale non aveva fatto ricorso in Cassazione. A piazzale Clodio si ribadisce che da una prima lettura della documentazione emerga chiara la competenza della procura capitolina. Al di là di un accordo tra indagati certamente stipulato a Firenze, è a Roma che si sarebbe consumata "la consegna dell'utilità concordata". Anche per i magistrati romani, comunque, la data del 6 luglio, fissata dal tribunale di Firenze nel processo che vede imputati De Santis, Balducci e Cerruti, sarà lo snodo importante e definitivo per chiudere ogni controversia sulla competenza. (18 giugno 2010)
2010-06-17 Anemone, stop appalti pubblici niente commissario per le aziende E' la decisione del gip di Perugia a proposito delle arttività del costruttore coinvolto nell'indagine sui grandi appalti. La Procura continua a cercare riscontri alle parole di Guido Bertolaso Anemone, stop appalti pubblici niente commissario per le aziende Diego Anemone ROMA - No al commissariamento ma divieto, per quattro delle sei aziende che fanno parte del gruppo di Diego Anemone (Anemone costruzionì, 'Tecnocos', 'Redim 2002' e 'Appalti lavori progetti internazionale') di lavorare con la pubblica amministrazione per otto mesi. Sarebbe questa la decisione del gip di Perugia Massimo Ricciarelli in merito alla richiesta della procura del capoluogo umbro di nominare un commissario per le imprese del costruttore considerato figura centrale dell'inchiesta sugli appalti per i grandi eventi 1. Il divieto di contatto non riguarderebbe le due aziende sportive (Salaria sport village e 'Sportiva romana'). che per la procura perugina fanno riferimento ad Anemone. Su di esse il gip non si è infatti ancora pronunciato. I difensori del costruttore romano si erano opposti e avevano depositato una memoria difensiva e un modello organizzativo che prevedeva la nomina di un comitato di vigilanza per prevenire eventuali illeciti. Una soluzione ritenuta insufficiente dall'accusa rappresentata dai sostituti procuratori. Nel frattempo la procura di Perugia continua a cercare riscontri alle dichiarazioni del sottosegretario alla presidenza del consiglio e capo del dipartimento della protezione civile Guido Bertolaso, 2 che ha respinto tutte le accuse. I magistrati ascolteranno nei prossimi giorni Francesco Silvano, l'uomo che avrebbe messo a disposizione gratuitamente l'appartamento a Bertolaso su indicazione del cardinale Sepe. Un appartamento che, secondo l'architetto Zampolini, uomo legato ad Anemone, fu lui stesso a pagare su indicazione dell'imprenditore (17 giugno 2010)
2010-06-16 Fu il cardinale Sepe a "trovare" casa a Bertolaso Fu il cardinale Crescenzio Sepe, a lungo al vertice di Propaganda Fide, a indirizzare Guido Bertolaso al professor Francesco Silvano, collaboratore dell'organizzazione religiosa, che poi gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia a Roma. Emergono nuovi particolari dall'interrogatorio del capo della Protezione Civile Guido Bertolaso di ieri davanti ai magistrati di Perugia Sergio Sottani ed Alessia Tavarnesi e chiamano in causa l'attuale arcivescovo di Napoli, all'epoca responsabile dell' 'immobiliarè del Vaticano. Agli inquirenti che indagano sulla cricca degli appalti, Bertolaso ha spiegato agli inquirenti di avere contattato "personalmente" il cardinale Sepe, che conosceva da tempo. Nella primavera-estate del 2003 il sottosegretario aveva infatti chiesto e ottenuto, per vicende personali, di soggiornare presso il collegio universitario di Propaganda Fide, sempre a Roma. L'attività lavorativa del Capo del dipartimento della protezione civile - ha sostenuto lui stesso nella nota diffusa ieri sera subito dopo l'interrogatorio - si era però "mostrata incompatibile con il regime di vita degli studenti dell'ateneo a causa degli orari imposti dalla sua attività istituzionale". Fu quindi il cardinale Sepe a indirizzare Bertolaso - secondo quanto avrebbe riferito lui stesso ai pubblici ministeri - al professor Silvano, che gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia. Il sottosegretario ha anche spiegato di avere soggiornato nella casa fino alla fine del 2003 quando tornò a vivere nella sua abitazione. Ma ai magistrati ha anche rivelato di avere mantenuto la disponibilità dell'appartamento, senza comunque soggiornarvi, per un altro anno, quando restituì le chiavi. Nel corso dell'interrogatorio, i pm hanno poi contestato a Bertolaso le dichiarazioni rese dall'architetto Angelo Zampolini, che gli inquirenti sospettano abbia riciclato denaro per Diego Anemone. È stato lui ad aver detto di aver pagato l'affitto della casa di via Giulia (per conto del costruttore, è il sospetto di chi indaga) senza però fornire date, almeno a quanto sarebbe emerso nell'interrogatorio di Bertolaso. Il capo della protezione civile ha comunque negato che ciò sia avvenuto quando soggiornava nell'abitazione. Di questa Bertolaso ha ribadito di avere pagato le bollette ma non l'affitto. Ai pubblici ministeri di Perugia il sottosegretario ha consegnato anche alcune foto di un immobile nella zona di Positano, anche questo finito all'attenzione degli inquirenti. "Un rudere che apparteneva a mia madre" ha sottolineato Bertolaso ai magistrati. Nel corso dell'interrogatorio di ieri, infine, si è parlato anche di appalti. "Non mi sono mai occupato della gestione degli appalti, con la sola eccezione di quelli per il G8 che doveva tenersi alla Maddalena" ha messo a verbale il capo della Protezione Civile. Per quanto riguarda il vertice poi spostato all'Aquila, Bertolaso ha riferito che si accorse che i costi stavano lievitando e per questo "intervenni, sostituendo come soggetto attuatore Fabio De Santis (che a sua volta aveva preso il posto di Angelo Balducci, ndr) con Gian Michele Calvi, nel novembre del 2008". Per il resto degli appalti, Bertolaso ha riferito ai pm perugini che a occuparsene era l'allora presidente del consiglio superiore pubblici Angelo Balducci 16 giugno 2010
Processo G8, Bertolaso ai giudici "Il cardinale Sepe mi aiutò a trovare casa" Il capo della Protezione civile, interrogato dai pm di Perugia, ha detto che per la casa di via Giulia (della quale, secondo l'accusa Zampolini pagava l'affitto per conto di anemone) era stato aiutato dall'attuale vescovo di Napoli Processo G8, Bertolaso ai giudici "Il cardinale Sepe mi aiutò a trovare casa" Guido Bertolaso PERUGIA - Fu il cardinale Crescenzio Sepe, a lungo al vertice di Propaganda Fide ed oggi arcivescovo di Napoli, a indirizzare Guido Bertolaso al professor Francesco Silvano, collaboratore dell'organizzazione religiosa, che poi gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia a Roma. Questo avrebbe detto il capo della Protezione civile durante l'interrogatorio davanti ai pubblici ministeri di Perugia Sergio Sottani ed Alessia Tavarnesi. Resta un mistero: l'appartamento di via Giulia ha un regolare proprietario, piu' volte intervistato da Repubblica. Agli inquirenti che indagano sulla cricca degli appalti, Bertolaso ha spiegato di avere contattato "personalmente" il cardinale Sepe, che conosceva da tempo. Nella primavera-estate del 2003 il sottosegretario aveva infatti chiesto e ottenuto, per vicende personali, di soggiornare presso il collegio universitario di Propaganda Fide, sempre a Roma. L'attività lavorativa del Capo del dipartimento della protezione civile - ha sostenuto lui stesso nella nota diffusa ieri sera subito dopo l'interrogatorio - si era però "mostrata incompatibile con il regime di vita degli studenti dell'ateneo a causa degli orari imposti dalla sua attività istituzionale". Fu quindi il cardinale Sepe a indirizzare Bertolaso - secondo quanto avrebbe riferito lui stesso ai pubblici ministeri - al professor Silvano, che gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia. Il sottosegretario ha anche spiegato di avere soggiornato nella casa fino alla fine del 2003 quando tornò a vivere nella sua abitazione. Ma ai magistrati ha anche rivelato di avere mantenuto la disponibilità dell'appartamento, senza comunque soggiornarvi, per un altro anno, quando restituì le chiavi. Nel corso dell'interrogatorio, i pm hanno poi contestato a Bertolaso le dichiarazioni rese dall'architetto Angelo Zampolini, che gli inquirenti sospettano abbia riciclato denaro per Diego Anemone. E' stato lui ad aver detto di aver pagato l'affitto della casa di via Giulia (per conto del costruttore, è il sospetto di chi indaga) senza però fornire date, almeno a quanto sarebbe emerso nell'interrogatorio di Bertolaso. Il capo della protezione civile ha comunque negato che ciò sia avvenuto quando soggiornava nell'abitazione. Di questa Bertolaso ha ribadito di avere pagato le bollette ma non l'affitto. Ai pubblici ministeri di Perugia il sottosegretario ha consegnato anche alcune foto di un immobile nella zona di Positano, anche questo finito all'attenzione degli inquirenti. "Un rudere che apparteneva a mia madre" ha sottolineato Bertolaso ai magistrati. Nel corso dell'interrogatorio di ieri, infine, si è parlato anche di appalti. "Non mi sono mai occupato della gestione degli appalti, con la sola eccezione di quelli per il G8 che doveva tenersi alla Maddalena" ha messo a verbale il capo della Protezione Civile. Per quanto riguarda il vertice poi spostato all'Aquila, Bertolaso ha riferito che si accorse che i costi stavano lievitando e per questo "intervenni, sostituendo come soggetto attuatore Fabio De Santis (che a sua volta aveva preso il posto di Angelo Balducci, ndr) con Gian Michele Calvi, nel novembre del 2008". Bertolaso ha riferito ai pm perugini che a occuparsi degli altri appalti era l'allora presidente del consiglio superiore pubblici Angelo Balducci. (16 giugno 2010)
L'appalto Sisde fu gonfiato per pagare la casa di Scajola Anemone, il Ros sequestra i documenti della Caserma Zignan. Il progetto originario prevedeva una spesa di 3,5 miliardi di euro. In una serie di riunioni riservate venne fatta lievitare fino a 12 milioni di CARLO BONINI L'appalto Sisde fu gonfiato per pagare la casa di Scajola Diego Anemone ROMA - A metà della scorsa settimana, i carabinieri del Ros hanno bussato al portone brunito di via Giovanni Lanza 194. Sono entrati nella sede dell'Aisi (ex Sisde) con un ordine di esibizione firmato dai pm di Perugia Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Ne sono usciti con quattro faldoni di documenti classificati. Appunti riservati, relazioni tecniche, verbali di riunione, che consentono oggi di ricostruire la storia della ristrutturazione della ex "caserma Zignani" di Roma (un complesso non lontano da piazza Zama, dove ha la sua sede uno dei reparti operativi del Servizio) e di afferrare il filo delle verità che nasconde. Di documentare come, nel 2004, un appalto da 3 milioni e mezzo di euro si trasformò per il "Gruppo Anemone" in una manna da oltre 12. Di più: con quale straordinaria sincronia i passaggi cruciali della lievitazione dei costi coincisero con l'acquisto, per mano e tasca di Diego Anemone, delle abitazioni dell'allora ministro Claudio Scajola e dell'allora dirigente del Sisde Francesco Pittorru. Con quale rapidità chi all'interno del Servizio provò ad opporsi al banchetto fu cacciato. "Repubblica" ha avuto accesso a documenti e testimonianze in grado di dare conto del contenuto delle carte sequestrate in via Lanza. E della storia che raccontano. Una storia che comincia nell'agosto del 2002 quando la "Caserma Zignani" entra nell'orizzonte del Sisde. Mario Mori, in quell'anno direttore (lo resterà fino al 2006), chiede al generale Giampaolo Sechi, allora capo del Dipartimento tecnico-logistico, di far predisporre dai suoi tecnici un progetto preliminare che prevede "la ristrutturazione di un intero fabbricato" della caserma, "la realizzazione di opere di sicurezza, la costruzione di un muro divisorio, la realizzazione di un ingresso carraio, il rifacimento degli impianti e dell'illuminazione perimetrale". Il costo - stimano i tecnici del Sisde - non dovrebbe superare i 2 milioni di euro. Mori decide di procedere. Il 23 luglio del 2003, il Demanio acquisisce la "Zignani" e, l'8 novembre, il direttore del Servizio, con una nota, nel chiedere che gli edifici da ristrutturare siano non uno ma due, comunica che sarà il Provveditore alle Opere Pubbliche del Lazio, Angelo Balducci, a scegliere la ditta cui affidare l'appalto. Il 3 febbraio 2004, con un appunto, i funzionari del Dipartimento tecnico-logistico inoltrano il nuovo progetto definitivo. La ristrutturazione riguarda ora due fabbricati. C'è un capannone destinato a "laboratori e garage", un "impianto di allarme", il cablaggio delle strutture, il condizionamento, un nuovo ascensore, nuove recinzioni e ingressi, una mensa e un bar. I costi stimati, ora, superano i 3 milioni. Il 10 febbraio, il progetto definitivo è al Provveditorato e, in soli dodici giorni, viene convalidato dal tecnico che Balducci ha scelto come Responsabile del Procedimento: l'ingegnere Fabio De Santis. Il 27 febbraio, i lavori vengono affidati alla società in nome collettivo "Anemone di Anemone Dino", che si aggiudica l'appalto per 3 milioni e mezzo di euro, con un ribasso del 6 per cento. Il 5 marzo, viene costituito l'ufficio di Direzione dei Lavori e nel cantiere fa ingresso la "Medea", il veicolo societario di cui sono proprietari Diego Anemone e Mauro Della Giovampaola. Il 26 marzo - documenta il "Giornale di cantiere" - partecipano a un sopralluogo alla "Zignani", De Santis, Dino Anemone, suo figlio Diego, Della Giovampaola. Ci siamo. Il 2 aprile 2004, quando l'appalto è ormai acquisito e le volpi sono entrate nel pollaio, Anemone, attraverso l'architetto Zampolini, acquista per 285 mila euro l'appartamento di via Merulana 71 che verrà intestato alla figlia di Francesco Pittorru. Il generale è arrivato al Servizio per "correre". Mori in quella primavera lo nomina capo del dipartimento minacce interne, ma l'ufficiale è destinato a ben altri cruciali incarichi. Visto soprattutto quel che sta per accadere. Il 15 aprile, nella sede del Provveditorato, De Santis convoca Della Giovampaola, Anemone e i tecnici del Sisde, che annotano: "Lo scopo della riunione è far lievitare gli oneri (...) L'ingegner Della Giovampaola ha cominciato con la sistematica e pretestuosa delegittimazione del progetto definitivo, sostenendo che deve essere rivisto. Balducci, a riunione avanzata, assicura che i maggiori oneri saranno coperti dalle disponibilità del Provveditorato". A metà maggio, Mauro Della Giovampaola licenzia il progetto esecutivo. Il 3 giugno, i tecnici del Sisde lo dichiarano "irricevibile". In un appunto, spiegano che "non è validabile", perché "eseguito in modo superficiale" e "non rispondente alle prescrizioni del progetto definitivo". E nella loro relazione tecnica chiosano: "Le opere edili hanno subito un aumento del 10 per cento. L'impianto ascensore è stato trasformato da idraulico a elettrico senza nessuna motivazione tecnica, con un aumento di spesa di circa il 30 per cento. L'impianto elettrico ha subito un incremento di oltre il 230 per cento per inserimento di apparecchiature sovradimensionate, ridondanti, non richieste. L'impianto di condizionamento ha subito un incremento del 100 per cento dovuto alla formulazione unilaterale di nuovi prezzi e di aggiunta di apparecchiature non indispensabili. L'impianto di sicurezza integrato ha subito un incremento di spesa di oltre il 30 per cento per l'inserimento di apparecchiature non richieste". Si può ora immaginare l'insoddisfazione di Balducci e Anemone. È in ogni caso evidente il loro passaggio al "piano b". Il 24 giugno, Balducci convoca una nuova riunione al Provveditorato. Con lui, sono presenti Mori, il suo vicedirettore vicario Nicola Di Giannantonio, De Santis, Della Giovampaola, Diego Anemone, i tecnici del Servizio. De Santis e Della Giovampaola, tornano a sostenere le ragioni del gigantismo della ristrutturazione. I tecnici del Sisde osservano che la lievitazione dei costi sfiori ormai il 200 per cento. La riunione si fa tesa. Mori ipotizza varianti al progetto. Balducci, come aveva già fatto il 15 aprile, ribadisce che verranno in soccorso le casse del Provveditorato. In realtà, quello che deve accadere appare già scritto. Perché i tempi, in questa storia, contano. Il 6 luglio del 2004, 900 mila euro di Anemone rendono l'allora ministro Scajola felice e "inconsapevole" padrone di casa di via del Fagutale. Il 28 luglio, Balducci, in veste di nuovo direttore del Servizio Integrato per le Infrastrutture e i Trasporti di Lazio, Abruzzo e Sardegna, trova la cassa cui attingere risorse e consegna alla "Anemone costruzioni srl" un nuovo appalto per la "Zignani" di 8 milioni e mezzo di euro. Il 30 settembre, i tecnici del Sisde vengono estromessi dalla direzione dei lavori, quindi, il 10 ottobre, il direttore del Dipartimento tecnico-logistico, il generale Sechi, viene sostituito dal generale Francesco Pittorru, che, come primo atto, si libera di chi, nel Servizio, si è messo di traverso sulla Zignani. A fine ottobre, Balducci, De Santis, Anemone e Della Giovampaola hanno mano libera. Mori chiede l'ennesima riformulazione del progetto esecutivo. E, il 27 dicembre, Balducci trova altri soldi. La "Tecno-cos srl" (gruppo Anemone) riceve un nuovo appalto di 3 milioni e 200 mila euro a titolo di "integrazione degli impianti di sicurezza" della Zignani. La partita è chiusa. A giugno 2006, Anemone compra a Francesco Pittorru la casa di via Angelo Poliziano 8 (520 mila euro) che oggi abita. Indagato per corruzione, il generale ha lasciato l'Aisi il 14 maggio "per limiti di età". Raccontano si sia congedato con la "cravatta" (il vitalizio previsto dalla legge) e una "bicchierata" per pochi negli uffici del Servizio. Che il direttore e i suoi vice non si siano fatti vedere. (17 giugno 2010)
INCHIESTA G8 Il ministro, Arcus e i costruttori la rete di favori a Propaganda Fide Nel 2005 dal governo 2,5 milioni per ristrutturare il palazzo vaticano. Nel piano, una sorta di "protezioen civile deimusei", c'è una pinacoteca di CORRADO ZUNINO Il ministro, Arcus e i costruttori la rete di favori a Propaganda Fide La sede di Propaganda Fide ROMA - Un decreto interministeriale a doppia firma del 20 luglio 2005 fa comprendere perché Propaganda Fide, la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, il ministero degli Esteri del Vaticano, a Roma sia diventata l'immobiliare dei potenti e, lo sta srotolando ogni giorno l'inchiesta sulla Protezione civile, un luogo di scambio di beni e utilità, un centro primario d'affari per l'imprenditore Diego Anemone, l'ancora di salvezza per gli alibi domiciliari di Guido Bertolaso. In quel decreto, licenziato da Pietro Lunardi, allora ministro delle Infrastrutture, e Rocco Buttiglione, ministro dei Beni culturali per un anno e nove giorni nel Berlusconi Ter, si approvò il largo programma d'intervento speciale di Arcus, società per azioni nata per sveltire le questioni dell'edilizia culturale, rapidamente trasformatasi in una "protezione civile" per gli appalti nei musei, nei siti archeologici, nelle chiese. Già. Nel lungo elenco che accompagnò il decreto - 87 lavori sparsi in Italia, 51 milioni e 900 mila euro di finanziamenti, in buona parte elargizioni ad amici del centrodestra - c'erano anche luoghi sacri. Alla riga 29 del Piano interventi di Arcus, società privata di Stato, si prevedeva il finanziamento del restauro del palazzo seicentesco realizzato da Bernini e Borromini, oggi allocato in piazza di Spagna 48. Restauro del palazzo più realizzazione di una pinacoteca: 2,5 milioni di euro pubblici. Il palazzo, però, cresceva in territorio vaticano, lo ricordano l'insegna e la bandiera. Ma i buoni rapporti tra il Governo Berlusconi e la struttura allora guidata da Monsignor Crescenzio Sepe si scoprono, oggi, leggendo le carte della magistratura di Perugia. L'anello di congiunzione tra i laici ministeri e l'ente di evangelizzazione era al solito Angelo Balducci, allora gentiluomo del Papa e uno dei tre gestori del patrimonio immobiliare di Propaganda Fide (duemila appartamenti nella capitale). Come è noto, Balducci era anche il più importante funzionario italiano del mattone pubblico, aveva saldato un rapporto oltretevere grazie al grande cantiere del Giubileo del Duemila e, come ha raccontato a "Repubblica" Pietro Lunardi, era l'uomo di fiducia del ministro delle Infrastrutture, il "tecnico" che gli suggeriva il ristrutturatore edile (Anemone) per le sue tenute di campagna e gli forniva l'elenco delle case di Propaganda Fide da cui scegliere la dimora romana (sarà in via dei Prefetti, un palazzo di tre piani acquistato dal ministro Lunardi per la metà del suo valore). In quelle stagioni anche al consigliere politico di Lunardi, Vito Riggio, oggi presidente dell'Enac, fu assegnata una "casa Fide": era in via della Conciliazione 44, immobile di pregio normalmente destinato all'alloggio dei cardinali. Ma perché Propaganda Fide a partire dal Duemila ha organizzato una rutilante attività immobiliaristica d'élite? Perché ha voluto consegnare appartamenti di lusso ai potenti d'Italia a prezzi scontati? Gli inquirenti, nell'interrogatorio che nei prossimi giorni si svolgerà a Perugia, chiederanno all'ex ministro Lunardi anche dell'eventuale rapporto tra i suoi beni privati e i decreti firmati, innanzitutto quello che ha stanziato 2,5 milioni per restaurare il palazzo di piazza di Spagna (la pinacoteca è annunciata pronta per il prossimo ottobre). Successivamente, Arcus - con ministro Sandro Bondi - avrebbe finanziato il restauro dei cortili interni della Pontificia università gregoriana di Roma: 1,5 milioni tra 2010 e 2011 (nonostante lo Stato fosse già intervenuto con 899.944 euro presi dai fondi dell'8 per mille). È interessante notare come il capo dell'Ufficio legislativo di Lunardi, colui che avrebbe dovuto emanare il regolamento Arcus, era Mario Sancetta, oggi indagato per corruzione nell'"inchiesta Anemone". Il Consiglio di amministrazione di Arcus negli anni 2004-2008 era invece composto, tra gli altri, da Elena Francesca Ghedini, sorella dell'avvocato-deputato Pdl, destinataria di diversi finanziamenti per il suo dipartimento di Archeologia dell'Università di Padova, ed Ercole Incalza, oggi responsabile della struttura di missione del ministro Altero Matteoli, noto per l'appartamento romano comprato alla figlia grazie a un contributo dell'architetto Zampolini. Ecco, Zampolini, mancava lui per colorare questo estratto anemoniano in territorio vaticano. Nel 2003, come ricorda il sindacalista Uil Gianfranco Cerasoli, gli venne affidata la facciata dell'oratorio borrominiano: la Sovrintendenza lo fermò. Sulla ristrutturazione, ora, si è aperta un'inchiesta della Corte dei conti. (17 giugno 2010) INCHIESTA G8 Il ministro, Arcus e i costruttori la rete di favori a Propaganda Fide Nel 2005 dal governo 2,5 milioni per ristrutturare il palazzo vaticano. Nel piano, una sorta di "protezioen civile deimusei", c'è una pinacoteca di CORRADO ZUNINO Il ministro, Arcus e i costruttori la rete di favori a Propaganda Fide La sede di Propaganda Fide ROMA - Un decreto interministeriale a doppia firma del 20 luglio 2005 fa comprendere perché Propaganda Fide, la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, il ministero degli Esteri del Vaticano, a Roma sia diventata l'immobiliare dei potenti e, lo sta srotolando ogni giorno l'inchiesta sulla Protezione civile, un luogo di scambio di beni e utilità, un centro primario d'affari per l'imprenditore Diego Anemone, l'ancora di salvezza per gli alibi domiciliari di Guido Bertolaso. In quel decreto, licenziato da Pietro Lunardi, allora ministro delle Infrastrutture, e Rocco Buttiglione, ministro dei Beni culturali per un anno e nove giorni nel Berlusconi Ter, si approvò il largo programma d'intervento speciale di Arcus, società per azioni nata per sveltire le questioni dell'edilizia culturale, rapidamente trasformatasi in una "protezione civile" per gli appalti nei musei, nei siti archeologici, nelle chiese. Già. Nel lungo elenco che accompagnò il decreto - 87 lavori sparsi in Italia, 51 milioni e 900 mila euro di finanziamenti, in buona parte elargizioni ad amici del centrodestra - c'erano anche luoghi sacri. Alla riga 29 del Piano interventi di Arcus, società privata di Stato, si prevedeva il finanziamento del restauro del palazzo seicentesco realizzato da Bernini e Borromini, oggi allocato in piazza di Spagna 48. Restauro del palazzo più realizzazione di una pinacoteca: 2,5 milioni di euro pubblici. Il palazzo, però, cresceva in territorio vaticano, lo ricordano l'insegna e la bandiera. Ma i buoni rapporti tra il Governo Berlusconi e la struttura allora guidata da Monsignor Crescenzio Sepe si scoprono, oggi, leggendo le carte della magistratura di Perugia. L'anello di congiunzione tra i laici ministeri e l'ente di evangelizzazione era al solito Angelo Balducci, allora gentiluomo del Papa e uno dei tre gestori del patrimonio immobiliare di Propaganda Fide (duemila appartamenti nella capitale). Come è noto, Balducci era anche il più importante funzionario italiano del mattone pubblico, aveva saldato un rapporto oltretevere grazie al grande cantiere del Giubileo del Duemila e, come ha raccontato a "Repubblica" Pietro Lunardi, era l'uomo di fiducia del ministro delle Infrastrutture, il "tecnico" che gli suggeriva il ristrutturatore edile (Anemone) per le sue tenute di campagna e gli forniva l'elenco delle case di Propaganda Fide da cui scegliere la dimora romana (sarà in via dei Prefetti, un palazzo di tre piani acquistato dal ministro Lunardi per la metà del suo valore). In quelle stagioni anche al consigliere politico di Lunardi, Vito Riggio, oggi presidente dell'Enac, fu assegnata una "casa Fide": era in via della Conciliazione 44, immobile di pregio normalmente destinato all'alloggio dei cardinali. Ma perché Propaganda Fide a partire dal Duemila ha organizzato una rutilante attività immobiliaristica d'élite? Perché ha voluto consegnare appartamenti di lusso ai potenti d'Italia a prezzi scontati? Gli inquirenti, nell'interrogatorio che nei prossimi giorni si svolgerà a Perugia, chiederanno all'ex ministro Lunardi anche dell'eventuale rapporto tra i suoi beni privati e i decreti firmati, innanzitutto quello che ha stanziato 2,5 milioni per restaurare il palazzo di piazza di Spagna (la pinacoteca è annunciata pronta per il prossimo ottobre). Successivamente, Arcus - con ministro Sandro Bondi - avrebbe finanziato il restauro dei cortili interni della Pontificia università gregoriana di Roma: 1,5 milioni tra 2010 e 2011 (nonostante lo Stato fosse già intervenuto con 899.944 euro presi dai fondi dell'8 per mille). È interessante notare come il capo dell'Ufficio legislativo di Lunardi, colui che avrebbe dovuto emanare il regolamento Arcus, era Mario Sancetta, oggi indagato per corruzione nell'"inchiesta Anemone". Il Consiglio di amministrazione di Arcus negli anni 2004-2008 era invece composto, tra gli altri, da Elena Francesca Ghedini, sorella dell'avvocato-deputato Pdl, destinataria di diversi finanziamenti per il suo dipartimento di Archeologia dell'Università di Padova, ed Ercole Incalza, oggi responsabile della struttura di missione del ministro Altero Matteoli, noto per l'appartamento romano comprato alla figlia grazie a un contributo dell'architetto Zampolini. Ecco, Zampolini, mancava lui per colorare questo estratto anemoniano in territorio vaticano. Nel 2003, come ricorda il sindacalista Uil Gianfranco Cerasoli, gli venne affidata la facciata dell'oratorio borrominiano: la Sovrintendenza lo fermò. Sulla ristrutturazione, ora, si è aperta un'inchiesta della Corte dei conti. (17 giugno 2010)
INCHIESTA G8 Bertolaso interrogato a Perugia "Io innocente, basta gogna mediatica" È durato oltre due ore il confronto del capo della Protezione Civile con i magistrati che indagano sugli appalti dei Grandi Eventi: "Totalmente estraneo alle accuse. Per la casa in via Giulia pagai le bollette, non l'affitto" Bertolaso interrogato a Perugia "Io innocente, basta gogna mediatica" Guido Bertolaso PERUGIA - "Totale estraneità alle accuse che mi sono state mosse". Con queste parole il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, interrogato oggi per due ore a mezza dai magistrati di Perugia che indagano sugli appalti per i Grandi eventi, ha sostenuto di non essere coinvolto nei fatti sui quali si indaga. E ha auspicato - si legge nella nota diffusa del Dipartimento della Protezione Civile in merito all'interrogatorio - che "abbia a terminare l'assurda e ingiustificata attività mediatica in corso dal 10 febbraio basata su voci e illazioni di cui si è dimostrata la completa infondatezza". L'appartamento di via Giulia a Roma. Ai magistrati di Perugia, Sergio Sottani ed Alessia Tavarnesi, Bertolaso ha detto di avere pagato le bollette ma non l'affitto dell'appartamento di via Giulia, a Roma, nel quale per un breve periodo ha abitato. Nel corso dell'anno 2003, per vicende di natura personale, spiega la nota. Bertolaso ha soggiornato per un periodo presso il Collegio universitario di Propaganda Fide a Roma. Ma "l'attività lavorativa del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, a causa degli orari imposti dall'attività istituzionale, si è mostrata incompatibile con il regime di vita degli studenti dell'ateneo. Così, un collaboratore della congregazione di propaganda Fide, il professor Francesco Silvano, offrì a Bertolaso la disponibilità dell'appartamento di via Giulia". La collaborazione della moglie di Bertolaso con Anemone. Sarebbe durata fino a gennaio 2007, stando a quanto riferito da Bertolaso ai pm, la collaborazione della moglie del capo della Protezione Civile, Gloria Piermarini, con l'imprenditore Diego Anemone: l'attività finì "quando iniziava a profilarsi la possibilità che il Salaria Village sarebbe potuta divenire una delle sedi dei Mondiali di nuoto", ha spiegato ai magistrati. La moglie di Bertolaso, sottolinea la nota della Protezione Civile, si è occupata della "progettazione del verde del centro sportivo Salaria Sport Village"; una collaborazione che si è "limitata alla realizzazione della progettazione preliminare" all'inizio del 2007. "A supporto della reale effettuazione della progettazione eseguita da Gloria Piermarini - prosegue la nota - Bertolaso ha consegnato ai magistrati tutta la documentazione prodotta e oggetto del contratto di collaborazione". Il capo della Protezione Civile ha anche portato l'assegno "che prova il pagamento dei lavori di falegnameria effettuati nella propria abitazione", come "sempre sostenuto in pubblico". Proprietà all'Italia e all'estero. "Nessuna domanda, inoltre - conclude il Dipartimento - è stata rivolta a Bertolaso su eventuali appartamenti o proprietà sia in Italia che all'estero, voci che avevano trovato spazio nelle cronache degli ultimi giorni". E comunque "Bertolaso ha chiarito di non possedere alcuna casa all'estero". (15 giugno 2010)
LA LEGGE-BAVAGLIO Vietato filmare chi commette reati un nuovo "macigno" sulle indagini Il testo approvato al Senato limita il ricorso alle riprese realizzate all'insaputa delle persone sotto inchiesta. Allarme dell'Anm: una norma assurda e ingestibile di LIANA MILELLA Vietato filmare chi commette reati un nuovo "macigno" sulle indagini Anemone e Balducci al ristorante QUELLA foto di Balducci e Anemone seduti al ristorante, che da mesi ormai campeggia in tutti i giornali, se fosse stata in vigore la legge-bavaglio sulle intercettazioni, non l'avremmo mai vista perché non si sarebbe neppure potuta scattare. I carabinieri del Ros, per farla, avrebbero dovuto dimostrare, "sulla base di specifici atti di indagine", che il proprietario del ristorante "era a conoscenza dei fatti" su cui la magistratura stava indagando. Paradosso? No, la pura realtà. Per scoprirla basta consultare la legge nel capitolo dedicato "alle intercettazioni di immagini mediante riprese visive". Foto e video del tutto parificati alle stesse regole capestro per registrare una telefonata a meno che non ci sia in ballo la caccia a un latitante. "Una norma assurda, impensabile, ingestibile" denuncia il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini che, dopo aver passato di nuovo al setaccio il testo nella versione fresca di stampa dell'atto Camera 1415-B, oggi farà esplodere il caso nella consueta riunione del mercoledì della giunta. La foto emblema della cricca? Quella e molto altro. Un elenco lunghissimo di divieti che metterà in crisi l'attività di pm e poliziotti. E pure l'ansia repressiva di Renato Brunetta, visto che il ministro della Funzione pubblica non si è ancora accorto che con la stretta sulle riprese video non sarà più possibile mettere una telecamera all'ingresso di un ufficio pubblico per controllare, nella zona in cui si convalida il passaggio dei badge, il fannullone di turno. Per non parlare del ministro dell'Interno Roberto Maroni che dovrà fare i conti, come spiega Cascini, con il fatto che "non si potrà più sistemare una telecamera in una piazza dove c'è lo spaccio di droga, o utilizzare in un dibattimento come mezzo di prova la ripresa realizzata da un privato in una banca o in una gioielleria". Per il semplice motivo che "anche quei filmati dovranno obbedire alle regole delle intercettazioni, e per realizzarli ci vorranno i "gravi indizi di reato"". Non basta. La legge impone ben altro e, secondo il senatore dipietrista Luigi Li Gotti, che ha seguito puntigliosamente i lavori, "anche le indagini di mafia saranno danneggiate perché, in assenza di un'esplicita deroga, le restrizioni alle riprese visive varranno anche per i boss". Limiti singolari, che vale la pena citare per esteso. A partire dal presupposto: "Nei casi di intercettazioni di immagini mediante riprese visive, i luoghi appartengono a soggetti indagati o sono agli stessi effettivamente e attualmente in uso". Non basta: se a utilizzarli sono "soggetti diversi" bisognerà dimostrare, "sulla base di specifici atti di indagine" che essi "risultano a conoscenza dei fatti per i quali si procede". E non è ancora finita: dovranno anche "sussistere concreti elementi per ritenere che le relative condotte siano attinenti ai medesimi fatti". E dunque, come spiega Li Gotti, "bisognerà ogni volta fare un'indagine nell'indagine per dimostrare che il luogo da filmare appartiene per certo o è utilizzato dall'indagato. O peggio che chi lo usa è al corrente dell'indagine in corso". Ironizza: "Gli facciamo un'intervista e lo mettiamo al corrente dell'indagine? Ma non è vero invece che il luogo conta in quanto luogo e per quello che vi avviene? Che succederà con la mafia dove, per regola, chi affitta una casa a un mafioso non conosce mai la sua vera identità dell'inquilino?". E ancora sulla certezza che "le condotte siano relative ai medesimi fatti" Li Gotti esplode: "Quale giudice potrà mai autorizzare una ripresa visiva sottoscrivendo una sicurezza simile?". Cascini riassume così la sua delusione: "Siamo alla contraddizione per cui i privati potranno mettere tutte le telecamere che vogliono, mentre magistrati e poliziotti non potranno farlo". Non lo convince la promessa del governo di una futura legge sulle videoriprese. Garanzia che ha portato il relatore al Senato Roberto Centaro a fare marcia indietro sul suo emendamento che escludeva le riprese video dalle regole capestro degli ascolti. Dice Centaro: "Era già passato in commissione, ma è saltato per evitare ulteriori aggiunte al testo del Senato e perché si farà un ddl ad hoc. E comunque, dagli atti, risulta evidente che i limiti valgono solo per le riprese con un supporto audio e non per quelle solo visive". Ma i pm e Li Gotti non la pensano così. E Cascini chiosa: "Se le norme entrassero in vigore per un solo minuto farebbero danni enormi. In vista di una futura legge bastava non fare norme nuove e lasciare in vigore quelle attuali". (16 giugno 2010)
Intercettazioni, limiti e nuove regole Ecco le novità nel testo del ddl Intercettazioni, limiti e nuove regole Ecco le novità nel testo del ddl ROMA - Il governo ha ottenuto la fiducia 1 al Senato sul maxiemendamento che sostituisce, del tutto, il ddl intercettazioni. Un articolato che racchiude il testo base uscito dalla commissione Giustizia, i 12 emendamenti presentati la settimana scorsa dal governo, dal relatore Roberto Centaro e dal capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri, e i 12 presentati solo da Centaro. IL NOSTRO SPECIALE SULLA LEGGE INTERCETTAZIONI 2 Ecco le principali novità. Cosa si può pubblicare e le sanzioni. Si potranno pubblicare almeno "per riassunto" gli atti di un processo non più segreti. Divieto, invece, per i testi delle intercettazioni. Di cui non si potrà più né scrivere né parlare, né per riassunto, né nel contenuto, fino al termine delle indagini preliminari. Resteranno top secret fino al dibattimento. Vietata la pubblicazione di tutto quello che riguarda "fatti e persone" estranee alle indagini. Vietata la pubblicazione degli atti e delle intercettazioni destinate ad essere distrutte. Chi pubblicherà un brogliaccio, a prescindere da cosa contenga, sarà punito con un mese di carcere e la multa fino a 10mila euro. Gli editori rischieranno fino a 450mila euro. Carcere fino a tre anni per chi pubblica intercettazioni destinate a essere distrutte. Oltre all'indagine penale, si potrà incorrere nella sospensione cautelare fino a tre mesi. Se si tratta di impiegati dello Stato si tratterà di una sospensione dal servizio, se si tratta di giornalisti la sospensione sarà dalla professione. I 75 giorni. Terminato il periodo di durata massima delle intercettazioni telefoniche (75 giorni), il pm potra' chiedere una proroga di tre giorni in tre giorni se dovesse avvertire il rischio che si stia per compiere un nuovo reato o se si tratti di una prova fondamentale. Ascolti ambientali. Viene fissato in 3 giorni (prorogabili di tre in tre) la durata delle intercettazioni ambientali.Per mafia e terrorismo si potranno effettuare "anche se non vi è motivo di ritenere che in quei luoghi si stia svolgendo l'attività criminosa". Per tutti gli altri delitti si distinguerà tra luogo privato e luogo pubblico e sarà necessario avere, soprattutto per il secondo, maggiori indizi di reato. Magistrati. Se un pm rilascia dichiarazioni sul processo o viene indagato per violazione del segreto, potrà essere sostituito, anche se non automaticamente. Vietate la pubblicazione dei nomi e delle foto dei magistrati per quanto riguarda i provvedimenti che gli sono affidati. Come intercettare. Per chiedere un'intercettazione telefonica o visiva e i tabulati serviranno "sufficienti indizi di reato" per i delitti di mafia e di terrorismo o "gravi indizi di reato" per tutti gli altri crimini. Le utenze devono appartenere ai soggetti indagati o dimostrare per gli altri che "sono a conoscenza dei fatti per cui si procede". Ad autorizzare il pm, per ogni richiesta o proroga, che dovrà far sottoscrivere dal procuratore capo, sarà il tribunale collegiale del capoluogo di distretto cui dovrà inviare ogni volta tutte le carte. Il cosidetto comma D'Addadrio. E' prevista una pena da sei mesi fino a quattro anni di carcere per chi "fraudolentemente effettua riprese o registrazioni di conversazioni a cui partecipa o comunque effettuate in sua presenza". C'è una clausola di salvaguardia per gli 007. Esclusi, dopo molto insistenze, i giornalisti (pubblicisti compresi). Quando entra in vigore la legge. La legge non si applicherà ai processi in corso nei quali siano già state richieste e autorizzate delle intercettazioni. Come verrà esplicitamente scritto, tutti gli atti compiuti fino al momento della sua entrata in vigore, ascolti compresi, saranno salvi. Giudice collegiale. Ci sara' invece un anno di tempo per applicare la norma che prevede il semaforo verde per le intercettazioni da parte del giudice collegiale e non piu' del Gip. Inchieste sul clero. Se un sacerdote viene sottoposto ad indagini o arrestato, il pn dovrà avvertire il vescovo della diocesi da cui il prete dipende. Nel caso di un vescovo o un abate verrà avvosata la segreteria di Stato vaticana. (09 giugno 2010)
Manda l'autista a comprare la cocaina Il deputato Cintola indagato per peculato Blitz della squadra mobile fra gli spacciatori della Palermo bene. Ventinove in manette. Fra i clienti anche il deputato regionale ed ex senatore dell'Udc Salvatore Cintola: grazie alle intercettazioni si è scoperto che la segretaria acquistava droga per conto del politico, il quale poi inviava i soldi con l'auto blu. Nel 2004, blitz della polizia nella segreteria di Cintola: trovati dieci grammi di cocaina di SALVO PALAZZOLO Manda l'autista a comprare la cocaina Il deputato Cintola indagato per peculato Salvatore Cintola Mentre stava seduto sugli scranni del parlamento siciliano dava disposizioni alla segretaria per acquistare la cocaina. E i soldi, 1.000 euro in contanti, li mandava con l'autista in auto blu. C'è anche il deputato regionale Salvatore Cintola, dell'Udc, fra i clienti della rete di spacciatori della Palermo bene bloccata questa notte dalla sezione Narcotici della squadra mobile. Ventinove persone sono finite in manette. E per il deputato Cintola è scattata una denuncia a piede libero: in quanto consumatore di stupefacenti non gli viene contestato alcun reato, ma avrebbe utilizzato l'auto della Regione per acquistare la cocaina. Ecco perché deve rispondere di peculato. Agli atti dell'indagine, coordinata dal sostituto procuratore Marcello Viola e dall'aggiunto Teresa Principato, ci sono le conversazioni intercettate al telefono fra uno spacciatore - tale Giorgio Napolitano - e la segretaria di Cintola, che discutono dell'acquisto di cocaina destinata al politico. Nel 2004, dopo l'ennesimo dialogo, i poliziotti fecero irruzione nella segreteria di Cintola, sequestrando dieci grammi di polvere bianca. L'indagine a carico del parlamentare regionale è sempre rimasta segreta: emerge adesso, nell'ambito dell'operazione che nella notte ha portato in carcere pusher e trafficanti, su disposizione del gip Piergiorgio Morosini. I poliziotti della Mobile hanno appurato che la cocaina arrivava a Palermo dalla Spagna, attraverso fidati intermediari che operavano in Calabria e Campania. L'hashish, invece, arrivava dal Marocco. La distribuzione fra i salotti più esclusivi di Palermo era curata da una rete di insospettabili spacciatori. Sull'organizzazione c'è l'ombra delle cosche mafiose di Brancaccio, che avrebbero investito ingenti somme sul traffico di droga. (16 giugno 2010)
2010-06-15 INCHIESTA G8 Governo parte civile a Firenze De Santis in aula senza manette Rinviato al 17 giugno nel capoluogo toscano il processo sull'appalto della scuola Marescialli dei carabinieri prima di trasmettere gli atti a Roma in base all'ordinanza della Cassazione. L'avvocato dello Stato annuncia la mossa dell'esecutivo e parla di "danno d'immagine". Indagati dai pm romani Balducci, Verdini e altri cinque Governo parte civile a Firenze De Santis in aula senza manette L'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi FIRENZE - E' stato rinviato al 17 giugno il processo per l'appalto della Scuola Marescialli dei carabinieri, filone toscano dell'inchiesta sui Grandi eventi, che si è aperto stamani a Firenze. Come previsto il presidente del collegio giudicante, Elisabetta Improta, ha dichiarato la propria incompetenza aggiornando l'udienza al 17 giugno. In quella data verrà nominato un nuovo collegio che prenderà atto dell'ordinanza della Cassazione 1 e trasmetterà gli atti a Roma. Prima della brevissima udienza, l'avvocato dello Stato, Massimo Giannuzzi, ha annunciato che la presidenza del Consiglio chiederà di costituirsi parte civile per danno all'immagine. "Il decreto per la costituzione di parte civile è stato firmato da Berlusconi in persona", ha detto. "Detenuti senza manette". In aula era presente solo uno dei tre imputati, l'ex provveditore delle opere pubbliche della Toscana, Fabio De Santis, che questa mattina è arrivato senza essere in manette, dopo il caso scoppiato ieri quando gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno accompagnato ammanettato all'udienza 2 del tribunale del Riesame. Proprio in riferimento al "caso De Santis", il presidente del collegio, in vista della prossima udienza ha disposto la "nuova traduzione degli imputati, ove ancora detenuti e non rinuncianti a comparire, senza uso delle manette". "Danno d'immagine". "Il nostro interesse è che il processo si incardini" ha detto Giannuzzi prima dell'udienza, spiegando che al momento l'avvocatura dello Stato sta aspettando che si decida la questione della competenza per poi procedere. Secondo l'avvocato Giannuzzi "questi reati hanno leso l'immagine dell'amministrazione, poiché si tratta di funzionari in servizio presso un dipartimento della presidenza del Consiglio. Il danno attualmente non è quantificabile, ma certamente l'immagine della presidenza è stata danneggiata". I decreti per la costituzione di parte civile devono essere autorizzati dalla presidenza del Consiglio, ha spiegato l'avvocato Giannuzzi, ma "mentre in genere li firma il sottosegretario Letta, questa volta è stato Berlusconi in persona a firmare". Aperto fascicolo a Roma. In seguito all'ordinanza della Cassazione che ha disposto la trasmissione degli atti, i sette nomi finiti sotto inchiesta a Firenze sono stati tutti iscritti sul registro degli indagati della procura di Roma. Il procuratore Giovanni Ferrara e l'aggiunto Alberto Caperna, che coordina la squadra dei pm che si occupano dei reati contro la pubblica amministrazione, hanno iscritto per concorso in corruzione l'imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli, l'avvocato Guido Cerruti, l'ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana, Fabio De Santis, l'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l'ex presidente dell'impresa di costruzioni Baldassini-Tognozzi-Pontello, Riccardo Fusi, il suo vice Roberto Bartolomei e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Il fascicolo romano che riguarda i sette indagati al momento contiene soltanto l'estratto della pronuncia della Cassazione. Tempi stretti per procura di Roma. A cinque giorni dalla pronuncia della Cassazione, nessun atto del procedimento fiorentino sul G8 e, in particolare, quello sulla Scuola dei Marescialli è stato ancora trasmesso per competenza a Roma. E a piazzale Clodio, dove ha sede la procura capitolina, il nervosismo degli inquirenti comincia a essere palpabile. "Se gli atti non arriveranno a Roma entro la fine di giugno, le misure cautelari in atto decadranno". Gli inquirenti, secondo la legge, hanno 20 giorni di tempo per la valutazione dei documenti all'interno del fascicolo e per mantenere o meno le misure cautelari disposte sinora dai giudici del capoluogo toscano, nei confronti di alcuni degli indagati. "Più giorni passano e più si rischia" spiegano a piazzale Clodio dove, sottolineano, ancora non è arrivata alcuna carta o intercettazione. E siccome, presumibilmente si tratterà di studiare decine di faldoni, il lavoro deve essere programmato con la giusta attenzione. Balducci e De Santis restano in carcere. Il tribunale di Firenze ha intanto respinto la richiesta di scarcerazione avanzata da Angelo Balducci e Fabio De Santis che, sulla base della sentenza della corte di Cassazione di giugno, chiedevano l'inefficacia della misura cautelare. Per entrambi, però, deve ancora pronunciarsi il tribunale del Riesame, che si è riunito ieri, riservandosi la decisione sul ricorso presentato contro la decisione del Gip Rosario Lupo di confermare gli arresti cautelari. La decisione del giudice non dovrebbe arrivare prima di domani. (15 giugno 2010)
Inchieste Bari: intercettati quattro magistrati Le intercettazioni sono state disposte dai pm baresi Teresa Iodice e Giuseppe Dentamaro che, nell'ambito dell'indagine, il primo giugno scorso hanno ottenuto dal gip l'arresto del tenente colonnello della Guardia di finanza di Bari, Salvatore Paqlino, accusato di peculato e indagato a piede libero per rivelazione del segreto d'ufficio e per stalking Inchieste Bari: intercettati quattro magistrati
Sono quattro i magistrati - in servizio a Trani e Bari - intercettati dalla procura del capoluogo pugliese mentre parlano con alcuni giornalisti di particolari relativi ad indagini. I colloqui sono stati captati dalla polizia durante l'inchiesta su una serie di fughe di notizie che hanno contraddistinto quasi per intero l'ultimo anno di attivita' delle procure di Bari e Trani. La procura di Trani, mentre erano in corso le intercettazioni, è stata al centro dell'attenzione mediatica nazionale per le presunte pressioni esercitate dal premier, Silvio Berlusconi, sull'Agcom per fermare Annozero. Per questi fatti, Berlusconi è indagato (ora dal tribunale dei ministri) per concussione e minacce. I magistrati 'ascoltati' mentre venivano intercettati i telefoni dei giornalisti - a quanto si apprende - sono due pubblici ministeri e un giudice in servizio nel tribunale di Trani, e un pm che lavora a Bari. Al momento non si sa se a carico dei quattro sia ipotizzabile un reato, come la rivelazione del segreto d'ufficio, poiché non é dato sapere se i fatti di cui gli interlocutori parlano al telefono erano coperti dal segreto d'ufficio o, invece, se si trattava di fatti o circostanze già note alle parti. Le intercettazioni sono state disposte dai pm baresi Teresa Iodice e Giuseppe Dentamaro che, nell'ambito dell'indagine, il primo giugno scorso hanno ottenuto dal gip l'arresto del tenente colonnello della Guardia di finanza di Bari, Salvatore Paqlino, accusato di peculato e indagato a piede libero per rivelazione del segreto d'ufficio e per stalking. Per quest'ultimo reato il giudice ha ritenuto mancanti i gravi indizi di colpevolezza. Nei prossimi giorni la procura di Bari dovrà decidere se inviare gli atti al Csm (per eventuali valutazioni disciplinari) e alla procura di Lecce (competente a trattare fascicoli in cui sono coinvolti magistrati in servizio nel distretto di Bari). (15 giugno 2010)
L'Italia dei favori di MICHELE SERRA NEI paesi del fu blocco sovietico la nomenklatura di partito godeva di privilegi castali: negozi riservati, case migliori, accesso facilitato a merci inaccessibili alla gente comune. Niente code, niente lunghe liste d'attesa grazie a una specie di salvacondotto perenne che permetteva ai capi di vivere in condizioni di extraterritorialità, come una specie di corpo diplomatico interno. Noi siamo, almeno nominalmente, un Paese a economia di mercato. Ma leggendo l'intervista (ammirevole per la sincerità ai limiti del candore) che l'ex ministro Lunardi ha concesso a questo giornale, siamo costretti a mettere a fuoco una realtà molto poco sintonica con i principi che ispirano la libera competizione e le uguali condizioni di partenza tra i cittadini (principi proclamati a gran voce anche dal partito di Lunardi e di Scajola). Si parla di ristrutturazioni offerte "a prezzo di costo" - cioè senza che l'impresa ne ricavi un solo euro - in cambio di un aiutino per acquistare terreni edificabili. Di funzionari pubblici che co-gestiscono, non si sa bene a che titolo, il sontuoso patrimonio immobiliare della Chiesa romana destinando gli alloggi agli amici e alle persone di riguardo. Di appartamenti concessi per oltre un anno in prova, senza pagare l'affitto (a meno che, citando l'ormai proverbiale battuta nonsense di Scajola, "qualcuno abbia pagato a mia insaputa"). Di pratiche edilizie risolte in Comune da "un amico". Di favori dati e resi, di pastoie burocratiche by-passate, di occasioni d'oro riservate, di passaparola d'alto bordo che spalancano le porte di una vita agevolata. Si parla, soprattutto, del potere come moneta: un posto di comando vale, in sé, ben più di uno stipendio d'oro, se consente di ingrassare ingranaggi altrimenti rugginosi, di favorire una cordata che saprà come ricambiare. Dei molto ricchi si dice che possono girare senza portafogli. Le recenti vicende dimostrano che non solo i ricchi, anche i potenti possono dimenticarlo a casa: i loro "pagherò" non sono monetizzabili, sono il pacchetto di attenzioni e di interessamenti che sapranno mettere sul piatto quando ci sarà l'occasione di farlo. E chi sia grato a chi non è dato sapere, perché la gratitudine, in quei paraggi e a quei livelli, è come l'uovo e la gallina. L'ex ministro Lunardi (del quale, in uno dei disperati rigurgiti etici che ancora animano la politica, un paio di colleghi ieri chiedevano le dimissioni da parlamentare) si dice certo di poter spiegare tutto nei dettagli, carte alla mano, al magistrato di turno. Tiene a qualificarsi "persona corretta", a distinguere tra la sua vicenda e quella di chi ha commesso reati. Glielo auguriamo, né augurarglielo ci costa più di tanto: perché non è questo il punto. Il punto, per la pubblica opinione o per quanto ne rimane, non sono i reati: quella è la patologia del sistema, è il bisturi che arriva quando non esistono rimedi meno invasivi. Il punto è la fisiologia del sistema: quella certezza del privilegio, quel convincimento di impunità, di mani libere, di circuito chiuso, che la grandinata di Tangentopoli ha appena scalfito, quasi a dimostrare che nessuna società può illudersi di mondarsi, e tanto più riformarsi, per via giudiziaria: mentalità, costume, cultura, rapporti tra le classi, natura del patto sociale, da che mondo è mondo, cambiano radicalmente solo per via politica: le scorciatoie non sono date. Alla luce degli ultimi atti e delle ultime parole spese attorno alla "cricca", si capisce soprattutto questo: ciò che per i cittadini normali è una tribolata corsa a ostacoli (i permessi, le code, la ricerca di una casa, e poi intronarsi di lavoro e di fatica per pagare ogni cosa, per saldare ogni debito, per dovere ma anche per dignità), per alcuni o parecchi degli uomini di governo e dei loro protetti è un tapis-roulant bene ammortizzato. Chi ci sale arriva prima e arriva meglio. Il problema è capire quanto questa rete sia ramificata: e cioè fino a quali strati profondi della società arrivi. Il sospetto, increscioso ma ragionevole, è che grandi porzioni di società italiana siano già contaminati (ma anche: tradizionalmente contaminati) dalla cultura dei favori. Che scendendo giù giù dai palazzi romani fino agli studi da geometra di provincia, agli uffici pubblici meridionali, ai capannoni lombardi, siano milioni gli italiani che sperano di salire su quel carro o almeno di inseguirlo da presso. Che la politica come assemblaggio delle clientele, come selezione di protettori locali da spedire a Roma, sia una ingente, potente porzione della politica in toto. Un'intervista come quella di Lunardi non si concede, con così schietta eloquenza, se non si sa di vivere in un paese che ringhia al potere quando ne è escluso, ma lo asseconda con compiacimento quando può coglierne le occasioni e incassarne i dividendi. Nessun potere è immacolato, e gli scandali politici sono, in democrazia, quasi una ricorrenza rituale. Ma la Roma piaciona e compiaciona che sortisce dagli ultimi refoli di Palazzo, quella dove una mano lava l'altra e qualche giudice sgobbone si propone il titanico compito di scovare i reati a tutto tondo dentro la matassa border-line dei favoritismi e degli omaggi al potere, è la capitale di una democrazia opaca, incerta di se stessa, molto facile a confondere i diritti con i favori. Dove il libero mercato è solo un simulacro ipocrita, tal quale il socialismo in Urss. Eventuali dimissioni di Lunardi cambierebbero appena di una sfumatura un quadro davvero fosco.
(15 giugno 2010)
Bertolaso interrogato a Perugia "Io innocente, basta gogna mediatica" È durato oltre due ore il confronto del capo della Protezione Civile con i magistrati che indagano sugli appalti dei Grandi Eventi: "Totalmente estraneo alle accuse. Per la casa in via Giulia pagai le bollette, non l'affitto" Bertolaso interrogato a Perugia "Io innocente, basta gogna mediatica" Guido Bertolaso PERUGIA - "Totale estraneità alle accuse che mi sono state mosse". Con queste parole il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, interrogato oggi per due ore a mezza dai magistrati di Perugia che indagano sugli appalti per i Grandi eventi, ha sostenuto di non essere coinvolto nei fatti sui quali si indaga. E ha auspicato - si legge nella nota diffusa del Dipartimento della Protezione Civile in merito all'interrogatorio - che "abbia a terminare l'assurda e ingiustificata attività mediatica in corso dal 10 febbraio basata su voci e illazioni di cui si è dimostrata la completa infondatezza". L'appartamento di via Giulia a Roma. Ai magistrati di Perugia, Sergio Sottani ed Alessia Tavarnesi, Bertolaso ha detto di avere pagato le bollette ma non l'affitto dell'appartamento di via Giulia, a Roma, nel quale per un breve periodo ha abitato. Nel corso dell'anno 2003, per vicende di natura personale, spiega la nota. Bertolaso ha soggiornato per un periodo presso il Collegio universitario di Propaganda Fide a Roma. Ma "l'attività lavorativa del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, a causa degli orari imposti dall'attività istituzionale, si è mostrata incompatibile con il regime di vita degli studenti dell'ateneo. Così, un collaboratore della congregazione di propaganda Fide, il professor Francesco Silvano, offrì a Bertolaso la disponibilità dell'appartamento di via Giulia". La collaborazione della moglie di Bertolaso con Anemone. Sarebbe durata fino a gennaio 2007, stando a quanto riferito da Bertolaso ai pm, la collaborazione della moglie del capo della Protezione Civile, Gloria Piermarini, con l'imprenditore Diego Anemone: l'attività finì "quando iniziava a profilarsi la possibilità che il Salaria Village sarebbe potuta divenire una delle sedi dei Mondiali di nuoto", ha spiegato ai magistrati. La moglie di Bertolaso, sottolinea la nota della Protezione Civile, si è occupata della "progettazione del verde del centro sportivo Salaria Sport Village"; una collaborazione che si è "limitata alla realizzazione della progettazione preliminare" all'inizio del 2007. "A supporto della reale effettuazione della progettazione eseguita da Gloria Piermarini - prosegue la nota - Bertolaso ha consegnato ai magistrati tutta la documentazione prodotta e oggetto del contratto di collaborazione". Il capo della Protezione Civile ha anche portato l'assegno "che prova il pagamento dei lavori di falegnameria effettuati nella propria abitazione", come "sempre sostenuto in pubblico". Proprietà all'Italia e all'estero. "Nessuna domanda, inoltre - conclude il Dipartimento - è stata rivolta a Bertolaso su eventuali appartamenti o proprietà sia in Italia che all'estero, voci che avevano trovato spazio nelle cronache degli ultimi giorni". E comunque "Bertolaso ha chiarito di non possedere alcuna casa all'estero". (15 giugno 2010)
Inchieste Bari: intercettati quattro magistrati Le intercettazioni sono state disposte dai pm baresi Teresa Iodice e Giuseppe Dentamaro che, nell'ambito dell'indagine, il primo giugno scorso hanno ottenuto dal gip l'arresto del tenente colonnello della Guardia di finanza di Bari, Salvatore Paqlino, accusato di peculato e indagato a piede libero per rivelazione del segreto d'ufficio e per stalking Inchieste Bari: intercettati quattro magistrati
Sono quattro i magistrati - in servizio a Trani e Bari - intercettati dalla procura del capoluogo pugliese mentre parlano con alcuni giornalisti di particolari relativi ad indagini. I colloqui sono stati captati dalla polizia durante l'inchiesta su una serie di fughe di notizie che hanno contraddistinto quasi per intero l'ultimo anno di attivita' delle procure di Bari e Trani. La procura di Trani, mentre erano in corso le intercettazioni, è stata al centro dell'attenzione mediatica nazionale per le presunte pressioni esercitate dal premier, Silvio Berlusconi, sull'Agcom per fermare Annozero. Per questi fatti, Berlusconi è indagato (ora dal tribunale dei ministri) per concussione e minacce. I magistrati 'ascoltati' mentre venivano intercettati i telefoni dei giornalisti - a quanto si apprende - sono due pubblici ministeri e un giudice in servizio nel tribunale di Trani, e un pm che lavora a Bari. Al momento non si sa se a carico dei quattro sia ipotizzabile un reato, come la rivelazione del segreto d'ufficio, poiché non é dato sapere se i fatti di cui gli interlocutori parlano al telefono erano coperti dal segreto d'ufficio o, invece, se si trattava di fatti o circostanze già note alle parti. Le intercettazioni sono state disposte dai pm baresi Teresa Iodice e Giuseppe Dentamaro che, nell'ambito dell'indagine, il primo giugno scorso hanno ottenuto dal gip l'arresto del tenente colonnello della Guardia di finanza di Bari, Salvatore Paqlino, accusato di peculato e indagato a piede libero per rivelazione del segreto d'ufficio e per stalking. Per quest'ultimo reato il giudice ha ritenuto mancanti i gravi indizi di colpevolezza. Nei prossimi giorni la procura di Bari dovrà decidere se inviare gli atti al Csm (per eventuali valutazioni disciplinari) e alla procura di Lecce (competente a trattare fascicoli in cui sono coinvolti magistrati in servizio nel distretto di Bari). (15 giugno 2010)
2010-06-02 INCHIESTA APPALTI Bertolaso smentisce Zampolini Prodi e Veltroni querelano l'architetto Il capo della Protezione Civile ribatte: "Appartamento di via Giulia in uso gratuito. Non conosco questa persona, riferirò ai pm". Il fondatore dell'Ulivo e l'esponente del Pd indicati come "suggeritori di architetti" per i lavori del G8 alla Maddalena Bertolaso smentisce Zampolini Prodi e Veltroni querelano l'architetto Guido Bertolaso ROMA - Zampolini? "Spara nel mucchio", le sue sono solo "calunnie", "mai conosciuto". Parole riconducibili a Bertolaso, Prodi, Di Pietro, Veltroni, compatti nel contestare e sconfessare le dichiarazioni dell'architetto ai magistrati di Perugia 1 che indagano su Appaltopoli e l'assegnazione dei lavori per il G8 alla Maddalena. Bertolaso: "Appartamento a disposizione gratuitamente". L'appartamento di via Giulia "mi venne messo a disposizione gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto, non era Diego Anemone". Così il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso replica alle affermazioni di Angelo Zampolini che ai magistrati di Perugia avrebbe detto di aver pagato lui, per conto dell'imprenditore Diego Anemone, l'affitto per l'appartamento del sottosegretario. Bertolaso "esclude" anche che quell'immobile quando lui vi andò nel 2003 fosse stato appena ristrutturato e ribadisce "di non aver mai conosciuto l'architetto Zampolini". "Ho già chiesto ai magistrati di Perugia di poter essere ascoltato su questa e le altre vicende che mi riguardano appena possibile", aggiunge. "Non posso che riconfermare quanto comunicato al momento dell'uscita della cosiddetta lista Anemone - continua Bertolaso - e ribadisco che mi sono avvalso di un appartamento a via Giulia a Roma, per un breve periodo, verso la fine del 2003, ben prima quindi di qualsiasi rapporto di lavoro, ancorché indiretto, con l'impresa Anemone". Un appartamento, dice Bertolaso, che "mi venne messo a disposizione gratuitamente da un mio amico personale che, come ho già detto non era Diego Anemone". Il capo della Protezione Civile esclude poi che l'appartamento "fosse stato appena ristrutturato" e conferma "di non ricordare di aver mai conosciuto l'architetto Zampolini". Bertolaso non fa il nome dell'amico che gli ha prestato l'appartamento "per non esporlo alla macelleria mediatica in atto - dice - ma ho già chiesto ai magistrati di Perugia di poter essere ascoltato su questa e sulle altre vicende che mi riguardano. Appena possibile". "In quella sede - conclude - fornirò tutti gli elementi necessari a sgomberare definitivamente il campo da tali illazioni e confermerò ai magistrati anche l'immediata disponibilità della persona che mi ha prestato l'appartamento di via Giulia a fornire tutti i chiarimenti del caso". Veltroni: "Affermazioni deliranti". Walter Veltroni si affida a una nota: "Qualche giornale pubblica oggi stralci dell'interrogatorio di un architetto - Zampolini - legato alla vicenda Anemone. A un certo punto questo signore chiama in causa Prodi, Rutelli, e il sottoscritto, come suggeritori di 'architetti che hanno lavorato al G8 alla Maddalena'. Ho già dato incarico di sporgere querela nei confronti di questo signore, per grave calunnia e con richiesta di risarcimento danni che devolverò interamente per iniziative di solidarietà". Si tratta di "affermazioni deliranti: non so di che cosa si stia parlando, e non mi sono mai occupato di queste cose", aggiunge l'esponente del Pd. Prodi: "Spara nel mucchio". Per l'ex presidente del Consiglio, "il signor Zampolini spara nel mucchio sapendo benissimo che non ho mai indicato alcun nome per la realizzazione delle costruzioni del G8 alla Maddalena. Evidentemente spera di poter dimostrare che siamo tutti eguali. Ma poiché non è così, ho dato mandato ai miei avvocati di adire le vie legali". Di Pietro: "Calunnie". Vie legali anche per il leader dell'Italia dei Valori: "Mi ha fatto piacere leggere stamattina sui giornali le sue dichiarazioni, così ho saputo esattamente di cosa mi si accusa. Cioè, di aver preso due case in affitto, una per me e l'altra per il partito. Non è vero nel senso materiale del termine e ho la prova documentale di quanto affermo. Prova che sono ben felice di consegnare alla magistratura e all'opinione pubblica. Così i commentatori da strapazzo dovranno pagare le spese per le gravi calunnie che mi hanno rivolto". (02 giugno 2010)
2010-05-27 COMO Scoperta maxi evasione di 112 milioni Il telepass mette nei guai due società Le Fiamme Gialle hanno usato i tracciati per avere una prova dei continui passaggi ai caselli autostradali dei responsabili della società elvetica verso l'Italia COMO - Un'evasione fiscale di oltre 112 milioni di euro è stata scoperta dai militari della guardia di finanza di Olgiate Comasco, in provincia di Como, al termine di due controlli eseguiti nei confronti di altrettante società con sede in Svizzera, che si occupano di commercio all'ingrosso di tessuti e abbigliamento. Tra i vari riscontri hanno assunto un aspetto determinante i tracciati del telepass montati sulle auto riconducibili alle società. Le Fiamme Gialle, infatti, li hanno usati per avere una prova dei continui passaggi ai caselli autostradali dei responsabili della società elvetica. Un continuo via vai per concludere affari, da Napoli fino a Torino, Piacenza, Bergamo, Roma. Che ha permesso di rilevare una presenza abituale del direttore in Italia, al punto da attribuirgli la figura di "stabile organizzazione personale" riconducibile alle società svizzere le quali, di conseguenza, assumono l'obbligo di presentazione la dichiarazione dei redditi. Il vice direttore delle societa', invece, era residente in Italia e si occupava dello sdoganamento della merce venduta, dell trasporto al cliente e dei rapporti con le banche. E' scattata cosi' la denuncia alla magistratura comasca dell'amministratore unico delle due societa' per l'omessa dichiarazione di redditi prodotti in Italia. Redditi pari a 112 milioni di euro che saranno, pertanto, tassati dal Fisco. (27 maggio 2010)
2010-05-22 Lettera aperta di Bondi a Napolitano "Fango su di me, non posso difendermi" Il coordinatore del Pdl rivolge il suo appello anche al presidente del Senato e al presidente del Consiglio. Ma non a Fini. "Chiedo soltanto il rispetto della mia persona. Basta con la gogna mediatica" Lettera aperta di Bondi a Napolitano "Fango su di me, non posso difendermi" Il ministro Sandro Bondi ROMA - È indirizzato al Presidente della Repubblica, a quello del Senato e al presidente del Consiglio l'appello che Sandro Bondi affida a una lettera aperta diffusa dal ministro per i Beni culturali e coordinatore Pdl. Lettera che Bondi, senatore Pdl, non ha indirizzato invece al presidente della Camera Gianfranco Fini, con il quale è da tempo in aperta polemica per le vicende interne al Pdl. Bondi ripercorre minuziosamente i termini della vicenda che lo vede sulle cronache di questi giorni, parla di un "fenomeno e meccanismo già visto all'opera, già conosciuto nel passato" per sostenere che "sappiamo che non ha condotto a nessun autentico cambiamento della società italiana" ma anzi "spesso ha condotto a gravi ingiustizie e a veri e propri drammi umani". "Spero che ciò non si ripeta ancora - dice a Napolitano, Schifani e Berlusconi - perché dimostrerebbe che il nostro Paese non è capace di rinnovarsi senza fuoriuscire dalle regole, senza passare attraverso la ricerca di capri espiatori, che non solo contrasta con il senso di giustizia, ma che alla fine si rivela un male peggiore di quello che si vorrebbe estirpare. Per queste ragioni mi sono rivolto a Voi, nella speranza che il mio caso, che è piccola cosa ma vive drammaticamente in me, possa suscitare qualche interrogativo prima che non sia troppo tardi". "Non chiedo privilegi o immunità". Bondi scrive: "Chiedo soltanto il rispetto della mia persona prima ancora che del mio ruolo politico e istituzionale. Mi domando e vi domando: come può una persona tutelarsi da questo fango, da queste brutali insinuazioni? Come può una persona difendersi da accuse fatte circolare e continuamente alimentate dal circuito mediatico senza avere la possibilità di far valere i propri diritti di cittadino, esposto al pubblico ludibrio e alla disapprovazione morale e politica prima ancora che a qualsiasi verifica e esame giudiziario?". "Come è possibile rimanere integri, anche fisicamente, quando ogni giorno il proprio nome viene associato ad ogni genere di supposizioni senza alcuna verifica e controllo di attendibilità delle stesse notizie che vengono propalate? Credo ancora in un libero giornalismo che contribuisca alla denuncia dei mali del Paese e degli eventuali reati compiuti anche dalla classe politica, attraverso però una scrupolosa ed attenta indagine sulle fonti di informazioni e sul rispetto della persona, che è un valore tutelato dalla nostra costituzione", sottolinea Bondi. Giustizia e democrazia. "Credo ancora in una giustizia che persegua i reati - scrive Bondi - quando vengono accertati, e punisca severamente i colpevoli, con tutte le garanzie previste dallo stato di diritto. Così come credo ancora in una democrazia capace di emendarsi e di rinnovarsi senza ricorrere alla gogna mediatica, alla punizione anticipata e preventiva di coloro che hanno la disavventura di entrare nel tritacarne mediatico- giudiziario, senza neppure che si attenda il responso delle indagini e dei processi e senza addirittura sapere se esistano o meno procedimenti penali a carico della persona oggetto di tali gravi insinuazioni". "Questo fenomeno e questo meccanismo - rileva il coordinatore del Pdl - lo abbiamo già visto all'opera, lo abbiamo già conosciuto nel passato, e sappiamo che non ha condotto a nessun autentico cambiamento della società italiana. Spesso ha condotto a gravi ingiustizie e a veri e propri drammi umani. Spero che ciò non si ripeta ancora, perché dimostrerebbe che il nostro Paese non è capace di rinnovarsi senza fuoriuscire dalle regole, senza passare attraverso la ricerca di capri espiatori, che non solo contrasta con il senso di giustizia, ma che alla fine si rivela un male peggiore di quello che si vorrebbe estirpare. Per queste ragioni mi sono rivolto a voi, nella speranza che il mio caso, che è piccola cosa ma vive drammaticamente in me, possa suscitare qualche interrogativo prima che non sia troppo tardi". (22 maggio 2010)
2010-05-21 Appalti, voci su Matteoli, Bondi Smentita dei ministri, ed è polemica Notizie di nuove ammissioni di Zampolini ai pm di Perugia riportate da "Libero" e da altri quotidiani: accertamenti su movimenti bancari riguardano anche Lunardi. Ambienti della procura perugina smentiscono il coinvolgimento dei due ministri nell'inchiesta Appalti, voci su Matteoli, Bondi Smentita dei ministri, ed è polemica Il ministro Matteoli ROMA - Non si è ancora spenta l'eco del trambusto creato nel governo dall'"equivoco" sul libro di Bruno Vespa 1 con precipitosa precisazione di Berlusconi a difesa di Scajola e Verdini, che due notizie riportate dai giornali del mattino mettono di nuovo in fibrillazione il governo sotto i colpi di "affittopoli". Nuovi intrecci - rivela Repubblica - si delineano intorno a Verdini, con un versamento di 800mila 2 euro per il giornale del coordinatore pdl inviati da imprenditori su consiglio di Flavio Carboni e Marcello dell'Utri. Altri sospetti si addensano nell'inchiesta in corso a Perugia sul ministro Matteoli, sull'ex ministro Lunardi mentre nuovi accertamenti sarebbero in corso su Bondi. Lo riporta Libero nel titolo che apre la prima pagina, ma conferme arrivano anche da altri quotidiani - da Il Fatto al Secolo XIX. Le nuove ombre arrivano dall'interrogatorio dell'architetto Angelo Zampolini, l'uomo che smistava assegni per conto di Diego Anemone (tra i quali quelli per casa Scajola). Le rivelazioni della stampa vengono smentite dagli ambienti della procura perugina, secondo cui non esiste alcun riferimento ai ministri Matteoli e Bondi appare nell'inchiesta sugli appalti per i Grandi eventi. Precisano le fonti investigative che anche Angelo Zampolini, sentito nei giorni scorsi dai pm di Perugia, non ha fatto alcun riferimento ai due ministri. Anzi, secondo i legali dell'architetto, "Zampolini non è stato neanche interrogato su questioni relative ai ministri sopra citati".
Secondo la stampa, Zampolini invece avrebbe confermato gli indizi che nell'inchiesta Grandi opere portano a Matteoli e Lunardi, per i quali, assieme a Bondi, si parlerebbe di movimenti bancari transitati su una banca estera e sui quali sarebbero in corso accertamenti finanziari. Matteoli smentisce: "Non ho, né mai ho avuto conti aperti né disponibilità in banche estere, tantomeno in filiali di banche italiane operanti in Lussemburgo. Non possono dunque esistere operazioni bancarie direttamente o indirettamente a me riconducibili, ovvero a persone a me collegate''. E così Bondi: "Sapevo di vivere in un paese barbaro e incivile almeno per le persone oneste, ma non fino a questo punto. Apprendo oggi su Libero che il mio nome figurerebbe in una inchiesta su movimenti bancari transitati per una filiale di Unicredit a Lussemburgo. Si tratta di una notizia semplicemente comica". (21 maggio 2010)
2010-05-14 L'INCHIESTA I legali di Anemone: "Nessuna ammissione" Alfano: "Non è una nuova tangentopoli" Il collegio di difesa del costruttore ha spiegato che non c'è stato alcun interrogatorio, solo una perquisizione effettuata dai Ros dei carabinieri e della Guardia di Finanza I legali di Anemone: "Nessuna ammissione" Alfano: "Non è una nuova tangentopoli" Diego Anemone PERUGIA - Nessuna collaborazione con gli inquirenti da parte di Diego Anemone, il costruttore al centro dell'inchiesta sugli appalti dei grandi eventi. Lo hanno sottolineato i suoi difensori, stamani a Perugia, a margine dell'udienza in programma davanti al gip del capoluogo umbro per esaminare la richiesta della Procura di commissariare le aziende del costruttore. "Non credo siamo di fronte a una nuova tangentopoli; siamo di fronte a episodi che se fossero veri meriterebbero una severa punizione dei colpevoli", ha affermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, rispondendo alle domande dei giornalisti a Milano. "Siamo di fronte a episodi - ha proseguito il ministro - che se fossero veri meriterebbero una severa punizione dei colpevoli. Chi è chiamato a occuparsi della cosa pubblica amministra il denaro dei cittadini e lo deve fare con rigore morale e severità". In una dichiarazione all'Ansa, i legali di Anemone hanno sottolineato che il costruttore non ha reso interrogatori "o fatto dichiarazioni spontanee e soprattutto non ha fatto alcuna ammissione". Oggi alcuni quotidiani scrivono che Diego Anemone, l'imprenditore al centro della cricca degli appalti, ha cominciato a fare le prime ammissioni e con le sue risposte ha già smentito il generale della Guardia di Finanza ora all'Aisi Francesco Pittorru, beneficiario di due case a Roma pagate in parte con gli assegni dell'architetto Angelo Zampolini. "In occasione della notifica del decreto di perquisizione finalizzato alla consegna della documentazione di cui aveva parlato il generale della Guardia di Finanza, Francesco Pittorru, nel suo interrogatorio, Diego Anemone - hanno spiegato ancora i suoi difensori - ha semplicemente dichiarato di non essere in possesso della documentazione richiesta. Non ha reso interrogatori, non ha reso dichiarazioni spontanee e, soprattutto - hanno sottolineato ancora i difensori del costruttore - non ha fatto ammissioni per la semplice ragione che non ha ammissioni da fare". La perquisizione - secondo quanto si è appreso - è stata fatta da ufficiali del Ros dei carabinieri e dalla guardia di finanza domenica scorsa subito dopo la scarcerazione di Anemone. L'imprenditore è difeso da un collegio composto dagli avvocati Giovanni Aricò, Gianluca Riitano, Adriana Boscagli, Claudio Cimato e Antonio Barbieri. (14 maggio 2010)
La nuova strategia del Cavaliere "Troppi si sono arricchiti alle mie spalle" Il capo del governo teme l'espandersi delle inchieste e vuole separare il suo destino dagli indagati. Non esclude la rottura definitiva con Fini e contatta l'Udc di FRANCESCO BEI La nuova strategia del Cavaliere "Troppi si sono arricchiti alle mie spalle" ROMA - Stavolta si cambia spartito. Basta con le indulgenze, mano dura con chi viene preso con le mani nel sacco. "Anche perché noi siamo diversi dagli altri, non campiamo con la politica, veniamo dall'impresa: se c'è qualcuno che si è arricchito personalmente dovrà pagare". È la nuova linea che Silvio Berlusconi sta impostando per affrontare la marea nera che emerge dalle inchieste sul "sistema Anemone". Un problema su cui intende impegnarsi in prima persona, tanto che avrebbe già chiesto chiarimenti ad Altero Matteoli sulla figura di Ercole Incalza, capo della struttura tecnica di missione del dicastero delle Infrastrutture, il cui nome è comparso nell'inchiesta. E nel frattempo ha chiamato a Palazzo Grazioli Guido Bertolaso per fare il punto della situazione con il capo della protezione civile. Perché sarà anche vero che il premier, come ha spiegato davanti a una ventina di imprenditori ricevuti a cena a palazzo Grazioli, ritiene che sia una "mistificazione" parlare di una "nuova tangentopoli". Ma l'allarme è serio - il governo ora trema per altri due ministri che potrebbero essere travolti - e Berlusconi non sottovaluta le ricadute che gli scandali sulla casa stanno avendo sull'opinione pubblica (tenendo presente che anche i giornali d'area stanno cavalcando la vicenda). Per questo, anche al prezzo di qualche contraddizione, il Cavaliere stavolta non scatenerà alcuna campagna contro i magistrati. Niente toghe rosse dunque. "Non possiamo lasciare a Fini la bandiera della legalità", ha spiegato il premier, "stavolta non possiamo coprire tutti". Ma c'è di più, perché Berlusconi si è mostrato molto irritato per le notizie apparse sui giornali. "È vergognoso che non ci sia più il segreto istruttorio, vengono dati in pasto ai giornali nomi di persone che magari non c'entrano nulla. Un vero sciacallaggio. Però non è tutto fumo, chi ha sbagliato dovrà assumersene la responsabilità. Senza sconti". Il premier ha confidato di sentirsi "ferito e indignato" per certi "comportamenti troppo disinvolti" e teme che "forse qualcuno abbia abusato" della sua fiducia. Niente nomi, "ma non possiamo escludere che ci sia stato qualcuno che abbia pensato ad arricchirsi personalmente". Berlusconi li ritiene solo delle "pecore nere" in un gregge pulito e, in ogni caso, "io sono sempre portato a credere all'innocenza delle persone che ho scelto". Una delle conseguenze di questa nuova impostazione sarà il rilancio del disegno di legge anticorruzione, approvato mesi fa sull'onda dei primi scandali e poi messo in secondo piano: "Porta la mia firma, Alfano lo seguirà passo passo in Parlamento finché non sarà approvato". Il secondo corno della strategia impostata a palazzo Grazioli prevede di puntellare la maggioranza con l'ingresso dell'Udc nell'area di governo. E proprio per allettare i centristi con una postazione di prestigio, il premier tiene ancora per sé l'interim del ministero dello Sviluppo economico lasciato da Scajola. "Abbiamo una forte maggioranza parlamentare - osserva un uomo dell'entourage del premier - e l'ultima votazione sul decreto incentivi ha mostrato che abbiamo 65 voti di scarto sull'opposizione. Per cui, finché i finiani continueranno a mostrarsi leali, andremo avanti così". Tuttavia, il premier si tiene pronto all'ipotesi di una rottura definitiva con il presidente della camera. In quel caso i contatti con i centristi (c'è sempre Lorenzo Cesa dall'altra parte del telefono) potrebbero produrre un allargamento della maggioranza. Ma c'è un ma. Casini infatti non ha intenzione di entrare nel governo in questo modo, come "ruota di scorta" nel caso venga meno una parte del Pdl. "Capisco la convenienza di Berlusconi, ma perché dovremmo prestarci?". Altra cosa, spiegano a via Due Macelli, sarebbe se il premier "si aprisse all'idea di un governo di larghe intese, presieduto sempre da lui, per gestire la crisi economica e fare le riforme". In quel caso "anche una parte del Pd, stanca dell'eterna rissa fra Veltroni e D'Alema, potrebbe essere interessata". Ma si tratta ancora di scenari da cartomanti. (14 maggio 2010)
I DOCUMENTI Oltre sessanta appalti in 6 anni così Anemone creò la sua ragnatela Dalle tapparelle alle caserme: tutti gli affari. Interventi a Palazzo Chigi e a Palazzo Grazioli. Ma nel periodo a cui si riferiscono gli appunti trovati non c'è praticamente ministero che non gli abbia affidato commesse di CORRADO ZUNINO e FRANCESCO VIVIANO Oltre sessanta appalti in 6 anni così Anemone creò la sua ragnatela ROMA - L'ultimo imbarazzo di Guido Bertolaso, il pied a' terre da 40 metri quadrati di via Giulia 189 allocato nel centro migliore di Roma, conduce - seguendo le nuove carte uscite dalla Procura di Perugia che mettono a fuoco 412 lavori eseguiti dal gruppo edile Anemone dal 2003 al 2008 - alla spiegazione del funzionamento del sistema Protezione civile, alle sue logiche di scambio. I lavori privati realizzati nelle case che contano, le molte falegnamerie allertate per realizzare le librerie private dei politici, facevano scaturire dopo mesi i grandi appalti pubblici per l'imprenditore di Grottaferrata. Gli iperlavori del G8 della Maddalena, la ricostruzione dell'Aquila, poi i Mondiali di nuoto e tutte le opere del "giro fiorentino" sono state evidenziate nella prima parte dell'inchiesta, quella ancora radicata nelle procure di Roma e Firenze. Ora i tre sostituti di Perugia, sequestrando le carte della contabilità di Anemone, hanno messo in fila tutti gli altri appalti, quelli ordinari, figli - secondo l'accusa - di un rapporto diretto con i ministeri retti nel tempo da Claudio Scajola e Pietro Lunardi, soprattutto con il potentissimo ufficio di Guido Bertolaso: la Protezione civile. Si scopre, allora, come nelle otto pagine di "ricostruzione appalti" i lavori elargiti a Claudio Rinaldi, commissario di "Roma 2009", in via Appia, via Aosta e via Nazionale a Roma si trasformeranno nell'ottenimento - da parte di Anemone - della ricostruzione della scuola di San Giuliano di Puglia, a Campobasso, quella che soffocò con il terremoto del Molise ventisette bambini e un insegnante. Rinaldi, infatti, fu nominato da Bertolaso capo della missione.
Un monopolio di appalti pubblici E' impressionante scoprire la profondità della ramificazione pubblica di Diego Anemone e della sua famiglia, capaci di ottenere 65 appalti importanti in sei stagioni. Le sue aziende hanno costruito il carcere di Sassari (58 milioni di euro) e realizzato cinque interventi nel "minorile" romano di Casal del Marmo. Era forte su quel terreno, con quei ministeri (Interno, Difesa), l'imprenditore Anemone. E infatti, grazie al "certificato Nos" per i lavori con le "istituzioni sensibili", ha ottenuto dodici appalti per otto caserme della guardia di finanza, corpo nel quale aveva generali e marescialli amici che lo informavano delle inchieste sul suo conto. Si scoprono due appalti con i carabinieri (la caserma di Tor di Quinto, sempre a Roma) e quattro con il Viminale. Importante è il cantiere di via Zama, sede dei servizi segreti. Seguendo il libro mastro della contabilità di Anemone si torna dal generale (gli appalti pubblici) al particolare (i lavori nelle case dei vertici della polizia e dei servizi). Nella lista si possono avvistare gli interventi nella casa di via Civinini interno 6 intestata all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro (qui appuntato come "capo Ps", ma in realtà vi risiede il figlio) e quelli nella stessa strada romana - presumibilmente lo stesso palazzo - che ospita l'appartamento di Antonio Manganelli, attuale capo della polizia. Lo staff di Manganelli fa sapere che quella dimora è stato presa in affitto, ma non ancora occupata. De Gennaro, invece, conferma di aver conosciuto l'imprenditore Anemone e che la sua famiglia lo ha regolarmente pagato per la ristrutturazione. Negli appunti edili, ancora, c'è il nome dell'attuale capo dei servizi segreti, Nicola Cavaliere: lui assicura di non aver mai incontrato Anemone. E' possibile che i lavori nella casa di Cavaliere siano stati realizzati quando l'appartamento era occupato da Claudio Scajola, ministro dell'Interno dal 2001 al 2002. I lavori nei palazzi dei poteri Il livello dei rapporti del costruttore del Salaria Sport Village gli ha consentito di entrare direttamente nei palazzi di Silvio Berlusconi. La lista di Anemone racconta, infatti, di quattro interventi a Palazzo Chigi: la consegna di un letto, poi di una cucina, alcuni mobiletti e la generica manutenzione. Appuntava tutto, il costruttore. Una seconda nota parla di "Palazzo Grazioli" (la residenza privata romana del premier), senza ulteriori specifiche. Quindi, si legge di un intervento in un ufficio della presidenza del Consiglio ricavato in via XX Settembre, dell'impianto di condizionamento della sala stampa di Palazzo Chigi e della "sede di Forza Italia". Tre appalti il costruttore di Grottaferrata li ha ottenuti con il dicastero delle Finanze, uno con le Attività produttive, uno con il ministero dell'Istruzione. Uno, ancora, è stato segnato come "ministero delle Scienze". A Porta Pia le manovalanze di Anemone si sono occupate del nuovo ufficio di AB (presumibilmente Angelo Balducci, il presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici oggi in carcere) e in via Monzanbano dell'ufficio dell'ingegner Rinaldi. Ma i "servigi" dell'imprenditore ai potenti hanno garantito altri appalti pubblici romani: il Policlinico Umberto I (due interventi), l'ospedale Spallanzani, la Facoltà di Architettura di Valle Giulia e a Latina la Casa dello studente universitario. Nello sport, oltre al Centrale del tennis, ecco gli interventi sui centri Coni di Madonna di Campiglio e Schio. Poi lavori su sette chiese, a dimostrazione di un asse di ferro con il Vaticano. E quelli in emergenza (60 milioni) per la frana di Cavallerizzo, provincia di Cosenza. Dove Bertolaso era, al solito, commissario straordinario. (14 maggio 2010)
Lista di Anemone, arrivano le smentite Mancino: "Non ho mai ricevuto regali" Le prime reazioni dopo dopo la pubblicazione dell'elenco dell'imprenditore considerato una gigura centrale della "cricca" degli appalti. Monorchio: "Sono sopreso". Silvestri: "Non ho case a Roma". Bersani: "Nessuna cautela, bisogna andare fino in fondo" Lista di Anemone, arrivano le smentite Mancino: "Non ho mai ricevuto regali" Nicola Mancino ROMA - Politici, alti funzionari dello Stato e vertici delle forze di polizia. Ci sono più di 400 nomi nella lista sequestrata nel 2009 nel computer di Diego Anemone, 1 l'imprenditore considerato figura centrale della cricca degli appalti. Nell'elenco figurano, tra gli altri, l'ex ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, l'ex ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, il direttore generale della Rai, Mauro Masi, il presidente di Trenitalia, Marco Zanichelli. E la corsa alla presa di distanze dal discusso imprenditore è partita. Mentre il Pdl, per bocca di Fabrizio Cicchitto, denuncia "l'ennesima lista di proscrizione". "Il signor Anemone non mi ha fatto alcun regalo" dice il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, citato nell'elenco. Che precisa: "Quando la società del gruppo Pirelli, proprietaria dell'immobile di corso Rinascimento, mise in vendita gli appartamenti, io acquistai quello da me locato, intestandolo a mia figlia". Successivamente, conclude, "per comprare un appartamento in via Arno mia figlia ha venduto quello di corso Rinascimento, mentre mia moglie ed io abbiamo venduto il nostro appartamento di Avellino". "Sorpreso" anche l'economista Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello Stato: "Non ho mai avuto a che fare con cose così e vivo in una casa in affitto". Infine Gaetano Silvestri, giudice della Corte costituzionale, taglia corto: Non conosco Anemone e non ho case a Roma". "Sono affittuaria dell' appartamento in questione dal 2003. L'appartamento è di proprietà di un ente, pertanto i lavori di ristrutturazione non sono stati commissionati dalla sottoscritta, ma dall'Ente prima del mio ingresso" precisa la giornalista di Mediaset Cesara Buonamici. Smentisce corsie preferenziali anche Bertolaso: "I lavori di Anemone sono stati sempre pagati regolarmente". Le indagini. Accertamenti sulla diffusione della lista potrebbero essere avviati dalla procura di Perugia titolare del fascicolo. I magistrati stanno valutando in queste ore la decisione da prendere. Sembra tra l'altro che la lista fosse sconosciuta alla procura perugina fino alla pubblicazione da parte degli organi d'informazione. Le reazioni politiche. Sul fronte politico il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani chiede che si vada "fino in fondo". "E' evidente che non si tratta di una summa di casi, è un meccanismo che ha origine in una intenzionale politica di allargamento degli appalti riservati e fuori gara, in una applicazione distorta delle direttive comunitarie" dice il segretario del Pd. mentre Umberto Bossi assicura: "Fin quando ci siamo io, la Lega e Tremonti, il governo non rischia, non lo buttano giù". (13 maggio 2010)
INCHIESTA APPALTI Politici e vip, il business romano di Anemone La capitale scenario di favori e appalti. Ristrutturazioni di case e tanti affari pubblici di GABRIELE ISMAN Politici e vip, il business romano di Anemone
Partendo da nuovi spazi museali nelle cucine di palazzo Venezia, fino ai ministeri, alle case dei vip, dalle sedi delle forze dell'ordine alle istituzioni religiose come la Comunità di Sant'Egidio e le suore di Madre Teresa di Calcutta: c'è tanta Roma nell'elenco dei lavori del gruppo Anemone. Nel 2004 una società di Prato vinse una gara sospetta da 6 milioni di euro per musealizzare due sale piene d'acqua dentro Palazzo Venezia. Il concorso era stato indetto dall'allora provveditore alle Opere pubbliche del Lazio Angelo Balducci. Il passetto di Borgo e la sede della protezione civile in via Ulpiano nel 2006, il policlinico Umberto I, il ministero della Pubblica istruzione, il palazzo dei Congressi dell'Eur, l'illuminazione e le camere nel carcere di Casal del Marmo tre anni prima, lo Spallanzani, ancora la protezione civile (stavolta nella sede di via Vitorchiano) e una non precisata sede di Forza Italia nel 2004. Sono oltre 350 le voci dell'elenco dei lavori eseguiti dal gruppo Anemone scoperto dalla Guardia di finanza nel 2008. Scorrendolo, si ha l'immagine di come l'imprenditore, forte anche dei buoni rapporti con Claudio Scajola, Angelo Balducci e Guido Bertolaso, fosse riuscito a entrare nelle ristrutturazioni di edifici pubblici e private, case e caserme, personaggi noti e loro parenti, fino alle istituzioni religiose. Nella lista ci sono persone, talvolta collegati a luoghi (come Cesara Buonamici via della Vite, Simeoni in via Flaminia Vecchia o D'Eusanio in corso Vittorio Emanuele, gli ultimi due senza nomi), ma anche cognomi senza altre indicazioni (Scotto, Monteleone) e stringate indicazioni di luoghi: Galleria Sordi, via del Babuino, via del Governo vecchio, via Parigi, Sant'Agostino, via Gramsci. E anche indicazioni come "Viale Giulio Cesare 6 - Ciao Ragazzi": una società di Claudia Mori, moglie di Celentano. Nella lista non ci sono costi o indicazioni di pagamento. È un solo un elenco di interventi. Anche nelle sedi del governo: i ministeri dell'Istruzione e dell'Economia, il Viminale, il dicastero delle Politiche Agricole, guidato all'epoca da Gianni Alemanno, Palazzo Chigi, Palazzo Grazioli. Poi le forze dell'ordine: i vertici della polizia, caserme della guardia di finanza e quella dei carabinieri a Tor di Quinto, i servizi segreti a piazza Zama. Nell'elenco del gruppo Anemone molti personaggi noti: Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Occhipinti, produttore della Lucky Red, Giancarlo Leone, vicedirettore generale della Rai, l'ex parlamentare Publio Fiori. E sono tante le istituzioni religiose e i luoghi di culto: dalle suore di Madre Teresa di Calcutta - in via di Dragoncello e in via Casilina - al complesso di Santa Maria Alacoque a Torvergata, la casa per anziani della Comunità di Sant'Egidio, in via Nicola Fabrizi, la chiesa di Santa Maria in Trevi. Nel libro mastro si trova anche il Passetto di Borgo, il collegamento caro a Dan Brown tra Castel Sant'Angelo e il Vaticano. È segnato nel 2006: in quel periodo vi furono interventi di manutenzione del Passetto. Poco dopo un altro lavoro puntava ad aprirlo stabilmente al pubblico, ma il tentativo non andò a buon fine. (14 maggio 2010)
14 maggio 2010 Il presidente moralizzatore Il giornali della destra accompagnano fedelmente l’ennesima metamorfosi berlusconiana. Il Cavaliere sente che le inchieste posso travolgere la sua classe dirigente e tenta di tracciare un confine tra sé stesso e "quegli altri". Libero e Il Giornale, all’unisono, scrivono oggi che "la rabbia popolare cresce", e che "la gente si sente presa in giro". E lui proclama senza se e senza ma che "chi ha sbagliato deve pagare". Dopo il presidente operaio, ecco allora il presidente moralizzatore. Inflessibile con chi ha "approfittato di lui" per farsi gli affari propri. Rabbioso contro chi lo ha ingannato per un pugno di lenticchie al Colosseo e dintorni. Ben venga la svolta, perché anche in un mondo di ladri un ladro in meno è sempre meglio di un ladro in più. Ma non sfugga il cinismo di chi, più di tutti, ha usato e abusato del concetto di gratitudine in politica, e oggi è pronto a scaricare chi gli ha votato senza fiatare la legittima suspicione, la prescrizione ex Cirielli, il processo breve, almeno due Lodi e un bel legittimo impedimento. E’ il partito carismatico che mangia sé stesso, tranne il capo che a piacimento elargisce farfalline, dispensa perdoni o impartisce punizioni. E dove nessuno, tranne il capo, può sentirsi al sicuro. Scritto venerdì, 14 maggio 2010 alle 08:47 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.
Lombardo: "Il premier usa le procure per piegarmi e aprire la strada al voto" Il governatore della Sicilia: "Lascerei se colluso con la mafia". "I pm hanno smentito la richiesta di arresto, Pdl e Udc siciliano vogliono mettermi in ginocchio" di CARMELO LOPAPA Lombardo: "Il premier usa le procure per piegarmi e aprire la strada al voto" ROMA - Presidente Raffaele Lombardo, teme di essere arrestato? "No. Sta semplicemente accadendo quel che avevo previsto quando nel dicembre scorso si è dissolta la maggioranza di centrodestra che mi aveva sostenuto fino ad allora". Cosa ha previsto? "Che sarebbero piovuti attacchi politici quotidiani da parte del Pdl estremista e antigovernativo, come è avvenuto col disegno di legge vagamente intimidatorio che prefigurava perfino l'ipotesi di morte del presidente della Regione per sancire comunque la sopravvivenza della legislatura. Sarebbe seguito un attacco mediatico e giudiziario, e siamo in questa fase. Infine, ci sarebbe l'attacco estremo, personale, la fase tre, che preferisco non definire ulteriormente". Esiste un'indagine della procura di Catania a suo carico. Sembra ci siano 3 mila pagine di intercettazioni, atti amministrativi, testimonianze sulle sue frequentazioni, i suoi presunti favori a personaggi vicini alle cosche. "Sono presunto indagato, presunto inquisito, presunto arrestato. Tutto presunto. Ma solo sui giornali. Se venisse provato dalle indagini preliminari che io abbia consapevolmente favorito la mafia me ne andrei senza indugiare. Ma so che non è così. Invece, sono stato bersaglio di due fughe di notizie, una sull'esistenza dell'inchiesta e una sulla richiesta di arresto, entrambe puntualmente smentite dal procuratore di Catania. Mi presenterò ogni giorno al palazzo di giustizia, se sarà necessario, per chiarire ancora una volta la mia posizione. L'ho già chiesto. Ma è tutta un'anomalia, dietro la quale intravedo un disegno". Quale disegno? "Io non ce l'ho con i giornalisti che fanno il loro mestiere, quanto con i magistrati che si prestano a giochi politici". Dei magistrati si prestano a un disegno politico? E quale? "Mi spiace dire che qualche procuratore sta offrendo assist alla ricomposizione del Pdl in Sicilia, risolvendo una grana non da poco a beneficio di Silvio Berlusconi. Fallito l'attacco politico, ecco la seconda arma: piegare Lombardo e costringere il Pdl Sicilia che mi sostiene a rientrare tra i ranghi. È quello che stava per accadere a Palazzo Grazioli mercoledì mattina?" Si riferisce all'incontro del premier con Micciché, fedele al suo governo, e poi con Alfano e il Pdl ufficiale, che le fa la guerra? "Non è affatto casuale che la fuga di notizia sia avvenuta alla vigilia di quell'incontro. Al presidente del Consiglio tornava utile, eccome, un Lombardo in ginocchio". Un asse tra Berlusconi e i magistrati? Non starà eccedendo in dietrologia? "Non c'è stata alcuna iniziativa giudiziaria, ma una fuga di notizie utile allo scopo. Il Pdl nazionale e l'Udc siciliano puntano alla caduta del mio governo con ogni mezzo per arrivare alle elezioni regionali a novembre. Rimossa l'anomalia siciliana, per il premier si spiana la strada verso il voto anticipato nazionale: ad aprile prossimo si può tornare alle urne. Ecco perché la partita dell'isola diventa decisiva". Non teme il forfait del suo sodale Micciché? Sembra sia pronto ad assecondare il diktat di Berlusconi e tornare a "casa". "La ricomposizione del Pdl ci sarebbe stata già quella mattina, durante il loro incontro a Palazzo Grazioli, se non fosse arrivata la smentita della procura sul mio ipotetico arresto. Alla fine, il faccia a faccia tra i due invece è stato interlocutorio. Il mio governo andrà avanti, anche col sostegno del Pdl Sicilia". Pensa che il Pd resista ai boatos sul suo conto o ritirerà il sostegno esterno al suo governo? "Il Pd sostiene con responsabilità solo il percorso di riforme che abbiamo intrapreso. Con l'ultima Finanziaria, la riforma della sanità, la denuncia dello scandalo dei termovalorizzatori dal quale è scaturita un'inchiesta a Palermo e lo stop all'eolico per sospetti interessi mafiosi. Abbiamo assestato un colpo durissimo al sistema affaristico mafioso. Quanto mi sta accadendo non è estraneo a tutto questo". D'accordo, ma lei è del tutto estraneo a Vincenzo Aiello, boss vicino ai Santapaola con il quale, stando a quanto trapela dall'inchiesta, avrebbe avuto contatti? "Non lo conosco, non so chi sia". Guardi al suo passato, nulla da rimproverarsi? La sua gestione del potere ha avuto profili clientelari? "Non ho la coscienza a posto, ma molto di più. E non ho nulla da temere, saprò difendermi. Anche dagli attacchi bassi assestati alla mia famiglia". Si riferisce a sua moglie? E' stata chiamata in causa per un impianto fotovoltaico da 5,6 milioni di euro finanziato dalla Regione. "Era un semplice impianto su serra. Ma ho avuto lo scrupolo di cancellare quel progetto, esibendo in giunta la fotocopia della ricevuta di ritorno con cui rinunciavo alla realizzazione di quella struttura". Altra persona di famiglia chiamata in causa è suo fratello Angelo, deputato. Mette la mano sul fuoco sulla sua trasparenza? "Mio fratello mi ha assicurato che non ha mai incontrato Aiello, né Sturiale, né altri personaggi ambigui. Ed è ridicola questa storia del pestaggio subito e non denunciato. Esistono cartelle cliniche e medici che possono testimoniare come sia stato ricoverato due volte, nel 2006 e nel 2008, per crisi ipertensive, di cui soffre. Ma anche su questa invenzione la procura farà chiarezza". (14 maggio 2010)
Ponte aereo per le spigole condannato Speciale Il giudizio d'appello militare: non fu generosità ma abuso di denaro e risorse pubbliche. Fece portare il pesce da Pratica di Mare a Passo Rolle, dov'era in vacanza, con Atr della Gdf di CARLO BONINI Ponte aereo per le spigole condannato Speciale Speciale (al centro, in borghese) negli anni in cui era generale della Finanza ROMA - Un anno e sei mesi di reclusione per peculato continuato. Pena sospesa e, commenta ora con soddisfazione il Procuratore militare Antonino Intelisano, "principi del diritto riaffermati". Il giudizio di appello militare contro l'ex Comandante generale della Guardia di Finanza, oggi deputato del Pdl, Roberto Speciale, stabilisce che il "ponte aereo di spigole" del 26 agosto 2005 per accendere le serate in baita di una vacanza estiva nella foresteria dolomitica del Corpo a passo Rolle, non fu un atto di legittima generosità verso "dei poveri finanzieri che non ne potevano più di mangiare solo wurstel". Al contrario, fu un abuso di denaro e risorse pubbliche per riempire la pancia del Comandante generale, di sua moglie, dei consuoceri, di una coppia di amici (un generale della Finanza e consorte) e certamente di qualche povero finanziere ridotto a cameriere di quella cena. Con la sentenza d'appello, l'affaire - svelato e documentato da un'inchiesta di "Repubblica" dell'ottobre 2007 - trova così una sua nuova conclusione penale che ribalta i due giudizi che l'avevano preceduta. Il primo processo, contabile, si era chiuso con una pronuncia della Corte dei Conti il 10 agosto del 2009 che aveva respinto una domanda risarcitoria avanzata dalla Procura di 28 mila euro, calcolata sul costo delle ore di volo e il dispendio di "mezzi terrestri" necessari al trasferimento di dieci casse di pesce fresco dall'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove erano state imbarcate, a quello di Verona (dove erano state prese in consegna dai uomini dei "baschi verdi", normalmente addetti alle operazioni antidroga), alla baita di Passo Rolle, dove l'attovagliato generale attendeva impaziente. Il secondo processo, penale, si era chiuso l'8 ottobre del 2009, con una sentenza del tribunale militare che aveva assolto Speciale ritenendo che i fatti contestati all'ex comandante generale della Finanza non costituissero reato. Con enfasi e ostentata tracotanza, dopo le prime due assoluzioni, Speciale (che nel 2008, per i suoi servigi politici nella vicenda Visco, è stato ricompensato dal Pdl con un seggio sicuro alla Camera in un collegio dell'Umbria) aveva salutato i primi verdetti penale e contabile con parole definitive ("La verità trionfa sempre"). Di più, aveva accusato "Repubblica" di un accanimento giornalistico degno di miglior causa. Il nuovo processo (che, ora, conoscerà un ulteriore passaggio in Cassazione) conferma che quanto raccontato da questo giornale era semplicemente la verità. E in qualche modo riabilita la testimonianza e il coraggio di uno dei protagonisti di questa vicenda, il meno noto. Il maggiore della Guardia di Finanza Aldo Venditti, l'ufficiale pilota dell'Atr-42 in forza al "Gruppo eplorazione marittima" e anticontrabbando che la mattina del 26 agosto del 2005, a Pratica di Mare, dopo aver scoperto che il "volo vip" a cui era stato assegnato con destinazione Verona, altro non era che un carico di pesce fresco provò inutilmente a disobbedire, rifiutandosi di prendere la cloche. (14 maggio 2010)
LA VISITA DI PECORELLA Allarme della commissione rifiuti "Disastro ambientale, la crisi è seria" Sta per esauririsi l'unica discarica in funzione, i lavori del termovalorizzatore sono fermi "Nelle istituzioni di Napoli e Caserta persiste un sistema di illegalità" Allarme della commissione rifiuti "Disastro ambientale, la crisi è seria" "Nei due giorni di permanenza a Caserta abbiamo avuto la conferma di una situazione che complessivamente è da considerare da disastro ambientale". Lo ha detto il presidente della della commissione bicamerale d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo di rifiuti, Gaetano Pecorella parlando con i giornalisti a conclusione della visita dell'organismo parlamentare nel capoluogo campano. "Vi è un grande problema economico - ha spiegato Pecorella - che riguarda il consorzio unico Napoli-Caserta e un problema legato all'esaurimento, in via abbastanza breve, dell'unica discarica in funzione; non sono stati avviati i lavori per quanto riguarda il termovalorizzatore, quindi, vi è un quadro complessivo di una situazione che diventa sempre più grave e drammatico per il ritardo considerevole e perchè non è ancora ben chiaro come sarà possibile recuperare il tempo perduto". "Si parla - ha aggiunto Pecorella - di termovalizzatore ma io credo che non sia stata presa una decisione in questo senso". L'esponente del Pdl ha fatto poi riferimento ai dipendenti in esubero del consorzio unico Napoli-Caserta. "E' una situazione molto delicata - ha spiegato - perchè si tratta di persone che hanno necessità di mantenere il posto di lavoro". Ci sono poi, ha ancora sottolineato, "i debiti dei Comuni, su cui c'è un'attenzione della magistratura, della quale abbiamo apprezzato l'attenzione e l'attivismo". L'altro aspetto che ha fortemente colpito la commissione nel corso dei sopralluoghi e delle audizioni, è la situazione del trattamento delle acque che finiscono nel mare. "Abbiamo potuto constatare, come denunciato anche dalla magistratura - ha evidenziato il presidente della commissione - come sostanzialmente vi siano nel casertano due possibilità: talora viene fatta una linea parallela per cui le acque inquinate vengono fatte passare fuori dai depuratori o le acque passano attraverso i depuratori, che, però, sono vecchi e non ristrutturati dal 1993. Dalla visita in Campania di un anno fa è cambiato poco e non è da escludere che possiamo trovarci di fronte a un'altra seria crisi". Citando l'esempio di molti Comuni che hanno impiegato in altri settori la tassa sui rifiuti solidi urbani riscossi e la recente inchiesta della magistratura sul mancato trattamento delle acque inquinate che non passano dai depuratori o vengono trattate da impianti vecchi e poco funzionanti, raggiungendo direttamente il mare, Pecorella ha infine affermato che "continua a sussistere nel Casertano e anche nel Napoletano un sistema di illegalità non solo all'esterno ma anche all'interno delle istituzioni". (13 maggio 2010)
2010-05-13 L'INCHIESTA Lista di Anemone, arrivano le smentite Mancino: "Non ho mai ricevuto regali" Le prime reazioni dopo dopo la pubblicazione dell'elenco dell'imprenditore considerato una gigura centrale della "cricca" degli appalti. Monorchio: "Sono sopreso". Silvestri: "Non ho case a Roma". Bersani: "Nessuna cautela, bisogna andare fino in fondo" Lista di Anemone, arrivano le smentite Mancino: "Non ho mai ricevuto regali" Nicola Mancino ROMA - Politici, alti funzionari dello Stato e vertici delle forze di polizia. Ci sono più di 400 nomi nella lista sequestrata nel 2009 nel computer di Diego Anemone, 1 l'imprenditore considerato figura centrale della cricca degli appalti. Nell'elenco figurano, tra gli altri, l'ex ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, l'ex ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, il capo della protezione civile, Guido Bertolaso, il direttore generale della Rai, Mauro Masi, il presidente di Trenitalia, Marco Zanichelli. E la corsa alla presa di distanze dal discusso imprenditore è partita. Mentre il Pdl, per bocca di Fabrizio Cicchitto, denuncia "l'ennesima lista di proscrizione". "Il signor Anemone non mi ha fatto alcun regalo" dice il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, citato nell'elenco. Che precisa: "Quando la società del gruppo Pirelli, proprietaria dell'immobile di corso Rinascimento, mise in vendita gli appartamenti, io acquistai quello da me locato, intestandolo a mia figlia". Successivamente, conclude, "per comprare un appartamento in via Arno mia figlia ha venduto quello di corso Rinascimento, mentre mia moglie ed io abbiamo venduto il nostro appartamento di Avellino". "Sorpreso" anche l'economista Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello Stato: "Non ho mai avuto a che fare con cose così e vivo in una casa in affitto". Infine Gaetano Silvestri, giudice della Corte costituzionale, taglia corto: Non conosco Anemone e non ho case a Roma". "Sono affittuaria dell' appartamento in questione dal 2003. L'appartamento è di proprietà di un ente, pertanto i lavori di ristrutturazione non sono stati commissionati dalla sottoscritta, ma dall'Ente prima del mio ingresso" precisa la giornalista di Mediaset Cesara Buonamici. Smentisce corsie preferenziali anche Bertolaso: "I lavori di Anemone sono stati sempre pagati regolarmente".
Le indagini. Accertamenti sulla diffusione della lista potrebbero essere avviati dalla procura di Perugia titolare del fascicolo. I magistrati stanno valutando in queste ore la decisione da prendere. Sembra tra l'altro che la lista fosse sconosciuta alla procura perugina fino alla pubblicazione da parte degli organi d'informazione. Le reazioni politiche. Sul fronte politico il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani chiede che si vada "fino in fondo". "E' evidente che non si tratta di una summa di casi, è un meccanismo che ha origine in una intenzionale politica di allargamento degli appalti riservati e fuori gara, in una applicazione distorta delle direttive comunitarie" dice il segretario del Pd. mentre Umberto Bossi assicura: "Fin quando ci siamo io, la Lega e Tremonti, il governo non rischia, non lo buttano giù". (13 maggio 2010)
SCANDALO G8 Più di 400 nomi vip Ecco la lista Anemone Gli affari, le case, la rete del potere. Un elenco di beneficiari di ristrutturazioni: da Lunardi a Bertolaso ad alti dirigenti di Stato. Anche interventi a Palazzo Grazioli e Palazzo Chigi dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO Più di 400 nomi vip Ecco la lista Anemone Diego Anemone PERUGIA - È un elenco che raccoglie tutti gli interventi edili (di ristrutturazione e ricostruzione) affrontati da Diego Anemone negli uffici pubblici e appartamenti privati della nomenklatura nazionale. Palazzo Chigi, la residenza privata di Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli, le abitazioni degli ex ministri Pietro Lunardi e Claudio Scajola, prime e seconde case, in città e in montagna. Le dimore di Guido Bertolaso (si scopre che a Roma sono due: in via Bellotti Bon e in via Giulia) e i suoi uffici della Protezione Civile. E ancora capi di gabinetto, capi di dipartimento nei ministeri, capi di uffici legislativi, della Protezione civile e del ministero della Giustizia, dirigenti Rai, generali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri, agenti dei servizi segreti. Una lista dettagliata dei lavori al Viminale, ai ministeri dell'Economia e delle Infrastrutture, nella sede di Forza Italia e negli alloggi privati di segretarie di ministri (è il caso di Fabiana Santini assistente del Ministro Scajola, oggi assessore regionale nel Lazio). Ma nell'elenco appaiono anche i nomi di giornalisti, registi (come Pupi Avati che però respinge gli addebiti: "Tutto regolare"), produttori cinematografici, sacerdoti e parenti di vari "notabili". Un "libro mastro" che conterrebbe poco meno di 500 nomi (412 secondo alcune indiscrezioni). Nel novero ci sarebbero anche nomi altisonanti della sicurezza nazionale. Sono ora in corso verifiche per accertare se i beneficiari dei lavori di Anemone ne hanno goduto per fini istituzionali o con finalità private. Non è soprattutto chiaro se e quali lavori siano stati regolarmente pagati o e se sono il frutto di regalie. L'elenco è stato sequestrato il 14 ottobre del 2008 dalla Guardia di Finanza di Roma negli uffici della società di Diego Anemone, il costruttore appena uscito dal carcere al centro della cosiddetta "cricca", un sistema incardinato nelle figure di Angelo Balducci, Mauro Della Giovampaola, Fabio De Santis, gli alti funzionari che assegnavano gli appalti pubblici. Per oltre 19 mesi queste "carte" sono state "custodite". E sarebbero ancora lì, nel buio, se le inchieste delle procure di Firenze e di Perugia non avessero spezzato il silenzio sul sistema affaristico capace di condizionare decisioni politiche, burocrazie, spesa pubblica, nomine. Una ragnatela che si è rafforzata negli ultimi anni quando il governo ha trasformato le politiche pubbliche in politiche di "emergenza" che hanno cancellato ogni trasparenza nell'assegnazione degli appalti. L'elenco, che Repubblica è in grado di rivelare, mostra innanzitutto quanto fragile sia la difesa messa in campo dagli ex ministri Scajola e Lunardi; e soprattutto il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Lunardi ha sempre dichiarato che - è vero - gli è capitato di utilizzare le imprese di Diego Anemone, ma soltanto per trascurabili lavori nella sua casa di campagna nei pressi di Parma. Le carte oggi documentano che gli interventi delle ditte di Anemone a vantaggio dell'ex ministro sono almeno tre, oltre quello di Parma. Nel suo "sistema gelatinoso" risultano lavori di ristrutturazione nel palazzo di via Dei Prefetti (acquistato da Lunardi a bassissimo costo grazie ai buoni uffici di Anemone e forse grazie al suo denaro), a "Cortina d'Ampezzo" (una casa di montagna del ministro) e nell'ufficio di Via Parigi; infine in via Sant'Agata dei Goti dove c'è un appartamento venduto nel 2004 da una società del figlio di Lunardi a "Iniziative Speciali" della madre di Claudio Rinaldi, commissario per i Mondiali di Nuoto (la Procura di Perugia ha chiesto l'arresto di Rinaldi). Scajola, ministro dell'Interno e poi per l'attuazione del programma e infine in questa legislatura ministro dello Sviluppo economico, ha detto di non sapere chi fosse "questo Anemone", eppure è stato proprio Anemone a pagare 900 mila euro in nero per il suo appartamento al Colosseo. Nelle carte si scorge un rapporto molto più diffuso. C'è traccia della ristrutturazione della casa di Via Fagutale con vista sul Colosseo ma anche di due "interventi" a suo favore in un appartamento di via Barberini 38 e nel suo ufficio di ministro di Via Molise. Guido Bertolaso è però il caso più clamoroso. Nel suo interrogatorio a Perugia non ha ritenuto di raccontare ai pubblici ministeri Tavernesi e Sottani dei rapporti professionali intercorsi tra sua moglie e Diego Anemone. Soltanto nella conferenza stampa convocata a palazzo Chigi, Bertolaso - consapevole che alcuni giornali erano già in possesso della notizia - ha ritenuto di bruciarla svelando pubblicamente che sua moglie era stata incaricata dal costruttore-corruttore di ridisegnare il verde del Salaria Sport Village. Gloria Piermarini incassò 25 mila euro soltanto per la progettazione: "Un lavoro interrotto - ha spiegato il sottosegretario - quando si seppe che Anemone sarebbe stato beneficiario di appalti da parte della Protezione Civile". È questa l'affermazione smentita. Dal repertorio contabile sequestrato ad Anemone si viene a sapere che non solo il costruttore ha ristrutturato l'appartamento di Bertolaso in via Bellotti Bon (ha ammesso di essersi fatto risistemare le "tapparelle"), ma anche in due occasioni un altro appartamento in via Giulia, di cui fino ad ora non si conosceva l'esistenza. Il nome di Bertolaso figura in una terza occasione. Soltanto il cognome. "Bertolaso", e nulla più (non è indicato il luogo dell'intervento nè la modalità). Ma soprattutto si legge che già dal 2004 Anemone interviene negli uffici della Protezione Civile di via Vitorchiano e anche in altre due occasioni nell'ufficio personale del capo della Protezione civile in via Ulpiano. Quindi, la moglie di Bertolaso accetta di lavorare per Anemone dopo che questi ha già goduto di appalti da parte del marito e non come ha lasciato credere pubblicamente Bertolaso che quel rapporto professionale s'è interrotto perché era nato il legame tra Anemone e la Protezione civile. Dalle carte dell'inchiesta emerge un'altra netta smentita ad una delle affermazioni che il direttore della Protezione civile ha diffuso nei giorni scorsi. Bertolaso ha detto che sempre si è dato da fare con successo per contenere la spesa impedendo che gli appalti si gonfiassero. Se si legge invece, dei "lavori relativi al quarto lotto di interventi infrastrutturali e complementari della Maddalena per il palazzo delle Conferenze", si scopre che i lavori aggiudicati per 52 milioni di euro, lievitano fino 104 milioni di euro. Quindi raddoppiano. Vediamo ora il lungo elenco (ancora provvisorio e incompleto) dei beneficiari delle opere di Anemone così come state raccolte dagli inquirenti che hanno tra parentesi e in neretto annotato le loro generalità, la funzione, il luogo dell'intervento. Riproduciamo integralmente il testo sequestrato dalla Guardia di Finanza con l'elenco dei lavori effettuati dalla ditta Anemone. Un elenco in cui non si specifica se le ristrutturazioni siano state pagate o meno. "Via Aosta Ingegner Rinaldi (Claudio, commissario Mondiali di nuoto). Via Merulana + via Poliziano (Pittorru, Francesco, generale della Guardia di Finanza ora ai servizi segreti). Mario (GF) Frosinone (Mario Pugliese, guardia di finanza, lavorava nella sede di via dell'Olmata, è ritenuto un informatore di Anemone). Enrico B. (Bentivoglio, funzionario di via Ferratella dove ha sede il Dipartimento delle opere pubbliche diretto da Angelo Balducci). Mauro Della Giovampaola Materiale per casa Infernetto (è il capo missione struttura G8 alla Maddalena, all'Infernetto c'è la sua casa privata). S. Giuliano Scuola Campobasso (il terremoto, il 21 ottobre 2002, distrusse la scuola di S. Giuliano uccidendo 27 bambini e un'insegnante). Palazzo Chigi - Letto. Palazzo Chigi - Cucina. Ladispoli, Marco Caiazza (funzionario provveditorato opere pubbliche di Roma o sovrintendenza) Spinaceto. Todi Pupi Avati (regista). Riggio Federico (figlio di Vito Riggio, Enac?) Via La Spezia. Mancino Chiara (figlia di Nicola) + Corso Rinascimento. Fabio De Santis. Sarappalti Alessandria (la società è collegata con Giandomenico Monorchio, il figlio dell'ex-ragioniere dello Stato). Donati (Alberto, genero di Ercole Incalza, capo struttura di missione nel ministero delle infrastrutture di Alterio Matteoli). Innocenzi (Giancarlo. membro Agcom?), Via della Conciliazione. Fiori Villa Settembrini (potrebbe essere Publio, ha rapporti con Anemone). Liolli Luigi (ingegnere dei vigili del fuoco di Roma). Cesara Bonamici Via Della Vite (giornalista Tg5). Rino (Settembrino Nebbioso, detto Rino). Peppe Pascucci (suocero di Anemone e padre di Arnaldo Pascucci, funzionario dei servizi, fornitore di un cellulare ad Angelo Balducci). Via Merulana 71 Pittorru. Gen. Via Due Macelli Gen Savino Parquet-Cucina-Scala-Armadi-Porte (generale dei carabinieri ora in pensione). Pugliese (Mario viene attivato da Anemome dopo i controlli dell'ottobre 2008, oggi sarebbe ai Servizi). Via Ruffini P. Fiori (Publio). Imbrighi (Giampaolo, ha progettato lo stand italiano a Shangai Expo, professore universitario, è suo il progetto della piscina di parco san Paolo). Lungotevere dei Papi via Aosta (casa di Claudio Rinaldi). Piazza della Pigna - Via della Pigna (case di Angelo Balducci, comprate con gli assegni di Zampolini). Prof. Thau (suocero di Angelo Balducci, la cui moglie è Rosanna Thau)Vicolo delle Campane n. 16. Luciana Segretaria AB (segretaria al ministero di Balducci). Roberto Calcabrini (titolare Cogecal, impresa che ha fatto la bonifica al G8, un lavoro che ha visto la collaborazione di Francesco Piermarini che da una nota risulta essere retribuito con 125 mila euro). Via Ofanto - Poletti (ex generale della Guardia di Finanza, ora ai Servizi segreti, già coinvolto nell'inchiesta Why not). Monorchio Via Sistina (Andrea Monorchio è stato ragioniere generale dello Stato). Forleo (Maria Pia, funzionario del ministero delle infrastrutture, stretta collaboratrice di Balducci, importante il suo ruolo nell'assegnazione dei lavori per il Mondiali di nuoto) Via Foscari 121. Paolo Zini (tecnico ufficio Mondiali di nuoto, tra i progettisti della piscina parco San Paolo di Pisciscelli). Ing. Rinaldi Via Appia-Via Aosta-Via Nazionale. Di Mario (Roberto, segretario particolare di Algelo Balducci) Via Franco Sacchetti - Opere di falegnameria. Aiello (Giacomo, capo ufficio legislativo della protezione civile, la vera mente del dipartimento: prepara tutte le ordinanze) Via Appia 442 Lavori Vari di Falegnameria. Viale Giulio Cesare 15 a sig. Leone G. Carlo (vice direttore generale della Rai). Dottoressa Iurato (dirigente del ministero degli Interni che si occupa di logistica, caserme...). Colonnello Granada GF. Mons. Camaldo (Francesco, decano dei cerimonieri pontifici) Università Cattolica S. Giovanni. Mancino (Nicola, vicepresidente del Csm) via Arno corso Rinascimento via Adda. Via Poggio Catino 33 signora Nastasi (moglie di Salvo Nastasi, capo di gabinetto di Bondi?). Via Latina Lorenzo (Balducci abita al 25). Via Orticara 14 Sig Occhipinti Andrea (produttore cinematografico, Lucky Red). Via dei Cartari (al numero 11, abita Mauro Masi, direttore generale Rai, la casa è di proprietà di uno dei figli di Balducci, acquistata con gli assegni di Zampolini). Blandini (Gaetano, direttore cinema del ministero dei beni culturali). Collina Fleming Sig. Lillo (Calogero) Mauceri di Palazzo Chigi (è stato nel governo Prodi alla segreteria generale di Palazzo Chigi con Carlo Malinconico). Via Bruno Buozzi 107 figlia M. Pia Forleo (vedi sopra). Della Giovanpaola Mauro Casa (funzionario del ministero delle Infrastrutture), min. Mazzella-Silvestri-anno 2005 (Luigi Mazzella e Gaetano Silvestri, giudici costituzionali). (13 maggio 2010)
L'INTERVISTA Di Pietro: "Non va dai pm? Allora Scajola è indagato" Il leader Idv sul rifiuto di deporre dell'ex ministro. Messaggio al Pd: maggioranza impegnata a tenere insieme i cocci, può succedere di tutto.Subito un candidato premier di ALBERTO D'ARGENIO Di Pietro: "Non va dai pm? Allora Scajola è indagato" Antonio Di Pietro ROMA - Non c'è altra spiegazione: se Scajola non si presenta di fronte ai pm di Perugia 1 e questi non lo mandano a prendere vuol dire che non è stato chiamato da persona informata dei fatti, ma da indagato. Antonio Di Pietro si rimette la toga da pm e interpreta così il rifiuto dell'ex ministro allo Sviluppo di andare alla procura di Perugia. Poi guarda oltre e chiede al Pd di darsi una mossa a trovare un leader per le prossime elezioni. "Perché con un governo impegnato a raccogliere i suoi cocci e a difendersi dai processi tutto può succedere". Onorevole Di Pietro, Scajola prima dice di dimettersi per fare chiarezza e difendersi, poi non si presenta di fronte ai pm. Cosa ne dice? "C'è questo aspetto tecnico che mi pare interessante. Non lo dico io, ma una simile frase detta da un avvocato non ha nessun senso. Lo sanno tutti: i testimoni non si possono permettere di dire io sì, io no. I testimoni che vengono chiamati si devono presentare, altrimenti li vanno a prendere i carabinieri. Il che significa che Scajola è indagato. Ci ha dato una notizia. D'accordo che adesso con Berlusconi tutto è possibile... ma se quello che dice Scajola fosse vero significherebbe che questa volta fanno i loro comodi senza nemmeno cambiare la legge". Dunque non crede a Scajola... "Dico che si è comportato meglio di Berlusconi che è cento volte più inguaiato di lui e sta lì a fare il bello e il cattivo tempo. Quello delle dimissioni è un passo doveroso che comunque gli dobbiamo riconoscere di avere fatto. Ora deve dare delle giustificazioni e per questo ha fatto bene ad affidarsi agli avvocati. Spero però che scelga la strada si difendersi nel processo anziché dal processo. Che poi è l'unico modo che ha per uscirne con la dignità intatta. Mica come Berlusconi che il novanta per cento delle cose le fa da Palazzo Grazioli o da Arcore che non sono certo la sede del Governo. E infatti le riunioni sono sempre più dedicate a mettere insieme i cocci della coalizione o a raffazzonare difese, come il lodo costituzionale. Da un momento all'altro può succedere di tutto". In che senso? Dice che tra poco si va a votare? "Qui il governo può cadere dall'oggi al domani e poi va a finire che scatta l'emergenza e noi non siamo preparati. In un momento del genere rivolgo una accorata preghiera a Bersani: non possiamo più dire che è troppo presto per formare la coalizione. Non è una cosa che si fa dalla mattina alla sera, noi dobbiamo essere pronti se no finisce come nel Lazio. Dobbiamo formare una coalizione con una serie di proposte sui problemi del Paese, non contro qualcuno. È il momento di scegliere un leader". E chi suggerirebbe come candidato premier del centrosinistra? "Per quanto mi riguarda dico che non dovrebbe essere un segretario di partito. Sarebbe un errore. E non sto dicendo di no a Bersani o mettendo il bastone nelle ruote di qualcuno. Sto solo dicendo che noi segretari ci dovremmo occuparci della squadra affidando la candidatura a un leader di sintesi che porti serenità e pacificazione sociale, che possa parlare a tutti, anche a chi ormai non vota più. Noi abbiamo una professionalità che ci dà più serenità rispetto ad un centrodestra piduista, fascista e xenofobo. Io il passo indietro lo faccio. Lo facciano anche gli altri. Ma ripeto, non sto facendo sgambetti a nessuno". Non ce lo fa un nome? "Io che sono visto come un estremista, come un duro e puro non sono certo indicato a individuare il pacificatore sociale con una personalità di altissimo livello". (13 maggio 2010)
INCHIESTA G8 Berlusconi: "Scajola mi ha deluso ma non è una nuova Tangentopoli" ROMA - Silvio Berlusconi torna sulle inchieste che hanno coinvolto membri dell'esecutivo ed esponenti della maggioranza. Incalzato da alcuni imprenditori che nel corso di una cena a Palazzo Grazioli parlavano di nuova Tangentopoli, il premier ha parlato di "comportamenti di singoli, tutti da dimostrare, che non possono indebolire il governo". Certo, ha aggiunto, "se dovesse emergere che qualcuno ha sbagliato ne pagherà le conseguenze con l'uscita dal governo o dal partito". Nel corso di questo ragionamento, secondo uno dei presenti, Berlusconi si sarebbe detto deluso dall'ex ministro Claudio Scajola. (13 maggio 2010)
2010-05-12 INCHIESTA G8 Scajola non andrà dai pm perugini "Non ci sono garanzie difensive" Il legale dell'ex ministro afferma che il suo assistito verrebbe sentito "solo formalmente" come persona informata sui fatti. E sostiene che la competenza sarebbe dei magistrati romani Scajola non andrà dai pm perugini "Non ci sono garanzie difensive" ROMA - Claudio Scajola non andrà dai pm a Perugia. L'ex ministro dello Sviluppo economico non si presenterà all'audizione fissata per venerdì nell'ambito dell'indagine sugli appalti per i "grandi eventi". Secondo il suo legale, Giorgio Perroni, in base alle notizie sull'inchiesta apparse in questi giorni sui giornali l'esponente del Pdl verrebbe sentito "solo formalmente" come persona informata sui fatti. Per questo la deposizione di Scajola avverrebbe "senza il rispetto delle garanzie difensive previste". Questo ragionamento porta l'avvocato a definire "scorretta" la convocazione. Inoltre ad essere competente dovrebbe essere Roma e non la procura perugina. Perroni ripercorre la vicenda parlando della "singolare situazione" che si è venuta a determinare e partendo dalle notizie che riguardano la compravendita dell'appartamento con vista sul Colosseo 1. "Secondo quanto riportato dai giornali, le persone sentite hanno riferito che il prezzo dell'immobile fu, per 900 mila euro, pagato con assegni circolari consegnati alle venditrici dallo stesso ministro, tratti su un conto corrente intestato all'architetto Zampolini e la cui provvista era riconducibile all'imprenditore Diego Anemone - dice il legale - Più di recente, poi la stampa ha riferito che la procura di Perugia sta indagando in ordine a preziosi favori che Scajola avrebbe, precedentemente alla compravendita de qua, elargito ad Anemone, facendo esplicito riferimento sia all'appalto concernente il cantiere del centro Sisde di piazza Zama a Roma, sia al rilascio del nulla osta di sicurezza, entrambi cronologicamente collocabili in un periodo in cui Scajola era ministro dell'Interno".
Stando così la situazione, per Perroni vengono a mancare i presupposti perché Scajola sia sentito come persona informata sui fatti. Una situazione che, continua l'avvocato, "non è corretta su un piano tecnico processuale e mi determina un comprensibile stato di imbarazzo a consentire che la richiesta audizione avvenga secondo le modalità indicate e senza, quindi, il rispetto delle garanzie difensive normativamente previste". Da questo la decisione di non permettere all'ex ministro di deporre e di chiedere il trasferimento degli atti nella Capitale. Perché, chiude il legale, "la competenza a giudicare il ministro sarebbe del Tribunale dei ministri". (12 maggio 2010)
INCHIESTA APPALTI In un computer di Anemone decine di nominativi e lavori Sequestrata dalla Finanza nel 2009, all'epoca fu ritenuta poco importante ma oggi assume una grande rilevanza. Nell'elenco ci sarebbe anche il regista Pupi Avati che dice: "Mai ricevuto regali" In un computer di Anemone decine di nominativi e lavori Ercole Incalza PERUGIA - Nell'inchiesta della procura perugina sugli appalti per i "grandi eventi" spunta una lista di nomi che sarebbe stata sequestrata dalla Guardia di Finanza in un computer di Diego Anemone nel 2009. Un elenco - trovato nel corso delle indagini sui Mondiali di nuoto a Roma - che all'epoca non aveva avuto particolare rilevanza investigativa e che invece oggi assume grande rilievo alla luce degli ultimi sviluppi delle indagini sui fondi del 'riciclatore' Angelo Zampolini, utilizzati per coprire parte dell'acquisto di abitazioni di personaggi importanti tra cui l'ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. La lista, stando alle indiscrezioni, conterrebbe diverse decine di nomi ai quali sarebbero associati dei lavori svolti dalle imprese di Anemone. Non sarebbero segnati, invece, gli importi pagati per i servizi ottenuti dal gruppo. I magistrati perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi vogliono ora chiarire se quei nominativi abbiano avuto lo stesso "trattamento" ricevuto da coloro che sono già stati tirati in ballo da Zampolini: nella lista, infatti, figurerebbero tra gli altri Scajola, l'ex ministro Pietro Lunardi ed Ercole Incalza, braccio destro del ministro dei Trasporti Altero Matteoli. Tra gli altri ci sarebbe anche il regista Pupi Avati, che però precisa: "Non ho mai ricevuto regali da Anemone". Il regista spiega che Angelo Balducci si offrì di procurargli e fargli istallare un montacarichi nella sua casa di Todi, cosa che avvenne nel 2002 o nel 2003 mentre il proprietario di casa era assente. Avati quindi non sa chi effettuò i lavori, ma assicura: "Ho pagato regolarmente sia il piccolo saliscendi che il lavoro di installazione all'ingegner Balducci e sono in grado di esibire (qualora mi venga richiesta) la matrice dell'assegno e il documento relativo".
In procura a Perugia sono convinti che il vero ammontare del giro di soldi messo in moto da Anemone - secondo l'accusa per compensare i funzionari pubblici che avrebbero favorito le aziende del gruppo negli appalti - sia ancora tutto da quantificare e comunque di molto superiore ai quasi tre milioni scoperti su un conto della Deutsche Banke intestato a Zampolini. Un fiume di denaro che gli investigatori perugini stanno cominciando a rintracciare nei 1.143 rapporti bancari, di cui 263 conti correnti, intrattenuti da Balducci, Anemone, dai loro familiari, dagli intermediari e dalle società a loro riferibili. Nei prossimi giorni dovrebbe cominciare ad arrivare qualche risposta dagli ulteriori accertamenti svolti dalla guardia di Finanza su una serie di operazioni sospette segnalate dalla Banca d'Italia, nonché sui conti correnti intestati innanzitutto a Zampolini ma anche ad Alida Lucci, la segretaria di Anemone. In sostanza, nella movimentazione di quei conti la procura spera di trovare la 'prova' che il denaro sia servito per compensare i funzionari pubblici. Così come dovrà essere ancora chiarita l'ultima delle sei operazioni immobiliari compiuta da Zampolini e già accertata dalla Guardia di Finanza, quella che riguarda l'acquisto di un immobile in piazza della Pigna. Oggi si è fatto sentire il legale di Peter Paul Pohl, l'immobiliarista altoatesino legale rappresentante della Schlanderser Bau Srl, la società che ha venduto l'immobile alla Immobilpigna di cui era legale rappresentante Diego Anemone e fiduciari i due figli di Angelo Balducci, Lorenzo e Filippo. Sostiene l'avvocato Michael Gruener che "il preliminare è stato stipulato il 25 novembre 2003 con l'architetto Angelo Zampolini come acquirente (per sé o per una persona fisica o giuridica)" per un importo di 350mila euro. Il 27 e 28 novembre l'architetto versa sul suo conto rispettivamente 200mila e 100mila euro in contanti. Il successivo pagamento - un milione e 100mila - viene fatto il 22 dicembre sempre tramite assegno. Gli investigatori vogliono dunque capire quale sia la provenienza di quel milione e mezzo pagato da Zampolini, convinti che si tratti dei soliti fondi neri di Anemone. Il palazzetto di via della Pigna, secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stato successivamente venduto alla Immobiliare Icr e anche su questo atto gli inquirenti vogliono vederci chiaro. (12 maggio 2010)
2010-05-11 Protezione civile, Bertolaso vicino all'addio Gabrielli al Dipartimento dopo l'estate Il passaggio di consegne fra settembre e la fine dell'anno. L'entourage dell'attuale capo parla di decisione presa da tempo. La Procura indaga sulla consulenza alla moglie e sui lavori al cognato avuti da Anemone Protezione civile, Bertolaso vicino all'addio Gabrielli al Dipartimento dopo l'estate Guido Bertolaso ROMA - Guido Bertolaso lascia la Protezione civile. Questione di pochi mesi, probabilmente già a settembre, e il suo futuro vicecapo dipartimento, l'attuale prefetto de L'Aquila Franco Gabrielli, che assumerà l'incarico il 14 maggio, ne prenderà il posto. L'entourage di Bertolaso parla di decisione presa da tempo, prefigura un passaggio delle consegne più lungo e indica dicembre come mese dell'avvicendamento. Ma l'accelerazione dell'inchiesta di Perugia e la tensione provocata nel governo dalla goffa conferenza stampa di venerdì scorso con annesso incidente diplomatico con gli Stati Uniti, potrebbero rendere i tempi assai più brevi. È un fatto che la conferma di una decisione ormai presa l'ha data lo stesso Guido Bertolaso ieri a Udine intervenendo a un dibattito per i 34 anni dal sisma del Friuli. "Gli uomini passano - ha detto - la Protezione civile, con il suo straordinario bagaglio di esperienza, resta. Non è un mistero per nessuno che già mesi fa dissi di voler lasciare la Protezione civile. Poi mi fu chiesto di rimanere vista l'emergenza per il terremoto dell'Aquila. Ora che al Dipartimento è arrivato il mio vice penso di poter lasciare". Nel dibattito con Giuseppe Zamberletti, ex Commissario straordinario per il terremoto in Friuli, Bertolaso ha fatto un cenno alla cronaca usando alcuni aneddoti. "Zamberletti - ha spiegato - venne "trombato" e non fu rieletto mentre stava ancora lavorando a una delle tante emergenze affrontate. Il suo successore, Guido Barberi, a dieci anni di distanza, sta ancora aspettando giustizia per il cosiddetto scandalo Arcobaleno. Non vi annoio - ha aggiunto Bertolaso - con le questioni che mi riguardano perché le conoscete. Oggi non si può contrastare l'immediatezza e la velocità dell'informazione. Basta una fotografia messa su YouTube per annullare il lavoro di mesi e per rovinare le persone. Ma gli uomini passano e debbono passare. L'importante è che resti la Protezione civile". Le parole di Bertolaso riconfermano il nervosismo di questi ultimi giorni e testimoniano la delicatezza delle questioni che in questo momento lo assediano. Le consulenze della moglie per il costruttore Diego Anemone, il lavoro del cognato Francesco Piermarini sempre per il costruttore nei cantieri del G8 della Maddalena e quindi a L'Aquila, sono entrambe oggetto di un'indagine che non promette di concludersi di qui a poche settimane (proprio venerdì scorso Bertolaso si era pubblicamente lamentato del fatto che a distanza di tre mesi la sua posizione di indagato per corruzione a Perugia non fosse stata ancora archiviata). Il compito che si prepara per il suo successore Franco Gabrielli (già direttore del Sisde nei due anni del governo Prodi) indicato dal Consiglio dei ministri un paio di settimane fa, è tutt'altro che semplice. Eredita una macchina rodata ma costruita a immagine e somiglianza dell'uomo che ne è stato il padrone per anni. Non sarà quindi soltanto una questione di lustro e di onore da restituire alla Protezione civile ma di uomini e di strutture da ridefinire. Senza contare che le indagini su quanto accaduto in questi anni di gestione Bertolaso potrebbero riservare ancora molte sorprese. (r. c.) (10 maggio 2010)
APPALTI Guido Bertolaso non si dimette "Resto fino alla fine. Nessuna fuga" "Mi sono sempre augurato che nessun funzionario dello Stato potesse rimanere sulla stessa sedia per più di cinque anni" ha detto il capo della Protezione Civile. Che mantiene l'incarico dalla fine del 2001 Guido Bertolaso non si dimette "Resto fino alla fine. Nessuna fuga" Guido Bertolaso MONTAGUTO - Guido Bertolaso non si dimette 1. Non "fugge", come ha tenuto a ribadire, perché la fine del suo mandato alla guida della Protezione Civile non deve essere "e non sarà in alcun modo legato all'inchiesta della procura di Perugia sugli appalti". "Esiste un percorso già disegnato da tempo e condiviso con il presidente del Consiglio dei ministri - ha spiegato Bertolaso - quando sarà portato a termine, con l'assunzione dei giovani precari, la nomina dei dirigenti e la definizione di una road map per la missione di una realtà ammirata e rispettata a livello internazionale, allora finalmente potrò togliere il disturbo". Dunque, ha continuato, "nessuna fuga anzi tempo, nessun abbandono improvviso, né dimissioni anticipate". Ma soltanto, ha concluso il capo della Protezione Civile, "il desiderio di far crescere sempre più i nostri giovani e la voglia di mettersi in discussione su altri terreni, forse ancora più problematici di quelli coltivati fino a oggi". Bertolaso ha chiarito la sua posizione nel corso di un sopralluogo a Montaguto, nella zona dove si trova un radar che monitora lo stato della frana che ha diviso Campania e Puglia. "Sono anni che sostengo la necessità di immaginare tempi definiti per chi riveste compiti di grande responsabilità a livello istituzionale - ha sottolineato -. Mi sono sempre augurato che nessun funzionario dello Stato potesse rimanere sulla stessa sedia per più di cinque anni e che non fosse immaginabile superare quella soglia di sette che la Costituzione attribuisce per la massima carica dello Stato". Guido Bertolaso è alla guida del dipartimento della Protezione civile dalla fine del 2001, dunque da quasi nove anni. Ecco perché "è dalla fine del 2008 che ho chiesto di affidare ad altri il privilegio di servire il Paese come capo della Protezione civile. E c'ero quasi riuscito nei primi mesi del 2009 - ha detto - quando, risolta l'emergenza rifiuti in Campania, intendevo avvalermi della norma che prevede la pensione anticipata per chi abbia lavorato per oltre 35 anni ed intende dedicarsi alle attività di volontariato". Il terremoto del 6 aprile "ha fermato le lancette di quell'orologio". Lancette "che oggi - ha concluso - possono rimettersi in moto". (10 maggio 2010)
2010-05-09 LA FIGURA CHIAVE DELL'INCHIESTA SUI GRANDI EVENTI Anemone, scarcerazione super blindata "Ho sempre lavorato onestamente" Rieti, l'imprenditore libero dopo tre mesi. "L'aria libera mi ha sconvolto" LA FIGURA CHIAVE DELL'INCHIESTA SUI GRANDI EVENTI Anemone, scarcerazione super blindata "Ho sempre lavorato onestamente" Rieti, l'imprenditore libero dopo tre mesi. "L'aria libera mi ha sconvolto" A sinistra la foto Ansa sulla scarcerazione di Anemone. A destra l'imprenditore in una foto d'archivio A sinistra la foto Ansa sulla scarcerazione di Anemone. A destra l'imprenditore in una foto d'archivio MILANO - "Ho sempre lavorato onestamente, con tenacia, senza risparmiarmi e nel massimo rispetto di tutti i miei collaboratori". Sono le prime parole del costruttore Diego Anemone, figura centrale dell'inchiesta sugli appalti dei Grandi eventi, scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare. Anemone si dice certo "che la giustizia, nella quale continuo ad avere grande fiducia, farà chiarezza sulla mia totale innocenza". "Lavorerò sodo - aggiunge - per far emergere la verità rispetto le vicende delle quali mi si accusa ingiustamente e le carte processuali lo dimostreranno". SMENTIRO' TUTTO - "È mio prioritario interesse fare luce su ogni fatto e ci riuscirò", continua Anemone. "Tutti i fatti che mi si addebitano saranno certamente smentiti e chiariti nelle sedi competenti". "Intendo ripristinare la mia dignità - aggiunge il costruttore - e quella del nome della mia famiglia che ha sempre goduto di stima e di rispetto da più generazioni, costruendo con duro lavoro e sacrificio una ineccepibile reputazione. Accanto a mio padre ho imparato ad essere infaticabile. Dopo questa esperienza sono ancora più convinto che si possa sopravvivere a tutto". Anemone affida il ripristino della sua "dignità al corretto operato della Magistratura, sicuro dell'onestà e della serietà del mio lavoro che mi ha reso forte con la coscienza di essere meritevole della fiducia e della stima ricevuta negli anni, pronto ad affrontare anche questa esperienza traumatizzante ma con la consapevolezza che le accuse rivoltemi non abbiano fondamento nè il benchè minimo riscontro. Le imprese di costruzione Anemone hanno sempre operato nel rispetto della legalità. La attenta valutazione delle procedure osservate farà emergere come le opere siano state tutte eseguite con tempismo, con straordinario sacrificio e hanno raggiunto il migliore dei risultati visibili a tutti". Il G8, ricorda Anemone "è stato poi annullato per i fatti drammatici sopravvenuti ed imprevedibili", mentre "i lavori di ampliamento del Circolo sportivo sono stati realizzati sostenendone integralmente i costi, nel rispetto della procedura. La realizzazione ha contribuito in modo determinante a rendere possibile l'evento dei Mondiali di Nuoto a Roma; le Società sportive esclusivamente di proprietà mia e di mio fratello hanno dato solo lustro al mondo dello sport con la continua ricerca dell'eccellenza e tutti i numerosissimi soci e frequentatori ne sono stati e ne sono testimoni diretti quotidiani". "Continuerò a tenere fermo il convincimento - conclude Anemone - che le vicende giudiziarie debbano essere giudicate dalla competenza della Magistratura e collaborerò con i miei difensori tenacemente affinchè la verità che mi vede innocente emerga". ARIA LIBERA - "Questa mattina sono uscito dal carcere di Rieti. Improvvisamente ad un orario imprevisto sono tornato in libero. L'aria libera dopo alcune ore di procedure, notifica di atti processuali e dichiarazioni da rendere mi ha sconvolto e reso come un automa. Poi la realtà, gli affetti più cari e le notizie". Per Diego Anemone, riacquistare la libertà dopo tre mesi di carcere è stata un'esperienza, nel bene e nel male, "sconvolgente". "Sono grato a chi mi ha consigliato di non leggere i giornali durante gli ultimi tre mesi. Mi accorgo di essere stato infamato e diffamato", dice, pur rispettando "il sacrosanto diritto all'informazione e dovere di cronaca, convinto che debbano basarsi sulle verità processuali nel rispetto della persona e della sua dignità ". "Ho vissuto un periodo molto doloroso - aggiunge Anemone - soprattutto pensando alla mia famiglia e ai miei bambini. Sono grato e ringrazio pubblicamente tutto il personale penitenziario che ha avuto garbo e umanità e mi ha alleviato i momenti più duri di questa esperienza agghiacciante". L'USCITA DAL CARCERE - La fine della detenzione è avvenuta nel massimo della segretezza. Dopo che informazioni discordanti si erano susseguite durante tutta la giornata di sabato sull'orario sulla sua scarcerazione per evitare l'assedio dei giornalisti, Anemone ha lasciato la nuova casa circondariale di Rieti alle 6,20 di domenica mattina. Super blindata la scarcerazione (dopo tre mesi di detenzione) e testimoniata da pochi scatti Ansa: il costruttore, giubbotto e occhiali scuri e al polso un orologio con il cinturino blu elettrico, è apparso visibilmente dimagrito. FIGURA CHIAVE - Anemone è considerato dagli inquirenti la figura chiave dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i cosiddetti Grandi eventi - dai mondiali di nuoto a Roma al G8 che si doveva tenera alla Maddalena, ma anche le celebrazioni per il 150/o anniversario dell'Unità d'Italia. Come lui, ha lasciato il carcere anche Mauro Della Giovampaola, uno dei funzionari pubblici che operavano all'interno della Struttura di missione relativa al vertice degli otto Grandi inizialmente programmato in Sardegna. È infatti terminata la custodia cautelare in carcere disposta per il reato di concorso in corruzione dal Gip del capoluogo umbro Paolo Micheli nei loro confronti e a carico dell'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci e dell'ex sovrintendente alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis. Questi ultimi due sono però ancora detenuti perché per entrambi i pm di Firenze hanno ottenuto il processo con il rito immediato, per un'altra vicenda, l'appalto dei lavori per la scuola marescialli. L'INCHIESTA DI FIRENZE - Proprio nel capoluogo toscano l'inchiesta era partita e il 10 febbraio del 2010 il Gip fiorentino aveva disposto gli arresti dei quattro, la "cricca" secondo una delle definizioni emerse dalle carte. Un provvedimento adottato in via d'urgenza con il contestuale trasferimento del fascicolo a Perugia per il coinvolgimento dell'ex procuratore aggiunto di Roma Achille Toro (indagato per corruzione e favoreggiamento); tra gli indagati eccellenti anche il capo del Dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso. Secondo la ricostruzione accusatoria Anemone, anche tramite persone e società a lui riferibili o collegate, diede quelle che negli atti giudiziari sono state definite "utilità" (l'uso di telefoni cellulari e di auto, arredi per la casa ma anche il pagamento di prestazioni sessuali) a diversi funzionari pubblici per compiere atti contrari ai loro doveri d'ufficio connessi all'affidamento e alla gestione degli appalti per i Grandi eventi. CHIESTA UNA NUOVA MISURA CAUTELARE -Una volta approdato il fascicolo a Perugia, i pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, insieme al procuratore Federico Centrone, hanno chiesto per Anemone, Balducci, De Santis e Della Giovampaola una nuova misura cautelare per corruzione. Provvedimento disposto dal Gip il 27 febbraio scorso per la durata di tre mesi e la cui efficacia è terminata oggi. L'inchiesta perugina è però in pieno svolgimento. Martedì approderà davanti al tribunale del riesame l'appello dei pm contro la decisione del Gip di non concedere gli arresti dell'architetto Angelo Zampolini, del commercialista Stefano Gazzani e dell'ex commissario dei mondiali di nuoto a Roma Claudio Rinaldi. Il giorno successivo il Gip esaminerà la richiesta della procura di commissariare le aziende del gruppo Anemone. Venerdì sarà quindi sentito come persona informata dei fatti l'ex ministro Claudio Scajola, coinvolto nell'indagine per l'acquisto di un'abitazione anche con assegni circolari dell'architetto Zampolini, che gli inquirenti sospettano siano riconducibili ad Anemone. Redazione online 08 maggio 2010(ultima modifica: 09 maggio 2010)
il ministro: "lordata la mia onestà" "Nulla a che fare con i faccendieri" Bondi respinge le accuse di aver favorito i costruttori legati all'inchiesta sui Grandi eventi il ministro: "lordata la mia onestà" "Nulla a che fare con i faccendieri" Bondi respinge le accuse di aver favorito i costruttori legati all'inchiesta sui Grandi eventi Sandro Bondi (Emblema) Sandro Bondi (Emblema) MILANO - Niente a che fare con "faccendieri". Il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, interviene su alcuni articoli che riguardano l'inchiesta sui Grandi eventi, in particolar modo la parte relativa ai Nuovi Uffizi. L'appalto, da 29 milioni di euro, è stato inserito nel programma per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il coordinamento dei lavori venne affidato a un commissario, nominato dal Governo. Dalle carte delle indagini emergono le annotazioni del Ros sulla persona scelta per il ruolo di direttore dei lavori, Riccardo Miccichè, che, scrivono gli investigatori, ha ricoperto un incarico per i lavori alla Maddalena ma, riguardo agli Uffizi, "non sembra essere un soggetto di elevata e comprovata professionalità" come richiesto dalle norme. LA SOCIETA' - Nel 2007 Micchichè, 36 anni, ha costituito una società che ha "per oggetto - annota il Ros - l'attività di parrucchiere per donna, uomo, bambino, manicure, pedicure, massaggio", oltre alla gestione di palestre. Prima era stato componente del cda di una società per "la preparazione di terreni per coltivazione delle erbe e piante officinali". Su Miccichè, continuano i carabinieri del Ros citando il ruolo di suo fratello in un'impresa che opera nel settore degli appalti pubblici, c'è il dubbio di "contatti con soggetti inseriti in un contesto oggetto di indagini afferenti il condizionamento mafioso degli appalti pubblici". "Oggi - scrive il ministro Bondi in una nota - alcuni quotidiani danno il meglio di sè nell'esercizio di lordare anche la mia onestà. Avrò il tempo per medicare le ferite alla mia onorabilità che, attraverso alcuni articoli, mi sono state inferte. Nel frattempo, desidero rivendicare il merito di aver proceduto al commissariamento dell'area archeologica di Pompei, dei Fori Romani, di Brera e degli Uffizi. Per quanto riguarda il Museo degli Uffizi, appena ho avuto conoscenza delle indagini della magistratura, ho revocato immediatamente il commissariamento per agevolare il lavoro della magistratura stessa, proprio perchè non ho nulla a che fare con faccende e faccendieri di cui si parla". Il nome di Bondi compare di sfuggita anche in un passaggio dell'interrogatorio dell'imprenditore fiorentino Riccardo Fusi, attorno al quale ruota l'inchiesta sull'appalto per la scuola marescialli dei carabinieri. Rispondendo ai pm fiorentini, Fusi ricorda di un pranzo in cui Angelo Balducci e Denis Verdini parlavano "di finanziamenti su opere che riguardavano Bondi". LA SOLIDARIETA' - Al ministro è arrivata la solidarietàdimolti esponenti del Pdl e dell'Esecutivo. Per il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, il collega di Governo è "vittima di un vergognoso attacco mediatico, basato su insinuazioni senza fondamento", mentre il ministro al Turismo, Michela Vittoria Brambilla, parla di fango gettato "su persone oneste" e di "sospetti e insinuazioni a dir poco inaccettabili". Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, respinge "nel modo più netto il gioco al massacro in corso. Oggi - aggiunge - alcuni giornali esercitano una inaccettabile operazione nei confronti del ministro Bondi, di cui è nota la cristallina onestà". Sulla stessa linea il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone: "È grottesco e anche maldestro il tentativo di certa stampa" di coinvolgere Bondi. "Oggi tocca a Bondi, domani chissà...", commenta Margherita Boniver, deputato del Pdl. "Una vittima illustre - osserva - oggi è il ministro Bondi, persona specchiata la cui reputazione viene allegramente sporcata con solo intento di produrre danni al Governo Berlusconi. Tutto questo è uno spettacolo indegno". "L'auspicio - aggiunge Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del Pdl - che fra politica e giustizia vi sia un rapporto fisiologico, basato sul reciproco rispetto e sul riconoscimento delle rispettive prerogative sarà più difficile da realizzarsi finchè vi sarà chi alimenta giochi al massacro fondati unicamente su congetture". Solidale con Bondi anche Maurizio Lupi, Pdl, vicepresidente della Camera. L'IDV - In una nota il portavoce nazionale dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando, osserva che "solo in Italia, che è diventata lo zimbello d'Europa, accadono queste cose". "Siamo stanchi dei ministri che gridano al complotto e che attaccano gli organi d'informazione. Bondi, invece di gridare alla congiura per la vicenda che lo vede coinvolto, dovrebbe correre, come cittadino, davanti al proprio giudice naturale come prevede la Costituzione e raccontare tutto quanto su questa vicenda. Da ministro, inoltre, riferisca in Parlamento su tutto quanto ha da dire in merito alla sua pretesa estraneità ai fatti contestati". "Il ministro della non Cultura Bondi - prosegue Orlando - si occupi di più— del suo ruolo e vada a rappresentare l'Italia al festival di Cannes e non si faccia ridere dietro da tutti gli intellettuali e non che giustamente pretendono che, nei Paesi che vogliono essere democratici, sia garantito il diritto alla libertà d'espressione". Redazione online 09 maggio 2010
LE CARTE DELL'INCHIESTA Il cognato, Anemone e l'appalto per gli Uffizi all'ingegnere-coiffeur Bondi lo scelse come direttore del restauro * NOTIZIE CORRELATE * Il superteste racconta: portavo il costruttore dal cerimoniere del Papa * Case a prezzi stracciati inchiesta su 15 vendite (6 maggio 2010) * Zampolini ristrutturò l’appartamento del ministro in via del Fagutale a Roma (5 maggio 2010) * Le sorelle che hanno venduto la casa"Ecco le prove di quegli 80 assegni" (4 maggio 2010) * "Portai gli assegni al ministero e li diedi a Scajola per il rogito" (3 maggio 2010) * L'appartamento di Scajola e le falle nella tesi del ministro (3 maggio 2010) * Scajola, le rivelazioni del testimone: "Consegnai buste anche a ministri" * "Soldi in nero con 80 assegniper l’immobile di Scajola" (29 aprile 2010) LE CARTE DELL'INCHIESTA Il cognato, Anemone e l'appalto per gli Uffizi all'ingegnere-coiffeur Bondi lo scelse come direttore del restauro Il ministro della Cultura Sandro Bondi (Ap) Il ministro della Cultura Sandro Bondi (Ap) ROMA - Intrecci di società, consulenze, nomine ministeriali. Le nuove carte dell'inchiesta sugli appalti dei Grandi eventi raccontano la carriera del cognato di Guido Bertolaso, Francesco Piermarini, 52 anni, svelano i suoi rapporti con Diego Anemone. E soprattutto ricostruiscono l'ascesa di Riccardo Miccichè, 36 anni, che con lui ebbe l'incarico di "rappresentante della struttura" al G8 de La Maddalena. Risulta essere ingegnere, ma nel suo curriculum c'è la partecipazione alla società Modu's Atelier "che ha come oggetto l'attività di parrucchiere per uomo, donna e bambino". Eppure, dopo aver seguito i lavori in Sardegna, ha ottenuto un altro incarico prestigioso: il 22 dicembre scorso il ministro ai Beni culturali Sandro Bondi lo ha nominato "direttore dei lavori" per il restauro degli Uffizi con un costo di 29 milioni e mezzo di euro. Non è l'unica "anomalia" denunciata nell'informativa dei carabinieri del Ros. Il fratello di Miccichè è infatti responsabile tecnico dell'impresa Giusylenia "inserita in un contesto criminale finalizzato alla gestione dei lavori pubblici" e collegata in passato a Bernardo Provenzano. La moglie del capo della Protezione civile Gloria Piermarini non è dunque l'unica ad aver beneficiato degli incarichi di Anemone. Gli investigatori stano cercando di ricostruire eventuali altri legami con il costruttore accusato di essere ai vertici della "cricca". E vogliono anche scoprire in base a quali criteri Miccichè abbia ottenuto due nomine di tale prestigio. In precedenza era stato soltanto "unico componente del consiglio di amministrazione della società "Erbe medicinali Sicilia srl", specializzata nella preparazione dei terreni per la coltivazione delle erbe e piante officinali". La coppia al G8 Scrivono i carabinieri nella relazione consegnata ai magistrati di Firenze: "Riccardo Miccichè, durante l'esecuzione dei lavori alla Maddalena, ha avuto in uso un'utenza intestata all'impresa "Ing. Raffaello Pellegrini srl" con sede in Cagliari, impegnata in lavori di subappalto per conto della Consortile Maddalena riferibile a Diego Anemone. Analogamente Francesco Piermarini ha avuto in uso un'altra utenza intestata all'impresa Pellegrini". Quando si decide di spostare il vertice internazionale Piermarini, durante alcuni colloqui telefonici che vengono intercettati, dice che resterà in Sardegna "fino a luglio e poi si va in Abruzzo". Miccichè approda invece a Firenze. Il 27 novembre 2009 un'ordinanza della presidenza del Consiglio ha inserito il restauro degli Uffizi nel programma per le celebrazioni dell'Unità d'Italia. Fabio De Santis, il provveditore della Toscana tuttora in carcere "raccomanda la sostituzione dei vertici della stazione appaltante con altri elementi di grandissima esperienza". La decisione passa al ministro per i Beni Culturali. La scelta di Bondi La sera del 22 dicembre 2009 "Salvo Nastasi, capo di gabinetto del ministro Sandro Bondi, comunica ad Angelo Balducci la distribuzione degli incarichi: Mauro Della Giovampaola "soggetto attuatore", Enrico Bentivoglio "responsabile unico del procedimento", Riccardo Miccichè "direttore dei lavori". Al telefono commenta "Mi sembra una buona squadra"". La sera successiva De Santis parla con Bentivoglio che "comincia col lamentarsi di della Giovampaola e poi parla di Miccichè". Bentivoglio: Tu lo sai chi hanno nominato direttore dei lavori? Il siciliano De Santis: Miccichè? Non ci posso credere! Bentivoglio: Sì... "di comprovata esperienza e professionalità"... lui, è lui De Santis: quando lo vedo gli dico: siamo proprio dei cazzari guarda, siete proprio dei cazzari... andate in giro a rompere il c... Bentivoglio: Ma ti rendi conto? Quando siamo andati che ci stava pure Bondi... abbiamo fatto la riunione l'altro giorno... siamo tornati in treno... c'era pure Salvo (Nastasi, ndr) allora stavamo un attimo da soli e ho fatto "Salvo ma siamo sicuri di coso, qua del siciliano?" "Sì, non ti preoccupare... poi io c'ho un fatto personale che tu non c'hai". Dico: "Tutto il rispetto perché è una persona in gambissima, ma a gestire un lavoro del genere... De Santis: È un bordello aho! I carabinieri che ascoltano le telefonate dispongono nuove verifiche. E nella relazione evidenziano: "Effettivamente Miccichè non appare essere munito di una particolare esperienza per condurre la direzione dei lavori agli Uffizi". Non solo. Il pizzino di Provenzano Già nel marzo scorso sono emersi possibili collegamenti con Cosa nostra. "Il dato che si ritiene meritevole di approfondimento investigativo — sottolinea il Ros — è costituito dal fatto che il fratello Fabrizio ricopre la carica di responsabile tecnico della Giusylena operante nel settore degli appalti pubblici il cui amministratore e socio di maggioranza è Antonio De Francisci". Non solo: "In occasione dell'arresto di Giovanni Brusca, avvenuto in provincia di Agrigento nel 2006, gli fu sequestrato un appunto dattiloscritto che lo stesso ha riferito essergli pervenuto da Bernardo Provenzano, all'epoca latitante e riguardante "Lavoro De Francisci". Brusca ha chiarito a verbale: "Mi riferisco a quello che ha fatto lavori nel paese di Corleone. Questo qua ha uscito la tangente e io per come sono stati, glieli ho fatti avere a Bagarella". Adesso bisognerà comprendere chi è perché, nonostante questi rapporti, Miccichè sia stato scelto prima per il G8 e poi per gli Uffizi". Le società di Piermarini Gli accertamenti si incrociano con quelli che riguardano Piermarini. Dopo la scoperta della consulenza affidata da Anemone alla moglie di Bertolaso si stanno verificando gli incarichi ottenuti dalle sue società. Dopo aver avviato la messa in liquidazione la "Ecorescue International srl", nata nel 2005 "per il trattamento e lo smaltimento di rifiuti e oggi", l'ingegnere "risulta socio al 94 per cento e amministratore unico della società Flumen Urbis con sede in Roma, costituita nel 2005 con un capitale sociale di 10.000,00 euro e avente come oggetto sociale, oltre la compravendita di beni immobili, anche l'esercizio di attività turistiche, alberghiere, di ristorazione, ricreative, culturali ed i servizi connessi a quanto sopra oltre che di tutti i servizi destinati alla organizzazione e realizzazione di convegni, congressi, conferenze, esposizioni mostre nonché quelli per l'organizzazione e la gestione di manifestazioni culturali anche per conto terzi ed anche ricercando e fornendo sponsorizzazioni. La rimanente quota di partecipazione del 6 per cento del capitale sociale è detenuta dalla Lethis srl". Fiorenza Sarzanini 09 maggio 2010
DOPO TRE MESI DI CARCERE Inchiesta appalti, esce Anemone Decorrenza dei termini. Torna liberto anche Della Giovampaola. Restano in carcere Balducci e De Santis DOPO TRE MESI DI CARCERE Inchiesta appalti, esce Anemone Decorrenza dei termini. Torna liberto anche Della Giovampaola. Restano in carcere Balducci e De Santis L'imprenditore Diego Anemone L'imprenditore Diego Anemone MILANO - E' stato scarcerato, dopo tre mesi di carcere, Diego Anemone, il costruttore ritenuto al vertice della cosiddetta "cricca" secondo l'inchiesta sugli appalti dei Grandi eventi accusato, tra l'altro, di aver pagato parte della casa con vista Colosseo all'ex ministro Claudio Scajola. Anemone era detenuto dallo scorso 10 febbraio nel carcere di Rieti. Oggi sono scaduti i termini della custodia cautelare disposti dal gip di Perugia che ha dato il via libera alla scarcerazione. Sempre oggi, per lo stesso motivo, ha lasciato il carcere di Terni anche il funzionario pubblico Mauro Della Giovampaola, coinvolto nella stessa inchiesta. Restano invece in carcere Angelo Balducci e Fabio De Santis che, oltre al provvedimento del gip di Perugia, hanno a loro carico l'inchiesta dei pm di Firenze per l'appalto della Scuola marescialli nell'ambito della quale è stato disposto il processo con il rito immediato. Redazione online 08 maggio 2010(ultima modifica: 09 maggio 2010)
il sottosegretario aveva detto: "Io e Clinton un problema che ha lo stesso nome: Monica" Bertolaso e le frasi su Clinton Frattini: "Il governo si dissocia" Il ministro bacchetta il sottosegretario per le parole sulla Lewinsky. Poi precisa: "Battute non offensive" * NOTIZIE CORRELATE * Haiti, Berlusconi ringrazia gli Usa. La Clinton: profondamente ferita da critiche (26 gennaio 2010) * La Clinton contro Bertolaso: "Fa polemiche da dopo partita" (25 gennaio 2010) * Frattini: "Il nostro governo non critica gli sforzi altrui" (25 gennaio 2010) * Bertolaso: "Ad Haiti gli Usa confondono l’intervento militare con l'emergenza" (24 gennaio 2010) il sottosegretario aveva detto: "Io e Clinton un problema che ha lo stesso nome: Monica" Bertolaso e le frasi su Clinton Frattini: "Il governo si dissocia" Il ministro bacchetta il sottosegretario per le parole sulla Lewinsky. Poi precisa: "Battute non offensive" ROMA - Non sono piaciute al ministro degli Esteri Franco Frattini, né all'esecutivo, le battute di Guido Bertolaso su Bill Clinton e il caso Lewinsky. "La Farnesina e il governo si dissociano pienamente dal linguaggio e dalle affermazioni" del capo della Protezione civile "che non riflettono in alcun modo il pensiero del governo italiano, il quale in maniera ferma e compatta riafferma la massima stima e considerazione nei confronti dell'ex presidente americano Bill Clinton" ha affermato Frattini. Precisando comunque in un secondo momento che quella del capo della Protezione civile è stata "una battuta certo non offensiva e non indirizzata in alcun modo a mettere in dubbio l'amicizia e la stima profonda del governo e del popolo italiano nei confronti dell'ex presidente americano Bill Clinton". Nel corso dell'incontro con i giornalisti a Palazzo Chigi, organizzato per raccontare la sua verità sul coinvolgimento nell'inchiesta sugli appalti per il G8, Bertolaso ha, tra l'altro, fatto riferimento ai complimenti ricevuti dall'ex presidente Usa per il lavoro fatto dall'Italia ad Haiti. Ed ha aggiunto: "Quando ho visto Clinton alla fine di marzo mi era venuta voglia di fargli una battuta che poi non ho fatto: gli volevo dire che lui ed io abbiamo un problema che si chiama Monica, poi ho evitato di farla perché‚ mentre io non credo di avere avuto problemi reali con questa Monica, lui probabilmente invece qualche problemuccio lo ha avuto". LA MASSAGGIATRICE - La Monica cui faceva riferimento il capo della Protezione civile è la massaggiatrice brasiliana del Salaria Sport Village che in un'intercettazione pubblicata nell'ambito dell'inchiesta sul G8 racconta di aver "fatto vedere le stelle" al sottosegretario. Redazione online 08 maggio 2010
L’inchiesta - Alcune compravendite di case passavano da "Propaganda fide" Il superteste racconta: portavo il costruttore dal cerimoniere del Papa Gli incontri di Anemone con monsignor Camaldo. E Don Evaldo rivela: altri sacerdoti sapevano dei soldi * NOTIZIE CORRELATE * Case a prezzi stracciati inchiesta su 15 vendite (6 maggio 2010) * Zampolini ristrutturò l’appartamento del ministro in via del Fagutale a Roma (5 maggio 2010) * Le sorelle che hanno venduto la casa"Ecco le prove di quegli 80 assegni" (4 maggio 2010) * "Portai gli assegni al ministero e li diedi a Scajola per il rogito" (3 maggio 2010) * L'appartamento di Scajola e le falle nella tesi del ministro (3 maggio 2010) * Scajola, le rivelazioni del testimone: "Consegnai buste anche a ministri" * "Soldi in nero con 80 assegniper l’immobile di Scajola" (29 aprile 2010) L’inchiesta - Alcune compravendite di case passavano da "Propaganda fide" Il superteste racconta: portavo il costruttore dal cerimoniere del Papa Gli incontri di Anemone con monsignor Camaldo. E Don Evaldo rivela: altri sacerdoti sapevano dei soldi Ratzinger con mons. Camaldo Ratzinger con mons. Camaldo Appartamenti trasformati in dimore di lusso grazie alle ristrutturazioni compiute dalle imprese di Diego Anemone. A beneficiarne erano "politici e prelati", così come ha raccontato Laid Ben Hidri Fathi, l'autista di Angelo Balducci, che del costruttore era diventato collaboratore. Di fronte ai magistrati di Perugia l’uomo ha cominciato a fornire dettagli e identità. E ha svelato: "Ero io ad accompagnare Diego agli incontri con queste persone. Ricordo in particolare che era in rapporti con monsignor Francesco Camaldo". Si tratta del cerimoniere del Papa, per quindici anni segretario particolare del vicario di Roma cardinal Ugo Poletti. I legami con il Vaticano sono uno dei filoni principali dell'indagine sugli appalti dei Grandi eventi, soprattutto dopo la scoperta che una delle "casseforti" dell'imprenditore era gestita da don Evaldo Biasini, 83 anni. Ma anche perché alcune compravendite di case passavano proprio da enti religiosi come "Propaganda Fide", di cui Balducci era consigliere. Dimore che sarebbero state acquistate seguendo la procedura già scoperta nel caso del ministro Claudio Scajola. L'attenzione della Guardia di finanza si concentra su 15 operazioni sospette: trasferimenti di denaro dai conti di Anemone a quelli dei suoi prestanome— in particolare il geometra Zampolini e la segretaria Alida Lucci—e poi trasformati in assegni circolari da versare al momento del rogito. Gli incontri Il testimone—che aveva ricevuto il compito di gestire una serie di conti correnti di Anemone e per questo aveva ottenuto anche la delega ai prelevamenti per contanti—non fornisce dettagli sui contenuti dei colloqui. Ma è preciso nel riferire in quali occasioni portò Anemone da monsignor Camaldo. Sinora l’inchiesta aveva fatto emergere una buona conoscenza tra il prelato e Balducci. Tanto che quando il provveditore è stato arrestato, monsignor Camaldo ha commentato: "Sono molto addolorato, è una persona di assoluta limpidezza morale, conosciuta e stimata in Vaticano da tanti anni, sono certo che dimostrerà la sua completa estraneità alle accuse". Adesso si intravede una rete più ampia. Anche perché nel 2008 lo stesso prelato finì nell'inchiesta avviata dal pm Henry John Woodcock su Vittorio Emanuele di Savoia, sospettato di complicità con alcuni faccendieri inseriti nella massoneria. Per quale motivo incontrava Anemone? Tra gli interessi comuni c'erano soltanto acquisiti e ristrutturazioni di appartamenti, come racconta Hidri Fathi? È presumibile che monsignor Camaldo venga ascoltato dai magistrati di Perugia quando saranno terminati gli accertamenti sulle 15 operazioni sospette emerse nell'indagine. Rogiti e assegni Nell'elenco delle persone da interrogare c'è anche il notaio Gianluca Napoleone che ha stipulato tutti i rogiti delle operazioni immobiliari gestite dall'architetto Angelo Zampolini. E sono proprio quelle "anomale" movimentazioni di denaro scoperte sui suoi conti presso la Deutsche Bank e su quelli della Lucci a celare — secondo i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi— l'acquisto di case che Anemone avrebbe poi intestato ai politici, ai funzionari statali e a quei religiosi che lo avrebbero agevolato nella concessione degli appalti pubblici, ma anche nei lavori di ristrutturazione di interi stabili. Per questo, oltre alle verifiche effettuate presso istituti di credito e banche dati finanziarie, l'interesse degli investigatori si concentra sulle mappe catastali per rintracciare eventuali cambi di destinazione d’uso e verificare i proprietari degli appartamenti che spesso risultano intestati a società. I sacerdoti In questo vorticoso giro di case si inseriscono gli affari gestiti da Balducci e Anemone attraverso "Propaganda Fide" e soprattutto la Congregazione del preziosissimo sangue di cui era economo don Evaldo Biasini, che nella sua cassaforte conservava contanti messi a disposizione del costruttore in caso di emergenza. Il sacerdote, missionario in Africa, ha poi raccontato di aver messo a disposizione del costruttore i conti dell'Ente, di fatto utilizzati per depositare assegni e prelevare contanti. Leggendo il verbale della perquisizione nella sede dell'Istituto dai Ros, si scopre che oltre a don Evaldo altri preti erano a conoscenza delle strane movimentazioni effettuate per favorire il costruttore. Afferma il sacerdote: "Sui depositi della Congregazione, intestati a me perché rivesto la carica di economo, sono autorizzati ad operare don Giuseppe Montenegro quale rappresentante legale e don Nicola Giampaolo, direttore di Primavera missionaria che ha sede ad Albano Laziale" cioè dove si trova anche la Congregazione. Fiorenza Sarzanini 07 maggio 2010(ultima modifica: 08 maggio 2010)
2010-05-06 L’inchiesta - Le carte Case a prezzi stracciati inchiesta su 15 vendite Tutti gli affari, i bonifici al commissario dei mondiali di nuoto L’inchiesta - Le carte Case a prezzi stracciati inchiesta su 15 vendite Tutti gli affari, i bonifici al commissario dei mondiali di nuoto L'appartamento di Scajola (Ansa) L'appartamento di Scajola (Ansa) ROMA — Ci sono altre quindici operazioni sospette nel fascicolo della procura di Perugia che indaga sugli appalti pubblici concessi per i Grandi Eventi. Passaggi di denaro sui conti gestiti dai componenti della "cricca" che secondo gli inquirenti nascondono compravendite di abitazioni, proprio come è avvenuto per il ministro Claudio Scajola. E fanno presumere, viste le cifre impegnate, che anche i nomi dei beneficiari possano essere dello stesso calibro. La verifica della documentazione bancaria è affidata agli investigatori della Guardia di Finanza. E almeno una parte sembra riconducibile all’architetto Angelo Zampolini, il collaboratore dell’imprenditore Diego Anemone che ha già ammesso di aver accettato di mettere a disposizione i propri depositi per questo tipo di pratiche. È stato l’esame dei documenti forniti dagli istituti di credito a rivelare invece tre bonifici effettuati nel 2007 dallo stesso Anemone a Pietro Rinaldi, il commissario per i Mondiali di Nuoto indagato per corruzione. Versamenti per un totale di 500.000 euro che secondo l’accusa sono il prezzo della corruzione. Verifiche e accertamenti sono stati delegati dai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi anche sul ruolo dell’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, al quale, secondo il racconto di Laid Ben Hidri Fathi— il tunisino che per anni è stato autista di Angelo Balducci e il factotum dell’imprenditore—furono consegnate alcune buste, alcune anche tramite la figlia. Gli assegni per le case Incrociando i risultati dei controlli effettuati presso "l’Anagrafe dei rapporti con gli operatori finanziari " con quelli negli istituti di credito sono stati scoperti alcuni "transiti " anomali di soldi da un conto corrente ad altri. E adesso si indaga su queste transazioni che si ritiene possano nascondere il versamento di tangenti, sia pur mascherato. Ad insospettire gli inquirenti è stata soprattutto la scelta di ricorrere sempre alle stesse persone per concludere gli affari: il funzionario della Deutsche Bank che provvedeva a trasformare i contanti depositati in assegni circolari sempre di piccolo taglio—dunque con la speranza di eludere i controlli antiriciclaggio — e il notaio che si occupava delle stipule. Tutti i rogiti sono registrati con una cifra minima, sempre molto inferiore al valore effettivo dell’immobile. Possibile che il pubblico ufficiale non abbia mai avuto il dubbio che ci fosse un passaggio di titoli e dunque una consistente parte del prezzo versata "in nero"? È presumibile che al termine delle verifiche su queste operazioni, spetti proprio a lui chiarire di fronte ai pubblici ministeri che cosa è accaduto in occasione delle compravendite. Anche perché alcuni trasferimenti sarebbero stati occultati utilizzando società per non svelare l’effettivo beneficiario dell’acquisto. Le buste di Lunardi Hidri Fathi ha parlato di "vari soggetti, anche ministri" destinatari delle buste inviate da Anemone e Balducci, ma l’unico nome che ha fatto è quello di Lunardi. Lo ha accusato di aver preso "il 10 per cento dell’importo di ogni progetto approvato da Balducci che poi lo affidava ad Anemone". Per riscontrare le sue dichiarazioni si stanno esaminando tutti gli appalti che il costruttore si è aggiudicato in quegli anni e sulle procedure seguite, verificando anche il ricorso alla trattativa privata. Ma i controlli affidati ai carabinieri del Ros si concentrano anche su altre circostanze. Passaggi di società e compravendite di immobili che potrebbero nascondere interessi comuni con alcuni protagonisti della "cricca". In particolare desta sospetto l’acquisto effettuato da Claudio Rinaldi di un appartamento in via Sant’Agata dei Goti, al quartiere Monti di Roma, di un appartamento di proprietà del figlio di Lunardi. L’immobile era infatti in pessime condizioni e gli investigatori vogliono stabilire se davvero, come sostiene Rinaldi, il prezzo pattuito gli abbia consentito di "fare un affare" o se invece la vendita sia servita a schermare una divisione di denaro tra i due. L’indagine dovrà anche chiarire i termini dell’acquisto da parte della famiglia Lunardi di un intero palazzo in via dei Prefetti, sempre nella Capitale, dall’ente religioso Propaganda Fide del quale Balducci era consigliere. A occuparsi del rogito fu, pure in questo caso, il notaio che aveva firmato quello di Scajola e tutti gli altri atti. I bonifici a Rinaldi Case, soldi, utilità: il gruppo Anemone si conferma un pozzo che appare senza fondo. E nuovi indizi emergono contro Rinaldi. Tra le contestazioni non ci sono soltanto le autorizzazioni concesse alle strutture sportive dell’amico costruttore in vista dei Mondiali di Nuoto. Perché nel 2007, quando era uno dei vice di Balducci con delega alle Infrastrutture, il funzionario ha ricevuto da lui tre bonifici. Uno da 250.000 euro, gli altri due da 50.000 euro ciascuno, che si sommano a 150.000 euro trasferiti a San Marino. Per trasferire questi fondi sarebbe stata utilizzata la società "Iniziative speciali srl" intestata alla madre di Rinaldi, Mimma Giordani. Durante il suo interrogatorio Rinaldi li ha giustificati come il provento di consulenze. "Il mio assistito — spiega l’avvocato Titta Madia — ha sempre svolto attività professionale privata e in questa veste ha collaborato con il gruppo Anemone". Una spiegazione che non ha convinto i magistrati e che sembra evidenziare un conflitto di interessi. Fiorenza Sarzanini 06 maggio 2010
La famiglia Papa "Lì un tempo c'era anche un bed and breakfast. L'appartamento fa schifo" "Le mie figlie ingenue con quegli assegni" Il padre delle venditrici della casa a Scajola: si sentivano tranquille con il ministro La famiglia Papa "Lì un tempo c'era anche un bed and breakfast. L'appartamento fa schifo" "Le mie figlie ingenue con quegli assegni" Il padre delle venditrici della casa a Scajola: si sentivano tranquille con il ministro ROMA — "Io le capisco, Beatrice e Barbara: se vendi la casa a un ministro pensi di stare tranquillo, questo è chiaro. Le mie figlie, però, sono state due ingenue, ecco la verità. Come si fa ad accettare un pagamento in nero fatto con assegni circolari? Se almeno m'avessero telefonato, avrei potuto dar loro qualche consiglio. Dopotutto, faccio il costruttore da una vita: edilizia residenziale, campi da golf...". Iniziali - Sul citofono di casa Scajola ci sono solo le iniziali del suo nome e cognome Iniziali - Sul citofono di casa Scajola ci sono solo le iniziali del suo nome e cognome Antonio Papa, 70 anni, finalmente apre il cancello della sua villa vicino all'Appia Antica. Posto da favola, immerso nel verde, cani da guardia che abbaiano intorno: a pochi metri da qui ci sono le case del sarto Valentino e del regista Franco Zeffirelli. Case per modo di dire: due regge. "Le costruì mio padre Sabatino, il nonno di Barbara e Beatrice", racconta Antonio con giusto orgoglio. Ma è di un'altra casa che con lui, adesso, vogliamo parlare: l'appartamento di via del Fagutale numero 2, quello con vista sul Colosseo, venduto nel 2004 dalle sorelle Papa all'ex ministro Scajola: "Io la conosco bene quella casa — sospira il costruttore — la gestii, infatti, per una decina d'anni quando ero ancora sposato con la mamma di Beatrice e Barbara, Fiamma Maglione, morta all'inizio del 2003. Fiamma a un certo punto lo divise anche in due, ci aprì un bed and breakfast per i turisti. Però, sia chiaro, niente di eccezionale. Anzi è un appartamento piuttosto scrauso, direi, rispetto per esempio a quelli di Raoul Bova o Lory Del Santo che stanno ai piani alti. Quelle sì che sono case fantastiche. Invece qui stiamo parlando di un mezzanino senza neppure il balcone, che insiste sulla strada, insomma fa schifo, non è sicuramente un posto dove andrei a vivere io. E non è nemmeno un posto da ministro. Però, ecco, se son vere le cose che ho letto sui giornali, diciamo che Scajola avrà avuto le sue buone ragioni. A caval donato, come si dice, non si guarda in bocca...". Il palazzo di via del Fagutale fu comprato negli anni Cinquanta dal papà di Fiamma Maglione, il grande banchiere napoletano Mario Maglione, già proprietario dell'Hotel Vesuvio, che in questo modo regalò un appartamento a ciascuno dei suoi figli, Furio, Mario, Rita e Fiamma. Dei quattro, oggi, solo Mario è ancora vivo, ma ormai si è trasferito in Australia dove commercia nel ramo delle automobili. Quando morì Mario Maglione, la moglie Liliana venne a vivere a Roma, nella villa a fianco di quella dei Papa. Ecco come si conobbero Fiamma e Antonio. La loro storia comincia così: "Praticamente inciampammo uno sull'altra — scherza adesso lui — Eravamo giovanissimi, avevamo vent'anni, io ero paracadutista, lei studiava al liceo artistico. Poi nacquero loro, Beatrice nel '64 e Barbara nel '68. Le mandammo a studiare in un collegio svizzero, quindi Barbara prese l'indirizzo artistico (oggi ha due figlie piccole e lavora nel campo discografico, ndr) e Beatrice il classico (la primogenita convive con un antiquario vicino piazza Farnese, ndr). Fiamma, la madre, era un'artistoide, innamorata del cinema, donna vulcanica, eccezionale. Poi però il nostro matrimonio è finito, io mi sono risposato, ho avuto altri due figli e con Barbara e Beatrice ci siamo allontanati. Mi dispiace molto...". Il viso dell'uomo ora s'incupisce, si capisce che sta soffrendo per le traversìe delle sue figlie maggiori: "Speriamo solo che non patiscano troppe conseguenze per questa compravendita irregolare — conclude il signor Antonio —. Si sa, però, che la responsabilità è di chi compra. È chi compra che, di solito, preferisce pagare un tot in nero per evadere la tassa di registro. Purtroppo, in Italia, sembra diventata una consuetudine...". Fabrizio Caccia 06 maggio 2010
POCHE REGOLE, SCARSA TENSIONE MORALE Alle radici della corruzione POCHE REGOLE, SCARSA TENSIONE MORALE Alle radici della corruzione Un tumore maligno annidato in un organismo senza anticorpi. Ecco come i vertici della Corte dei conti definivano la corruzione che infesta il nostro Paese non più tardi di qualche settimana fa, quando già infuriava lo scandalo per gli appalti del G8 della Maddalena. Si fa fatica a pensare che cosa potrebbero affermare ora, dopo le ultime clamorose scoperte. Va detto subito che sui fatti spetterà alla magistratura fare chiarezza. Ma lo scenario che lasciano intravedere gli squarci aperti in questi giorni, al di là delle responsabilità individuali, è agghiacciante: se si trattava di un sistema generalizzato, dove si potrà arrivare? Anzi, dove si è già arrivati? La stessa Corte dei conti ha stimato in 60 miliardi di euro la "tassa occulta" che gli italiani pagano ogni anno a causa della corruzione: una somma che basterebbe quasi a ripagare gli interessi del nostro enorme debito pubblico. Una stima magari esagerata, come qualcuno sostiene. Resta il fatto che nel solo 2009 la Guardia di finanza ha accertato un aumento del 229% per i reati di corruzione e del 153% per quelli di concussione. E che nella classifica stilata da Transparency International sulla corruzione nel mondo l’Italia è scivolata in un solo anno dal cinquantacinquesimo al sessantatreesimo posto. A fianco dell’Arabia Saudita, e in fondo alle nazioni europee. Si dirà che queste classifiche lasciano il tempo che trovano, e forse è vero. Comunque, la dicono lunga sulla nostra reputazione internazionale in questa materia. Come non bastasse, le notizie che tristemente hanno affollato le cronache nell’ultimo anno ci informano che a diciott’anni dalla esplosione di Tangentopoli la corruzione italiana avrebbe raggiunto la maturità attraverso una inquietante "mutazione genetica ". Se una volta era soprattutto lo strumento per finanziare illecitamente i partiti, adesso serve esclusivamente all’arricchimento personale. Non che rubare per il partito anziché per il proprio portafoglio sia meno grave. Il reato è identico. Ma questa "mutazione genetica", soprattutto se saranno confermati i sospetti sulla dimensione dilagante del fenomeno, denuncia un crollo ulteriore della tensione morale e del profilo etico di parte della nostra classe politica. Che dovrebbe essere seriamente preoccupata, anche per le conseguenze a cascata che un simile andazzo può avere per un Paese già disorientato dalla crisi economica. E invece reagisce facendo spallucce. Illuminante la dichiarazione di Denis Verdini, coordinatore del Pdl tirato in ballo per alcuni appalti in Sardegna, il quale a chi gli chiedeva se avesse intenzione di dimettersi imitando Claudio Scajola ha risposto: "Non ho questa mentalità". Come se l’etica pubblica foss e u n a q u e s t i o n e d i mentalità… Appena insediato, il governo ha abolito l’Autorità anticorruzione, che con le poche risorse e i magri poteri di cui disponeva non poteva fare molto. Ma il "Servizio anticorruzione e trasparenza " istituito al suo posto, alle dipendenza del ministro Brunetta, può finora rivendicare un bilancio migliore? Il primo marzo il consiglio dei ministri, sull’onda degli scandali del G8, ha approvato un disegno di legge per combattere la piaga. Poi gli scandali sono spariti dalle prime pagine e anche quella promessa sembrava finita nel dimenticatoio. Due mesi dopo sta finalmente per iniziare l’iter parlamentare: un’occasione imperdibile per mandare un segnale chiaro agli italiani. Invece si è rivelato subito un nuovo pretesto per litigare all’interno del Pdl. Se ne sentiva proprio il bisogno. di SERGIO RIZZO 06 maggio 2010
l'inchiesta sugli appalti in sardegna Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia Tutto questo è chiasso mediatico" Il coordinatore Pdl: "Avrò fatto qualche telefonata, ma nulla di illegittimo. Una congiura? Legittimo sospettarlo" l'inchiesta sugli appalti in sardegna Verdini: "Mai ricevuto avvisi di garanzia Tutto questo è chiasso mediatico" Il coordinatore Pdl: "Avrò fatto qualche telefonata, ma nulla di illegittimo. Una congiura? Legittimo sospettarlo" Denis Verdini Denis Verdini MILANO - "Non ho fatto nulla di illegittimo; avrò fatto qualche telefonata, ma non c'è niente di sostanziale". Denis Verdini, indagato nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti in Sardegna, chiarisce di "non aver ricevuto alcun avviso di garanzia". Il coordinatore del Pdl, intervistato da Maurizio Belpietro alla 'Telefonata' su Canale 5, afferma poi di essere sottoposto a un "processo mediatico". "Come sempre c'è una violazione costante del segreto istruttorio - aggiunge - e nessuno dice niente su questo argomento. Sono esposto a un processo mediatico al quale non voglio stare perché non è certo questa la sede opportuna". CHIASSO MEDIATICO - Verdini insiste: "Si reclama sempre che i politici vogliono sfuggire ai processi, ma in realtà sono i processi che vengono fatti altrove e non nelle sedi opportune". Verdini spiega di sentirsi "tranquillo sia da un punto di vista morale sia materiale" e si è difende: "Non ho fatto nulla di illegittimo; avrò fatto qualche telefonata ma non c'è niente di sostanziale. Non potevo e non posso fare nulla di concreto: quelle emerse sono opinioni dei magistrati che sono pronto a confutare". Il coordinatore del Pdl nega di conoscere l'imprenditore Anemone, coinvolto nell'inchiesta degli scandali per i grandi appalti: "Mai visto e conosciuto". E se la prende con "il chiasso mediatico". "Ci sarà una congiura? - prosegue. - Non lo so, ma certo si ripetono sempre gli stessi fatti e con puntualità. E quando una cosa si ripete puntualmente diventa scientifica ed è legittimo anche sospettare delle cose". A Maurizio Belpietro che gli chiede se intenda dimettersi come Claudio Scajola, Verdini risponde: "Io da cosa mi dimetto? Non ho responsabilità di governo, ma solo politica nel partito. Non posso fare niente". Redazione online 06 maggio 2010
Pdl, Verdini indagato per corruzione Lui replica: "Non mi dimetto" Il coordinatore coinvolto nell'inchiesta su illeciti negli appalti pubblici, tra cui progetti sull'eolico in Sardegna * NOTIZIE CORRELATE * Appalti, Denis Verdini indagato a Firenze (15 feb'10) * Truffa ai danni dello Stato, indagato il senatore Pdl Ciarrapico (4 mag'10) * Verdini e Fusi, quindici anni di affari (M.Gerevini, 10 aprile 2010) ROMA - Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare dei progetti sull'eolico in Sardegna. Secca la replica del coordinatore: "Totale estraneità, mi batterò fino in fondo in tutte le sedi". Verdini non ha alcuna intenzione di dimettersi da coordinatore del Pdl, parlando con i giornalisti alla Camera, a chi gli chiede se lui farebbe come Claudio Scajola, il coordinatore del Pdl risponde: "Non ho questa abitudine, e neppure questa mentalità. E poi dimettersi dal lavoro è difficile. E le mie responsabilità politiche sono di lavoro". Denis Verdini (Photomasi) Denis Verdini (Photomasi) L'INDAGINE - L’iscrizione di Verdini sul registro degli indagati è stata decisa dai responsabili degli accertamenti, i pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli ed il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nei giorni scorsi è stata anche perquisita la sede del Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente. Oltre a Carboni, nelle scorse settimane hanno ricevuto l’avviso proroga dell’inchiesta altre quattro persone: il costruttore Arcangelo Martino; Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias; Ignazio Farris, consigliere dell’Arpa della Sardegna; e un giudice tributario, Pasquale Lombardo. Molte delle ipotesi accusatorie sarebbero basate su intercettazioni, ma anche su un giro di assegni. Per questo si è proceduto al controllo dell’istituto di credito e di conti lì intestati. Le verifiche dei magistrati e dei carabinieri, sarebbero concentrate su diversi appalti pubblici, tra cui alcuni in Sardegna, connessi allo sviluppo di energie alternative. A questo filone è legato un blitz compiuto due settimane fa dai Carabinieri del Nucleo operativo di Roma nel palazzo di viale Trento della Regione Autonoma della Sardegna. IL MISTERO DEGLI ASSEGNI - Gli investigatori erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali gli inquirenti intendono accertare la provenienza e la destinazione. In procura c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso. Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia. Verdini è già indagato a Firenze in un'indagine per l'assegnazione degli appalti nelle Grandi Opere. "TOTALE ESTRANEITA'" - Denis Verdini affida inizialmente il suo commento a una nota: "Di fronte a una serie di notizie interessate che cercano di infangare la sua reputazione, ribadisce la sua totale estraneità a ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti e continua a essere disponibile, com'è suo costume, a favorire nelle sedi opportune il pronto accertamento della verità da parte della giustizia, che metta nel nulla tutta una serie di illazioni, falsità e costruzioni giornalistiche". Secondo Verdini "l'abitudine, ormai invalsa, di sistematiche violazioni del segreto istruttorio per colpire determinati soggetti politici attraverso pirotecnici, fantasiosi e incontrollati - e per questo parziali e pilotati - processi mediatici che, prescindendo da ogni serio accertamento, cercano di emettere sentenze precostituite, non è più sopportabile". Contro di esse, il coordinatore dichiara di "volersi battere fino in fondo in tutte le sedi, convinto della propria totale trasparenza". "DESCRITTO COME UN BOSS MAFIOSO" - Ma poi, alla Camera Verdini si sfoga con i giornalisti è molto più loquace: "Vengo descritto come un boss mafioso o un burattinaio che mette tutti insieme. Magari. Ma i fatti sono fatti". Il coordinatore del Pdl è un fiume in piena: "Questo lo voglio dire: io sarei diventato una specie di crogiuolo che mette insieme cose che insieme non stanno. Ma io voglio rispondere dei fatti e non di questo sputtanamento generale. I fatti sono fatti e ci si difende da questi, non dallo sputtanamento". L'esponente del Pdl contesta duramente la violazione del segreto istruttorio: "È una violazione continua. Non è colpa dei magistrati, non è colpa dei giornalisti e non è colpa della forze dell'ordine. Ma allora di chi è la colpa? In questi giorni sono costretto a rispondere di cose di cui non so niente. Io sono abituato a rispondere ai magistrati quando vengo chiamato. Non mi piace invece il circo mediatico e ora dico 'bastà". Verdini dice di non credere a un complotto, ma solleva perplessità sui tempi dell'inchiesta e della fuga di notizie. "C'è una serie di concomitanze abbastanza palesi e osservabili- dice Verdini- così ripetibili che Galileo direbbe che costituiscono un fatto scientifico. È un fenomeno che si ripete costantemente e quindi è scientifico", dice a proposito della violazione del segreto istruttorio. "E pensare che c'è chi vuole ridurre le tutele per gli indagati. Io dico che è il partito dei matti". Redazione online 05 maggio 2010(ultima modifica: 06 maggio 2010)
2010-05-05 In un'intervista in diretta a Sky tg24 Fini: "Non c'è congiura dei giudici contro il governo" Il presidente della Camera: "Dovere di tutti tutelare il valore della legalità in Italia" * NOTIZIE CORRELATE * Dimissioni Scajola, Napolitano affida l'interim a Berlusconi (5 maggio 2010) * Pdl, Verdini indagato per corruzione. Lui replica: "Non mi dimetto" (5 maggio 2010) In un'intervista in diretta a Sky tg24 Fini: "Non c'è congiura dei giudici contro il governo" Il presidente della Camera: "Dovere di tutti tutelare il valore della legalità in Italia" Il presidente della Camera Gianfranco Fini (Fotogramma) Il presidente della Camera Gianfranco Fini (Fotogramma) MILANO - "Non c'è nessuna congiura o accanimento dei giudici contro l'esecutivo" ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nel corso di un'intervista a ruota libera e in diretta su SkyTg24. Il presidente della Camera, il giorno dopo le dimissioni del ministro Scajola e nel giorno dell'avviso di garanzia che ha raggiunto il coordinatore del Pdl Denis Verdini, stavolta si trova d'accordo con il leader della Lega Bossi ("Mi sembra che i magistrati facciano solo il loro lavoro") ma coglie anche l'occasione per rilanciare il ddl anti-corruzione. "È stato un disegno di legge voluto dal governo, quindi sarebbe bene che avesse una corsia preferenziale. Il direttivo del gruppo del Pdl non ha accolto la richiesta fatta dall'onorevole Bocchino, ma - aggiunge Fini - spero che ci sia un ripensamento". VERDINI- Poi alla giornalista che gli chiedeva se a suo avviso Verdini dovrebbe fare un passo indietro da coordinatore del Pdl il presidente della Camera ha risposto: "No. La storia recente è zeppa di episodi in cui dopo l'avviso di garanzia le accuse si sono dimostrate non sussistenti". LIBERTÀ DI STAMPA- Parlando del ddl intercettazioni e del fatto che con questo provvedimento non si potrà pubblicare più nulla a cominciare dagli atti delle indagini, Fini ha aggiunto: "Non credo che in una democrazia ci sia mai troppa libertà di stampa. Il problema comunque non è quello della quantità della stampa, ma della sua qualità". Anche se questa, spesso è "connessa alla qualità della politica". Ed è anche vero, ha sottolineato, che vista la qualità della politica questa " farebbe bene a guardare se stessa prima di fare le pulci agli operatori dell'informazione". IL GIORNALE - Il passo per parlare de Il Giornale è breve: "Il problema per Il Giornale è l'evidente conflitto in cui si trova l'editore" ha detto Fini tornando sulle polemiche sollevate da alcuni articoli del quotidiano molto critici nei confronti suoi e dei finiani. "Berlusconi ha detto in modo pubblico - ha proseguito Fini - che è consapevole dei seri problemi politici che quel giornale ha determinato, basti pensare alla vicenda Boffo. Da un lato c'è l'interesse dell'editore, dall'altro c'è l'interesse del presidente del Consiglio, che sono nella stessa famiglia. Anche questo è un caso di conflitto di interessi. Ci sono momenti in cui bisogna privilegiare l'interesse generale sul piano politico o quello editoriale". Per il presidente della Camera "nel momento in cui si è chiamati a occuparsi dell'interesse generale va messo da parte l'interesse particolare". Fini ricorda dunque che il giornale appartiene alla famiglia del presidente del Consiglio e che questa non ha voluto mettere in discussione l'attuale direzione. "L'editore - afferma il presidente della Camera - ha ritenuto che fosse molto, molto importante avvalersi di uno staff che fa vendere migliaia di copie...". Poi, a proposito del direttore de Il Giornale, Fini ribadisce che questo usa la "penna come se fosse una clava". Il presidente del Consiglio, aggiunge il numero uno della Camera, "ha ammesso pubblicamente di essere consapevole dei problemi politici che quel giornale ha determinato, basti pensare alla vicenda Boffo". Ma, sottolinea Fini, "da un lato c'è l'interesse dell'editore, dall'altro c'è l'interesse del presidente del Consiglio, che sono nella stessa famiglia". E anche questo, sostiene, "è un caso di conflitto di interessi". E invece, conclude, "nel momento in cui si è chiamati a occuparsi dell'interesse generale va messo da parte l'interesse particolare". FISCO - Un argomento per sottolineare la distanza da Berlusconi è quello relativo al fisco: "Se si dice che le tasse sono troppo alte e quindi è naturale evadere io rovescio il ragionamento, cominciamo a colpire chi evade così ci sono le risorse per abbassare le tasse. Le tasse sono troppo alte per tutti perché è troppo alta l'evasione. È vero - ha aggiunto - che è anche perché le tasse sono molto alte, ma se vogliamo ridurre le tasse avviamo una durissima fase di lotta all'evasione. È essenziale una sorta di etica repubblicana in questo senso, anche questo è un modo per ricordare l'unità d'Italia". "Io - ha concluso - ho detto più volte che dovremmo citare come esempio meritorio i tantissimi italiani che ogni giorno fanno il loro dovere. Qualche volta si privilegia finendo per dare ragione a Prezzolini che diceva: meglio furbi che fessi...". LEGA - E infatti sulla necessità di impegnarsi per le celebrazioni avviate mercoledì per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia Fini ha detto che le posizioni della Lega Nord all'interno della maggioranza sono minoritarie ed isolate. "Le posizioni leghiste sono minoritarie, isolate", ha detto Fini. "Lasciamo da parte le polemiche. "La Lega è un alleato importante, con il quale il Pdl ha presentato un programma, ma è essenziale nel momento in cui si sta insieme non andare a rimorchio di un movimento rispettabilissimo ma che è presente in alcune zone del Paese". Poi sui 150 anni d'Italia: "Le celebrazioni per 150 anni dell'Unità d'Italia sono iniziate nel modo migliore, il Capo dello Stato ha fatto un discorso alto sottolineando che non c'è nulla di retorico, non è tempo sprecato ma un doveroso ricordo delle nostre radici". Fini ha osservato che mercoledì il premier Berlusconi non era presente a Quarto ma ha lodato i discorsi dei ministri Bondi e La Russa, sottolineando che a questo punto le polemiche "vanno lasciate da parte", ma in ogni caso si è detto "lieto di aver posto quel problema" a suo tempo. IL RUOLO - Infine a difesa delle sue esternazioni ha precisato: "Io ho il preciso dovere di essere imparziale nella conduzione dei lavori dell'Aula ma proprio perché non ho vinto un concorso, ho anche il diritto come i miei predecessori di avere delle opinioni politiche e porle all'attenzione nel mio partito". Redazione online 05 maggio 2010
L'inchiesta - Pm al lavoro sui flussi di denaro Dimissioni Scajola, Napolitano affida l'interim a Berlusconi Bossi: "Nessuno scossone. Il ministero? Decide il premier". Bersani: "Vicenda torbida, fare luce" L'inchiesta - Pm al lavoro sui flussi di denaro Dimissioni Scajola, Napolitano affida l'interim a Berlusconi Bossi: "Nessuno scossone. Il ministero? Decide il premier". Bersani: "Vicenda torbida, fare luce" Claudio Scajola (Ansa) Claudio Scajola (Ansa) MILANO - Un incontro di circa quaranta minuti, durante il quale Giorgio Napolitano ha firmato il decreto in cui si accettano le dimissioni di Claudio Scajola da ministro dello Sviluppo economico e si affida l’interim al premier, Silvio Berlusconi. Durante il colloquio al Quirinale - presenti Gianni Letta e Donato Marra - il presidente del Consiglio avrebbe spiegato al capo dello Stato di essere stato "colto alla sprovvista" dalle dimissioni di Scajola, di non avere intenzione di mantenere a lungo nelle sue mani la responsabilità del dicastero, ma allo stesso tempo avrebbe chiesto "più tempo" per presentare il nome del nuovo ministro. In particolare, il premier avrebbe parlato di spinte contrapposte all’interno della maggioranza e della necessità di cercare una "soluzione di sintesi" che metta d’accordo tutti. Lo stesso Berlusconi - a quanto si apprende - non avrebbe fatto nomi ma sottolineato che "ci sono molti candidati". LA MAGGIORANZA - La vicenda Scajola resta ovviamente al centro del dibattito politico. Umberto Bossi non ha dubbi sulla tenuta della coalizione di governo dopo l'addio del ministro: "La maggioranza non è spaccata - assicura il leader della Lega. - Nessuno scossone, c'è solo un ministro in meno. Certo, la gente ci rimane male...". Il Senatùr non si espone più di tanto sulla possibilità che il ministero dello Sviluppo economico vada adesso alla Lega: "Berlusconi è il presidente del Consiglio - risponde il Senatùr. - Decide lui". E a proposito della possibilità che il posto di Scajola sia occupato da Emma Marcegaglia, è lo stesso presidente di Confindustria a smentire: "Assolutamente no, non esiste assolutamente, anche perché io faccio il presidente di Confindustria e sono contenta di questo". L'OPPOSIZIONE - In Transatlantico continuano a rincorrersi le voci di ulteriori sviluppi dell'inchiesta di Perugia sul G8 e lo stesso Berlusconiora teme un possibile effetto-domino. Il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, torna intanto all'attacco. "Mi pare che siamo in presenza, al di là delle doverosissime dimissioni di Scajola, a una vera giostra di Stato, appalti secretati, pubblici ufficiali corrotti, soldi trasferiti illegalmente all’estero e poi a quanto pare ripuliti con lo scudo fiscale" è l'affondo del segretario dei democratici. "Davanti a una cosa del genere non si può dire che tocca solo alla magistratura, qui tocca al governo venirci a dire cosa c’è nel sottoscala di questa Repubblica e di fare veramente chiarezza su una vicenda - è l'appello di Bersani - che può essere ancora più torbida di quello che abbiamo visto fin qui". "Se ci dovessero essere addirittura tre o quattro ministri in una situazione simile a quella di Scajola credo che l'intero governo dovrebbe andare a casa al più presto" dice fuori dai denti il leader dell'Idv Antonio Di Pietro. A chi gli chiede un'opinione sulla tenuta del governo, l'ex pm risponde: "Credo sia un bene per il paese che questo governo vada a casa. Quindi non è un rischio, è un bene. Ci auguriamo che al più presto possibile questo governo piduista e fascista vada a casa". PM AL LAVORO - Nel frattempo a Perugia i pm Federico Centrone, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi sono al lavoro per chiarire la provenienza dei contanti con i quali l'architetto Angelo Zampolini ha ottenuto gli assegni circolari utilizzati poi, secondo la procura di Perugia, per contribuire all'acquisto di diverse case tra le quali quella dell'ex ministro Claudio Scajola. Gli inquirenti sospettano che i fondi possano essere riferibili al costruttore Diego Anemone, considerato uno dei personaggi centrali dell'inchiesta sugli appalti per i Grandi Eventi. Nel capo d'imputazione contestato a Zampolini è indicato che il denaro era provento di delitti contro la pubblica amministrazione. Ora gli investigatori sono impegnati a ricostruire il percorso del flusso di denaro fino alla trasformazione in assegni circolari. L'attenzione della procura di Perugia è inoltre concentrata sugli appalti ottenuti dal gruppo Anemone per verificare eventuali irregolarità. Nelle carte dell'inchiesta perugina non ci sarebbero nomi di altri politici oltre a quello di Scajola e dell'ex ministro Pietro Lunardi. A carico di entrambi non è stato comunque preso al momento alcun provvedimento. Redazione online 05 maggio 2010
procura di roma Pdl, Verdini indagato per corruzione Lui replica: "Non mi dimetto" Il coordinatore coinvolto nell'inchiesta su illeciti negli appalti pubblici, tra cui progetti sull'eolico in Sardegna * NOTIZIE CORRELATE * Appalti, Denis Verdini indagato a Firenze (15 feb'10) * Truffa ai danni dello Stato, indagato il senatore Pdl Ciarrapico (4 mag'10) * Verdini e Fusi, quindici anni di affari (M.Gerevini, 10 aprile 2010) ROMA - Denis Verdini, uno dei coordinatori nazionali del Pdl, è indagato dalla procura di Roma per corruzione nell'ambito dell'inchiesta riguardante un presunto comitato d'affari che si sarebbe occupato, in maniera illecita, di appalti pubblici, in particolare dei progetti sull'eolico in Sardegna. Secca la replica del coordinatore: "Totale estraneità, mi batterò fino in fondo in tutte le sedi". Verdini non ha alcuna intenzione di dimettersi da coordinatore del Pdl, parlando con i giornalisti alla Camera, a chi gli chiede se lui farebbe come Claudio Scajola, il coordinatore del Pdl risponde: "Non ho questa abitudine, e neppure questa mentalità. E poi dimettersi dal lavoro è difficile. E le mie responsabilità politiche sono di lavoro". Denis Verdini (Photomasi) Denis Verdini (Photomasi) L'INDAGINE - L’iscrizione di Verdini sul registro degli indagati è stata decisa dai responsabili degli accertamenti, i pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli ed il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nei giorni scorsi è stata anche perquisita la sede del Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente. Oltre a Carboni, nelle scorse settimane hanno ricevuto l’avviso proroga dell’inchiesta altre quattro persone: il costruttore Arcangelo Martino; Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias; Ignazio Farris, consigliere dell’Arpa della Sardegna; e un giudice tributario, Pasquale Lombardo. Molte delle ipotesi accusatorie sarebbero basate su intercettazioni, ma anche su un giro di assegni. Per questo si è proceduto al controllo dell’istituto di credito e di conti lì intestati. Le verifiche dei magistrati e dei carabinieri, sarebbero concentrate su diversi appalti pubblici, tra cui alcuni in Sardegna, connessi allo sviluppo di energie alternative. A questo filone è legato un blitz compiuto due settimane fa dai Carabinieri del Nucleo operativo di Roma nel palazzo di viale Trento della Regione Autonoma della Sardegna. IL MISTERO DEGLI ASSEGNI - Gli investigatori erano alla ricerca del passaggio di un certo numero di assegni dei quali gli inquirenti intendono accertare la provenienza e la destinazione. In procura c'è un grande riserbo sulla natura delle indagini in corso. Gli accertamenti su quello che si ritiene essere stato un giro di appoggi e di promesse per favorire alcuni imprenditori sono stati avviati nel 2008 nel quadro di un'altra indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia. Verdini è già indagato a Firenze in un'indagine per l'assegnazione degli appalti nelle Grandi Opere. "TOTALE ESTRANEITA'" - Denis Verdini affida inizialmente il suo commento a una nota: "Di fronte a una serie di notizie interessate che cercano di infangare la sua reputazione, ribadisce la sua totale estraneità a ogni ipotesi di comportamenti penalmente o anche moralmente rilevanti e continua a essere disponibile, com'è suo costume, a favorire nelle sedi opportune il pronto accertamento della verità da parte della giustizia, che metta nel nulla tutta una serie di illazioni, falsità e costruzioni giornalistiche". Secondo Verdini "l'abitudine, ormai invalsa, di sistematiche violazioni del segreto istruttorio per colpire determinati soggetti politici attraverso pirotecnici, fantasiosi e incontrollati - e per questo parziali e pilotati - processi mediatici che, prescindendo da ogni serio accertamento, cercano di emettere sentenze precostituite, non è più sopportabile". Contro di esse, il coordinatore dichiara di "volersi battere fino in fondo in tutte le sedi, convinto della propria totale trasparenza". "DESCRITTO COME UN BOSS MAFIOSO" - Ma poi, alla Camera Verdini si sfoga con i giornalisti è molto più loquace: "Vengo descritto come un boss mafioso o un burattinaio che mette tutti insieme. Magari. Ma i fatti sono fatti". Il coordinatore del Pdl è un fiume in piena: "Questo lo voglio dire: io sarei diventato una specie di crogiuolo che mette insieme cose che insieme non stanno. Ma io voglio rispondere dei fatti e non di questo sputtanamento generale. I fatti sono fatti e ci si difende da questi, non dallo sputtanamento". L'esponente del Pdl contesta duramente la violazione del segreto istruttorio: "È una violazione continua. Non è colpa dei magistrati, non è colpa dei giornalisti e non è colpa della forze dell'ordine. Ma allora di chi è la colpa? In questi giorni sono costretto a rispondere di cose di cui non so niente. Io sono abituato a rispondere ai magistrati quando vengo chiamato. Non mi piace invece il circo mediatico e ora dico 'bastà". Verdini dice di non credere a un complotto, ma solleva perplessità sui tempi dell'inchiesta e della fuga di notizie. "C'è una serie di concomitanze abbastanza palesi e osservabili- dice Verdini- così ripetibili che Galileo direbbe che costituiscono un fatto scientifico. È un fenomeno che si ripete costantemente e quindi è scientifico", dice a proposito della violazione del segreto istruttorio. "E pensare che c'è chi vuole ridurre le tutele per gli indagati. Io dico che è il partito dei matti". Redazione online 05 maggio 2010
2010-05-04 L'annuncio in Conferenza stampa. la procura di perugia: "non è indagato" Scajola si dimette: "Devo difendermi" Berlusconi: "Ha senso dello Stato" Il ministro dello Sviluppo economico dice addio al governo: "Sto soffrendo". Il premier: "Ministro capace" * NOTIZIE CORRELATE * Il Giornale, l'intervista e la presa di distanza (4 maggio 2010) * Presto liberi quattro uomini della "cricca" (4 maggio 2010) * Il ministro torna da Tunisi: "Mi stanno infangando" (4 maggio 2010) * Anemone: mai dato soldi a Zampolini. L'opposizione: Scajola parli o si dimetta (3 maggio 2010 * Scajola, Berlusconi respinge le dimissioni (30 aprile 2010) L'annuncio in Conferenza stampa. la procura di perugia: "non è indagato" Scajola si dimette: "Devo difendermi" Berlusconi: "Ha senso dello Stato" Il ministro dello Sviluppo economico dice addio al governo: "Sto soffrendo". Il premier: "Ministro capace" ROMA - "Mi devo difendere, per difendermi non posso fare il ministro come ho fatto in questi due anni". Claudio Scajola si dimette. Sotto pressione per il coinvolgimento nelle indagini di Perugia sugli appalti per le Grandi Opere, il ministro per lo Sviluppo economico ha annunciato l'addio al governo in un incontro con i giornalisti. "Sto vivendo da dieci giorni una situazione di grande sofferenza. Sono al centro di una campagna mediatica senza precedenti e non sono indagato (particolare quest'ultimo confermato dal procuratore di Perugia, Federico Centrone, ndr). Mi ritrovo la notte e la mattina ad inseguire rassegne stampa per capire di cosa si parla" ha detto Scajola, finito al centro di polemiche per aver acquistato un appartamento a Roma, pagato in parte, secondo quanto emerge dall'inchiesta della Procura di Perugia, con 900mila euro versati dal costruttore Diego Anemone. VERTICE COL PREMIER - "Ho avuto attestati di stima da Berlusconi, da colleghi di governo e da tutta la maggioranza" ha affermato Scajola, ricevuto poi nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Nessun alt alle dimissioni da parte del presidente del Consiglio, secondo il quale "Scajola ha assunto una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito". "Al ministro Scajola - ha aggiunto il premier - va l'apprezzamento mio e di tutto il governo per come ha interpretato il ruolo di ministro dello Sviluppo economico in una fase difficile e delicata che, anche grazie al suo contributo, l'Italia sta superando meglio di altri Paesi". In precedenza, incontrando il presidente del Ppe Joseph Daul, il Cavaliere aveva espresso "forte solidarietà" a Scajola: "Oggi si è dimesso un ministro très capable (molto capace, ndr)", aveva detto. Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" Scajola: "Sto soffrendo, mi dimetto" "LA MIA CASA PAGATA IN PARTE DA ALTRI, NON POTEVO SOSPETTARLO" - "Un ministro non può sospettare di abitare in una casa pagata in parte da altri". È questa la "motivazione più forte" che ha indotto Scajola a fare un passo indietro. "Sono convinto - ha aggiunto durante la conferenza stampa al ministero - di essere estraneo alla vicenda e la mia estraneità sarà dimostrata. Ma è altrettanto certo che, siccome considero la politica un'arte nobile, con la 'P' maiuscola, per esercitarla bisogna avere le carte in regole e non avere sospetti". "Se dovessi acclarare - ha promesso poi Scajola - che la mia abitazione fosse stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l'annullamento del contratto di compravendita". Ma "per esercitare l'arte nobile della politica - ha concluso il ministro - non ci devono essere sospetti, le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con l'importante lavoro da svolgere per il Paese al quale fino ad oggi anch'io ho contribuito". GIORNALISTI - "Mi trovo esposto ogni giorno - ha detto Scajola - a ricostruzioni giornalistiche contraddittorie. In questa situazione che non auguro a nessuno io mi devo difendere. E per difendermi non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni, senza mai risparmiarmi. Ne siete testimoni, ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo commettendo sbagli ma pensando di fare il bene". Scajola ha ricordato di aver ricoperto l'incarico ministeriale "dedicando tutte le mie energie, tutto il mio tempo, commettendo anche sbagli, ma sicuramente pensando di fare il bene". Poi Scajola ha aggiunto: "In questi due anni ho avviato dei dossier importanti, fondamentali per la crescita dell'Italia: nel campo energetico, la liberalizzazione del mercato del gas, le grandi progettazioni di infrastrutturazione per far pagare l'energia di meno, il ritorno al nucleare nel nostro Paese; abbiamo - ha continuato - appena definito il Piano Berlusconi per il Sud; abbiamo impegnato ogni risorsa possibile per la riforma degli incentivi per dare innovazioni ai prodotti italiani al fine di farli competere nel mondo; ci siamo impegnati - ha aggiunto Scajola - con grande dedizione alla gestione di tavoli difficili per le crisi industriali, più do centocinquanta, con l'obiettivo di risolvere ciò che era possibile nella riorganizzazione industriale per mantenere il nostro paese all'avanguardia". IL GOVERNO - Poi ha concluso: "Sono certo che le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con il lavoro che anche io ho contribuito". Finita la sua dichiarazione Claudio Scajola saluta i giornalisti e se ne va. A questo punto i cronisti protestano rumorosamente perché non hanno avuto modo di fare nemmeno una domanda. REAZIONI - Immediate le reazioni del mondo politico alle dimissioni. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta si è allontanato dalla sala stampa, senza voler aggiungere alcun commento, salutando i giornalisti con una battuta: "Parliamo dell'Aquila". All'attacco il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ha definito "una scelta giusta" quella di Scajola, perché "quello che ha detto non è mai stato convincente". I GIORNALI DEL CENTRODESTRA - La posizione del ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola si era fatta sempre più delicata e il pressing non veniva più solo dal centrosinistra. Anche il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, intervenendo a "La Telefonata", su Canale 5 aveva preso le distanze. "Scajola credo che debba riflettere sul modo nel quale la sua difesa possa essere condotta meglio, se con l'incarico di ministro o senza". Sulla vicenda Scajola, ha detto Gasparri, "c'è una grande libertà di stampa, anche i giornali di centrodestra indagano su questa vicenda, non so se quelli vicini alla sinistra farebbero lo stesso a parti invertite". Gasparri si riferiva ai due editoriali dei direttori de "Il Giornale" e "Libero" che lo invitavano a chiarire la sua posizione. Vittorio Feltri chiedeva al ministro di "fugare ogni sospetto" subito "o finirà male". Redazione online 04 maggio 2010
Rotondi: "Le dimissioni? Concessione alla demagogia" Scajola lascia. Bersani: scossone per il Pdl Il leader Pd: maggioranza in empasse. L'Idv: gesto tardivo e dovuto. E la Lega chiede il ministero Rotondi: "Le dimissioni? Concessione alla demagogia" Scajola lascia. Bersani: scossone per il Pdl Il leader Pd: maggioranza in empasse. L'Idv: gesto tardivo e dovuto. E la Lega chiede il ministero MILANO - Le dimissioni di Scajola?. "Direi proprio che è la scelta giusta". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani non usa mezzi termini nel commentare la decisione del ministro dello Sviluppo di lasciare il governo. "Le cose che ha detto fin qui - spiega il segretario dei democratici in collegamento telefonico con Repubblica Tv - non sono convincenti per nessuno". Nel governo e nella maggioranza sono in molti ad esprimere solidarietà al ministro dimissionario, sotto pressione da giorni per il suo coinvolgimento nelle indagini sulle Grandi Opere: Fabrizio Cicchitto parla di "sentenza mediatica" e Mariastella Gelmini rinnova la stima e fiducia al collega. L'opposizione, d'altra parte, accoglie di buon grado la scelta di Scajola. Bersani in particolare si dice "sconcertato" dalle spiegazioni del ministro e attacca il governo. Il leader del Pd considera le dimissioni uno "scossone piuttosto forte" nell'esecutivo nel governo" e parla di "fase di empasse politica per la maggioranza" anche alla luce dello scontro tra Fini e Berlusconi. "Siamo davanti a uno scenario - sostiene il segretario dei democratici - in cui l’alternativa è tra la palude e il blocco delle decisioni e il rischio di una precipitazione della situazione politica, un passaggio delicato, è evidente che dopo la vicende di Fini e quella sulla corruzione la situazione è intricata, paludosa e confusa". "GESTO TARDIVO E DOVUTO" - Di "gesto tardivo e atto dovuto" parla invece l'Italia dei Valori con Leoluca Orlando. "Un uomo delle istituzioni, sul quale gravano testimonianze e pesanti indizi, avrebbe dovuto avere l'onestà intellettuale e la dignità di dimettersi subito, senza aspettare che l'Italia dei Valori presentasse la sua mozione di sfiducia" dice il portavoce Idv. I dipietristi chiedono che il governo vada comunque in Parlamento a "spiegare il perché di un comportamento tanto vile". Intanto la Lega non nasconde di puntare alla poltrona lasciata vuota da Scajola. "È presto per fare ipotesi, certo che la Lega avrebbe gli uomini e le donne giuste, esperti di azienda e di attività produttive, in grado di portare avanti il ministero" dice il segretario provinciale Matteo Salvini. E a proposito del successore, il ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan smentisce le voci su un suo possibile impegno in tal senso. "Le notizie secondo le quali sarei interessato a succedere all'amico Claudio Scajola sono da ritenersi assolutamente infondate e mi pongono in uno stato d'animo in cui avverto un insopportabile senso di sgradevolezza" spiega. "CONCESSIONE ALLA DEMAGOGIA" - Colleghi del governo ed esponenti di maggioranza difendono l'operato del ministro dimissionario. "La mia stima per Scajola non potrebbe essere maggiore, ma ritengo queste dimissioni un errore e una concessione alla demagogia" è il pensiero del ministro per l'Attuazione del Programma di governo, Gianfranco Rotondi. "Quelle di Scajola sono parole apprezzabili. In questo Paese non si dimette mai nessuno, il fatto che uno si assuma la responsabilità in prima persona è già un dato positivo" afferma il deputato finiano Enzo Raisi. Di tuttaltro tenore il commento di Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci: "Dopo la scandalosa gestione del G8 di Genova del 2001, il caso Marco Biagi e gli appartamenti con vista sul Colosseo ci permettiamo di suggerire a Scajola di ritirarsi dalla vita politica. Le sue dimissioni sono comunque una bella notizia: la cultura dell'arroganza e della prepotenza, propria del berlusconismo, riceve finalmente un durissimo colpo". Ironico il pd Ermete Realacci. "Adesso è chiaro. I conti del nucleare in Italia sono come quelli dichiarati sull'acquisto della casa di Scajola al Colosseo: si reggono solo con la truffa e con l'inganno". Redazione online 04 maggio 2010
LE CARTE Le sorelle che hanno venduto la casa "Ecco le prove di quegli 80 assegni" Accertamenti su 30 conti intestati alla segretaria di Anemone. I pm: schermo per altre operazioni * NOTIZIE CORRELATE * "Portai gli assegni al ministero e li diedi a Scajola per il rogito" F. Sarzanini (3 maggio) * Scajola, il testimone: "Consegnai buste a ministri" F. Sarzanini (1 maggio) * Scajola contrattacca: non lascerò il governo come nel caso Biagi (1 maggio 2010) * Nel Pdl cresce il timore che l'inchiesta saldi finiani e opposizione M. Franco (1 maggio 2010) * Scajola, Berlusconi respinge le dimissioni (30 aprile 2010) * Scajola, le nuove accuse. L'appartamento e 4 testimoni contro (30 aprile 2010) * "Soldi in nero con 80 assegni per l’immobile di Scajola" (29 aprile 2010) LE CARTE Le sorelle che hanno venduto la casa "Ecco le prove di quegli 80 assegni" Accertamenti su 30 conti intestati alla segretaria di Anemone. I pm: schermo per altre operazioni ROMA — Nuovi documenti bancari smentiscono la versione del ministro Claudio Scajola. Li hanno consegnati alla Guardia di Finanza le sorelle Beatrice e Barbara Papa, proprietarie dell'appartamento con vista sul Colosseo venduto il 6 luglio 2004. Estratti conto e altri attestati finanziari per dimostrare che non sono loro ad aver mentito sul prezzo, nè sulle modalità di consegna del denaro. Le testimonianze si incrociano con quelle dell'architetto Angelo Zampolini, l'uomo di fiducia del costruttore Diego Anemone che dopo aver rivelato di aver consegnato personalmente a Scajola gli 80 assegni circolari per un totale di 900.000 euro ha aggiunto: "Ero presente alla stipula e ho assistito alla consegna dei titoli alle venditrici". Adesso bisogna scoprire come mai il notaio decise di non registrare il rogito a Roma, ma di portarlo all'Anagrafe tributaria di Civitavecchia. Gli investigatori si concentrano sulle verifiche negli istituti di credito e su nuovi conti che Anemone, imprenditore beneficiato da appalti pubblici milionari compresi quelli dei Grandi Eventi, avrebbe intestato a una sua collaboratrice. Sono trenta depositi, 23 tuttora aperti, che — dice l'accusa — sarebbero serviti ad Anemone per veicolare tangenti a politici e funzionari in grado di assicurargli un ruolo privilegiato nella spartizione dei lavori. "Cerchi casa? Chiedi a Scajola": lo striscione è stato srotolato vicino all'appartamento delle polemiche a Roma (Ansa) "Cerchi casa? Chiedi a Scajola": lo striscione è stato srotolato vicino all'appartamento delle polemiche a Roma (Ansa) Le ricevute dei versamenti Il 25 aprile scorso, Beatrice Papa viene convocata al comando delle Fiamme Gialle. Conferma di aver venduto una casa di 180 metri quadri con vista sul Colosseo al ministro Claudio Scajola e consegna una copia dell'atto. La cifra indicata è di 610.000 euro, ma la signora subito ammette che non si tratta del costo reale. E si riserva di fornire i documenti per dimostrarlo. Non sa che una "Segnalazione di operazione sospetta" inviata dalla Banca d'Italia ha già rilevato una strana movimentazione su uno dei depositi intestati a Zampolini presso l'agenzia 582 della Deutsche Bank. Il 6 luglio l'architetto ha infatti richiesto l'emissione di 80 assegni circolari "di cui 40 intestati a Beatrice Papa e 40 a Barbara Papa per rispettivi 450.000 euro cadauna", ma — come sottolineano i pubblici ministeri — "da visure effettuate presso le banche dati finanziarie, non è emerso alcun rapporto giuridico tra lui e le beneficiarie dei titoli". Tocca dunque alla signora Papa raccontare che cosa si celi dietro quell'operazione e lei non si sottrae. Anzi, una settimana dopo, è il 30 marzo, porta la documentazione bancaria che serve da controprova sia per il versamento dei titoli, sia per quello di 100.000 euro in contanti avvenuto tempo prima. "Mia sorella — sottolinea — ne ha avuti altri 100.000. Si tratta dell'acconto che il ministro ci ha consegnato". Una versione che Scajola ha negato con decisione affermando che "non ci fu alcun preliminare". L'atto a Civitavecchia A confermarla ci pensa invece Barbara Papa, la sorella. E pure lei fornisce i documenti bancari che la riguardano, aggiungendo poi un particolare prezioso per effettuare i riscontri: "Al momento del rogito erano presenti varie persone, compreso un funzionario della Deutsche Bank". I dettagli li racconta Zampolini: "Sono rimasto per tutto il tempo all'interno di quella stanza del ministero in via della Mercede e con me c'era effettivamente il funzionario Luca Trentini. Diedi gli assegni al ministro che a sua volta li consegnò alle venditrici, come era stato pattuito". A stipulare l'atto fu il notaio Gianluca Napoleone che decise di non registrarlo nella capitale. La prova è in un'annotazione inviata dalle Fiamme Gialle ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi: "Da visure effettuate all'Anagrafe tributaria, il contratto di compravendita è stato registrato in data 13 luglio 2004 presso l'ufficio delle Entrate di Civitavecchia per un valore dichiarato di 610 mila euro". Una scelta che il ministro probabilmente chiarirà la prossima settimana, quando sarà interrogato dai pubblici ministeri come persona informata sui fatti. L'11 maggio sarà invece il tribunale del Riesame a dover stabilire se la competenza su questo filone di indagine sia di Perugia, come ritengono i magistrati dell'accusa. O se invece il fascicolo debba essere trasferito a Roma, come ha ritenuto il giudice delle indagini preliminari che si è dichiarato incompetente e per questo ha respinto la richiesta di arresto presentata nei confronti dello stesso Zampolini, dell'ex commissario per i Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi e per il commercialista di fiducia di Anemone Stefano Gazzani. Il ruolo di quest'ultimo viene considerato strategico nella ricostruzione delle movimentazioni di denaro dell'imprenditore, soprattutto alla luce di quanto è stato scoperto nelle ultime settimane dalla Guardia di Finanza. I conti della segretaria Nell'informativa trasmessa il primo aprile scorso si dà conto degli accertamenti bancari avviati nei confronti di tutti i familiari di Anemone e di coloro che si ritiene possano essere diventati i suoi "prestanome". Persone di massima fiducia alle quali il costruttore avrebbe intestato alcuni conti sui quali far transitare il denaro delle operazioni che non dovevano lasciare tracce, proprio come quelle per l'acquisto di appartamenti che sarebbero state affidate a Zampolini. In questo quadro si inserisce la segnalazione nei confronti di Alida Lucci che — come dimostrano le intercettazioni telefoniche — di Anemone era una delle collaboratrici più fedeli. "La donna — evidenziano gli investigatori della Finanza — risulta aver intestati 30 conti correnti bancari, di cui 23 attualmente accesi. Tale dato non appare coerente con i redditi dalla stessa dichiarati al fisco e con la sua posizione di dipendente della "Impresa Anemone Costruzioni srl". Risulta infatti che nel 2006 ha dichiarato 33.150 euro di imponibile, nel 2007 è salita a 56.353 euro e nel 2008 è arrivata a 58.825 euro". Un po' poco per aprire decine di depositi bancari. Proprio come Zampolini, che certamente guadagna più della Lucci ma ha già ammesso — di fronte alle precise contestazioni dei pubblici ministeri — che le decine di conti a lui intestati erano in realtà alimentati da Anemone. Finora si è scoperto che li ha utilizzati per acquistare quattro appartamenti (oltre a quello di Scajola gliene vengono contestati due per il generale Francesco Pittorru e uno per il figlio di Angelo Balducci). Il sospetto è che molte altre compravendite di immobili saranno scoperte quando tutte le banche avranno fornito la documentazione richiesta. Fiorenza Sarzanini 04 maggio 2010
8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto Scajola, il ministro che si dimise 2 volte Il titolare dello Sviluppo Economico aveva abbandonato l'incarico anche nel 2002 quando era titolare dell'Interno 8 anni fa lasciò per il "caso biagi". nel 1983 si dimise da sindaco di imperia dopo l'arresto Scajola, il ministro che si dimise 2 volte Il titolare dello Sviluppo Economico aveva abbandonato l'incarico anche nel 2002 quando era titolare dell'Interno Claudio Scajola (Ansa) Claudio Scajola (Ansa) MILANO - Un caso che non ha molti precedenti, sicuramente nessuno da quando esiste la cosiddetta "Seconda Repubblica". Per la seconda volta Claudio Scajola è costretto a rassegnare le dimissioni da ministro. LE DIMISSIONI DEL 2002 - Era già successo nel 2002: in quel caso Scajola era ministro dell'Interno del Governo Berlusconi. Il "casus belli" avviene il 29 giugno. Il ministro è in visita istituzionale a Cipro. Con lui alcuni giornalisti. Scajola si lascia andare ad alcune esternazioni su Marco Biagi, il consulente del ministero del Lavoro ucciso dai terroristi quello stesso anno. "Biagi era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza": è la frase di Scajola, riportata il giorno dopo dal Corriere della Sera e dal Sole 24 ore, che fa scatenare l'uragano. Dopo alcuni giorni di roventi polemiche, il 4 luglio il ministro rassegna le dimissioni (qui la lettera). In precedenza, Scajola si era dimesso anche da sindaco di Imperia. Era il 12 dicembre 1983 e l'allora primo cittadino democristiano viene arrestato dai carabinieri con l'accusa di concussione aggravata. Il giorno dopo si dimette. In seguito viene prosciolto dalle accuse. Redazione online 04 maggio 2010
l'inchiesta Grandi appalti, la procura chiede il giudizio immediato La procura di Firenze ha depositato la richiesta di giudizio immediato per Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Guido Cerruti FIRENZE - La procura di Firenze ha depositato la richiesta di giudizio immediato per Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Guido Cerruti, arrestati nell’ambito dell’indagine sull’appalto per la scuola marescialli dei carabinieri di Firenze, filone toscano dell’inchiesta sui Grandi eventi. Le posizioni degli altri indagati sono state stralciate. RICHIESTA DEPOSITATA AL GIP - Secondo quanto previsto dal codice di procedura penale il pubblico ministero può richiedere il giudizio immediato, entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura, "per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini". La richiesta è stata depositata al gip, che ha cinque giorni per emettere il decreto con il quale dispone il giudizio immediato o rigetta la richiesta, ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero. POTREBBERO SLITTARE LE CARCERAZIONI - Con la richiesta di giudizio immediato, i termini della misure cautelari potrebbero allungarsi di sei mesi, facendo quindi slittare le scarcerazioni, previste per domenica, di Angelo Balducci e Fabio De Santis, oltre al ritorno in libertà di Guido Cerruti e Francesco Maria De Vito Piscicelli, che sono ai domiciliari. È quanto spiega Gabriele Zanobini, uno dei difensori di Balducci. "Se il gip di Firenze accoglie la richiesta di giudizio immediato - spiega - scattano nuovi termini per le misure cautelari, che sono di sei mesi. Quindi, Balducci e De Santis non escono dal carcere e Cerruti e Piscicelli rimangono ai domiciliari". 04 maggio 2010
il direttivo boccia l'ipotesi di una "corsia preferenziale" per il disegno di legge Bocchino: "Subito il ddl anti-corruzione" No del Pdl: "Contrari all'iter veloce" Il finiano: "Il caso Scajola ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica" il direttivo boccia l'ipotesi di una "corsia preferenziale" per il disegno di legge Bocchino: "Subito il ddl anti-corruzione" No del Pdl: "Contrari all'iter veloce" Il finiano: "Il caso Scajola ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica" MILANO - Il Parlamento approvi subito, "con consenso bipartisan", il ddl anti-corruzione varato il primo marzo scorso dal Consiglio dei ministri. È questo l'appello che dal sito di Generazione Italia, il neo-movimento vicino a Gianfranco Fini, lancia Italo Bocchino. Il parlamentare del Pdl, uno dei fedelissimi del presidente della Camera, fa esplicito riferimento al caso Scajola. La sua vicenda, secondo il deputato, "ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica". "Il ministro dello Sviluppo economico è persona capace e navigata e saprà dimostrare dinanzi alla magistratura l'innocenza che reclama" scrive Bocchino. Sottolineando tuttavia che "il Pdl, essendo il più grande partito italiano, ha anche il dovere di dare una risposta all'opinione pubblica sul tema della corruzione e ha le carte in regola per farlo". NO DEL DIRETTIVO PDL - L'appello di Bocchino è destinato però a restare lettera morta, visto il no dei vertici del Pdl all'iter veloce per il ddl anti-corruzione. Il direttivo del gruppo alla Camera ha infatti bocciato l'ipotesi di una "corsia preferenziale" al disegno di legge. "È un errore politico", ha replicato il finiano Carmelo Briguglio ricordando che "il ddl è un atto proprio del governo" e non "un'iniziativa della minoranza finiana". "APPROVARE SUBITO IL DDL" - "Il primo marzo scorso - ha ricordato Bocchino sul sito di Generazione Italia -, su proposta di Berlusconi, il governo ha approvato il ddl anticorruzione che dà importanti risposte sull'argomento, punendo chi sbaglia con la più dura delle sanzioni, che è l'espulsione dalla politica. Adesso è il momento giusto affinchè l'idea di Berlusconi diventi patrimonio di tutti e Generazione Italia propone al Pdl di farsi promotore di una battaglia parlamentare per approvare subito questo provvedimento, che è stato firmato dal presidente Napolitano e inviato alle Camere". "CONSENSO BIPARTISAN" - Bocchino ha anche spiegato che "serve una moratoria legislativa di una settimana che il Pdl deve proporre a maggioranza e opposizione per accantonare tutti i provvedimenti in esame e approvare con consenso bipartisan il ddl anticorruzione. Basterebbe dedicare la prossima settimana a questa legge, tre giorni alla Camera e tre al Senato, magari lavorando anche il sabato e la domenica per far comprendere ai cittadini quanto ci teniamo a garantire più trasparenza. E sarebbe difficile per l'opposizione sottrarsi, dopo aver commentato favorevolmente - conclude il parlamentare finiano - quello che da tutti viene definito un passo in avanti sull'argomento". Redazione online 04 maggio 2010
Il Giornale, l’intervista e la presa di distanza Il direttore Feltri: Scajola chiarisca o si dimetta. E il vice Porro: "Non credo a ciò che mi ha detto" NOTIZIE CORRELATE * "Portai gli assegni al ministero e li diedi a Scajola per il rogito" F. Sarzanini (3 maggio) * Scajola, il testimone: "Consegnai buste a ministri" F. Sarzanini (1 maggio) * Scajola contrattacca: non lascerò il governo come nel caso Biagi (1 maggio 2010) * Nel Pdl cresce il timore che l'inchiesta saldi finiani e opposizione M. Franco (1 maggio 2010) * Scajola, Berlusconi respinge le dimissioni (30 aprile 2010) * Scajola, le nuove accuse. L'appartamento e 4 testimoni contro (30 aprile 2010) * "Soldi in nero con 80 assegni per l’immobile di Scajola" (29 aprile 2010) L’editoriale Il Giornale, l’intervista e la presa di distanza Il direttore Feltri: Scajola chiarisca o si dimetta. E il vice Porro: "Non credo a ciò che mi ha detto" Vittorio Feltri (LaPresse) Vittorio Feltri (LaPresse) MILANO — "Scajola, chiarisci o dimettiti". Stamattina, in testa all’editoriale del direttore, i lettori del Giornale leggeranno questo titolo. Ieri Vittorio Feltri l’ha mandato in stampa e poi si è concesso una serata a teatro, spiegando — un attimo prima di entrare in sala — che "al ministro per lo Sviluppo economico non ci crede nessuno". Dalla prima pagina del suo quotidiano, Feltri indirizza una lettera aperta all’interessato che al Corriere sintetizza così: "Caro ministro, fai bene a indignarti per essere stato messo alla sbarra senza neanche risultare indagato. Nessuno può darti torto per questo. Ma nelle tue risposte sul caso ci sono punti di un’evidenza spiazzante che andrebbero chiariti. Numero uno: il prezzo di questo tuo appartamento al Colosseo non è di mercato, e se tu ne avessi denunciato solo il valore catastale faresti bene a dirlo. Numero due: questi assegni circolari ci sono, vogliamo spiegare la questione? Numero tre: come la mettiamo con le testimonianze delle due proprietarie dell’immobile e con quella dell’architetto Zampolini?". La conclusione non può che essere una sola: "O chiarisci questi punti importanti che hanno lasciato perplessa l’opinione pubblica o rassegnati all’evidenza e, visto che ci sei, rassegna anche le tue dimissioni". Ad essere giudicate insufficienti sono state proprio le risposte che lo stesso ministro aveva rilasciato al Giornale. Del resto, il vicedirettore Nicola Porro, che sabato primo maggio aveva firmato l’intervista, già domenica pomeriggio postava sul suo blog un commento dal titolo eloquente — "Non credo a Scajola" — stigmatizzando l’evolversi del caso: "Di questi assegni si sa che esistono davvero, sono stati in effetti incassati dalle signore, sono di taglio piccolo e dunque sotto la soglia della segnalazione alla Banca d’Italia". Porro si concentra sul prezzo dell’appartamento: "Dico subito che non credo al ministro che ho intervistato —scrive —. Non dico che debba andare in galera. Non dico che debba essere indagato. Dico una cosa banale: 610 mila euro per 180 metri quadri nel centro di Roma non sono il prezzo di mercato. Ho forse delle prove? Nessuna. Ma il punto è che il ministro continua a dire che il prezzo giusto di quell’appartamento è quello ridicolmente fissato a 3.400 euro a metro quadro. È un insulto alla nostra intelligenza. Poi, se avesse detto "L’ho pagata 610 mila euro e il resto li ho dati in nero", sarebbe stato ammettere un’evasione fiscale che in molti fanno. Non un bel gesto da parte di un ministro della Repubblica. Ma prenderci per i fondelli è peggio". Queste argomentazioni — sostiene adesso il vicedirettore — sono state anche espresse nelle successive riunioni di redazione dove hanno trovato coincidenza con la linea del giornale. In più, ai lettori che sul blog gli chiedevano come mai non le avesse riportate direttamente a Scajola, Porro ha risposto secco: "Un’intervista è un’intervista. Un’opinione è un’opinione, espressa, tra l’altro, dal fondo che quel giorno il direttore ha pubblicato accanto al mio pezzo". Se il primo maggio Feltri scriveva di non essere ancora in grado di giudicare, oggi qualche elemento in più sostiene di averlo: "Il ministro non ha chiarito in modo persuasivo. Tra l’altro, so che si trova in Tunisia. Ecco, forse gli conviene restare ad Hammamet". Elsa Muschella 04 maggio 2010
Berlusconi presenta i risultati positivi del rapporto Ocse sulla protezione civile Il premier e la libertà di stampa "In Italia ne abbiamo fin troppa" Frecciata sul rapporto Freedom House: "Indiscutibile libertà". Il Pd: "Parole irresponsabili" Berlusconi presenta i risultati positivi del rapporto Ocse sulla protezione civile Il premier e la libertà di stampa "In Italia ne abbiamo fin troppa" Frecciata sul rapporto Freedom House: "Indiscutibile libertà". Il Pd: "Parole irresponsabili" Silvio Berlusconi (Inside) Silvio Berlusconi (Inside) MILANO - "Se c'è una cosa" che è "sotto gli occhi di tutti" è che in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa". All'indomani della bocciatura contenuta nel rapporto di Freedom House, che vede il nostro Paese al 72esimo posto nel mondo in fatto di libertà di stampa e al 24esimo tra le 25 nazioni dell'Europa occidentale, il premier Silvio Berlusconi si toglie un sassolino dalla scarpa. E lo fa approfittando della presentazione del rapporto Ocse, commissionato dal governo italiano, sul sistema della protezione civile italiano e sulla capacità di risposta alle catastrofi naturale, rapporto molto favorevole all’Italia. Al segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Angel Gurria, il presidente del Consiglio si rivolge per dirgli grazie "per la sua squisitezza personale e per la scelta dei collaboratori che lo hanno assistito in questo lavoro non facile, del quale siamo curioso di vedere i risultati". "Altre volte - osserva poi il Cavaliere - abbiamo avuto degli esami fatti al nostro sistema e cito l'ultimo fatto sulla libertà di stampa e ci siamo visti mettere in situazione di grande distanza dai primi: ora credo che se c'è una cosa in Italia che è sotto gli occhi di tutti e su cui c'è la sicurezza di tutti è che abbiamo fin troppa libertà di stampa: credo che questo - ha aggiunto - sia un fatto che non è discutibile". LE CRITICHE - Per il senatore del Pd Vincenzo Vita le parole del presidente del Consiglio sono "irresponsabili" e "fanno pensare a battute tipiche dei regimi dittatoriali". "Berlusconi vorrebbe realizzare un sistema fascista e piduista senza voci libere" è l'affondo del leader Idv Antonio Di Pietro. Critiche al premier anche dal Pdci. "La libertà di stampa non è mai troppa. La lingua di Berlusconi evidentemente batte dove il dente duole. Per chi ha chiamato il suo partito Popolo della libertà un'espressione del genere è una clamorosa ammissione della vocazione autoritaria, plebiscitaria e antidemocratica del premier" ha detto Jacopo Venier. Redazione online 04 maggio 2010
La Finanza gli sequestra immobili, conti e la barca Truffa ai danni dello Stato, indagato l'editore Ciarrapico Il senatore del Pdl è accusato di aver percepito indebitamente contributi pubblici per 20 milioni Giuseppe Ciarrapico (Emblema) Giuseppe Ciarrapico (Emblema) ROMA - Il senatore del Pdl e imprenditore Giuseppe Ciarrapico è stato indagato dalla Procura di Roma per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. La stessa accusa è contestata al figlio Tullio e ad altre cinque persone, tra cui alcuni collaboratori dell’ex presidente della Roma. CONTRIBUTI PER 20 MILIONI - Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, dal 2002 al 2006 Ciarrapico avrebbe avuto contributi per l’editoria pari a circa 20 milioni. Medesima cifra è stata posta sotto sequestro dai militari del Nucleo speciale di polizia valutaria di Guardia di finanza. L'INCHIESTA - I "gravi fatti di fraudolente percezioni di contributi all’editoria - è stato spiegato a piazzale Clodio - per importi complessivi pari a circa 20 milioni di euro dal 2002 al 2007 e per analoghi tentativi susseguitisi fino all’anno in corso, in danno dello Stato - presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per l’informazione" da parte delle società editrici "Nuova Editoriale Oggi srl" e "Editoriale Ciociaria Oggi srl". Beni sequestrati e affidati a un curatore, che non dovrà comunque interrompere l'attività lavorativa delle due società. "Editoriale Ciociaria Oggi Srl", con sede a Roma, pubblica "Nuovo Oggi Molise" mentre "Nuova Editoriale Oggi Srl" pubblica il giornale di Frosinone "Ciociaria Oggi". I SEQUESTRI - I militari della Guardia di finanza, nucleo speciale di polizia valutaria, diretti dal colonnello Leandro Cuzzocrea e su disposizione del pm Simona Marazza, responsabile dell’inchiesta, hanno eseguito sequestri preventivi a Roma, Milano e in altre città, di immobili, quote societarie e conti correnti ed una imbarcazione di lusso, che era ormeggiata a Gaeta. Gli accertamenti sono stati coordinati dal procuratore aggiunto della Capitale, Pietro Saviotti. LA REAZIONE DEL SENATORE - "Un avviso di garanzia non invecchia mai e può far sempre comodo se si tratta di un senatore del Popolo della libertà". Il senatore Giuseppe Ciarrapico commenta così all'Adnkronos l'inchiesta che lo vede indagato. "Oggi gli organi di informazione parlano di un'indagine per truffa a carico del senatore Giuseppe Ciarrapico. È la stessa indagine del 2005 - sottolinea il parlamentare del Pdl - promossa dalla dottoressa Marazza, pm nota per la sua contiguità con il pubblico ministero De Magistris concorrente politico di Di Pietro". Un'indagine, rileva Ciarrapico, "dormiente a tutt'oggi e oggi guarda caso ritirata fuori per aumentare i rumors giudiziari a carico del Pdl. Chi più ne ha più ne metta", conclude. redazione online 04 maggio 2010
Il presidente della Camera: "Grave che il Pdl non prenda sue iniziative" 150 anni dell'Unità d'Italia, nuovo duello Bossi-Fini Il leader della Lega: "Celebrazioni inutili e retoriche. Andrò se me lo chiede Napolitano" Il presidente della Camera: "Grave che il Pdl non prenda sue iniziative" 150 anni dell'Unità d'Italia, nuovo duello Bossi-Fini Il leader della Lega: "Celebrazioni inutili e retoriche. Andrò se me lo chiede Napolitano" Umberto Bossi (Ansa) Umberto Bossi (Ansa) MILANO - Divisi. Su terreni diametralmente opposti. Uno dice bianco e l'altro risponde nero. Uno legato al Tricolore, l'altro al Sole delle Alpi. Fini da una parte e Bossi dall'altra. Il presidente della Camera e il leader della Lega Nord nonché ministro delle Riforme sulla carta fanno parte della stessa alleanza politica ma a leggere i quotidiani di oggi sembrano uno l'opposizione dell'altro. Oggetto del contendere le celebrazioni i 150 anni dell'Unità d'Italia. BOSSI - "A naso mi sembrano le solite cose un po' inutili e un po' retoriche. Non so se ci andrò, devo ancora decidere. Ma se Napolitano mi chiama...". Intervistato da La Repubblica, Umberto Bossi spera di arrivare ai festeggiamenti dell'Unità d'Italia "con il federalismo fatto, che sia legge e diventi finalmente realtà", perché "questo è l'unico pezzo che manca al compimento della storia del nostro Paese". E lascia aperto uno spiraglio alla sua presenza ai festeggiamenti: "Il presidente Napolitano mi è sempre stato simpatico". Gianfranco Fini (Fotogramma) Gianfranco Fini (Fotogramma) FINI - La risposta di Fini? Della Lega "depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell'unità nazionale", dice l'ex leader di An a La Stampa: "però non mi sorprende affatto". Poi aggiunge: "Considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l'Unità". Fini definisce anche "un'inezia" i 35 milioni di euro stanziati dal governo per le celebrazioni, "prova della miopia di quanti - afferma - nel mio partito dicono: stiamo già facendo". E ricorda che si sta lavorando all'ipotesi di celebrarlo anche con una seduta comune del Parlamento, in cui prenderà la parola il Capo dello Stato". Poi cita il suo intervento alla Direzione del Pdl, "che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario? E non sarà perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?". LA STORIA - "Cavour era federalista, la promessa e l'impronta federalista sono state fondamentali nel percorso di unificazione del Paese", riflette il leader della Lega. "Poi il re in qualche modo ha tradito perché ha imposto il centralismo, ma oggi è arrivato il momento di riprendere quella promessa e mantenerla compiendo davvero la storia. Non perderemo questa occasione per raddrizzare il Paese". Fini spiega invece che l'Italia è già unita. Sul federalismo fiscale "siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire che cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere". LA POLITICA - "Se andiamo avanti di questo passo avremo troppi sindaci e troppi presidenti di regione che buttano via i soldi", avverte Bossi. "Non si può continuare così perché con questo andazzo rischiamo di finire male, come un'altra Grecia ma di grandi dimensioni e con esiti disastrosi per tutti". Contro il rischio di tracollo la ricetta, sostiene, è il federalismo, "perché significa dare delle regole che faranno bene sia al Nord che al Sud: il Nord smetterebbe di pagare e il Sud di buttare via i soldi". "Se la politica perde la dimensione pedagogica, non è più buona politica", prosegue Fini. "Diritti e doveri, credo che dovremmo rileggere Mazzini, perché qui a volte si ha l'impressione di vivere nella società del Grande Fratello, dove tutto è lecito a condizione di farla franca. Invece dovremmo mostrare ai figli che rende più l'onestà della disinvoltura". L'anniversario, sostiene Fini, può essere il perno di una riflessione condivisa, "perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all'indice ogni qualvolta la sollevo". Insomma un po' Fratelli d'Italia e un po' Fratelli coltelli. Redazione online 04 maggio 2010
CENTRODESTRA Viterbo: si dimette Marcello Meroi, il nuovo presidente della Provincia Troppe lotte intestine nella maggioranza Pdl e Udc. Meroi: "I partiti trovino una soluzione" Carlo Giovanrdi: ai suoi Popolar-liberali fa riferimento la formazione Popolo Etrusco che ha un ruolo centrale nella crisi a Viterbo Carlo Giovanrdi: ai suoi Popolar-liberali fa riferimento la formazione Popolo Etrusco che ha un ruolo centrale nella crisi a Viterbo ROMA - Si è dimesso prima ancora di ricevere la "fiducia" dal nuovo consiglio provinciale Marcello Meroi, eletto al primo turno presidente della provincia di Viterbo il 30 marzo scorso con 93 mila voti, pari il 54,6%. Le dimissioni di Meroi, depositate nelle mani del segretario generale dell'ente, diventeranno operative dopo la comunicazione ufficiale al consiglio provinciale, che dovrebbe riunirsi alla fine della prossima settimana. Dopodiché il presidente avrà 20 giorni di tempo per ritirarle o confermarle. Una decisione, quella Meroi, scaturita dalle lotte intestine nella maggioranza di centrodestra (Pdl e Udc) sulla composizione della giunta. Meroi ha assegnato 3 assessorati all'Udc e 3 al Pdl, tutti ex Forza Italia, lasciandone uno a disposizione dei 4 consiglieri ex An. Ma questi ultimi, alleati con l'unico rappresentante del Popolo Etrusco nel Pdl, una declinazione locale dei Popolari-Liberali di Carlo Giovanardi, che avevano presentato una propria lista ottenendo circa il 5%, ritengono di essere stati penalizzati per dare spazio all'Udc, che ha ottenuto il 12% dei voti e 4 consiglieri e si rifiutano di votare la ratifica della giunta in consiglio. Decorsi i 20 giorni, se la maggioranza non si ricomporrà, verrà nominato il commissario prefettizio e, dopo qualche mese, saranno indette le elezioni anticipate. "MANCA L'ACCORDO" - Le motivazioni della scelta arrivano dallo stesso Meroi. "Non siamo riusciti a trovare un accordo nella maggioranza. Ne prendo atto e mi dimetto". Così il neo presidente della Provincia di Viterbo, ha annunciato che non ci sono le condizioni per dare inizio alla legislatura scaturita dalle urne il 28 e 29 marzo scorso. "L'unica via d'uscita è che le segreterie provinciali e regionali del Pdl e dell'Udc si impegnino per individuare una soluzione che, credo, possa ancora essere trovata". La segreteria regionale del Pdl viene chiamata in causa da Meroi perchè "sono stati proprio il coordinatore e il vice coordinatore del Lazio ad aver sottoscritto l'accordo che assegna 3 assessorati all'Udc nel corso delle trattative da cui è scaturito il sostegno dei centristi alla candidata governatrice Renata Polverini. Abbiamo l'obbligo di rispettare il mandato che ci hanno affidato i cittadini - ha concluso Meroi -, se non dovessimo riuscirci dimostreremmo grandi limiti". I COMMENTI - "Per stare tranquilli c’è bisogno di andare una settimanella a Rieti...Berlusconi dia uno sguardo al suo partito nel Lazio, quel che accade è allucinante. A Roma si balla in Campidoglio, a Frosinone si marcia contro la Polverini, a Latina si è buttata giù la giunta, alla Provincia di Viterbo la disarciona il presidente. Così non si va da nessuna parte. Sos politica...", questo il commento caustico di Francesco Storace, consigliere regionale del Lazio e segretario nazionale de La Destra. Dall'opposizione si leva la voce di Ileana Argentin, membro della direzione regionale del Pd laziale: "Le dimissioni del neoeletto presidente della Provincia di Viterbo aggravano il caos interno al Pdl laziale dopo le minacce secessioniste degli amministratori di Frosinone e Latina e le dimissioni del sindaco di Latina. Uno scenario davvero inquietante che, schiavo di logiche interne e di lotte senza quartiere tra fazioni di ex An ed ex Forza Italia, rischia di compromettere il lavoro che ancora deve iniziare Renata Polverini. Tutto ciò dimostra la fragilità e l'irresponsabilità di una classe dirigente laziale che ha poco a cuore i problemi dei cittadini e gli interessi generali ed in nome di rivendicazioni di fazione paralizza l'attività amministrativa in Regione". Redazione online 04 maggio 2010
le accuse: corruzione, turbativa d'asta e truffa Prosperini patteggia la pena "In silenzio, senza ammissioni" Tre anni e 5 mesi per l'ex assessore che a marzo ha tentato il suicidio: "Mi dedicherò al volontariato" * NOTIZIE CORRELATE * Tangenti, Prosperini tenta il suicidio. Lettera ai giudici: "Io perseguitato" * Tangenti tv, Prosperini patteggia la pena: tre anni e cinque mesi Prosperini al momento dell'uscita dal carcere di Voghera (Fotogramma) Prosperini al momento dell'uscita dal carcere di Voghera (Fotogramma) MILANO - "È un patteggiamento silenzioso, senza ammissioni". Lo ha affermato l'ex assessore regionale lombardo Pier Gianni Prosperini prima di entrare nell'ufficio del giudice di Milano, Gloria Gambitta, che ha ratificato l'accordo di patteggiamento raggiunto dal politico con la procura di Milano, in relazione al giro di tangenti sulla promozione televisiva del turismo che lo ha visto coinvolto, con le accuse di corruzione, turbativa d'asta e truffa. Prosperini ha patteggiato una pena di 3 anni e 5 mesi di reclusione. "Come stiamo? Stiamo bene", ha detto ai cronisti l'ex assessore, che il 25 marzo scorso ha tentato il suicidio mentre si trovava a casa agli arresti domiciliari. "Siamo un po' esterrefatti e toccati - ha proseguito -, colpiti e offesi, così siamo". IN DIALETTO - Rispondendo a una domanda dei cronisti sugli altri stralci di indagine aperti, tra cui uno che lo vede indagato per corruzione internazionale, Prosperini ha risposto: "Tutti i giorni ce n'è una nuova", pronunciando la frase in dialetto lombardo, come suo solito. Riguardo il suo coinvolgimento in una vicenda di traffico d'armi verso l'Iran (il politico al momento non è indagato), l'ex assessore ha detto: "Una nazione estera, con il permesso dei ministeri esteri e della polizia, è andata dalla Beretta e ha preso 50 fucili". Richiamato dai suoi avvocati per l’inizio dell’udienza, alla domanda dei cronisti su come stia vivendo questo periodo, Prosperini ha risposto: "Pregando". "FARO' VOLONTARIATO" - "D'ora in poi mi dedicherò al volontariato per i meno fortunati, i disabili e per chi ha difficoltà motorie, attraverso l'ippoterapia in cui credo molto", ha poi aggiunto l'ex assessore, all'uscita. E la politica? "Per un po' niente politica", ha ribadito l'ex assessore, aggiungendo che il suo non è un "no" definitivo alla politica, ma che "sarà difficile tornare" in questo campo. D'ora in avanti, ha aggiunto Prosperini, la sua "sarà una vita di lavoro e di dedizione per i meno fortunati". In particolare, si dedicherà all'ippoterapia, mettendo in campo le sue conoscenze "tecniche, equestri e di medico" per aiutare i bambini. Il giudice gli ha concesso la possibilità, sebbene ancora in regime di arresti domiciliari, di frequentare il centro ippico "La Colombera" di Binasco e di fare volontariato. Comincia ora, ha ribadito Prosperini, "una nuova vita". SOCCORSO A UNA DONNA SVENUTA - L'occasione di rendersi utile si è presentata subito: Prosperini, mentre si preparava a lasciare il Palazzo di Giustizia dopo aver salutato i giornalisti, si è imbattuto in una donna che si era sentita poco bene nei corridoi del primo piano. Prosperini, con la sua esperienza di medico, ha notato la donna svenuta e si è fermato a prestarle soccorso, facendola distendere e sollevandole le gambe. Un episodio in linea con le dichiarazioni rese poco prima. Redazione online 04 maggio 2010
l'avvocato: "i malati usati come un mezzo per ottenere rimborsi" Santa Rita, la Regione chiede al primario due milioni di euro come risarcimento "Danni morali e di immagine" contestati a Brega Massone. Un milione a testa per i due aiuti * NOTIZIE CORRELATE * La Cassazione respinge il ricorso, Brega Massone si presenta in carcere MILANO - La Regione Lombardia ha chiesto un risarcimento per i danni morali e di immagini di due milioni di euro a Pier Paolo Brega Massone, l'ex primario della clinica Santa Rita di Milano. La richiesta è arrivata oggi, attraverso l'avvocato Antonella Forloni, nel processo con al centro la casa di cura milanese e che vede imputato l'ex primario, assieme ad altre otto persone. Il legale, che rappresenta la Regione costituitasi parte civile nel processo con al centro casi di truffa e lesioni, nel concludere il suo intervento, ha chiesto due milioni di euro di danni non patrimoniali a Brega Massone e un milione di euro a testa, sempre di danni morali e di immagine, anche per Pietro Fabio Presicci e Marco Pansera, che lavoravano nell'equipe di chirurgia toracica assieme a Brega Massone. Inoltre, l'avvocato della Regione ha chiesto risarcimenti morali e di immagine anche ad altri cinque imputati, con cifre che vanno dai cento mila ai trecento mila euro. Infine, ha fatto richiesta per la Regione di un risarcimento del danno patrimoniale di oltre trecentoventimila euro nei confronti di Brega, Presicci e Pansera, in solido. DIRITTI VIOLATI E CRUDELTA' - Nelle sue conclusioni l'avvocato Forloni ha parlato di "disprezzo per le condizioni dei pazienti" da parte degli imputati e della violazione "del diritto alla salute delle persone". I malati, secondo l'avvocato, "sono stati un mezzo per ottenere rimborsi e non un fine" e Brega e i suoi aiutanti hanno dimostrato "crudeltà". Brega Massone, che nei giorni scorsi è tornato in carcere su decisione della Cassazione per un'inchiesta ancora aperta che lo vede indagato anche per omicidio, non era presente oggi in aula. In udienza hanno parlato anche altri avvocati di parte civile, in rappresentanza di alcuni pazienti che avrebbero subito danni fisici dagli interventi chirurgici ritenuti inutili dall'accusa. (fonte: Ansa) 04 maggio 2010
OPERAZIONE DELLA FINANZA Arrestato imprenditore alberghiero proprietario del "Dolomiti" a Cortina Accusato di bancarotta fraudolenta: avrebbe svuotato le casse di una società con operazioni fittizie ROMA - Arrestato per bancarotta fraudolenta un noto imprenditore alberghiero. L'uomo, del quale non erano state rese note le generalità, ma solo le iniziali - S.C. - è stato bloccato dagli uomini della Guardia di Finanza nella Capitale. Si tratterebbe di Simone Chiarella - genero di Gaetano Caltagirone -, coeditore de Il Domenicale di Marcello Dell'Utri. L'imprenditore è titolare tra gli altri immobili di un famoso albergo di Cortina, l'Hotel Dolomiti (un tre stelle, ex Motel Agip), attraverso la società Ennea s.r.l. La sua vicenda ricorda con singolari coincidenze quella narrata nell'ultimo film di Pupi Avati, "Il figlio più piccolo" L'Hotel Dolomiti a Cortina (foto da internet) L'Hotel Dolomiti a Cortina (foto da internet) QUOTE SEQUESTRATE - L'operazione, condotta dal nucleo di polizia tributaria su disposizione dalla procura della Repubblica di Roma, ha portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare disposta dal sostituto procuratore Stefano Fava dopo una complessa indagine. Nel corso dell'operazione sono stati, inoltre, sequestrati le quote del capitale di una società immobiliare facente capo all'arrestato e l'albergo sito in Cortina d'Ampezzo, per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro. FALLIMENTO PILOTATO - L'imprenditore è sospettato di aver pilotato il fallimento di una azienda a lui riconducibile, conducendola deliberatamente al dissesto e svuotandola del suo patrimonio, in particolare delle quote del capitale sociale della Ennea srl - con sede anche nella Capitale, cui fa capo l'Hotel Dolomiti di via Roma 118 a Cortina- e di un immobile adibito ad albergo a Cortina d'Ampezzo, in favore di un'altra società allo stesso riconducibile. Lo svuotamento delle società è avvenuto attraverso fittizie operazioni di riorganizzazione societaria, passaggi di quote azionarie e operazioni commerciali simulate. L'Hotel Dolomiti si trova "a soli 300 metri dal centro di Cortina e dalle piste da sci, ubicato in una delle zone più famose delle Dolomiti", come pubblicizza un sito internet di prenotazioni, ma è chiuso dalla fine della scorsa stagione invernale e sull'immobile verterebbe un grande progetto di ristrutturazione. Redazione online 04 maggio 2010
2010-05-02 il ministro per la Semplificazione Legislativa alla trasmissione "in Mezz'ora" Calderoli: Berlusconi può andare avanti In alternativa ci sono solo le elezioni Su Fini: "Perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo". Unità d'Italia: "Non so se saremo a celebrazioni" il ministro per la Semplificazione Legislativa alla trasmissione "in Mezz'ora" Calderoli: Berlusconi può andare avanti In alternativa ci sono solo le elezioni Su Fini: "Perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo". Unità d'Italia: "Non so se saremo a celebrazioni" MILANO - "Il governo ha i numeri per andare avanti e fare le riforme, in alternativa ci sono solo le elezioni". Lo afferma Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione legislativa, ospite della trasmissione "In mezz'ora". A una domanda dell'Annunziata sulla possibilità che la Lega partecipi a un governo tecnico per fare le riforme guidato da Giulio Tremonti, la risposta è netta: "No. L'elettorato ha dato il proprio consenso a una persona che è Berlusconi. E poi la prima persona che sarebbe contraria è Tremonti stesso". FINI DELFINO - Calderoli coglie l'occasione per parlare dei rapporti interni alla maggioranza: "Molti dei problemi attorno a Fini nascono dal suo perenne ruolo di delfino che non spicca mai il volo. Ma prima i galloni se li deve guadagnare sul campo all'interno del Pdl. La peggior cosa per una leadership così forte è prenderla di punta". Il ministro leghista boccia poi l'ipotesi avanzata da Bobo Craxi di un "complotto" guidato dagli Usa dietro all'iniziativa politica di Fini ("qualcuno ha mangiato funghi allucinogeni, non credo a queste cose"). E sul federalismo fiscale: "Fini ha sollevato perplessità sulla coesione sociale e sull'unità del Paese; ma io gli ho fatto notare che già oggi non c'è coesione sociale né unità del Paese. Inoltre i relatori in Parlamento sono pugliesi, il presidente della Commissione è siciliano: il Meridione è presenze". UNITÀ D'ITALIA - Altro argomento, il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Calderoli dice che non è sicura la presenza della Lega a Genova il 5 maggio con il presidente Napolitano: "La celebrazione in sé ha poco senso. L'anniversario deve essere il momento per approntare le soluzioni, non solo per alzare la bandiera. Io sarò a lavorare per realizzare il federalismo, la cui attuazione è il miglior modo per festeggiare l'unità d'Italia". Redazione online 02 maggio 2010
sul caso scajola: "mi auguro che chiarisca" Bocchino: "Contratti Rai? A Berlusconi" L'ex vice presidente del Pdl alla Camera si difende dagli attacchi del Giornale alla moglie, che fa la produttrice tv * NOTIZIE CORRELATE * Fini difende Bocchino: "Dimissionato senza ragioni" (30 aprile 2010) * Bocchino: "Epurato da Berlusconi". Il premier: "Con me è stato insolente" (29 aprile 2010) sul caso scajola: "mi auguro che chiarisca" Bocchino: "Contratti Rai? A Berlusconi" L'ex vice presidente del Pdl alla Camera si difende dagli attacchi del Giornale alla moglie, che fa la produttrice tv MILANO - "I contratti più importanti della Rai vanno a Silvio Berlusconi e ai suoi figli, proprietari della Endemol. Ma non lo trovo scandaloso: la Endemol è una grande società che fa produzione, ricchezza e audience". Lo dice, in un'intervista a Maria Latella su Sky Tg24 Italo Bocchino, ex vice presidente finiano del gruppo Pdl alla Camera, finito in prima pagina del Giornale il 30 aprile per il contratto di produzione assegnato dalla Rai alla moglie ("I soldi Rai alla moglie di Bocchino"). "Quello che troverei scandaloso - sottolinea Bocchino - sarebbero scelte al di fuori della normativa vigente". "Se vogliamo fare un codice etico per cui con la Rai non possono avere nulla a che fare i parenti fino al sesto grado di chi siede in Parlamento sarei d'accordissimo: però il maggior colpito sarebbe Berlusconi, che è il maggior beneficiario insieme ai sui figli". Per quanto riguarda la moglie Gabriella Buontempo, Bocchino ricorda che quando l'ha conosciuta già lavorava con la Rai e che nell'articolo del Giornale "non c'è nessuna accusa, si dice che fa la produttrice, lo fa bene e a prezzi di mercato". Riguardo agli articoli del giornale della famiglia Berlusconi non solo su sua moglie ma anche sulla suocera di Gianfranco Fini, il giudizio di Bocchino è netto: "È solo spazzatura, sono non notizie che servono a bastonare chi dissente nel Pdl". "SCAJOLA CHIARISCA" - Bocchino ha poi parlato del caso Scajola: "Gli esprimo solidarietà umana e mi auguro che riesca a chiarire quanto prima questa vicenda" ha detto riferendosi all'acquisto di un appartamento a Roma da parte del ministro dello Sviluppo economico, accusato di aver usato soldi di uno degli imprenditori coinvolti nell'inchiesta sul G8. L'esponente finiano rinnova l'invito ad approvare subito il ddl anti corruzione quando, dopo la firma del presidente della Repubblica, arriverà alla Camera: "La politica deve essere trasparente, non ci deve essere nemmeno un centimetro quadrato di ombra per l'opinione pubblica. Quindi mettiamo subito all'ordine del giorno il ddl anti corruzione e, con un voto bipartisan approviamolo il prima possibile. È prioritario e questo deve fare un partito serio". Alla domanda che cosa faranno i finiani se la maggioranza del Pdl non farà questa scelta risponde: "Ne prenderemmo atto e faremmo la nostra parte. Noi non facciamo agguati, il ruolo della minoranza in un grande partito è quello di stimolo. Il problema è che il Pdl non deve essere un partito grande ma un grande partito". Redazione online 02 maggio 2010
Il caso - "La capitale ci schiaccia, nasca la Ventunesima regione" "Secessione da Roma" Frosinone e Latina giurano a Fossanova Referendum insieme con i "ribelli" di Rieti e Viterbo Il caso - "La capitale ci schiaccia, nasca la Ventunesima regione" "Secessione da Roma" Frosinone e Latina giurano a Fossanova Referendum insieme con i "ribelli" di Rieti e Viterbo ROMA—Il passo fino al santuario del Doctor Angelicus è lungo, forse troppo. "Ma noi lo faremo, sì, faremo il giuramento ". Certo suona bene, il Giuramento di Fossanova, però ha un retrogusto leghista, no? "Embè? Bossi sta combattendo per il suo territorio! Bravo! Noi per il nostro", dice intrepido Antonello Iannarilli, Pdl di tendenza forzista, presidente della Provincia di Frosinone: "Berlusconi non mi caccia, ma se mi caccia prenderò altre strade...". A parole sono decisi, decisissimi: basta con Roma padrona, se non ladrona. Il 17 maggio i consigli provinciali di Frosinone e Latina, in seduta comune, firmeranno un’intesa per far partire un referendum assieme agli altri "secessionisti" delle Province di Rieti e Viterbo. L’obiettivo sembra quasi una bestemmia: una Regione senza Roma, la Regione delle Province. "Si chiamerà la Ventunesima ", anticipa Iannarilli, anche se detta così più che una regione sembra una legione, manco a dirlo, romana. Lo scenario del giuramento dovrebbe essere suggestivo, uno dei più carichi di senso e storia del basso Lazio. Fossanova. L’Abbazia. Dove morì Tommaso d’Aquino, mentre spiegava il Cantico dei cantici ai monaci cistercensi. Sarà duro e vagamente blasfemo star lì, sette secoli e spiccioli più tardi, a spiegare ai congiurati consiglieri provinciali come e quando bisognerà staccarsi dall’odiata capitale che "dati di Unioncamere alla mano, è cresciuta solo lei negli ultimi quarant’anni, a scapito di Frosinone, Latina, Viterbo e Rieti ", insomma, a sbrogliare una faccenda di conti e spartizioni a pochi metri dalla stanza dove spirò il Dottore Angelico. Ma ecco un contrattempo che dà alla rivolta un vago profumo di pochade. All’Abbazia cadono dalle nuvole. Tra i chiostri dove per la prima volta si sposarono gotico e romanico, i secessionisti laziali sono dei perfetti sconosciuti. "Chi viene? Noi non ne sappiamo nulla! ", ride soave fratel Marco, uno dei quattro francescani polacchi che hanno preso il posto dei monaci. Beh, magari il superiore sa... "Macché. Noi a pranzo ci diciamo tutto, nemmeno lui sa nulla. E poi qui è tutto vincolato dalla Soprintendenza". "I frati non ne sanno nulla? Beh, tocca a Cusani organizzare ", replica Iannarilli senza un plissé. Logico. Fossanova è nel territorio di Latina e Armando Cusani è il presidente della Provincia di Latina. Ma nel pomeriggio prefestivo l’organizzatore è introvabile. Che i congiurati si riuniscano nell’Abbazia o nel parcheggio dei pullman turistici lì tra i boschi pontini, la questione politica, anticipata ieri dal Tempo, non cambia. E crea imbarazzi. In soldoni, l’idea dei nuovi poteri capitolini previsti dalla legge su Roma ha generato gelosie e malumori. Inoltre la giunta appena sfornata dalla Polverini ha scontentato tanti, troppi. Specie nelle province. "A Roma ha vinto la Bonino. Noi l’abbiamo fatta eleggere, Renata: con 160 mila voti. E a Frosinone manco un assessore?", sbottano i rivoltosi. Francesco Storace, uno che ha il dono di dire pane al pane, la spiega così: "Idea eccellente. Era di Andrea Mondello prima del mio governo regionale, io la rilanciai. Nella prima stesura la devolution prevedeva la Regione di Roma, e la Regione delle Province è la salvezza del resto del Lazio. Peccato però che, ci fosse stato un assessore ciociaro nella giunta Polverini, della salvezza del Lazio non ne avrebbero mai parlato!". Cauto, molto cauto Maurizio Stirpe, presidente di Confindustria Lazio: "La prospettiva di una secessione affascina sempre la gente. E io capisco l’amarezza degli amministratori di Frosinone che chiedono più attenzione. Ma noi, come industriali, stiamo lavorando in senso opposto: vogliamo fondere le associazioni territoriali". Non dev’essere un pomeriggio facile nel palazzo della Regione sulla Colombo. La Polverini è immersa nelle trattative con l’Udc, ballano poltrone (in gergo politichese: si valorizzano le competenze...). Una sua portavoce avvisa durissima che la governatrice non parla da due giorni di questa storia delle Province ("ma che fa, mica lo scrive?"). "Toni sbagliati", dirà molto più tardi lei, Renata, a margine di un evento sportivo: "Un posto in giunta per il Pdl di Frosinone? Lavoreremo...". Curiosamente, viene mandato avanti un consigliere uscente, Donato Robilotta: "La Polverini non c’entra con la protesta delle Province, è polemica vecchia ". Mica vero. I ribelli rincarano: "Noi, traditi dai partiti. Ma Renata non ci ha difeso". Il vaso di Pandora degli egoismi sembra aperto, spiega Giuseppe De Rita: "Ognuno va per proprio conto, pensi alle vicende dell’Olimpiade di Torino, dell’Expo’ di Milano e all’infelice idea della Formula Uno a Roma ". Alemanno è comunque l’unico politico di rango a tirar fuori subito la testa: "Roma non se ne va dal Lazio. La Regione è l’area vasta della Capitale". Ma ormai le lingue sono imbrogliate. "Area vasta? Area metropolitana? Il sindaco di Roma ci offende", tuona Iannarilli: "Basta elemosina’ da questi. Ma che, stamo a scherza’?". E già tremano le volte che diedero riparo all’Aquinate. Goffredo Buccini 01 maggio 2010(ultima modifica: 02 maggio 2010)
2010-04-30
2010-04-27 il capogruppo: "Il mio destino non è legato al suo". E spunta Menia, terzo candidato Pdl, battaglia sui vertici della Camera Bocchino: "Mi candido presidente" Il finiano Bocchino si dimette da vice ma sfida Cicchitto: "Mi candido presidente, contiamoci" il capogruppo: "Il mio destino non è legato al suo". E spunta Menia, terzo candidato Pdl, battaglia sui vertici della Camera Bocchino: "Mi candido presidente" Il finiano Bocchino si dimette da vice ma sfida Cicchitto: "Mi candido presidente, contiamoci" Italo Bocchino (Ansa) Italo Bocchino (Ansa) ROMA - Non c'è pace nel Pdl. E a meno di una settimana dallo scontro in pubblico tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, scoppia il caso Bocchino. Il finiano, vicecapogruppo del Pdl alla Camera, ha consegnato le sue dimissioni a Fabrizio Cicchitto, numero uno dei deputati del Popolo della Libertà a Montecitorio annunciandogli però contemporaneamente di volersi candidare al ruolo di presidente. Questo perché Bocchino ritiene che il regolamento leghi il suo destino di vicecapogruppo a quello del capogruppo ("simul stabunt simul cadent") e che sia dunque "inevitabile" il ricorso all'assemblea. In sostanza, secondo Bocchino le dimissioni dell'uno dovrebbero comportare le automatiche dimissioni dell'altro visto che i due sono stati eletti "in ticket". LA PRECISAZIONE DEL PDL - Cicchitto da parte sua non spende troppe parole per replicare alla presa di posizione del suo vice: "Ho preso atto della lettera di dimissioni dalla carica di vicecapogruppo vicario. Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica e anche sullo statuto del gruppo. È evidente che il problema delle dimissioni dell'onorevole Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito" spiega il numero uno dei deputati del Pdl. Nello stesso tempo però l'ufficio stampa del Pdl fa sapere attraverso una nota che il destino del vicario di un gruppo parlamentare non coinvolge la presidenza. "Nella lettera di Italo Bocchino - scrive l'ufficio stampa del partito - è contenuta una imprecisione perché l'art.8 del regolamento del gruppo non lega affatto il destino del presidente e del vicepresidente vicario a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica". BERLUSCONI - Nella lettera a Cicchitto Bocchino chiede anche di convocare un'assemblea del gruppo del Pdl "per dare la possibilità alla minoranza di contare le proprie forze" e "conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso". L'esponente finiano auspica anche che presidente dei deputati del Pdl favorisca un incontro "con il presidente Berlusconi anche alla presenza del coordinatore Verdini affinchè si possa dar vita ad un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare". MENIA - La questione resta aperta ed è indice della distanza tra la corrente finiana e il resto del Pdl. Rivelando allo stesso tempo le tensione tra i fedelissimi del presidente della Camera: prova ne è la scelta del sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia di candidarsi alla presidenza del gruppo alla Camera: "Se per davvero Italo Bocchino, vicecapogruppo dimissionario del Pdl alla Camera, intende candidarsi a presidente dello gruppo "per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo", allora lo farò anch'io" spiega l'esponente finiano, che aggiunge: "Non so quale consenso egli pensi di avere, ma non ha certo il mio né quello di molti che con lealtà seguono Fini e con altrettanta lealtà sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte". Redazione online 27 aprile 2010
2010-04-26 Battuta del premier: "Si litiga in due, ma per divorziare uno solo basta" Fini riunisce i fedelissimi "Saremo leali col governo" Il presidente della Camera agli ex An: "La nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza non si discute" * NOTIZIE CORRELATE * "Si litiga in 2, ma per divorzio uno basta" (24 aprile 2010) * Nucleare in Italia, Berlusconi: "Inizio lavori entro tre anni" (26 aprile 2010) Battuta del premier: "Si litiga in due, ma per divorziare uno solo basta" Fini riunisce i fedelissimi "Saremo leali col governo" Il presidente della Camera agli ex An: "La nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza non si discute" Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi (Ansa) Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi (Ansa) MILANO - "Tutti hanno capito che non è in discussione la nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza". Gianfranco Fini ribadisce ancora una volta di non immaginare nessuna scissione dal Pdl. E lo fa parlando ai parlamentari a lui più vicini nella Sala Tatarella a Montecitorio. "Dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e al programma di governo" spiega il presidente della Camera. Per lui, dunque, il "punto fermo" delle esternazioni pubbliche di suoi sostenitori in Parlamento deve essere proprio questo: l'"assoluta lealtà" a maggioranza e governo, oltre che agli elettori. "Sono qui per ascoltarvi, per sapere cosa ne pensate. Per far capire a chi va in tv o fa dichiarazioni che il nostro comportamento è di assoluta lealtà" dice Fini ai suoi. Poi, dopo aver ascoltato gli interventi - alcuni dei quali anche critici - dei parlamentari riuniti nella Sala Tatarella, lancia l'idea: "Facciamo un seminario, un convegno per illustrare le nostre proposte per un Pdl più forte". Una delle date ipotizzate per la riunione è venerdì 14 maggio. APPLAUSO AL LEADER - Dentro il Pdl, dunque, leali al governo e alla maggioranza ma liberi di dissentire: il presidente della Camera ha fatto il punto con i parlamentari che gli sono rimasti fedeli, cercando di rassicurare i finiani che lo hanno seguito nell'ultimo strappo e di mostrare loro la rotta. La riunione nella Sala Tatarella si è aperta con un applauso al presidente della Camera. Non si può accettare una Lega "dominus" della coalizione, ha ribadito il leader di Montecitorio ai suoi. Il federalismo fiscale, poi, può essere realizzato a patto che non ci sia un Nord che se ne avvantaggia rispetto al Sud. Ai fedelissimi Fini ha chiesto di affrontare i prossimi delicati passaggi parlamentari, primo tra tutti quello sulle intercettazioni, senza censurare divergenze di opinioni ma con spirito costruttivo. Non ci saranno dunque imboscate né le "scintille in Parlamento" di cui parlava Sandro Bondi al termine della direzione. Un concetto che Fini tornerà a spiegare martedì in tv ospite di Ballarò, seconda tappa mediatica dopo In 1/2 ora di Lucia Annunziata di una campagna televisiva che l'ex leader di An vuole fare per spiegare agli italiani le sue posizioni politiche. Resta aperta la questione relativa ad Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl che, per evitare polemiche e strumentalizzazioni politiche, martedì vuole consegnare "brevi manu" al capogruppo Fabrizio Cicchitto la lettera delle sue dimissioni. "Adesso toccherà a loro darci una risposta", spiega Bocchino nella riunione, forse alludendo alla clausola del regolamento approvato dal gruppo che lega il destino di Bocchino a quello di Cicchitto, essendo stati eletti in ticket. LABOCCETTA- Impossibile sapere quanti finiani hanno preso parte all'incontro: come in occasione della riunione di martedì scorso, infatti, anche questa volta la sala della riunione è stata resa assolutamente off limits ai cronisti. Di certo, in sette giorni la componente finiana ha perso già qualche pezzo, quanti ancora non è chiaro. Sicuramente ha dato forfait Amedeo Laboccetta, che la scorsa settimana aveva firmato il documento al termine della riunione dei finiani. "Ho espresso le mie preoccupazioni per la strada intrapresa e gli ho detto che non ci sto, non credo nelle correnti e quindi le nostre strade si separano" ha detto dopo un incontro con Fini. "Resto suo amico - ha aggiunto l'ex deputato di An - ma ho il pregio di parlare chiaro: questa fase non mi convince, nel Msi ho fatto parte della corrente dei romualdiani e non penso che questa sia la strada da percorrere. Fini la pensa diversamente e che cosa farà lo saprete al termine della riunione". LA BATTUTA DEL PREMIER - Prima dell'incontro coi fedelissimi, Fini era stato tirato in ballo anche se non esplicitamente dal premier Silvio Berlusconi. Se per litigare è necessario essere almeno in due, come evidenziato sabato a margine delle celebrazioni per la festa della Liberazione con Napolitano, per divorziare è sufficiente anche la volontà di uno soltanto: ha spiegato sarcasticamente il Cavaliere durante la conferenza stampa con Vladimir Putin a Villa Gernetto, replicando così a un giornalista che chiedeva il segreto di un "matrimonio felice" in politica. "Non ho avuto risultati particolarmente felici per i matrimoni - ha commentato Berlusconi con un evidente richiamo alla sua situazione personale (un divorzio già consumato e uno, quello con Veronica Lario, in fase di definizione) - quindi, mi astengo dal dare consigli". Evidente il riferimento del premier alle tensioni con Fini, che hanno avuto il loro culmine giovedì scorso alla direzione nazionale del Pdl. Fini, in ogni caso, anche nell'intervista di domenica con Lucia Annunziata su Raitre, ha ribadito di non avere intenzione di lasciare il Pdl e di volere, pur nella differenza di vedute, continuare a contribuire alla crescita del centrodestra. Redazione online 26 aprile 2010
"Elezioni anticipate? Parlarne è da irresponsabili". Ma Calderoli: il rischio c'è Fini: "Non faccio un nuovo partito" Bersani: "Riforme impossibili con il Pdl" Il presidente della Camera: "Faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato" * NOTIZIE CORRELATE * Bossi: "Fini ha esagerato, si dimetta". Berlusconi: "Io non ho mai litigato" (24 aprile 2010) * Berlusconi-Fini, è rottura totale (22 aprile 2010) * I video e le immagini dello scontro "Elezioni anticipate? Parlarne è da irresponsabili". Ma Calderoli: il rischio c'è Fini: "Non faccio un nuovo partito" Bersani: "Riforme impossibili con il Pdl" Il presidente della Camera: "Faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato" Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di 'In mezz'ora' Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di "In mezz'ora" ROMA - Gianfranco Fini non ha alcuna intenzione di dare vita ad altri partiti e intende piuttosto "continuare a discutere dentro il mio partito". Dopo il clamoroso scontro con Silvio Berlusconi durante la direzione nazionale del Pdl, l'ex leader di An va in tv e ribadisce la sua posizione: "Non ci saranno imboscate - dice a "In mezz'ora" su Rai 3 - faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato. La lealtà non può essere acquiescenza". Il programma punta i riflettori in particolare sulle riforme e Fini, come ha fatto durante la direzione del partito, mette le mani avanti: "Dobbiamo essere certi che il federalismo fiscale non metta a rischio l'unità nazionale. Su questo inciderà positivamente la responsabilità del Presidente del Consiglio e anche dei ministri della Lega, a cominciare da Bossi". Il presidente della Camera ha però apprezzato l'intervento di Berlusconi in occasione del 25 aprile: "Ha fatto un discorso alto, nobile, citando i padri fondatori della Repubblica". LO STOP DI BERSANI - Ma sulle riforme è anche il segretario del Pd ad intervenire e a frenare: "È evidente che in questa maggioranza non ci sono le condizioni per affrontare le riforme", dice i leader democratico a Repubblica, e "infatti davanti alla difficoltà di decidere" il premier Silvio Berlusconi "prenderà un pretesto qualsiasi per accelerare verso le elezioni" o "verso un qualsiasi tipo di strappo". "Ho profonda sfiducia che si voglia mettere davvero mano a qualcosa di concreto - aggiunge Bersani -: non ci sono scelte in nessun campo, nè in economia, nè sul terreno istituzionale". NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE -Quanto ai temi sollevati in direzione, Fini ha spiegato di avere sollevato "problemi squisitamente politici" perché "con Berlusconi non c'è una questione personale, ho detto tante volte che lui è il leader". "Io non mi dimetto - ha poi ribadito il presidente della Camera - Sono e sarò invece pronto a discutere di dimissioni nel caso in cui venissi meno ai miei doveri di rispettare e di far rispettare le regole". Non c'è dubbio però che la rottura con il capo del governo, avvenuta davanti alle telecamere, ha lasciato cicatrici profonde che saranno difficilmente rimarginabili. Tanto che qualcuno parla di elezioni anticipate. "Abbiamo tre anni per fare le riforme - è la posizione Fini - parlare adesso di elezioni anticipate è da irresponsabili". E ancora: "Un partito a forte leadership non può cancellare il dissenso, le opinioni diverse. Se ci saranno "epurazioni" dipenderà da Berlusconi, abbiamo messo in conto anche questo. Chi oggi mi sostiene non lo fa certo per interesse". La risposta indiretta a Fini arriva dal leghista Roberto Calderoli: "Discutiamo dei problemi, verifichiamo in aula se c'è un solo Pdl o due. Noi vogliamo un solo interlocutore, questo deve essere chiaro. Se i numeri dicono che il governo ha la forza la forza per avviare il grande cambiamento, si va avanti. Se non ci sono, si decide di conseguenza. Obtorto collo, si va al voto". IL TEMA DELLA GIUSTIZIA - Un altro dei temi affrontati da Fini è stato quello della giustizia: "Non dirò mai che la magistratura sia un cancro o un nemico. La destra è rispetto delle regole, non solo garantismo. La legalità non è garanzia dell'impunità, ma accertamento della verità. Dire questo non significa negare che una parte della magistratura sia iper-politicizzata. Quelli che si riconoscono nelle mie parole chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Siamo favorevoli alla separazione delle carriere, ma nessuno ci chieda un pm dipendente dall'esecutivo".
Redazione online 25 aprile 2010(ultima modifica: 26 aprile 2010)
2010-04-25 25 aprile - le commemorazioni a Roma per il 65esimo anniversario della Liberazione Berlusconi: "Bisogna costruire insieme l'Italia del futuro" Il premier: "Scriviamo una nuova pagina della nostra storia". Contestate Polverini e Moratti * NOTIZIE CORRELATE * Napolitano alla Scala: "Ora basta contrapposizioni" (24 aprile 2010) * Fini: "Non faccio un nuovo partito e non ci saranno imboscate" 25 aprile - le commemorazioni a Roma per il 65esimo anniversario della Liberazione Berlusconi: "Bisogna costruire insieme l'Italia del futuro" Il premier: "Scriviamo una nuova pagina della nostra storia". Contestate Polverini e Moratti Napolitano depone la corona all'Altare della Patria (Blow Up) Napolitano depone la corona all'Altare della Patria (Blow Up) MILANO - "Scriviamo insieme una nuova pagina della storia italiana". Questo uno dei passaggi più importanti del messaggio tv di Silvio Berlusconi in occasione delle celebrazioni del 65esimo anniversario del 25 aprile. "Bisogna costruire insieme uno stato moderno - ha affermato il premier - costruire l'Italia del futuro" andando oltre "il compromesso dei padri costituenti" e accantonando "le differenze politiche". "I nostri padri - ricorda il presidente del Consiglio - seppero accantonare le differenze politiche più profonde e sancirono nella Costituzione repubblicana il miglior compromesso possibile per tutti". "Dopo 65 anni - prosegue - la nostra missione è ora andare oltre quel compromesso e di costruire l'Italia del futuro sempre nel rispetto assoluto dei principi di democrazia e di libertà". "La sfida, ora, è nei fatti - ribadisce Berlusconi - dobbiamo scrivere insieme una nuova, condivisa pagina di storia della nostra democrazia e della nostra Italia". "Il nostro obiettivo - afferma il premier - è quello di rinnovare la seconda parte della Costituzione del 1948, che è già stata in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno, più vicino al popolo, sulla base del federalismo. Uno Stato moderno più efficiente nelle Istituzioni e nell'azione di Governo, uno Stato più equo nell'amministrazione di una giustizia veramente giusta". "Vogliamo farlo insieme a tutte quelle forze politiche che come fecero i nostri padri costituenti non rifiutano a priori il dialogo e hanno a cuore la libertà. Quelle forze politiche che si preoccupano per l'avvenire delle nuove generazioni e che lavorano per il benessere di tutti gli italiani". Il discorso di Berlusconi è stato definito "alto e nobile" dal presidente della Camera Gianfranco Fini. ALTARE DELLA PATRIA - In mattinata, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deposto una corona d’alloro all’Altare della Patria, rendendo omaggio al Milite Ignoto. Accolto dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il capo dello Stato era accompagnato tra gli altri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente della Corte costituzionale, Francesco Amirante, dalla vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, dai vertici delle Forze Armate. Alla cerimonia erano presenti anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e il prefetto della Capitale, Giuseppe Pecoraro. LA CONTESTAZIONE A ROMA- La presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta San Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla "buu, buu" e dal lancio di uova, frutta e alcuni fumogeni. Un limone ha colpito all'occhio il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, che le era accanto. La Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso; ha rinunciato a parlare e ha lasciato la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele "Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita". Anche Zingaretti, che portava visibile il segno del limone che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta San Paolo. La Digos ha poi indentificato i due giovani autori della contestazione, appartenenti ai centri sociali. I due, spiega la Questura, saranno deferiti alla competente autorità giudiziaria. LA CONTESTAZIONE A MILANO - E’ partita con urla e contestazioni contro il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, la manifestazione nazionale del 25 aprile a Milano. Dal corteo blindato dalle forze dell’ordine al grido di "mafiosi", "vergogna", i manifestanti si sono avvicinati al presidente della Provincia scortato dagli uomini della polizia. Il corteo, partito da Porta Venezia, ha raggiunto intanto piazza San Babila e si sta dirigendo verso piazza del Duomo dove si terranno i discorsi conclusivi intorno alle 16. Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, si è unita al corteo in piazza San Babila accolta al suon di "Vattene via petroliera di m...", "Fuori da Milano", "Via i fascisti dal corteo", "La resistenza è partigiana, Moratti te ne devi andare". Redazione online 25 aprile 2010
"Elezioni anticipate? Parlarne è da irresponsabili" Fini: "Non faccio un nuovo partito e non ci sarà nessuna imboscata" Il presidente della Camera: "Faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato" * NOTIZIE CORRELATE * Bossi: "Fini ha esagerato, si dimetta". Berlusconi: "Io non ho mai litigato" (24 aprile 2010) * Berlusconi-Fini, è rottura totale (22 aprile 2010) * I video e le immagini dello scontro "Elezioni anticipate? Parlarne è da irresponsabili" Fini: "Non faccio un nuovo partito e non ci sarà nessuna imboscata" Il presidente della Camera: "Faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato" Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di 'In mezz'ora' Gianfranco Fini e Lucia Annunziata durante la puntata di "In mezz'ora" ROMA - "Voglio sgomberare il campo da un equivoco: non ho intenzione di fare altri partiti ma di continuare a discutere dentro il mio partito". Gianfranco Fini, pochi giorni dopo il clamoroso scontro con Silvio Berlusconi durante la direzione nazionale del Pdl, va in tv e ribadisce la sua posizione. "Non ci saranno imboscate - assicura il presidente della Camera, intervistato da Lucia Annunziata a "In mezz'ora" su Rai 3 - faremo la nostra parte perché il programma di governo sia rispettato. La lealtà non può essere acquiescenza". NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE - L'ex leader di An torna sull'intervento di venerdì davanti al premier e agli altri esponenti del Pdl. "Ho sollevato problemi squisitamente politici - spiega - perché con Berlusconi non c'è una questione personale, ho detto tante volte che lui è il leader". Il premier ha dichiarato che un presidente della Camera deve rimanere super partes, invitandolo esplicitamente a lasciare lo scranno più alto di Montecitorio se vuole avere libertà di critica all'interno del partito. "Io non mi dimetto - risponde Fini. - Sono e sarò invece pronto a discutere di dimissioni nel caso in cui venissi meno ai miei doveri di rispettare e di far rispettare le regole". Non c'è dubbio però che la rottura con il capo del governo, avvenuta davanti alle telecamere, ha lasciato cicatrici profonde che saranno difficilmente rimarginabili. Tanto che qualcuno parla di elezioni anticipate. "Abbiamo tre anni per fare le riforme - risponde Fini - parlare adesso di elezioni anticipate è da irresponsabili". LISTA DEGLI ERETICI - E il futuro del Pdl? "È finita una certa fase, ne inizia un'altra - sostiene il presidente della Camera - Un partito a forte leadership non può cancellare il dissenso, le opinioni diverse. Ma Berlusconi queste cose le sa benissimo. È una questione superata". Fini non rinuncia comunque a togliersi qualche sassolino dalla scarpa: "Il documento della direzione (approvato con soli 12 voti contrari su 172: un testo che in pratica esclude la possibilità di correnti interne nel Pdl, ndr) sembrava fatto apposta per contare gli eretici" afferma". E poi: "Se ci saranno "epurazioni" dipenderà da Berlusconi, abbiamo messo in conto anche questo. Chi oggi mi sostiene non lo fa certo per interesse". "Non credo - rimarca Fini - che la maggioranza ampia del Pdl reputi oggi intelligente fare la lista degli epurandi perché c'è poco di liberale. Faremo delle discussioni sulle modalità con cui far funzionare meglio il partito e nulla più di questo in vista del Congresso". La terza carica dello Stato ricorda poi che Italo Bocchino ha messo a disposizione le sue dimissioni da vice capogruppo dei deputati. "Ma davvero - chiede - oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti o di liste di epurazione". NESSUN PENTIMENTO - Berlusconi l'ha accusata di essersi pentito di aver fondato il Pdl: "Credo di aver fatto quello che dovevo fare anche nei confronti della destra italiana - risponde Fini. - Non sono affatto pentito. Oggi voglio aiutare il partito, e dunque anche il presidente Berlusconi, a migliorare l'azione politica dell'esecutivo, su alcune questioni di cui spero di poter parlare". "Una delle cose emerse chiaramente dalla direzione - spiega ancora Fini - è che la fase 70-30 Forza Italia-An è definitivamente archiviata. Alleanza nazionale non esiste più. Forza Italia non esiste più ma esiste un Pdl in cui c'è una maggioranza e c'è un'area di opinione che su alcune questioni ha delle valutazioni diverse". "Io penso - dice il presidente della Camera - di rappresentare all'interno del Pdl, insieme ad alcuni amici, una certa sensibilità di destra: una destra moderna - sottolinea Fini - una destra che cerca di ascoltare le posizioni dell'altro, una destra che non insulta, che cerca di parlare senza sentenziare, una destra che non ha la bava alla bocca e non vede altro che un nemico, ma invece cerca di dialogare con l'avversario. Una destra siffatta deve, all'interno del Pdl, far sentire la sua voce" FEDERALISMO - L'ex leader di An entra poi nel merito delle riforme da fare: "Dobbiamo essere certi che il federalismo fiscale non metta a rischio l'unità nazionale. Su questo inciderà positivamente la responsabilità del Presidente del Consiglio e anche dei ministri della Lega, a cominciare da Bossi". Fini coglie l'occasione per elogiare proprio Berlusconi e il suo discorso in occasione del 25 aprile: "Ha fatto un discorso alto, nobile, citando i padri fondatori della Repubblica". GIUSTIZIA - Fini affronta anche il tema giustizia: "Non dirò mai che la magistratura sia un cancro o un nemico". "La destra - prosegue - è rispetto delle regole, non solo garantismo. La legalità non è garanzia dell'impunità, ma accertamento della verità. Dire questo non significa negare che una parte della magistratura sia iper-politicizzata. Quelli che si riconoscono nelle mie parole chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Siamo favorevoli alla separazione delle carriere, ma nessuno ci chieda un pm dipendente dall'esecutivo". Redazione online 25 aprile 2010
Pdl, Bocchino: "Accelerare il congresso" Bossi: "Fini ha esagerato, si dimetta" Berlusconi: "Io non ho mai litigato" L'attacco in prima pagina domenica su "La Padania". Bersani: "Le opposizioni siano unite" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi-Fini, è rottura totale (22 aprile 2010) * I video e le immagini dello scontro Pdl, Bocchino: "Accelerare il congresso" Bossi: "Fini ha esagerato, si dimetta" Berlusconi: "Io non ho mai litigato" L'attacco in prima pagina domenica su "La Padania". Bersani: "Le opposizioni siano unite" MILANO - Dopo lo scontro in diretta tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini in direzione nazionale, il leader della Lega Nord Umberto Bossi torna ad attaccare il presidente della Camera sulle pagine della Padania. Il quotidiano del Carroccio che sarà in edicola domenica titola a tutta pagina "Non c'è unità senza federalismo". Nel sottotitolo la frase del senatur: "Fini ha esagerato, ha detto bugie ed è un problema se resta, si dimetta". Poi l'analisi di Roberto Calderoli, che definisce una "polpetta avvelenata" la proposta del segretario del Pd Pierluigi Bersani di un "patto" per le riforme e per superare la crisi economica. Poi un commento all'intervento del capo dello Stato per la celebrazione del 25 aprile: "Bene le parole di Napolitano sulle autonomie. I territori valore aggiunto del paese". BERLUSCONI: MAI LITIGATO - Da Berlusconi, che ha partecipato alla commemorazione del 25 Aprile alla Scala di Milano con il presidente Napolitano, arrivano invece frasi concilianti. "Non sono mai stato protagonista di burrasche. Io non ho mai litigato, anche perché per litigare bisogna essere in due e l'ho detto anche a chi ha cercato di farlo". "Sono sempre stato sereno - ha proseguito Berlusconi - non ho mai dato risposte piccate in tanti mesi e continuo ad essere sereno, convinto di quello che sto facendo. Io poi, ad una età in cui sono in pace con me stesso, non ho rimpianti, non ho rimorsi, non ho mai fatto male a qualcuno e quando vado a letto alla sera, mi guardo allo specchio e dico: se stasera l'Angelo della morte arriva mi prende con la coscienza pulita". SFIDA A DISTANZA IN TV - Domenica, intanto, è atteso il messaggio tv del presidente del Consiglio che verterà sulla festa del 25 aprile. Ci sarà quasi una sfida a distanza con Gianfranco Fini, dopo lo scontro alla direzione Pdl di giovedì scorso, visto che il presidente della Camera sarà ospite di Lucia Annunziata nella trasmissione "In mezz'ora". "CONDIVISIONE PER LE RIFORME" - Berlusconi ha quindi ribadito la necessità di una condivisione per la realizzazione delle riforme. "Nelle celebrazioni di oggi - ha spiegato il presidente del Consiglio - abbiamo voluto sottolineare che è importante non soltanto l'unità d'Italia ma, su certi temi, l'unità di tutte le forze politiche che in Parlamento rappresentano il popolo italiano. Quando si pensa alle riforme, soprattutto dell’architettura istituzionale del Paese attraverso una legge costituzionale, l’auspicio è che ci sia la massima condivisione e partecipazione a una fase dialettica e poi una di approvazione". IL DIBATTITO NEL PDL - Intanto, il Pdl si interroga sulla possibilità di coesistenza tra le due diverse anime all'interno del partito. E anche sul futuro del governo. La stragrande maggioranza del partito è con il premier - lo dimostrano i voti al documento finale approvato giovedì - ma i finiani non vogliono farsi da parte. "Bisogna recuperare gli aspetti positivi di quanto accaduto - afferma in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera - accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, spera dal canto suo che "ci sia un miracolo e che questo contrasto interno al Pdl venga superato. È molto importante per tutti noi, per il Governo e per il centrodestra". Ma lo strappo di Fini ha lasciato più ferite di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia della direzione. Tanto che molti esponenti di area ex An hanno deciso di sfilarsi in maniera esplicita dalle posizioni del presidente della Camera: crescono infatti le adesioni al documento promosso dai 75 parlamentari nel quale si riconosce, tra l'altro, come scelta giusta e irreversibile la fondazione del Popolo della Libertà, al cui rafforzamento si impegnano tutti a contribuire dall'interno. Su un totale di circa 120, tra consiglieri regionali e assessori di area ex An, hanno firmato già in 100 il documento che ha tra i promotori Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Gianni Alemanno, Giorgia Meloni. BERSANI - Intanto il leader Pd, Pierluigi Bersani, chiama a raccolta le opposizioni: "Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe - afferma - gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani - ad una situazione estremamente confusa. Il Paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". Da qui l'imprevedibilità dello scontro nel centrodestra e la necessità per Bersani di accelerare il confronto nelle opposizioni. RUTELLI- Lo scontro tra Fini e Berlusconi provoca reazioni anche all'esterno del Pdl. Francesco Rutelli, a margine dell'assemblea di Alleanza per l'Italia, ammette di aver parlato con il presidente della Camera. "Lui è un interlocutore, ma sarà lui a decidere del suo destino, del rapporto con le altre forze. A Fini va riconosciuta dignità per la sua scelta - aggiunge Rutelli - ci sono momenti nella storia della politica in cui i cambiamenti li fanno le minoranze. Forse più che le maggioranze osannanti, in un Paese come il nostro, aiutano di più le minoranze creative". Quanto poi alla possibilità di un ingresso di Luca Cordero di Montezemolo in politica per la costruzione di un terzo polo, Rutelli ha espresso "la speranza che ci siano tante forze che si mettano in campo con coraggio, l’Italia ha bisogno di gente coraggiosa, quali saranno queste persone lo dirà la storia". I VERDI: "PRONTI A UN CNL". ROTONDI: "PURA FANTASIA" - All'appello di Bersani i primi a rispondere sono stati i Verdi, che si sono detti "pronti ad un Comitato di Liberazione Nazionale con tutte le forze politiche che vogliono liberare la democrazia italiana". Lo dichiarato il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. Le differenze politiche fra le forze di opposizioni, parlamentari e non esistono ma ora più che mai è necessario superare i distinguo perché in gioco c'é il futuro del paese e quello della democrazia italiana". A Bersani ha anche replicato il ministro per l'Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi: "Bersani fa appello alle opposizioni per un patto contro quella che lui chiama la "deriva" della maggioranza? Pura fantasia". Redazione online 24 aprile 2010(ultima modifica: 25 aprile 2010)
2010-04-24 Tensioni in piazza tra lavoratori del teatro e polizia Napolitano: "Rafforzare 25 aprile per creare un nuovo clima" Il presidente ricorda Pertini e si commuove. "Uscire da contrapposizioni, convergere su interesse del Paese" Tensioni in piazza tra lavoratori del teatro e polizia Napolitano: "Rafforzare 25 aprile per creare un nuovo clima" Il presidente ricorda Pertini e si commuove. "Uscire da contrapposizioni, convergere su interesse del Paese" Napolitano e Berlusconi entrano alla Scala (Balestra) Napolitano e Berlusconi entrano alla Scala (Balestra) MILANO - Per Giorgio Napolitano "il 25 aprile non è solo Festa della Liberazione: è festa della riunificazione d'Italia". Nel suo intervento al Teatro La Scala per il 65mo anniversario della Liberazione, il Presidente della Repubblica ha rievocato lo spirito che animò i Costituenti e auspicato che questo anniversario sia celebrato con "una rinnovata identità e unità della nazione italiana". "Mi auguro che con questo spirito si celebri il 65mo anniversario della Liberazione e della riunificazione d'Italia", ha affermato Napolitano, il quale ha citato un brano del discorso pronunciato da Silvio Berlusconi, presente in platea, lo scorso 25 aprile a Onna, in Abruzzo. "Il nostro Paese ha un debito inestinguibile - ha detto un anno fa in un impegnativo discorso ad Onna il presidente del Consiglio - verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l'onore della patria". Berlusconi - ha ricordato Napolitano, ricordò "con rispetto "tutti i caduti, senza che questo significhi neutralità o indifferenza"". "Si tratta in effetti - ha sostenuto il Capo dello Stato - di celebrare il 25 aprile nel suo profondo significato nazionale; ed è così che si stabilisce un ponte ideale con il prossimo centocinquantesimo anniversario della nascita dello Stato unitario". SUPERARE LE CONTRAPPOSIZIONI - L'esigenza di uno sforzo collettivo, ha sottolineato il capo dello Stato, "non può essere respinta, quello sforzo non può essere rifiutato come se si trattasse di rimuovere ogni conflitto sociale e politico, di mortificare una naturale dialettica, in particolare tra forze di maggioranza e forze di opposizione". Non è questo, dice il presidente della Repubblica, ma la richiesta di superare quell'insieme di contrapposizioni "che blocca il riconoscimento di temi e impegni di più alto interesse nazionale, tali da richiedere una limpida e mirata convergenza tra forze destinate a restare distinte in una democrazia dell'alternanza". IL "NUOVO CLIMA" - Occorre insomma creare "questo nuovo clima" e a ciò possono contribuire i cittadini, "può contribuire non poco il diffondersi tra gli italiani di un più forte senso dell'identità e unità nazionale. Così ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, dunque al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche che segnano il terreno della politica". "Le condizioni sono ormai mature - ha concluso - per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza, per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura. Vedo in ciò una premessa importante di quel libero, lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario di cui ha bisogno oggi il Paese, di cui ha bisogno oggi l'Italia". Il passaggio finale è stato salutato da un lungo applauso. Napolitano e Letizia Moratti (Newpress) Napolitano e Letizia Moratti (Newpress) IL RICORDO DI PERTINI - Il Presidente ha avuto alcuni momenti di commozione quando ha ricordato il suo predecessore Sandro Pertini nelle sue azioni da partigiano. Anche il pubblico, alla prima citazione del nome di Pertini, ha fatto un lunghissimo applauso. Napolitano non ha nascosto il suo disappunto per il fatto che a Sandro Pertini non sia stato dedicato, fino ad oggi, dedicato qualche cosa come accade in altri paesi che "onorano e fanno vivere le figure dei maggiori rappresentanti della storia, per quanto travagliata, della nazione". LE OMBRE DELLA RESISTENZA - Napolitano ha sottolineato come parlando della Resistenza non si debbano "tacere i limiti e le ombre" anche del movimento partigiano. "Personalmente - ha detto - ho più volte ribadito come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della Resistenza e in particolare del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre, come se ne possano mettere a confronto diverse letture e interpretazioni: senza che ciò conduca, sia chiaro, a sommarie svalutazioni e inaccettabili denigrazioni". "È comunque un fatto - ha proseguito - che anche studiosi attenti a cogliere le molteplici dimensioni del fenomeno della Resistenza compresa quella di guerra civile, non ne abbiano certo negato e sminuito quella di guerra patriottica". "DIVIDERE L'ITALIA? FUORI DALLA STORIA" - "Solo se ci si pone fuori dalla storia e dalla realtà, si possono evocare con nostalgia, o tornare a immaginare, più entità statuali separate nella nostra penisola" ha detto Napolitano. L'unità conquistata 150 anni fa "rappresenta una conquista e un ancoraggio irrinunciabile, non può formare oggetto di irrisione, né considerarsi un mito obsoleto, un residuo del passato". Interpellato dai giornalisti su questo passaggio, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli ha dichiarato: "Ho ascoltato le parole del presidente della Repubblica Napolitano, in particolare per quel che riguarda il federalismo, gli rivolgo un applauso e questo mi fa condividere la sua posizione rispetto all'unità del Paese. Non può esserci federalismo senza unità, ma ai giorni nostri, nel contempo, non può esserci unità senza federalismo". LE PROTESTE - Urla di protesta si sono sentite dalle quinte del Teatro alla Scala mentre Napolitano stava leggendo il suo discorso all'interno del Teatro: "Non firmare, non firmare", hanno gridato i lavoratori della Scala, subito dopo avergli dedicato un lungo applauso, alludendo al decreto sulle Fondazioni liriche contro il quale protestano da mesi. Tensioni in piazza Scala, dove nel pomeriggio si sono fronteggiati un centinaio di lavoratori del teatro e gli agenti della polizia. Inizialmente i manifestanti hanno provato a mostrare uno striscione a pochi passi dal teatro milanese, poi sono stati invitati dagli agenti ad allontanarsi e si sono spostati dal lato di Palazzo Marino, sede del Comune, dove sono stati bloccati da altri agenti in tenuta antisommossa. Diversi gli spintoni tra poliziotti e lavoratori, ai quali è stato impedito di raggiungere il centro della piazza. Tra i manifestanti anche alcuni orchestrali che hanno abbozzato un'aria di Astor Piazzolla, mentre alcuni componenti del coro hanno cantato il "Va pensiero". In piazza anche Piero Ricca, a cui è stato sequestrato il megafono. IL CONCERTO - Napolitano è arrivato in mattinata all'Auditorium di Milano per assistere al concerto "Il Canto Sospeso" in memoria di Luigi Nono, di cui ricorre il ventesimo anniversario della morte. Con lui hanno assistito al concerto il sindaco, Letizia Moratti, ed il presidente della Provincia, Guido Podestà. Al termine del brano, accolto con calore dalla platea, il capo dello Stato ha lasciato l'auditorium per un colloquio con Podestà nella sede della Provincia. Ha quindi avuto un incontro in Prefettura con alcuni lavoratori della azienda Agile ed ex Eutelia e con i dipendenti della Scala. L'ARRIVO ALLA SCALA - Alle 17 è iniziata la commemorazione alla Scala. Un lungo applauso, durato oltre due minuti, ha accompagnato l'ingresso di Napolitano, al quale è venuto incontro il premier Silvio Berlusconi, che era giunto al teatro pochi minuti prima e ha detto ai giornalisti: "Sono radioso". Il presidente della Repubblica, accompagnato da Berlusconi, ha preso posto al centro del teatro ed in piedi ha ascoltato l'inno nazionale diretto da Daniel Baremboim. Alla sinistra del Capo dello Stato la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, alla destra di Berlusconi il vicepresidente del Senato Vannino Chiti. Presenti inoltre il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e quello della Provincia, Guido Podestà, il sindaco di Milano Letizia Moratti e numerose personalità del mondo politico locale. Presenti anche molti esponenti politici del Pd, tra i quali Piero Fassino, e numerosi ex partigiani aderenti all'Anpi. Piccolo fuori programma al termine dell'inno nazionale: dai palchi si è levato il grido "Viva l'Italia!". Dopo una breve proiezione video su Arturo Toscanini, costretto dai fascisti a trasferirsi negli Stati Uniti dopo che si rifiutò di eseguire "Giovinezza", il capo dello Stato ha tenuto il suo discorso. Nel foyer della Scala, in attesa dell'arrivo di Napolitano, Berlusconi si è brevemente intrattenuto a parlare con Rosy Bindi e Vannino Chiti. GLI APPLAUSI - La conclusione del discorso di Giorgio Napolitano al teatro alla Scala è stato accolto da un lunghissimo applauso di tutto il pubblico che si è levato in piedi ed ha applaudito per cinque minuti. Ad applaudire, fra gli altri, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha scambiato qualche battuta amichevole con la vicepresidente della Camera Rosy Bindi. Quando Napolitano è rientrato in sala ed ha scambiato una stretta di mano con Berlusconi, da alcuni palchi si sono levati dei fischi. Napolitano si è congedato ed è partito per fare rientro in serata al Quirinale. IL COMMENTO DI BERLUSCONI - Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha molto apprezzato il discorso di Napolitano. "Un intervento assolutamente positivo - ha commentato all’uscita il premier -, apprezzabile e per certi versi anche eccezionale per celebrare questa ricorrenza". Quanto al passaggio del discorso del capo dello Stato che invitava le forze politiche a superare le contrapposizioni per il bene comune del Paese, il miglioramento del clima tra loro, Berlusconi ha detto: "Ne sono assolutamente convinto. Opero e mi attivo in quella direzione da sempre". Redazione online 24 aprile 2010(ultima modifica: 25 aprile 2010)
UNA RICORRENZA DA TENERE STRETTA Il significato di una festa UNA RICORRENZA DA TENERE STRETTA Il significato di una festa Mentre onoriamo il 25 Aprile dovremmo chiederci perché questa giornata sia stata spesso faticosamente festeggiata e abbia diviso gli italiani piuttosto che unirli. Se vogliamo che la data diventi davvero nazionale, dovremmo parlarne con franchezza e senza infingimenti retorici. In primo luogo il 25 Aprile segna la fine di una guerra civile, vale a dire la conclusione di una vicenda in cui parole come patria e onore hanno avuto per molti italiani significati diversi. Sappiamo che i fascisti di Salò sbagliarono, ma non possiamo ignorare che erano anch’essi italiani e che molti fecero la loro scelta in buona fede. Era difficile immaginare che il 25 Aprile potesse venire festeggiato con lo stesso entusiasmo e la stessa partecipazione da chi aveva militato in campi diversi. In secondo luogo il Partito comunista si attribuì il merito della vittoria e divenne il maggiore e più interessato regista delle celebrazioni. Eravamo — è bene ricordarlo — negli anni della guerra fredda, quando il Pci, pur essendo alquanto diverso da quello dell’Urss, ne era pur sempre il "fratello " e ne adottava, quasi sempre disciplinatamente, le linee di politica estera. Non sorprende che a molti italiani il 25 Aprile sembrasse il travestimento patriottico di una strategia che non poteva essere nazionale. I partiti democratici, dalla Dc alla social-democrazia, ne erano consapevoli. Ma non potevano rinunciare a celebrare la Resistenza e cercarono di salvare il 25 Aprile dall’abbraccio mortale del Pci descrivendo quel giorno come la conclusione vittoriosa della "quarta guerra d’indipendenza". La definizione ebbe una certa fortuna sino a quando il Risorgimento non cominciò a perdere, per una parte crescente della società nazionale, il suo valore positivo e divenne "rivoluzione tradita" per alcuni, conquista coloniale per altri, operazione fallita per molti. Non esiste più il Pci, ma esiste un partito anti- risorgimentale composto da persone che non hanno altro punto in comune fuorché un certo rancore per il principio stesso dell’unità nazionale: leghisti, legittimisti borbonici, anarchici, cattolici reazionari, nostalgici di Maria Teresa, di Francesco Giuseppe, del Granduca di Toscana. Già danneggiato dall’uso che ne fece il Pci, il 25 Aprile non sembra oggi commuovere e interessare, se non per motivi strumentali e occasionali, coloro che non credono nell’unità nazionale. Continuo a pensare e a sperare che questi sentimenti siano una febbre passeggera, provocata dalle scosse di assestamento di uno Stato che non è ancora riuscito a rinnovare le sue istituzioni. Nel frattempo, tuttavia, faremmo bene a ricordare che il 25 Aprile ebbe meriti a cui tutti dovremmo essere sensibili. Penso ai morti della guerra civile e al significato simbolico che la Resistenza ebbe per la credibilità dell’Italia dopo la fine del conflitto. Penso soprattutto al fatto che i partigiani insorsero nelle città del Nord prima dell’arrivo degli Alleati e dimostrarono così al mondo, come ha ricordato il presidente della Repubblica nel suo discorso di ieri alla Scala, che gli italiani volevano essere padroni a casa loro. Se non vogliamo che anche questa pagina della nostra storia venga dimenticata, teniamoci stretto il 25 Aprile. Sergio Romano 25 aprile 2010
Pdl, Bocchino: "Accelerare il congresso" Berlusconi: "Io non ho mai litigato" Bersani: "Opposizioni siano unite" Il premier: mai stato protagonista di burrasche. Il leader Api: "Ho sentito il presidente della Camera" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi-Fini, è rottura totale (22 aprile 2010) * I video e le immagini dello scontro Pdl, Bocchino: "Accelerare il congresso" Berlusconi: "Io non ho mai litigato" Bersani: "Opposizioni siano unite" Il premier: mai stato protagonista di burrasche. Il leader Api: "Ho sentito il presidente della Camera" Un momento dello scontro tra Fini e Berlusconi (Ansa) Un momento dello scontro tra Fini e Berlusconi (Ansa) MILANO - Un weekend di riflessione. Dopo lo scontro in diretta tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini in direzione nazionale, il Pdl si interroga sulla possibilità di coesistenza tra le due diverse anime all'interno del partito. E anche sul futuro del governo. Da Berlusconi, che ha partecipato alla commemorazione del 25 Aprile alla Scala di Milano con il presidente Napolitano, arrivano frasi concilianti. "Non sono mai stato protagonista di burrasche. Io non ho mai litigato, anche perché per litigare bisogna essere in due e l'ho detto anche a chi ha cercato di farlo". "Sono sempre stato sereno - ha proseguito Berlusconi - non ho mai dato risposte piccate in tanti mesi e continuo ad essere sereno, convinto di quello che sto facendo. Io poi, ad una età in cui sono in pace con me stesso, non ho rimpianti, non ho rimorsi, non ho mai fatto male a qualcuno e quando vado a letto alla sera, mi guardo allo specchio e dico: se stasera l'Angelo della morte arriva mi prende con la coscienza pulita". IL DIBATTITO NEL PDL - Intanto, la stragrande maggioranza del partito è con il premier - lo dimostrano i voti al documento finale approvato giovedì - ma i finiani non vogliono farsi da parte. "Bisogna recuperare gli aspetti positivi di quanto accaduto - afferma in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera - accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, spera dal canto suo che "ci sia un miracolo e che questo contrasto interno al Pdl venga superato. È molto importante per tutti noi, per il Governo e per il centrodestra". Ma lo strappo di Fini ha lasciato più ferite di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia della direzione. Tanto che molti esponenti di area ex An hanno deciso di sfilarsi in maniera esplicita dalle posizioni del presidente della Camera: crescono infatti le adesioni al documento promosso dai 75 parlamentari nel quale si riconosce, tra l'altro, come scelta giusta e irreversibile la fondazione del Popolo della Libertà, al cui rafforzamento si impegnano tutti a contribuire dall'interno. Su un totale di circa 120, tra consiglieri regionali e assessori di area ex An, hanno firmato già in 100 il documento che ha tra i promotori Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Gianni Alemanno, Giorgia Meloni. RUTELLI - Lo scontro tra Fini e Berlusconi provoca reazioni anche all'esterno del Pdl. Francesco Rutelli, a margine dell'assemblea di Alleanza per l'Italia, ammette di aver parlato con il presidente della Camera. "Lui è un interlocutore, ma sarà lui a decidere del suo destino, del rapporto con le altre forze. A Fini va riconosciuta dignità per la sua scelta - aggiunge Rutelli - ci sono momenti nella storia della politica in cui i cambiamenti li fanno le minoranze. Forse più che le maggioranze osannanti, in un Paese come il nostro, aiutano di più le minoranze creative". Quanto poi alla possibilità di un ingresso di Luca Cordero di Montezemolo in politica per la costruzione di un terzo polo, Rutelli ha espresso "la speranza che ci siano tante forze che si mettano in campo con coraggio, l’Italia ha bisogno di gente coraggiosa, quali saranno queste persone lo dirà la storia". BERSANI - Intanto il leader Pd, Pierluigi Bersani, chiama a raccolta le opposizioni: "Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe - afferma - gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani - ad una situazione estremamente confusa. Il Paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". Da qui l'imprevedibilità dello scontro nel centrodestra e la necessità per Bersani di accelerare il confronto nelle opposizioni. I VERDI: "PRONTI A UN CNL". ROTONDI: "PURA FANTASIA" - All'appello di Bersani i primi a rispondere sono stati i Verdi, che si sono detti "pronti ad un un Comitato di Liberazione Nazionale con tutte le forze politiche che vogliono liberare la democrazia italiana". Lo dichiarato il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli. Le differenze politiche fra le forze di opposizioni, parlamentari e non esistono ma ora più che mai è necessario superare i distinguo perché in gioco c'é il futuro del paese e quello della democrazia italiana". A Bersani ha anche replicato il ministro per l'Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi: "Bersani fa appello alle opposizioni per un patto contro quella che lui chiama la "deriva" della maggioranza? Pura fantasia". Redazione online 24 aprile 2010
L'intervista alla presidente della commissione giustizia alla camera Bongiorno: non ce ne andiamo Mai i pm sotto il governo "Berlusconi? Non corrispondo alla sua idea di donna. Sorpresa che siamo rimasti così pochi con Fini" L'intervista alla presidente della commissione giustizia alla camera Bongiorno: non ce ne andiamo Mai i pm sotto il governo "Berlusconi? Non corrispondo alla sua idea di donna. Sorpresa che siamo rimasti così pochi con Fini" Giulia Bongiorno (Ansa) Giulia Bongiorno (Ansa) ROMA — Giulia Bongiorno, Berlusconi l'ha chiamata in causa di persona, in quanto presidente della Commissione Giustizia della Camera. Lei finora ha sempre taciuto. "A dire il vero, succede da mesi. Ogni volta che vado a Palazzo Grazioli a parlare di giustizia, il giorno dopo leggo sui giornali che Berlusconi avrebbe detto: "Levatemela di torno". Frasi come frecce dalla foresta. Ora leggo che la seconda delle condizioni che Berlusconi aveva posto a Fini, dopo il "basta con il controcanto", era appunto il "basta con i giudizi critici della Bongiorno". L'avvocato Coppi è rimasto senza fiato: "Davvero ti hanno chiesto di non dare più giudizi critici?". E lei cos'ha risposto? "Io non so se essere più sorpresa o amareggiata. Contraddicevo Andreotti, che pure mi considera una specie di figlia. Basta un'obiezione tecnica a Berlusconi per sentirsi dire "levatemela dai piedi"". Perché lei non piace a Berlusconi? Non corrisponde alla sua idea di donna? O alla sua idea di riforma della giustizia? "Di sicuro non corrispondo alla sua idea di donna. In tema di giustizia, condivido gli stessi obiettivi di Berlusconi: la riduzione delle intercettazioni, la separazione delle carriere, il nuovo modo di eleggere il Csm. Semplicemente, ho proposto e propongo un diverso percorso per arrivarci". Il prossimo nodo sono le intercettazioni. "Il testo uscito dalla Camera mi pareva un buon compromesso. Vedremo le novità in arrivo dal Senato. Ci sono stati richiami di Napolitano che credo vadano accolti. Io condivido la necessità di evitare l'abuso di intercettazioni. Mi sono opposta e mi opporrei a vietarle per il reato di corruzione, che rappresenta per me un reato di gravissimo allarme sociale: perché lede il merito, elude il valore". Berlusconi considera la riforma della giustizia la priorità. "Sono d'accordo: facciamola, non sprechiamo l'occasione. Ma qualsiasi riforma dovrà avere come primo punto una maggiore efficienza. Attendere otto anni per una sentenza penale significa fare impazzire di dolore la vittima, e sanzionare un uomo che non è più lo stesso. Per l'efficienza però occorrono risorse che al momento non ci sono. Purtroppo la giustizia è considerata una materia politicamente senza appeal. Ricordo i primi comizi. Mi raccomandavano: "Non parlare di giustizia, che la gente si annoia. Devi dire: sicurezza". Come se fosse importante solo fare gli arresti, non i processi". Lei fece assolvere Andreotti, è considerata una garantista. Come mai con Berlusconi non vi siete intesi? "Io sono garantista. E sono una moderata. I diritti della difesa per me sono sacri; ma non coincidono con la garanzia di "sacche di impunità", come ha detto giustamente Fini. Noi abbiamo votato il Lodo Alfano e voteremo il suo inserimento in Costituzione, perché Fini ha sempre riconosciuto che esiste un accanimento giudiziario contro Berlusconi; ma abbiamo fermato la prescrizione breve — che è altra cosa dal processo breve —, perché avrebbe fatto saltare 600 mila processi". Fini l'ha ricordato a Berlusconi, che non ha apprezzato. "Però è la verità. Siamo favorevoli alla separazione delle carriere e alla parità tra accusa e difesa, ma c'è modo e modo di ottenerla. Ci opporremmo a qualsiasi meccanismo che mettesse i pm sotto il controllo dell'esecutivo. Perché i governi cambiano, e non è detto che il prossimo sia garantista". A proposito, ci sono i numeri in Parlamento per un altro governo? "Escludo nel modo più assoluto che Fini abbia in mente un disegno del genere". Non tira aria di elezioni anticipate? "Non mi sembrano né prevedibili né auspicabili. E comunque la decisione spetta al capo dello Stato". Cosa succede ora? Lascerete il Pdl e i vostri incarichi? "Noi non ce ne andiamo. Restiamo, e non faremo nulla di quel che ci viene attributo. Nessun boicottaggio, per intenderci. Certo continueremo a esprimere le nostre idee, anche se dissonanti". Fini non si dimette dalla presidenza della Camera quindi? E lei? "Fini l'ho sentito poco fa. Ovviamente non si dimette. Io farò quel che lui mi chiederà di fare. In ogni caso il problema si risolverà da sé: le presidenze di commissione scadono tra poco. Leggo che circolano liste di proscrizione. Vedremo cosa farà Berlusconi. Per me non fa una gran differenza, visto che resterò al fianco di Fini come consigliere giuridico". Non siete rimasti in tanti. "Molti di noi, me compresa, in direzione non hanno diritto di voto. Però è vero: mi ha sorpreso vedere che siamo rimasti così in pochi. Ma forse la mia sorpresa dipende dal fatto che non sono da molto tempo in politica. Certo la mia è una posizione privilegiata: ho un mestiere, sono tra i primi contribuenti della Camera, anche se non tra i più ricchi; semplicemente, se solo ricevo un euro faccio subito fattura. Ricordo che Fini ci ha detto una frase che mi ha molto colpito: "Chi resterà con me perderà quote di potere". All'evidenza, non tutti erano pronti". I "colonnelli" erano da tempo vicini a Berlusconi. "Ma ricordo che, quando esisteva ancora An, Fini nel partito era adorato". Dicono che non è colpa loro se lui non è più di destra. "Questa storia del cambiamento di Fini andrebbe approfondita. Io l'ho conosciuto bene, gli sono stata vicina in questi cinque anni in cui la sua vita in effetti è cambiata molto. Sono madrina di sua figlia Carolina. Le assicuro che Fini è un uomo di profonda coerenza". Sicura sicura? "Prendiamo la legalità. In An era considerata il primo valore della destra. Ma dov'erano in questi due anni gli ex dirigenti di An, quando se non fosse stato per noi sarebbero saltati 600 mila processi? Quanto sta loro a cuore la battaglia di destra della legalità? Il punto è che la battaglia per la legalità l'ha fatta Fini, quasi da solo". Nascerà al centro il "partito della nazione"? "Fini non ce ne ha mai parlato. Sono sicura che fino all'ultimo secondo giocherà la sua partita dentro il Pdl". L'ultimo secondo potrebbe essere vicino. Non ha la sensazione che Berlusconi voglia mandarvi via? "In effetti c'era la possibilità di trovare punti di contatto, ma è stata lasciata cadere. Se nel documento finale fosse stato indicato l'impegno di tutto il partito a sostenere il programma di governo, noi l'avremmo votato. Ma il documento è stato scritto nella logica opposta". Sta dicendo che Berlusconi ha cercato la rottura? "Non dico questo. Certo la scaletta della giornata è stata costruita palesemente per isolare Gianfranco". Che effetto le fa l'accelerazione di Bossi nell'intervista alla Padania? "E' evidente che Bossi e Berlusconi si muovono in sintonia per minimizzare le questioni che pone Fini. Ma noi non vi rinunceremo. Voglio credere che sia ancora possibile farlo. Certo dopo la direzione nulla sarà più come prima". Aldo Cazzullo 24 aprile 2010
IL LeADER DEL CARROCCIO: "SILVIO Avrebbe dovuto sbattere subito fuori gianfranco" Bossi: "Fini alla Camera? E' un problema" E Berlusconi: no a un nuovo predellino Il Senatùr sullo scontro premier-Fini: "Io sono per la mediazione ma la gente del Nord è arrabbiatissima" * NOTIZIE CORRELATE * Berlusconi-Fini, è rottura totale * Il premier: "Fini si allinei o è fuori" di M. Galluzzo * Direzione Pdl, la cronaca via sms IL LeADER DEL CARROCCIO: "SILVIO Avrebbe dovuto sbattere subito fuori gianfranco" Bossi: "Fini alla Camera? E' un problema" E Berlusconi: no a un nuovo predellino Il Senatùr sullo scontro premier-Fini: "Io sono per la mediazione ma la gente del Nord è arrabbiatissima" Umberto Bossi e Gianfranco fini in una foto d'archivio (Emblema) Umberto Bossi e Gianfranco fini in una foto d'archivio (Emblema) ROMA - Per il leader della Lega, Umberto Bossi, nel confronto con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ieri il presidente della Camera Gianfranco Fini "ha esagerato". E il fatto che ricopra ancora il ruolo di numero uno di Montecitorio "è un problema". Il Senatùr, che ha scambiato con i cronisti alcune considerazioni sull’attualità politica lasciando la sede della Lega in via Belllerio, ha riferito di aver parlato oggi con Berlusconi "solo di sfuggita, ho visto che era ancora un po’ provato". Riguardo il comportamento di Fini, il leader del Carroccio ha affermato: "Ha esagerato, per tanti versi racconta delle bugie. E poi ha esagerato", ha insistito. Alla domanda specifica, ovvero se a suo parere debba ora dimettersi da presidente della Camera, Bossi ha replicato: "E’ un problema, è un problema. Dipende se è un uomo d’onore...". "Sono convinto che il governo va avanti, che va avanti lo stesso" ha poi aggiunto. E ancora: "Senza riforme bisogna andare alle elezioni anticipate". LO SCENARIO - Il ministro delle Riforme, dunque, non fa marcia indietro e non attenua i toni rispetto alle dichiarazioni diffuse in mattinata dalle pagine della Padania, il quotidiano dei Lumbard. Nel corso delle quali aveva parlato di un "crollo verticale del governo", senza fare mistero delle sue perplessità circa la buona tenuta dell'alleanza Pdl-Lega. Contemporaneamente, Silvio Berlusconi aveva approfittato di uno scambio di battute con un fotografo per spiegare che non ci sarà un nuovo predellino, perché "certe cose non si ripetono mai". Stati d'animo diversi all'interno della maggioranza, all'indomani dell'infuocata direzione del Pdl, teatro dello scontro diretto in pubblico tra il premier e Gianfranco Fini. Berlusconi e Bossi si sono incontrati in giornata al termine del Consiglio dei ministri. Dopo, il premier si è riunito anche con i ministri Pdl, fra cui La Russa e Ronchi. L'AFFONDO DEL SENATÙR - Alle pagine della Padania il Senatùr affida un vero e proprio affondo nei confronti del presidente della Camera (oltre che un avvertimento al capo del governo) "Siamo davanti a un crollo verticale del governo e probabilmente di un'alleanza, quella di Pdl e Lega" tuona il Senatùr, apostrofando il leader di Montecitorio come "invidioso e rancoroso per le nostre ripetute vittorie". "Io sono per la mediazione, certo, ma la gente del Nord, i leghisti, sono arrabbiatissimi, è un vero bombardamento di persone che non ne possono più di rinvii e tentennamenti" precisa poi il numero uno del Carroccio all'Ansa. "Noi vogliamo fare le riforme, i miei vogliono le riforme" aggiunge il Senatùr "e io devo interpretare le richieste della base, della gente che è stufa". "Non vogliamo - spiega - gettare benzina sul fuoco ma la gente del Nord è stufa marcia, basta ascoltare quel che dice la gente per strada o alla radio. Riforme subito!". "Diciamo che il meccanismo del federalismo resta in piedi. Ma deve essere fatto subito" aggiunge il ministro leghista interpellato a proposito delle sue affermazione sulla possibile fine dell'alleanza Lega-Pdl. IL PREMIER E IL PREDELLINO - Il predellino invece da cui trae spunto Berlusconi è quello, vero, del Suv della Uaz che il premier ha acquistato per una scommessa con Vladimir Putin e che gli è stato consegnato a Palazzo Chigi ("l'ho regalato a La Russa). Ma c'è anche il predellino "virtuale", quello dal quale nacque il Pdl. Bella occasione per una battuta del premier. "Vedo che c'è un meraviglioso predellino", ha detto riferendosi al fiammante 4x4 punzonato con il numero 001 in suo onore. A quel punto uno dei fotografi presenti gli ha chiesto di salirci sopra per uno scatto. Ma Berlusconi, scherzando, ha risposto: "No, no, certe cose non si ripetono mai: buona la prima". "FINI VECCHIO GATTOPARDO DC" - Nell'intervista alla Padania, Bossi non ha certo usato mezzi termini nel parlare di Fini, accusandolo di aver "rinnegato il patto iniziale" e di non aver fatto altro "che cercare di erodere in continuazione ciò che avevamo costruito". Per il capo della Lega, il presidente della Camera è "un vecchio gattopardo democristiano" che "finge di costruire, per demolire e non muovere nulla". "In questo modo ha aiutato la sinistra - incalza il numero uno del Carroccio - , è pazzesco. Anzi, penso che sarà proprio la sinistra a vincere le prossime elezioni, grazie a lui". Per Bossi "Fini è palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale", è "contro il nord e il federalismo. Per il centralismo dello Stato e il meridionalismo". E ancora "Berlusconi avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito senza tentennamenti invece di portarlo in tv dandogli voce e rilievo". LA ROTTA PER IL FUTURO - Bossi quindi traccia la rotta per il futuro: "Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un nuovo cammino del popolo padano. Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare. Una nuova strada ci aspetta e sarà una strada stretta, faticosa, difficile ma che potrebbe regalarci enormi soddisfazioni". "Saremo soli - conclude il leader leghista - senza Berlusconi. La nostra gente non digerirà facilmente la mancata conquista del federalismo e noi Lega, dovremo comportarci di conseguenza. Berlusconi quindi diventerà il vero e unico baluardo anticomunista del Paese e prevedo che raccoglierà molti consensi". Redazione online 23 aprile 2010
la direzione nazionale del pdl. Documento Pdl, in tredici votano contro "Servire il popolo, no alle correnti" La direzione del partito approva il testo. Pisanu si astiene. Bocchino: "Non abbiamo perso nessuno" la direzione nazionale del pdl. Documento Pdl, in tredici votano contro "Servire il popolo, no alle correnti" La direzione del partito approva il testo. Pisanu si astiene. Bocchino: "Non abbiamo perso nessuno" MILANO - "Le correnti negano la natura stessa del Popolo della Libertà". È questo forse il passaggio principale del documento finale della direzione del Pdl. Il testo, proposto dal premier Silvio Berlusconi e letto da Maurizio Lupi, ha avuto il via libera dell'assemblea. Hanno votato contro 13 finiani su 18; c'è stato anche un astenuto, il presidente della commissione Antimafia Beppe Pisanu. Non ha votato il presidente della Camera in quanto, come ha ricordato Fabio Granata, non è un componente di diritto della direzione Pdl, allargata per l'occasione a deputati, senatori ed eurodeputati, i quali, però, non hanno diritto di voto. Bocchino è apparso soddisfatto e a chi gli chiedeva conto dei numeri della votazione sul documento finale della direzione, ha risposto: "Normalmente in direzione siamo 150 a 20, c'erano assenti da entrambe le parti. Noi non abbiamo perso nessuno, abbiamo guadagnato due ex di Forza Italia. Chi? Lo scoprirete presto". "La tabellina non mi interessa. Ciò che conta è per l'opinione pubblica la rottura tra Fini e Berlusconi" ha detto Viespoli. L'esponente Pdl ricorda di essere stato, ai tempi del Msi "un uomo di corrente", ma poi con la costituzione di An "non ho voluto più far parte di una componente ma mi lega a Fini un rapporto diretto di stima politica e personale". Di diverso avviso il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini: "I voti contrari? Sono il 6,39%" ha detto. "Si vede che il dibattito ha chiarito molte cose. I delegati hanno votato sulla base di quello che hanno ascoltato" ha aggiunto. IL TESTO - Il testo approvato all'Auditorium della Conciliazione di Roma boccia dunque le correnti. Il documento si apre celebrando il "risultato storico" raccolto dal Pdl alle amministrative, anche al Nord dove "ha agito in alleanza ma anche in competizione positiva con la Lega", e al Sud dove "ha dimostrato di possedere un forte radicamento territoriale". "Le ambizioni dei singoli - si legge - non possono prevalere sull'obiettivo di servire il popolo italiano. Del pari le correnti o componenti negano la natura stessa del Pdl ponendosi in contraddizione con il suo programma stipulato con gli elettori e con chi è stato dagli stessi elettori designato a realizzarlo attraverso il governo". "La leadership forte è ormai un tratto caratteristico dei moderni sistemi politici e gli italiani certo non rimpiangono leadership deboli e governi instabili del passato" è un altro passaggio del documento finale. "Siamo convinti che una forte ed autorevole leadership quale è quella del presidente Berlusconi garantirà il raggiungimento degli obiettivi" recita ancora il testo, che contiene un attacco indiretto al presidente della Camera: "Tensioni all'interno delle grandi forze politiche possono manifestarsi, ma è incomprensibile che vengano provocate al domani di una grande vittoria - si legge -. Anche il confronto che si è svolto durante la direzione - continua - ha rivelato come certe polemiche pubbliche fossero pretestuose e comunque non commisurate a un dibattito responsabile e costruttivo". Tra gli impegni che il Pdl intende realizzare nei prossimi tre anni di governo figurano la riduzione e la razionalizzazione della spesa pubblica, la riforma del sistema fiscale con l'obiettivo di ridurre le tasse "compatibilmente con i vincoli di bilancio", il sostegno a famiglie, lavoro e imprese, e l'ammodernamento e il potenziamento del sistema delle grandi infrastrutture. Nel documento si afferma inoltre che "in un grande partito democratico si deve poter discutere di tutto, ma a due condizioni: che non si contraddica il programma elettorale votato dagli elettori e che, una volta assunta una decisione negli organi deputati, tutti si adeguino al risultato del voto". La direzione nazionale dà pertanto "mandato al presidente e ai coordinatori di assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la realizzazione del programma e delle decisioni assunte dagli organi statutari, stabilendo rispetto delle decisioni votate democraticamente". Il documento, infine, contesta oltre alle correnti anche l'esistenza di "componenti". "NON VOGLIAMO DIVIDERE MA UNIRE" - "Non vogliamo dividere ma unire. Siamo al servizio del popolo italiano e del suo bene comune. Le ambizioni dei singoli non possono prevalere sull'obiettivo di servire il popolo italiano" si legge nel documento finale. Dopo il passo che evoca, curiosamente, uno slogan del movimento maoista degli anni '70, c'è la censura del correntismo interno: "Correnti o componenti negano la natura stessa del Popolo della libertà, ponendosi in contraddizione con il suo programma stipulato con gli elettori e con chi dagli stessi elettori è stato designato a realizzarlo attraverso il governo della Repubblica". "La direzione nazionale del Popolo della libertà - è la chiusa - approva le conclusioni politiche del presidente Silvio Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine". "I temi che non rientrano nel programma elettorale e di governo - si legge a pagina 4 del documento di 5 cartelle - possono essere oggetto di dibattito e discussione nell'ambito degli organismi statutari. Non vi è nulla di negativo se in quella sede emergono opinioni diverse. Purché sia chiaro a tutti - si sottolinea - che il principio della democraticità del dibattito non esonera dalla responsabilità di assumere decisioni finali. E che una volta che tali decisioni siano state assunte, all'unanimità o a maggioranza, esse acquistano carattere vincolante per chiunque faccia parte del Pdl, sia che le abbia condivise sia che si sia espresso in dissenso". "POPOLO E NON PARTITO" - "Quando gli italiani che amano la libertà, che vogliono restare liberi, che non si riconoscono nella sinistra, si riunirono sotto un solo simbolo e una sola bandiera, scelsero che su quel simbolo e su quella bandiera ci fosse scritto "Popolo della libertà"" e non "Partito della liberta"". Il riferimento al "popolo" deve quindi essere un principio costante dell'azione politica del Popolo della libertà che deve sempre più radicarsi sul territorio e incardinarsi nella storia d'Italia. Non siamo un vecchio partito". Redazione online 22 aprile 2010(ultima modifica: 23 aprile 2010)
Via libera al documento finale: "No alle correnti". Il cavaliere: "Fuori Chi non si allinea" Berlusconi-Fini, è rottura totale Il premier: "Vuoi fare politica? Lascia la presidenza della Camera". La replica: "Sennò mi cacci?" * NOTIZIE CORRELATE * La direzione Pdl via sms: la diretta di Aldo Cazzullo * Schifani: "Fini? Se fa politica deve lasciare la Camera" (22 aprile 2010) * Il cofondatore insiste: ora risposte vere (22 aprile 2010) Via libera al documento finale: "No alle correnti". Il cavaliere: "Fuori Chi non si allinea" Berlusconi-Fini, è rottura totale Il premier: "Vuoi fare politica? Lascia la presidenza della Camera". La replica: "Sennò mi cacci?" Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv) Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv) ROMA - In quello che era stato presentato come il "giorno della verità" all'interno del Pdl, va in scena il durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Tra i due è rottura totale. Il premier ha praticamente dato lo "sfratto" all'ex leader di An dallo scranno di presidente della Camera: "Se vuoi fare politica lascia quel ruolo super partes" gli ha detto dal palco. "Sennò mi cacci?" è stata la replica di Fini, che a un certo punto si è addirittura alzato dalla prima fila per replicare al presidente del Consiglio. È stato questo il momento di massima tensione alla direzione nazionale del partito, scoppiato dopo che il Cavaliere aveva deciso di replicare alle parole pronunciate dal numero uno di Montecitorio. Un intervento, quello dell'ex leader di An, tutto incentrato sulla richiesta di un maggiore dibattito interno e nel corso del quale il presidente della Camera ha puntato il dito contro "l'appiattimento del Pdl sulle posizioni della Lega al Nord". Dopo le schermaglie a mezzo stampa degli ultimi giorni, le parole grosse tra i due sono dunque volate in versione "live" e davanti agli occhi dell'intero stato maggiore pidiellino e delle telecamere. IL DOCUMENTO FINALE - Dopo la pausa e una serie di nuovi interventi (Letizia Moratti, Roberto Formigoni, Gianni Alemanno tra gli altri) c'è stato il voto sul documento conclusivo: via libera a grande maggioranza, con 13 voti contrari e un astenuto (Pisanu) su 172 aventi diritto. Un testo che "approva le conclusioni politiche del presidente Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine". Una presa di posizione netta a favore del premier, dunque: "Le correnti negano la natura stessa del Pdl - si legge ancora - ponendosi in contraddizione con la volontà degli elettori. Una leadership forte non significa rinunciare a un dibattito libero e democratico, previsto dallo Statuto", ma a due condizioni: "Che non si contraddica il programma elettorale e che una volta assunte le decisioni tutti si adeguino al risultato del voto". Il giudizio nei confronti del presidente della Camera è duro: le polemiche di questi giorni, sostiene il documento, sono "paradossali" e "incomprensibili", soprattutto "dopo due anni di vittorie e di grandi risultati del governo". E Fini? "Si apre una fase positiva e democratica per il partito" commenta. " Viene meno la fase dell'unanimismo. La presidenza della Camera? Non ho intenzione di lasciare". Berlusconi la vede diversamente: "Avrei preferito che dicesse 'me ne vado' - commenta con i suoi. - Invece non ci pensa proprio: vuole restare e logorarmi. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarglielo fare e ora, con il documento approvato dalla Direzione Nazionale, abbiamo lo strumento per sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni". IL GOVERNO E LE RIFORME - Una giornata in un certo senso storica, per il Pdl e la politica italiana. Il Cavaliere aveva aperto i lavori attorno alle 10,30 esortando la platea a sedersi ("adesso mi metto a fare il buttadentro", ha scherzato) e a riempire tutti i posti liberi nelle prime file ("conosciamo i mezzi di informazione, sono pronti a inquadrare solo quelle sedie vuote"), congratulandosi per il risultato elettorale ("nonostante la campagna d'odio nei nostri confronti e nonostante gli attacchi delle magistrature politicizzate") e rivendicando i successi del governo tornando sui temi dell'emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte economico nonostante la crisi. Aveva poi esortato ad utilizzare i tre anni senza elezioni che ancora mancano alla fine della legislatura per il completamento del programma di governo. "Il Pdl è nato dalla gente e ha l'aspirazione a diventare maggioranza assoluta nel Paese - ha detto ancora Berlusconi -. E' possibile perché raccoglieremo tutti coloro che non si riconoscono nella sinistra". Poi ha spiegato che il Pdl è un partito "democratico" e si è impegnato a convocare entro l'anno il primo congresso del partito". Di più: "Credo che ogni anno ci possa essere un congresso" ha rilanciato il Cavaliere, ipotizzando anche una più frequente convocazione di tutti gli organi direttivi del partito e spiegando di non essere mai intervenuto in prima persona per imporre la sua linea Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini SERVI E UOMINI LIBERI - La parola è poi passata ai coordinatori del partito. Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl "non ci sono uomini liberi e servi" e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra, in particolare "il professor Campi" e "il dottor Rossi" di Fare futuro, a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, "una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri", e ha chiesto di prendere le distanze da chi "vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto". Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all'interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che "il Pdl non è al traino della Lega": "I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso". "SERVE CHIAREZZA" - Poi è stata la volta di Gianfranco Fini che ha esordito parlando di una "riunione necessaria per fare chiarezza". E a scanso di equivoci ha detto subito di vedere attorno a sé "l'atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto". "Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione - ha poi detto Fini - significa esercitare un diritto-dovere. È possibile derubricare delle valutazioni diverse come se si trattasse di mere questioni di carattere personale? O di tradimento?". "E' stata una caduta di stile - ha poi aggiunto rivolto a Bondi - citare questioni polemiche nel confronto del presidente del Consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio" (GUARDA IL VIDEO). Su questo il premier gli risponderà più tardi spiegando di non interferire mai con le scelte della direzione del Giornale e di avere comunque sollecitato la vendita del quotidiano ad una cordata di imprenditori che possano sgravare la famiglia Berlusconi. Dopodiché Fini è passato a rivendicare l'esigenza di un Pdl "davvero democratico". "Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl - ha detto -. E non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse". Poi il capitolo più spinoso, quello del rapporto con la Lega: "Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni". Fini ha citato le politiche contro l'immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard. La sudditanza nei confronti della Lega, ha sottolineato, la si vede anche nella mancanza di una posizione del Pdl sulle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia, "che alla Lega non interessa". Fini ha poi parlato di difesa della legalità, sollevando una reazione nervosa del premier, "che vuol dire più dell'elenco puntiglioso di operazioni delle forze dell’ordine: serve riforma della giustizia ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità. E qualche volta l’impressione c’è, quando si ipotizzava la prescrizione breve era questo il messaggio che si dava". LO SCONTRO IN PUBBLICO - Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: "È la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso". Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: "Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl", tra le proteste fuori microfono dello stesso Fini. Berlusconi ha però poi cercato di attenuare i toni, dicendo di accogliere con favore la proposta di Fini di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale. Quanto alla Lega, il Cavaliere ha ricordato che il partito di Bossi "ha fatto proprie le posizioni che erano di An sull'immigrazione e che poi sono state abbandonate". Una sottolineatura che è suonata come una frecciata diretta all'ex leader di An, che parlando di immigrazione aveva ricordato i valori ispiratori del Partito popolare europeo, a cui il Pdl fa riferimento. IL VIDEO dello scontro tra Berlusconi e Fini "SMETTI DI FARE IL PRESIDENTE" - La calma ritrovata da Berlusconi è stata però persa pochi istanti più tardi: "I tuoi rilievi - ha detto rivolgendosi a Fini - sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidiano a noi?". Poi l'accusa di non avere neppure partecipato alla campagna elettorale per salvaguardare la terzietà dell'incarico istituzionale. "Non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni - ha sottolineato Berlusconi -, chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche, altrimenti lascia il suo ruolo e fa politica nel partito". Il presidente della Camera, da parte sua, ha replicato con un gesto delle dita e chiedendo ironicamente: "Sennò mi cacci?". Insomma, un botta e risposta durissimo. Al termine dell'assise, Fabio Granata riassume il senso politico della giornata (almeno secondo i finiani): "Oggi si è codificata l'esistenza della minoranza Pdl con il voto". L'impressione, però, è che tra i due leader si sia consumato uno strappo personale - per di più di fronte alle telecamere - che sarà difficilmente sanabile. Al. S. G. Ant. 22 aprile 2010(ultima modifica: 23 aprile 2010)
LA DIREZIONE DEL PARTITO raccontata attraverso iL TELEFONINO Sms Pdl, la diretta di Aldo Cazzullo LA DIREZIONE DEL PARTITO raccontata attraverso iL TELEFONINO Sms Pdl, la diretta di Aldo Cazzullo ORE 19:00 - Batteria scarica. ORE 18:58 - I poliziotti, esausti: "Ce ne possiamo andare?". "No, dentro ci sono ancora Alemanno e La Russa". ORE 18:56 - L'onorevole Barani, ex sindaco di Aulla: "L'importante è che non tolgano la statua di Bettino Craxi dalla piazza del mio paese". ORE 18:50 - La frase del documento finale: "Siamo un popolo, non un partito" è stata indicata da Berlusconi. ORE 18.49 - L'astenuto è Pisanu. ORE 18:48 - Cosentino: "È uno strappo. Vedremo nei prossimi giorni se Fini lo renderà irrimediabile". ORE 18:39 - Ancora Granata: "nascerà il Partito della Nazione". ORE 18:38 - Granata: "Il documento è un invito ad andarcene. Ma noi resisteremo. Vergognoso che Berlusconi abbia detto a Fini di lasciare la presidenza della Camera". ORE 18:34 - Documento finale: divisioni assurde dopo una grande vittoria. Avanti con meno tasse, più lavoro. Nel partito si vota e la minoranza si adegua. Tutti sì, tranne 11 no e un astenuto. ORE 18:30 - Lupi stile anni '70: "Dobbiamo servire il popolo!". ORE 18:07 - Rotondi precisa, ovviamente via sms: "Mi riferivo alla sopravvivenza politica. Si illudono tutti in questa sala: senza Silvio resterà poco. Il glorioso archivio della Dc me lo sono dovuto portare in campagna in Irpinia. Al potere non sopravvive niente". ORE 18:05 - Alemanno centra il punto della giornata: "Io sono molto meno buono di Veltroni ma al campo nomadi Casilino 500 ci sono stato e lui no!". ORE 17:45 - Fini fa sapere che resta nel Pdl e tutto sommato non è un male che l'esistenza di una minoranza sia stata così plasticamente rappresentata. Resta la sensazione che al primo scontro, magari sulla giustizia, salterà tutto. ORE 17:30 - Brunetta per non farsi mancare nulla ha impostato l'intervento contro Tremonti; così, tanto per tenersi in esercizio. ORE 17:23 - Berlusconi non ha l'aria di divertirsi. Parla ma la testa è altrove. È la prima volta che lava i panni sporchi in pubblico. Dev'essere stata una vera violenza fisica per lui. Non ha l'aria di essersi sfogato ma di aver subìto un colpo. ORE 17:21 - Brunetta parte subito forte: "Non so voi, ma io mi sto divertendo". ORE 17:20 - Rotondi: "Non so chi verrà dopo Berlusconi. So che non ci saremo". Scongiuri nelle ultime fila. ORE 17:18 - Roberto Gasparotti: uomo-chiave del berlusconismo, gran regista di fondali, luci scenografie: "Non c'è rottura, né conciliazione. Semplicemente, è finita". ORE 17:07 -Chiusa di Quagliariello: "Il Pdl ha vinto, è il momento di gioire tutti insieme". ORE 17:05 - I finiani probabilmente rinunciano al loro documento. Per oggi basta liti. Si va avanti da separati in casa. ORE 16:55 - Berlusconi ha la voce stanca, un po' triste. Fini tace. ORE 16:52 - Quagliariello: "Ce lo siamo dimenticati, Spatuzza in mondovisione?". ORE 16:51 - Lamorte ottimista: "Non vedo la rottura". Però conferma che i finiani non parleranno. ORE 16:49 - Fini si consulta con Donato Lamorte. ORE 16:47 - Gasparri evoca un punto-chiave: la sintonia emotiva dentro il governo e la maggioranza sul caso Englaro, con Fini unico contrappunto. ORE 16:45 - Gasparri: "Abbiamo fatto bene a sopportare la tenda di Gheddagi a Villa Pamphili e tutto il resto pur di avere meno clandestini... e mi fermo per non rovinare i rapporti diplomatici". ORE 16:41 - Bonaiuti seduto vicino a Fini in difficoltà perché durante i discorsi di Berlusconi e dei berlusconiani non può applaudire né battere ciglio. ORE 16:36 - I finiani fanno sapere che non intendono prendere la parola. Rottura più vicina. Gasparri: "Vorrei portare una nota di pacatezza nello spirito di coesione...". Altra pausa caffè. ORE 16:17 - Ora Cicchitto fa autocritica: "Sembriamo un gruppo di matti". ORE 16:12 - Cicchitto cita se stesso: "Parlai in Parlamento di network dell'odio da parte di gruppi editoriali e finanziari, e lo confermo. L'establishment continua a non accettare Berlusconi". ORE 16:04 - L'onorevole Mantovano cita Falcone. Alfano evoca il diritto naturale. Alessandra Mussolini si è fatta la coda. ORE 15:50 - Dietro le quinte Fini ha detto: io non me ne vado, mi dovete cacciare. Saranno presentati due documenti: se si votasse la maggioranza berlusconiana sarebbe schiacciante. La rottura non sarà formalizzata oggi, ma è nei fatti. Alfano offeso con Fini che ha avuto parole durissime su legalità e politica giudiziaria del governo. ORE 15:39 - Berlusconiani e finiani si sono riuniti separatamente. Ora sono di nuovo in sala. I ministri hanno la disposizione di spiegare l'attività del governo. Sacconi esegue. ORE 14:57 - Pausa pranzo. Si è andati al di là di ogni aspettativa. La Lega incassa. ORE 14:33 - Giovanardi terrorizzato: "Silvio, vorrei dire una cosa, ma, ti prego, prendila bene...". ORE 14:25 - Il contributo della sinistra arriva ai cronisti via sms: "Vi segnalo sul Foglio di oggi mio articolo sulla leadership del Pd. A presto e buon lavoro. Giorgio Tonini". ORE 14:21 - Pasquale Squitieri: colpa della massoneria. ORE 14:13 - Non occorre il labiale per capire Fini: "Che fai, mi cacci?". Berlusconi non l'ha detto ma la risposta è: sì. ORE 14:02 - Fini lo applaude ironicamente. Il Pdl così com'era non finirà formalmente oggi ma di fatto è già finito. ORE 13:58 - "Sei venuto a dirmi che ti eri pentito di aver fondato il Pdl...". ORE 13:56 - Berlusconi gli stringe la mano ma prende la parola a sorpresa: "Mi pare di sognare...". Fini in piedi. Scontro totale. ORE 13:53 - Finalmente un "Silvio". ORE 13:50 - "Ti ricordi che litigata", "ti ricordi che discussione...". I divorzi non devono essere molto diversi. ORE 13:34 - Lo chiama insistentemente "Berlusconi", e basta. ORE 13:30 - Fini non è abituato ad affrontare una platea così ostile. Finora poco brillante, ora sta carburando, accosta pure Berlusconi a De Mita, Alemanno chiude gli occhi, Quagliariello scuote il capo, Gasparri disgustato. Berlusconi non ne può più. ORE 13:18 - Fini ha patito un po' la reazione brusca di Berlusconi. Ora legge. Lo guarda negli occhi: "Ci fossimo capiti un po' meglio...". ORE 13:15 - Berlusconi a braccia conserte, seccatissimo. Il 90% della direzione è con lui, ma è la prima volta in 17 anni di politica che viene contraddetto in casa propria. ORE 13:12 - "Bondi ha riconosciuto di venire dalla tradizione comunista che non ammetteva il dissenso...". Berlusconi prende appunti. ORE 13:08 - Scontro aperto. Fini: "Berlusconi, te lo dico in faccia: non sono io il traditore...". Berlusconi: "Non attribuirmi cose che non ho mai detto!". Nessuno sforzo per dissimulare l'inimicizia. ORE 13:05 - Fini si lamenta degli insulti ricevuti da giornalisti "lautamente pagati da stretti familiari del presidente del Consiglio". Brusio in sala. ORE 13:01 - Fini, cravatta rosa: "Dobbiamo chiarezza agli italiani. Altro che riunione inutile. Nella regia - ho scoperto che eravamo tanti a cofondare il Pdl - colgo l'atteggiamento puerile di chi nasconde la polvere sotto il tappeto". ORE 12:48 - Berlusconi infierisce: "Prima ho salutato i cofondatori del Pdl: Fini, Rotondi Giovanardi. Ho dimenticato di salutare Mario Baccini, Alessandra Mussolini, Sergio De Gregorio. E poi Bonocore, Caldoro, Dini, Biasotti, Nucara...". Curiosità in platea: "Ma chi è Bonocore?". ORE 12:43 - Tremonti chiude citando Sturzo: "Le correnti portano alla frantumazione del partito". Fini mastica chewingum. ORE 12:39 - Tremonti migliore in campo: "La sinistra è più che mai il partito dell'Appennino. Vendola rappresenta l'Appennino Dauno". ORE 12:21 - Tremonti riporta tutti alla realtà ricordando che siamo ancora nel bel mezzo della crisi. ORE 12:17 - "L'ho detto in mondovisione: io sono al fianco del Papa". ORE 12:13 - Ma poi il ministro degli Esteri non si tiene: "È venuto Obama e ha fatto esattamente quel che gli abbiamo detto di fare...". ORE 12:07 - Frattini rivendica il complesso della politica estera: "Attenti, se ci dividiamo facciamo la gioia degli italiani nemici dell'Italia". ORE 12:01 - Berlusconi chiede la parola: "Ricordiamoci che la Lega ha un terzo dei nostri voti e un decimo dei nostri ministeri". Bossi per fortuna non è qui. ORE 11:58 - Deputati Pdl al bar: "Più che una direzione è un'umiliazione pubblica di Fini". In effetti, prima di lui parlano i ministri che sono tutti critici. Ma Tremonti probabilmente gli lancerà un segnale d'apertura. ORE 11:55 - Prende la parola l'onorevole La Russa. Pausa caffè. ORE. 11:31 -Tutti in piedi, Formigoni e Moratti compresi, per Bondi. ORE 11:30 - A Bondi è insolitamente affidata la parte del duro. Anche se attacca Fini fingendo di attaccare l'innocuo professor Campi e la fondazione FareFuturo. ORE 11:25 - Bondi è il primo ad aprire le ostilità con Fini: "Non ci sono lì gli uomini liberi e qui i servi! È un cupio dissolvi, una logica da vecchia politica che divorzia dalla realtà e diventa una nuvola speculativa, un bizantinismo". Fini tra poco dirà: "L'integrazione degli immigrati non è una nuvola speculativa , la laicità dello Stato non è un bizantinismo..." ORE 11:17 - Bondi: "Il Pdl non è più un sogno ma una solida realtà". Come Immobildream. ORE 11:01 - Denis Verdini parte subito forte: "Vorrei fare un breve excursus sulla storia del Pdl". Panico tra gli astanti. ORE 10:58 - Comincia la discussione: i finiani si sono iscritti a parlare tutti. Berlusconi: va bene, ma non più di tre minuti; se non si finisce in questa riunione, ne facciamo un'altra. ORE 10:55 - Berlusconi ha finito la "relazione". In sintesi: va tutto bene; congresso entro l'anno. Toni concilianti, non da rottura. Sensazione di un accordo dietro le quinte. ORE 10:45 - Berlusconi è preoccupatissimo di dare l'impressione di una riunione di partito vecchio stile: "Non parlate in aula, non fate capannelli, rimanete seduti" ammonisce tipo capoclasse. ORE 10:42 - Brevissima stretta di mano con Fini; ma pur sempre una stretta. ORE 10:32 - È arrivato Berlusconi accolto per una volta non da "Meno male che Silvio c'è" ma da musica da ascensore. Una giornata da Prima Repubblica. Sorrisi brevi. ORE 10:07 - La direzione del Pdl comincia in Corso Vittorio, la via che porta dai Palazzi al cupolone, alla cui ombra si tiene lo scontro tra Fini e Berlusconi. Ingorgo mostruoso. Le auto blu si aprono un varco a sirene spiegate. Passanti inferociti.
22 aprile 2010
TENSIONI Il cofondatore insiste: ora risposte vere Oggi la direzione davanti a 477 big del partito. I finiani: il Cavaliere non ci prenda in giro TENSIONI Il cofondatore insiste: ora risposte vere Oggi la direzione davanti a 477 big del partito. I finiani: il Cavaliere non ci prenda in giro Il presidente della Camera Gianfranco Fini con la compagna Elisabetta Tulliani e Silvio Berlusconi ai festeggiamenti per la nascita dello stato di Israele. (Daniele Scudieri) Il presidente della Camera Gianfranco Fini con la compagna Elisabetta Tulliani e Silvio Berlusconi ai festeggiamenti per la nascita dello stato di Israele. (Daniele Scudieri) ROMA — Nulla è scritto, nulla è già deciso. Di probabile, c'è che Berlusconi aprirà i lavori, poi parleranno i coordinatori e i ministri, subito dopo toccherà a Fini e sarà il premier a trarre le conclusioni. E di certo c'è che oggi, alle 10, all'Auditorium di Roma si riunisce per la prima volta la Direzione del Pdl. E nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stato il luogo del confronto decisivo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Perché sarà in questa sede — alla presenza di 172 membri di diritto più tutti i parlamentari, per un totale di 477 persone — che i due cofondatori del partito pronunceranno le parole chiave per capire se si andrà verso una difficile riconciliazione, una coesistenza da separati in casa o un divorzio traumatico. Magari non subito, ma alla prima occasione di dissenso profondo, che potrebbe arrivare anche presto se i rapporti — sia tra i due leader che tra i sostenitori dell'uno e dell'altro — resteranno così tesi. Alla vigilia, nell'entourage di Gianfranco Fini non si esclude "nessuno scenario". Perché il presidente della Camera — dicono i suoi — nel momento in cui per la prima volta si presenta a parlare in un organo di partito dal giorno della sua nascita, non andrà a dire "cose banali". Andrà invece a riproporre le questioni già sollevate nell'incontro con la cinquantina di ex An che hanno firmato un documento a suo sostegno — a partire dal rapporto con la Lega sul quale sarà "molto chiaro", passando per le politiche per il Sud, le riforme, e naturalmente la democrazia interna al partito — e "senza durezze ma con serenità" chiederà risposte politiche a "questioni politiche". Insomma, Fini non si accontenterà di un documento (come quello al quale fino a ieri notte avrebbero lavorato coordinatori e capigruppo del Pdl con Berlusconi) che rilancia l'azione riformatrice del governo e che blinda il partito, ammettendo l'esistenza di una minoranza ma imponendole di attenersi alle decisioni della maggioranza. E non basterebbe non solo perché, come dicono i finiani "è ovvio che una minoranza si adegua al voto della maggioranza, ma le devono essere concessi spazi, diritti, tutele", ma soprattutto perché "non possono essere elusi i temi che Fini propone". Dunque, se il discorso di Berlusconi sarà sulla falsariga di quello annunciato ieri sera, ovvero una mera rivendicazione dei risultati ottenuti dal governo, un attacco frontale al "correntismo" e la negazione dei problemi sul tappeto, allora "vorrà dire che ci vuol prendere per i fondelli...", perché sgradevoli e quasi irridenti sono state considerate le sue parole. Ancora apertissima dunque resta la partita della eventuale conta che avverrà in direzione, che secondo i più non può concludersi senza un voto su un documento o degli ordini del giorno (pronti a muoversi sarebbero anche i 75 ex An fedeli a Berlusconi). Voto che, se non fosse unitario, vedrebbe la componente di Fini ottenere circa il 10% dei consensi nel partito, o almeno in questo organo. Per ora, i finiani non pensano di presentare un proprio documento, ma la conferma si avrà solo in quella che si annuncia come una lunghissima giornata. Preceduta da una vigilia infinita in cui pontieri anche dai nomi meno altisonanti — Alessandro Ruben, Andrea Augello — non hanno mai smesso di provare a fare il miracolo. Paola Di Caro 22 aprile 2010
Via libera al documento finale: "No alle correnti". Il cavaliere: "Fuori Chi non si allinea" Berlusconi-Fini, è rottura totale Il premier: "Vuoi fare politica? Lascia la presidenza della Camera". La replica: "Sennò mi cacci?" * NOTIZIE CORRELATE * La direzione Pdl via sms: la diretta di Aldo Cazzullo * Schifani: "Fini? Se fa politica deve lasciare la Camera" (22 aprile 2010) * Il cofondatore insiste: ora risposte vere (22 aprile 2010) Via libera al documento finale: "No alle correnti". Il cavaliere: "Fuori Chi non si allinea" Berlusconi-Fini, è rottura totale Il premier: "Vuoi fare politica? Lascia la presidenza della Camera". La replica: "Sennò mi cacci?" Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv) Berlusconi durante l'intervento di apertura della direzione nazionale del Pdl (da Corriere Tv) ROMA - In quello che era stato presentato come il "giorno della verità" all'interno del Pdl, va in scena il durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Tra i due è rottura totale. Il premier ha praticamente dato lo "sfratto" all'ex leader di An dallo scranno di presidente della Camera: "Se vuoi fare politica lascia quel ruolo super partes" gli ha detto dal palco. "Sennò mi cacci?" è stata la replica di Fini, che a un certo punto si è addirittura alzato dalla prima fila per replicare al presidente del Consiglio. È stato questo il momento di massima tensione alla direzione nazionale del partito, scoppiato dopo che il Cavaliere aveva deciso di replicare alle parole pronunciate dal numero uno di Montecitorio. Un intervento, quello dell'ex leader di An, tutto incentrato sulla richiesta di un maggiore dibattito interno e nel corso del quale il presidente della Camera ha puntato il dito contro "l'appiattimento del Pdl sulle posizioni della Lega al Nord". Dopo le schermaglie a mezzo stampa degli ultimi giorni, le parole grosse tra i due sono dunque volate in versione "live" e davanti agli occhi dell'intero stato maggiore pidiellino e delle telecamere. IL DOCUMENTO FINALE - Dopo la pausa e una serie di nuovi interventi (Letizia Moratti, Roberto Formigoni, Gianni Alemanno tra gli altri) c'è stato il voto sul documento conclusivo: via libera a grande maggioranza, con 13 voti contrari e un astenuto (Pisanu) su 172 aventi diritto. Un testo che "approva le conclusioni politiche del presidente Berlusconi e gli conferma il proprio pieno sostegno e la propria profonda gratitudine". Una presa di posizione netta a favore del premier, dunque: "Le correnti negano la natura stessa del Pdl - si legge ancora - ponendosi in contraddizione con la volontà degli elettori. Una leadership forte non significa rinunciare a un dibattito libero e democratico, previsto dallo Statuto", ma a due condizioni: "Che non si contraddica il programma elettorale e che una volta assunte le decisioni tutti si adeguino al risultato del voto". Il giudizio nei confronti del presidente della Camera è duro: le polemiche di questi giorni, sostiene il documento, sono "paradossali" e "incomprensibili", soprattutto "dopo due anni di vittorie e di grandi risultati del governo". E Fini? "Si apre una fase positiva e democratica per il partito" commenta. " Viene meno la fase dell'unanimismo. La presidenza della Camera? Non ho intenzione di lasciare". Berlusconi la vede diversamente: "Avrei preferito che dicesse 'me ne vado' - commenta con i suoi. - Invece non ci pensa proprio: vuole restare e logorarmi. Ma non ho nessuna intenzione di lasciarglielo fare e ora, con il documento approvato dalla Direzione Nazionale, abbiamo lo strumento per sbattere fuori dal partito chi non si allinea alle decisioni". IL GOVERNO E LE RIFORME - Una giornata in un certo senso storica, per il Pdl e la politica italiana. Il Cavaliere aveva aperto i lavori attorno alle 10,30 esortando la platea a sedersi ("adesso mi metto a fare il buttadentro", ha scherzato) e a riempire tutti i posti liberi nelle prime file ("conosciamo i mezzi di informazione, sono pronti a inquadrare solo quelle sedie vuote"), congratulandosi per il risultato elettorale ("nonostante la campagna d'odio nei nostri confronti e nonostante gli attacchi delle magistrature politicizzate") e rivendicando i successi del governo tornando sui temi dell'emergenza rifiuti in Campania, degli interventi post terremoto in Abruzzo, della tenuta sul fronte economico nonostante la crisi. Aveva poi esortato ad utilizzare i tre anni senza elezioni che ancora mancano alla fine della legislatura per il completamento del programma di governo. "Il Pdl è nato dalla gente e ha l'aspirazione a diventare maggioranza assoluta nel Paese - ha detto ancora Berlusconi -. E' possibile perché raccoglieremo tutti coloro che non si riconoscono nella sinistra". Poi ha spiegato che il Pdl è un partito "democratico" e si è impegnato a convocare entro l'anno il primo congresso del partito". Di più: "Credo che ogni anno ci possa essere un congresso" ha rilanciato il Cavaliere, ipotizzando anche una più frequente convocazione di tutti gli organi direttivi del partito e spiegando di non essere mai intervenuto in prima persona per imporre la sua linea Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini Direzione Pdl, scontro Berlusconi-Fini SERVI E UOMINI LIBERI - La parola è poi passata ai coordinatori del partito. Sandro Bondi, in particolare, ha scaldato la platea urlando a gran voce che nel Pdl "non ci sono uomini liberi e servi" e ha attaccato alcuni intellettuali di centrodestra, in particolare "il professor Campi" e "il dottor Rossi" di Fare futuro, a suo parere troppo critici con il partito e con il suo leader, "una personalità che come riconoscono tutti giganteggia sugli altri", e ha chiesto di prendere le distanze da chi "vuole denigrare un uomo e un leader al quale ciascuno di noi deve molto". Ignazio La Russa ha invece spiegato che le storie di An e Forza Italia sono compatibili all'interno del Pdl e che non devono essere divise. E ha evidenziato come la Lega non abbia battuto il Pdl, nonostante certe letture del voto di fine marzo. Anche Berlusconi ha evidenziato questo aspetto, ribadendo che "il Pdl non è al traino della Lega": "I nostri elettori sono tre volte quelli della Lega, noi abbiamo 20 ministeri e loro 3 ministri ma in realtà 2 ministeri: un decimo rispetto a quelli del Pdl. E in 89 consigli dei ministri i verbali non hanno mai registrato una occasione in cui il Pdl si sia dovuto fare indietro rispetto ad una proposta della Lega o avesse dovuto dire sì a qualcosa di non condiviso". "SERVE CHIAREZZA" - Poi è stata la volta di Gianfranco Fini che ha esordito parlando di una "riunione necessaria per fare chiarezza". E a scanso di equivoci ha detto subito di vedere attorno a sé "l'atteggiamento puerile di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto". "Avere delle opinioni diverse rispetto al presidente del partito la cui leadership non è messa in discussione - ha poi detto Fini - significa esercitare un diritto-dovere. È possibile derubricare delle valutazioni diverse come se si trattasse di mere questioni di carattere personale? O di tradimento?". "E' stata una caduta di stile - ha poi aggiunto rivolto a Bondi - citare questioni polemiche nel confronto del presidente del Consiglio quando sono stato io oggetto di forti polemiche e attacchi mediatici da giornalisti lautamente pagati da stretti famigliari del presidente del Consiglio" (GUARDA IL VIDEO). Su questo il premier gli risponderà più tardi spiegando di non interferire mai con le scelte della direzione del Giornale e di avere comunque sollecitato la vendita del quotidiano ad una cordata di imprenditori che possano sgravare la famiglia Berlusconi. Dopodiché Fini è passato a rivendicare l'esigenza di un Pdl "davvero democratico". "Siamo in una giornata che cambia le dinamiche del Pdl - ha detto -. E non ci può essere chi viene messo al rogo. In tutte le famiglie politiche europee la leadership forte è frutto di una sintesi tra posizioni anche diverse". Poi il capitolo più spinoso, quello del rapporto con la Lega: "Al Nord stiamo diventando la loro fotocopia, siamo appiattiti sulle loro posizioni". Fini ha citato le politiche contro l'immigrazione, la mancata abolizione delle province, la mancata privatizzazione delle municipalizzate, tutti temi cari ai Lumbard. La sudditanza nei confronti della Lega, ha sottolineato, la si vede anche nella mancanza di una posizione del Pdl sulle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia, "che alla Lega non interessa". Fini ha poi parlato di difesa della legalità, sollevando una reazione nervosa del premier, "che vuol dire più dell'elenco puntiglioso di operazioni delle forze dell’ordine: serve riforma della giustizia ma non bisogna dare l’impressione che serva a garantire sacche maggiori di impunità. E qualche volta l’impressione c’è, quando si ipotizzava la prescrizione breve era questo il messaggio che si dava". LO SCONTRO IN PUBBLICO - Poi ha ripreso la parola Berlusconi e subito sono state scintille: "È la prima volta che sento queste cose, non mi sono mai arrivate proposte in tal senso". Fini ha cercato di replicare dal pubblico e sono volate parole forti e dita puntate. Poi Berlusconi al microfono lo ha attaccato: "Tu nei giorni scorsi hai detto di esserti pentito di aver fondato il Pdl", tra le proteste fuori microfono dello stesso Fini. Berlusconi ha però poi cercato di attenuare i toni, dicendo di accogliere con favore la proposta di Fini di un coordinamento dei governatori del Pdl per analizzare le modalità con cui attuare il federalismo fiscale. Quanto alla Lega, il Cavaliere ha ricordato che il partito di Bossi "ha fatto proprie le posizioni che erano di An sull'immigrazione e che poi sono state abbandonate". Una sottolineatura che è suonata come una frecciata diretta all'ex leader di An, che parlando di immigrazione aveva ricordato i valori ispiratori del Partito popolare europeo, a cui il Pdl fa riferimento. IL VIDEO dello scontro tra Berlusconi e Fini "SMETTI DI FARE IL PRESIDENTE" - La calma ritrovata da Berlusconi è stata però persa pochi istanti più tardi: "I tuoi rilievi - ha detto rivolgendosi a Fini - sono cose che rappresentano percentualmente una piccola parte rispetto a tutto quello che si è fatto. Valeva la pena mettere in discussione il ruolo super partes di presidente della Camera per fare contrappunto quotidiano a noi?". Poi l'accusa di non avere neppure partecipato alla campagna elettorale per salvaguardare la terzietà dell'incarico istituzionale. "Non sei voluto neanche venire a piazza San Giovanni - ha sottolineato Berlusconi -, chi ha un ruolo istituzionale non può esprimere opinioni politiche, altrimenti lascia il suo ruolo e fa politica nel partito". Il presidente della Camera, da parte sua, ha replicato con un gesto delle dita e chiedendo ironicamente: "Sennò mi cacci?". Insomma, un botta e risposta durissimo. Al termine dell'assise, Fabio Granata riassume il senso politico della giornata (almeno secondo i finiani): "Oggi si è codificata l'esistenza della minoranza Pdl con il voto". L'impressione, però, è che tra i due leader si sia consumato uno strappo personale - per di più di fronte alle telecamere - che sarà difficilmente sanabile. Al. S. G. Ant. 22 aprile 2010(ultima modifica: 23 aprile 2010)
Il presidente del Senato e la sfida nel Pdl Schifani: "Fini? Se fa politica deve lasciare la Camera" "Per avere le mani libere entri nel governo. Il ruolo istituzionale impone dei limiti" Il presidente del Senato e la sfida nel Pdl Schifani: "Fini? Se fa politica deve lasciare la Camera" "Per avere le mani libere entri nel governo. Il ruolo istituzionale impone dei limiti" (Sironi) (Sironi) ROMA — "Con Gianfranco Fini mantengo un ottimo rapporto personale e istituzionale", ma non è da presidente del Senato che Renato Schifani si rivolge al presidente della Camera, è da dirigente del Pdl che confuta le tesi del collega di partito, lo mette in guardia dagli effetti che la sua iniziativa potrebbe provocare. "Perché confido ancora che non si apra la strada del correntismo nel Pdl, una deriva che più volte Fini criticò, parlando di "metastasi". Appena un anno fa, al congresso di scioglimento di An, disse infatti che nel nuovo partito non ci sarebbe stata correntocrazia, e all’atto fondativo del Pdl ribadì il concetto. Ora purtroppo registro un’inversione di pensiero da parte sua. Tuttavia attendo, spero non accada. Altrimenti...". Ed è così che Schifani introduce un tema delicatissimo, lo fa ricordando che "nell’ultimo periodo Fini ha assunto posizioni e iniziative politiche. Sarà pure "cofondatore" del Pdl ma è anche presidente della Camera. E dinnanzi alla prospettiva di un sistema correntizio nel partito, non vedrei male l’ipotesi che lasciasse Montecitorio ed entrasse nel governo, per avere mani libere e libertà di azione politica rispetto ai limiti che il ruolo istituzionale impone ". Un nodo che - svestendo i panni di presidente del Senato - avrebbe affrontato oggi in direzione, alla quale però non parteciperà. Schifani nega si tratti di una provocazione ai limiti del conflitto tra cariche dello Stato, "non lo è, lungi da me l’idea. Peraltro Fini sta svolgendo il suo compito con autorevolezza e prestigio. È un ragionamento politico, il mio, svolto in chiave costruttiva e non polemica. Altri hanno fatto polemiche, e anche peggio". Il presidente del Senato si riferisce alla minaccia dei finiani di far nascere nuovi gruppi parlamentari, "un’opzione da un lato insostenibile, alla luce del risultato elettorale che ha premiato il governo e la maggioranza, e dall’altro incompatibile con gli equilibri del centrodestra. Semmai si fosse realizzato un simile scenario, resto dell’idea che la conseguenza inevitabile sarebbe stata il ritorno alla urne, fatte salve le prerogative del capo dello Stato. Ora l’ipotesi è che si vada verso la nascita di una corrente, che a mio avviso farebbe subire un processo involutivo al Pdl. Perché se il correntismo, legato a schemi da Prima Repubblica, divenisse uno strumento per logorare l’azione di governo, ognuno poi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. Sia chiaro, considero positiva la richiesta di un maggior dibattito all’interno del partito. Ma mi auguro che tutto resti dentro un quadro unitario". A detta di Schifani è lo stesso auspicio di Silvio Berlusconi, "che è contrario al correntismo e non lo condividerà mai. Non appartiene alla sua storia politica, alla storia cioè di chi proviene da Forza Italia. So che dentro An era diverso, e comunque - come in ogni partito democratico - le regole sono chiare: le decisioni - tranne sui temi eticamente sensibili - vengono prese a maggioranza, e tutti devono poi adeguarsi. Diversamente sarebbe un modo surrettizio di costituire gruppi autonomi senza dichiararlo. Ma gli effetti sarebbero gli stessi: chi lo facesse si porrebbe fuori dal Pdl e il voto anticipato tornerebbe ad essere a mio avviso ineluttabile". La direzione di oggi sarà un tornante per molti aspetti decisivo, "e sono certo che Berlusconi si aprirà al dialogo, l’ha sempre fatto. Vorrei ricordare che sulle candidature per le Regionali ha accettato soluzione diverse dalle sue proposte. Perciò penso che dipenda più da Fini l’esito del confronto, e mi auguro che da una fase acuta, da uno sfogo spontaneo, si ritorni alla politica e si trovino i giusti rimedi". "Dipende da Fini", secondo Schifani, che non condivide l’analisi dell’ex leader di An. A iniziare dalla tesi secondo la quale Berlusconi l’avrebbe isolato. "Intanto è stato lui a scegliere il ruolo di presidente della Camera, che ingessa politicamente. Altrimenti non si sarebbe verificato questo isolamento, che poi è solo apparente. Quali sono stati gli strappi da parte del premier? Non c’è stata scelta priva dell’assenso di Fini: dai candidati alle Regionali, alle leggi sulla giustizia, al federalismo fiscale, ai provvedimenti finanziari. Sulle future riforme nessuno ha preso decisioni. Anch’io non ho condiviso l’iniziativa del ministro Roberto Calderoli di portare al Quirinale la bozza sul semi-presidenzialismo, ma ci sarà tempo perché Fini sieda al tavolo con Berlusconi e Umberto Bossi per arrivare a una sintesi condivisa anche in Parlamento. Preferibilmente non solo dalla maggioranza". Quanto all’accusa lanciata verso il premier di aver consentito che il Senatùr diventasse il "dominus" della coalizione, "è infondata": "Se una trazione leghista c’è - dice Schifani - è figlia di un’azione politica e programmatica, frutto dell’azione di governo a Roma e soprattutto sul territorio. Non mi pare che la Lega faccia una politica delle poltrone: ha solo tre ministri su ventitrè. Vogliamo parlare del lavoro di Roberto Maroni al Viminale? Dei risultati ottenuti nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata e sull’immigrazione clandestina? Del lavoro di Calderoli, che - tranne lo scivolone sulla bozza di riforme - è stato abile a trovare un compromesso con l’opposizione sul federalismo fiscale? Della capacità di Bossi che - abbandonata l’idea della secessione - è stato capace di costruire una nuova classe dirigente giovane e preparata?". Così parte un’altra pesante critica all’ex capo della destra, "che parla a nome della destra spendendo posizioni e valori che di destra non sono". Di più: "Penso che proprio le sue posizioni su sicurezza, immigrazione, famiglia, hanno determinato al Nord il passaggio di molti elettori di An verso la Lega. È più che lecito cambiare idea, ma occorre poi fare i conti con le conseguenze di questo cambiamento. Non so quanti dei finiani su questi temi siano d’accordo con Fini". Schifani non lo è, "come non sono d’accordo con la tesi che la trazione leghista stia spaccando il Paese e provocando danni al Sud. Di quale Sud parliamo? Perché io sono stanco di un meridionalismo piagnone, assistenziale e clientelare. La sfida federalista, lo dico da parlamentare del Sud, ci impone una svolta culturale. Il federalismo fiscale dev’essere solidale, e su questo siamo tutti d’accordo. Però basta con l’andazzo, per anni nel Mezzogiorno sono arrivati flussi ingenti di danaro, ma è mancata la qualità della spesa. Mi conforta comunque che stia crescendo una nuova classe dirigente che invertirà questa tendenza. C’è un deficit infrastrutturale, certo, infatti spero che il governo presenti presto un piano straordinario, lo deve fare. Ma è impensabile, per esempio, che ancora oggi si assista a quanto accade in Sicilia, dove la spesa della regione è superiore a quella della Lombardia, che ha quattro milioni di abitanti in più". Erano i temi che Schifani si era appuntato per l’intervento, se oggi fosse andato in direzione. Con un’annotazione finale, "l’auspicio che prevalga il senso dell’unità, che sia tutelato il patrimonio storico del Pdl, nato in nome del bipolarismo. Mi auguro che Fini collabori a preservare tutto ciò, perché le scelte della politica sono irreversibili. Rammento quando nel 1996 disse no alla nascita del governo Maccanico pur di andare al voto, e il centrodestra senza la Lega venne sconfitto". Per il resto non crede alle dietrologie, all’ipotesi che Fini si muova per avviare la fase post-berlusconiana, "non ci credo. Anche perché da sedici anni se ne parla nel Palazzo, ma non sarà il Palazzo a decidere chi succederà a Berlusconi. Saranno gli elettori. Quando arriverà il momento". Francesco Verderami 22 aprile 2010
2010-04-21 Il presidente della Camera: "Il cavaliere accetti il dissenso" Pdl, Fini lancia la sua corrente Berlusconi: "Si faccia il suo partito" Premier deluso e irritato studia la risposta. Lega cauta: "No a rotture" Il presidente della Camera: "Il cavaliere accetti il dissenso" Pdl, Fini lancia la sua corrente Berlusconi: "Si faccia il suo partito" Premier deluso e irritato studia la risposta. Lega cauta: "No a rotture" Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi in un'immagine del 29 gennaio 1995, durante il quale il Movimento Sociale Italiano venne sciolto per dare vita ad Alleanza Nazionale.(Ansa) Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi in un'immagine del 29 gennaio 1995, durante il quale il Movimento Sociale Italiano venne sciolto per dare vita ad Alleanza Nazionale.(Ansa) ROMA - Da un lato tira un sospiro di sollievo, visto che, almeno per ora, la scissione di Gianfranco Fini sembra scongiurata; dall'altro l'atteggiamento del cofondatore del Pdl e l'idea che crei una corrente nel partito non gli piace per niente. Silvio Berlusconi reagisce con un misto di delusione, irritazione e cautela alle istanze del presidente della Camera: da un lato non accetta ulteriori logoramenti da parte del presidente di Montecitorio anche perché non intende farsi trascinare in quello che ama definire il "teatrino della politica"; dall'altra non intende forzare la mano, con strappi dalle imprevedibili conseguenze, e dunque attende di capire con esattezza cosa vuole veramente l'ex leader di An. Per capire cosa abbia davvero in testa Fini, Berlusconi ha riunito a palazzo Grazioli, sia i vertici della Lega (Umberto Bossi non c'era), che quelli del Pdl (Italo Bocchino non era presente perchè non invitato e ciò la dice lunga sul clima verso i "finiani"). BERLUSCONI - Berlusconi, riferiscono le stesse fonti, non intende più trattare con il cofondatore del Pdl e soprattutto non vuole riconoscere che all'interno del partito si possa dar vita ad una opposizione interna. "Altrimenti - avrebbe ragionato - meglio che si faccia un partito e si vada al voto, non possiamo andare avanti con questo continuo stillicidio. Il Pdl è nato per restare unito e non per dividersi", è la linea del presidente del Consiglio. A sconsigliare di rompere però è Umberto Bossi che non vuole mettere in gioco la legislatura. Ora la partita si sposta a giovedì: se i finiani presentassero il documento firmato martedì, la maggioranza del partito potrebbe votare contro. FINI - "Non voglio farmi da parte nè stare zitto, Berlusconi accetti che ci sia dissenso", ha spiegato Fini martedì mattina agli ex parlamentari di An riuniti nella sala Tatarella della Camera. Il documento a sostegno di Fini è stato firmato da 55 deputati, ma potrebbero essere molti di più - e soprattutto dalle fila degli ex azzurri - a convergere sulle posizioni del presidente della Camera. Dall'altra parte, gli ex An che hanno voltato le spalle a Fini. Ad aver sottoscritto il documento promosso da Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa e Altero Matteoli (tutti ex colonnelli di Fini) sono stati 75 parlamentari, che chiedono di non mettere in crisi il progetto del Pdl. LEGA - Sul fronte della Lega, intanto, si registra grande cautela. Tant'è che nessun esponente del Carroccio ha commentato la situazione all'interno del Pdl. Del resto Umberto Bossi, in una recente intervista a "El Pais" aveva sottolineato la necessità di trovare un'intesa con Fini. L'obiettivo primario dei lumbard è di portare a casa le riforme. E una guerra intestina nel Pdl non aiuterebbe. Ecco perché, Roberto Calderoli, ha cercato di minimizzare: "Ho sentito dai telegiornali notizie fantasiose, oggi non c'è nessun vertice della Pdl a cui abbia preso parte la Lega ma semplicemente un incontro, già programmato, che abbiamo avuto con Berlusconi e Verdini, mio omologo nel Pdl". Redazione online 21 aprile 2010
2010-04-18 LO SCONTRO NEL PDL Berlusconi: il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti" * NOTIZIE CORRELATE * Fini, si lavora contro lo strappo (17 aprile 2010) * Lo sfogo del Cavaliere se va via finisce l'incubo e lo seguono in 7 o 8 (16 aprile 2010) * Fini e Berlusconi, è rottura Schifani: "Se divisi, si voti" (15 aprile 2010) LO SCONTRO NEL PDL Berlusconi: il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti" Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon) Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon) MILANO - Il giorno dopo l'invito-ultimatum a Fini, il presidente del Consiglio torna a ribadire la sua posizione: "Il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo". "La maggioranza resisterà, il Governo continuerà, sono cose superabili" ha detto il premier a proposito della querelle all'interno del Pdl. "Penso che si possa ricompattare - ha aggiunto - ma in qualunque direzione si vada non ci saranno problemi. State sereni". LA CORTE - "Ho fatto la corte anche a Fini questa settimana". Silvio Berlusconi non vede l'ora di tornare a scherzare dopo essere stato al funerale di Raimondo Vianello. Così rivolto agli imprenditori riuniti al Salone del Mobile di Milano (dove è stato accolto da un'ovazione), sui suoi rapporti con il presidente della Camera, Gianfranco Fini svela: "È da 15 anni che lo conosco -ha continuato Berlusconi- ma com'è che adesso non andiamo d'accordo?". LE RIFORME - Riguardo al capitolo riforme Berlusconi spiega: "Quelle costituzionali non sono le più importanti. La riforma costituzionale è qualcosa a cui vale la pena di lavorare". Poi ha detto che si farà "sentendo tutti" e possibilmente "con l'assenso di una opposizione responsabile, se diventerà responsabile". Servirà a dare allo Stato "un assetto più moderno" permettendo di "prendere decisioni con la necessaria tempestività". Secondo Berlusconi, dopo aver dato la possibilità all'elettorato di votare direttamente il loro sindaco e presidente di Regione, "poter scegliere anche il presidente dell'Italia credo sia un diritto in più per i cittadini". Il sistema delineato dalla Costituzione "risente del fatto che i padri costituzionali l'abbiano fatta dopo venti anni di dittatura ed avevano timore del ritorno di un regime e tutti i poteri sono stati dati all'assemblea parlamentare". La conseguenza, per il premier, è che quello italiano "è l'esecutivo con meno poteri al mondo". Il presidente del Consiglio "è un primus inter pares - ha concluso - vive solo della sua personale autorevolezza e infatti gli altri sono durati 11 mesi". INTERCETTAZIONI - Poi il premier ha parlato delle nuove norme sulle intercettazioni "Credo che sia una guerra santa che stiamo combattendo". Serviranno solo per reati gravi non "per cercare notizie di reato", ha spiegato, ma nel caso in cui ci siano "già gravi indizi di colpevolezza". FISCO - "Nel giro di due anni realizzeremo un codice unico in materia fiscale per eliminare le migliaia di leggi che oggi creano troppa confusione". "A causa di questa situazione - ha detto il premier - anche aziende che si fanno assistere da studi fiscali di primo piano si trovano ad essere oggetto delle attenzioni dell'Agenzia delle Entrate e magari a subire un giudizio anche quando erano convinti di non aver commesso reati". Berlusconi ha anche preso l'impegno preciso di ridurre le tasse "appena i conti pubblici saranno a posto". "La prima cosa che faremo - ha detto - sarà pensare alle famiglie numerose e la seconda l'abolizione dell'Irap che io chiamo imposta rapina". LA BATTUTA - Infine si è rivolto alla platea dei mobilieri: "Io sono venuto qui per il pranzo, ma qualcuna delle hostess la invitate o no?". "Questi - ha proseguito Berlusconi - non sono peccati. Non commettere atti impuri, è scritto. Tutto il resto è permesso". "Vedete - ha proseguito Berlusconi - è questa la differenza tra noi e quegli altri. Il loro problema è che sono sempre arrabbiati, che non hanno autoironia, mentre qualche storiella ti pulisce la mente, ti apre al sorriso". Redazione online 17 aprile 2010(ultima modifica: 18 aprile 2010)
IL PARADOSSO DEL CASO FINI Un favore alla Lega IL PARADOSSO DEL CASO FINI Un favore alla Lega Accade continuamente che certe nostre azioni, volte a ottenere determinati risultati, producano effetti opposti, in contrasto con le nostre intenzioni. Una delle ragioni per le quali è possibile che il presidente della Camera Gianfranco Fini cerchi un accomodamento dell'ultimo minuto con Berlusconi consiste nel fatto che una scissione potrebbe ampliare ulteriormente gli spazi di manovra della Lega di Bossi. Sarebbe paradossale se proprio Fini, il leader che contrasta il peso politico della Lega nella maggioranza e nel governo, si trovasse nella condizione di favorirne involontariamente l'accrescimento anziché il ridimensionamento. Nel breve termine, come ha osservato Stefano Folli ( Il Sole 24 ore), una scissione dei finiani potrebbe esaltare il ruolo della Lega nel governo non lasciando a Berlusconi altra scelta se non quella di rafforzare ulteriormente l'asse con Bossi. Ma le conseguenze di più ampia portata si avrebbero in sede elettorale (con o senza elezioni anticipate). Oggi, complici anche certe letture superficiali dei risultati delle regionali, la forza della Lega appare alquanto sopravvalutata. La Lega ha infatti ottenuto un grande successo ma con la complicità dell'astensione (l'astensionismo ha colpito il Pdl non la Lega). E’ plausibile che, nelle prossime elezioni politiche, riassorbito l'astensionismo, i rapporti di forza fra Lega e Pdl possano tornare più o meno ai livelli delle politiche precedenti. Ma se ci fosse una scissione le cose cambierebbero. Il Pdl apparirebbe al Nord ancor più fragile di quello che è e la Lega potrebbe avvantaggiarsene strappando molti elettori al partito di Berlusconi. L'egemonia leghista al Nord diventerebbe allora una "profezia che si autoadempie". La scissione finiana contribuirebbe al risultato. Inoltre, quale che sia la consistenza delle truppe finiane, è probabile che il grosso di quelle truppe sia dislocato essenzialmente nel Centro-Sud, da Roma in giù. Fini potrebbe così trovarsi, involontariamente, alla testa di una specie di Lega Sud, con una capacità di attrazione nel Nord del Paese vicina allo zero o giù di lì. Sarebbe un passo in più verso uno scenario un po' fosco, quello di una netta divisione politicoterritoriale fra Nord e Sud. D’altra parte, sono i numeri a dire che fino ad ora è stata solo la leadership di Berlusconi a tenere insieme le diverse anime territoriali della maggioranza. Fini ha però di fronte a sé anche un’altra opzione: fare ciò che fino ad oggi non ha fatto o non è riuscito a fare (come ha osservato Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere del 16 aprile). Evitare la scissione e costruire una corrente, interna al Pdl, dotata di un suo chiaro e riconoscibile programma, capace di parlare davvero all’elettorato di destra. In questo caso, Fini si doterebbe di una certa forza contrattuale da spendere nelle trattative con Berlusconi, Tremonti e Bossi sulle varie questioni interessate dall’azione del governo. È una strada sdrucciolevole: elaborare un programma siffatto (soprattutto, sulle questioni economiche) non è facile. Ma sembra anche, per Fini, l’unica possibilità. Limitarsi a fare il controcanto ogni volta che Berlusconi parla, come il Presidente della Camera ha fin qui scelto di fare, può strappare applausi alla sinistra ma, politicamente, non porta da nessuna parte. Con o senza scissione. Angelo Panebianco 18 aprile 2010
L'intervista Gasparri: "Gianfranco non lo sento più. E non mi dispiace" Il capogruppo Pdl al Senato: "Tra noi solo dibattito politico. Io sono rimasto sulle posizioni di un tempo" L'intervista Gasparri: "Gianfranco non lo sento più. E non mi dispiace" Il capogruppo Pdl al Senato: "Tra noi solo dibattito politico. Io sono rimasto sulle posizioni di un tempo" ROMA —Maurizio Gasparri, vi siete sentiti, in questi giorni tempestosi, con il presidente Fini? "No, mai". Vi sentite sempre meno? "Non capita frequentemente". Maurizio (Gasparri) aveva 17 anni, Gianfranco (Fini) 21. Era il 1973. Funerali dei fratelli Mattei, bruciati dentro casa a Primavalle. Si conobbero lì. Poi, frequentarono assieme la sezione del Msi di via Sommacampagna. Dal 1987 Fini fu segretario e di Gasparri si scrisse: "La sua fedeltà al capo è indiscussa, la sua obbedienza militare". Gasparri, le dispiace quello che sta succedendo? "Nessun dispiacere. Da tempo fra me e Fini c'è solo dibattito politico. E non condividiamo gli stessi obiettivi. Oggi ho buoni rapporti con molti ex An ed ex Forza Italia. E ho un ottimo rapporto personale con Berlusconi". Tutto cominciò a mutare da quando lei fece il ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi 2001-2005. Poi ci fu il famoso colloquio al bar fra lei, La Russa e Matteoli in cui criticavate il leader... "Il problema vero è che io sono rimasto sulle posizioni che abbiamo sempre espresso: Lui invece è diventato un innovatore, ha cambiato idea su tante cose. Con pieno diritto, beninteso". Ora lei è più "di destra"? "Io sono per la difesa della famiglia, per la tutela delle forze dell'ordine, per il diritto alla vita, contro l'immigrazione clandestina". Fini, da parte sua... "Eh, il caso Englaro, il diritto di voto agli immigrati, il sì al referendum sulla fecondazione artificiale... Ma se un capo di partito cambia idea, dirigenti e militanti devono adeguarsi? Mi sembra uno scenario alla Orwell". Fini ha detto a Berlusconi che gli ex di An che ricoprono ruoli nel partito e nel governo sono stati "comprati", ormai "al servizio" del presidente del Consiglio. "Diciamo che credo alle smentite e penso che siano frasi mai pronunciate". Fra le richieste di Fini ci sarebbe la sostituzione degli uomini che oggi occupano il 30 per cento di "quota An" nelle cariche. La Russa si è detto pronto a un passo indietro, se Berlusconi lo chiede. "Nessuno detiene l'esclusiva del 30 per cento. In quella quota, stabilita alla fondazione del Pdl, sono comprese idee e uomini che furono di An". Lei farebbe un passo indietro? "Se si tratta di "salvare la patria", cedo il posto di capogruppo al Senato. Non contano però solo i patti, ci vuole anche il consenso. E credo che oggi sarei rieletto dai senatori pdl con un plebiscito". C'è un futuro per Fini e i "finiani"? "Se andranno alla scissione, questo porterà alla crisi e alle elezioni. E di solito chi crea rotture paga un prezzo pesante. Ma io mi auguro che non ci saranno scissioni, come scrivono anche i 14 senatori pdl che si sono riuniti a pranzo e hanno firmato un documento equilibrato: lo potrei sottoscrivere". In quel documento si chiede più dibattito interno al Pdl. "Questa è la strada. Ma non è vero che Berlusconi non discuta. Per esempio, non voleva accordi con l'Udc, non voleva la candidatura Polverini: ma ha ascoltato e cambiato idea. Però Fini ha ragione a lamentarsi per la consegna a Napolitano della bozza sulle riforme, senza che lui ne sapesse nulla". Ci sono anche problemi personali fra Fini e Berlusconi? "I due sono molto differenti. Berlusconi tende a mescolare rapporti personali e rapporti politici. Fini è freddo. Poi, forse Fini vive l'esperienza da presidente della Camera come limitativa. È fisiologico che un leader curi le sue prospettive future, e l'ultima vittoria della Lega lo ha messo in grande allarme". Possono aver pesato i servizi di "Striscia la notizia" su Elisabetta Tulliani, la compagna di Fini? O i continui attacchi del "Giornale"? "Non aiutano la comprensione reciproca". Andrea Garibaldi 18 aprile 2010
2010-04-17 LO SCONTRO NEL PDL Berlusconi: il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti" * NOTIZIE CORRELATE * Fini, si lavora contro lo strappo (17 aprile 2010) * Lo sfogo del Cavaliere se va via finisce l'incubo e lo seguono in 7 o 8 (16 aprile 2010) * Fini e Berlusconi, è rottura Schifani: "Se divisi, si voti" (15 aprile 2010) LO SCONTRO NEL PDL Berlusconi: il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo Il premier dopo l'invito-ultimatum a Fini. "Le riforme costituzionali non sono le più importanti" Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon) Berlusconi e Fini nel 2006 insieme sul palco contro la Finanziaria del governo Prodi (Eidon) MILANO - Il giorno dopo l'invito-ultimatum a Fini, il presidente del Consiglio torna a ribadire la sua posizione: "Il governo va avanti anche se non ci ricompatteremo". "La maggioranza resisterà, il Governo continuerà, sono cose superabili" ha detto il premier a proposito della querelle all'interno del Pdl. "Penso che si possa ricompattare - ha aggiunto - ma in qualunque direzione si vada non ci saranno problemi. State sereni". LA CORTE - "Ho fatto la corte anche a Fini questa settimana". Silvio Berlusconi non vede l'ora di tornare a scherzare dopo essere stato al funerale di Raimondo Vianello. Così rivolto agli imprenditori riuniti al Salone del Mobile di Milano (dove è stato accolto da un'ovazione), sui suoi rapporti con il presidente della Camera, Gianfranco Fini svela: "È da 15 anni che lo conosco -ha continuato Berlusconi- ma com'è che adesso non andiamo d'accordo?". LE RIFORME - Riguardo al capitolo riforme Berlusconi spiega: "Quelle costituzionali non sono le più importanti. La riforma costituzionale è qualcosa a cui vale la pena di lavorare". Poi ha detto che si farà "sentendo tutti" e possibilmente "con l'assenso di una opposizione responsabile, se diventerà responsabile". Servirà a dare allo Stato "un assetto più moderno" permettendo di "prendere decisioni con la necessaria tempestività". Secondo Berlusconi, dopo aver dato la possibilità all'elettorato di votare direttamente il loro sindaco e presidente di Regione, "poter scegliere anche il presidente dell'Italia credo sia un diritto in più per i cittadini". Il sistema delineato dalla Costituzione "risente del fatto che i padri costituzionali l'abbiano fatta dopo venti anni di dittatura ed avevano timore del ritorno di un regime e tutti i poteri sono stati dati all'assemblea parlamentare". La conseguenza, per il premier, è che quello italiano "è l'esecutivo con meno poteri al mondo". Il presidente del Consiglio "è un primus inter pares - ha concluso - vive solo della sua personale autorevolezza e infatti gli altri sono durati 11 mesi". INTERCETTAZIONI - Poi il premier ha parlato delle nuove norme sulle intercettazioni "Credo che sia una guerra santa che stiamo combattendo". Serviranno solo per reati gravi non "per cercare notizie di reato", ha spiegato, ma nel caso in cui ci siano "già gravi indizi di colpevolezza". FISCO - "Nel giro di due anni realizzeremo un codice unico in materia fiscale per eliminare le migliaia di leggi che oggi creano troppa confusione". "A causa di questa situazione - ha detto il premier - anche aziende che si fanno assistere da studi fiscali di primo piano si trovano ad essere oggetto delle attenzioni dell'Agenzia delle Entrate e magari a subire un giudizio anche quando erano convinti di non aver commesso reati". Berlusconi ha anche preso l'impegno preciso di ridurre le tasse "appena i conti pubblici saranno a posto". "La prima cosa che faremo - ha detto - sarà pensare alle famiglie numerose e la seconda l'abolizione dell'Irap che io chiamo imposta rapina". LA BATTUTA - Infine si è rivolto alla platea dei mobilieri: "Io sono venuto qui per il pranzo, ma qualcuna delle hostess la invitate o no?". "Questi - ha proseguito Berlusconi - non sono peccati. Non commettere atti impuri, è scritto. Tutto il resto è permesso". "Vedete - ha proseguito Berlusconi - è questa la differenza tra noi e quegli altri. Il loro problema è che sono sempre arrabbiati, che non hanno autoironia, mentre qualche storiella ti pulisce la mente, ti apre al sorriso". Redazione online 17 aprile 2010
Dietro le quinte Berlusconi "regista" del vertice "Basta limare, fidatevi di me" E critica la Bongiorno: crea sempre dei problemi Dietro le quinte Berlusconi "regista" del vertice "Basta limare, fidatevi di me" E critica la Bongiorno: crea sempre dei problemi ROMA — "Basta limare! Non c'è bisogno, vi fidate di me?". Sorriso del Cavaliere a 32 denti. Pochi attimi di silenzio. Platea spiazzata. "Allora è deciso, parlo io con i giornalisti, non vi preoccupate, sarò prudente". Poco minuti dopo Berlusconi si trova già davanti una ventina di cronisti e ogni tanto sbircia quello che viene presentato come un documento, ma in realtà è solo poco più di una bozza di qualcosa. Al secondo tentativo di limatura non ne ha potuto più, ha chiesto il consenso e ha chiamato le telecamere. E' una delle tante scene di ieri, una giornata che il Cavaliere ha programmato nei minimi dettagli, concordando con alcuni ministri anche il senso degli interventi che avrebbero svolto durante l'ufficio di presidenza. Una giornata "teatrale", culminata nella riunione di Palazzo Grazioli, organizzata con l'ausilio di validi aiuti (Verdini ha moderato con molta durezza, Bondi e La Russa, Gasparri e Scajola, hanno detto quello che il capo del governo voleva sentire). Al resto ha pensato lui in prima persona: prendendosi cura di interrompere più di una volta il piccolo gruppo dei "finiani" (da Bocchino a Urso a Viespoli) che alla fine, come in altre occasioni, ha preferito uniformarsi piuttosto che distinguersi. Berlusconi aveva il sorriso stampato sulle labbra sin dalla mattina, sin dalla riunione del governo. Ha scherzato con i ministri come se nulla fosse successo. Trattato lo scontro con l'alleato, per buona parte della giornata, con il distacco che solo chi è convinto di avere le carte in mano può ostentare. Sulla vicenda ci ha persino scherzato su, in modo pesante. Di mattina: "E' solo un piccolo problema interno a una forza politica". Di pomeriggio: "Quelli che pone Fini non sono problemi politici". Insomma il presidente della Camera trattato come questione secondaria; lui, il Cavaliere, come il pretore dell'antica Roma, che non tratta le cause di scarso valore, in questo caso dai tratti caratteriali, perché ovviamente non può occuparsi de minimis. Poi alla fine, ovviamente, se ne è occupato, ma con una sapiente regia. Offrendo una durezza e una determinazione che in assenza di rottura può solo umiliare il cofondatore del Pdl. Lo ha detto anche durante la riunione del partito: "O un accordo forte o strade separate". Ma di accordi non c'è traccia. Altro che mano tesa. Nessuna concessione, semmai la ricerca di una resa. "Vorrei capire, cos'è per Fini la democrazia? Mi sembra che l'interpreti come il diritto di cambiare opinione, ma il 30% delle cariche del Pdl le ha indicate lui. Vuole cambiare qualche dirigente? Non si può. Non gli va più bene essere informato da La Russa? Non è un problema mio". Alla fine della giornata le questioni di Fini sono scomparse, le domande sono quelle di Berlusconi. Ora è lui che attende risposte: "La verità è che da un anno e mezzo dice sempre l'opposto di quello che dico io e c'è la Bongiorno che alla Camera crea sempre dei problemi. Io non voglio rompere, gli ho fatto anche la corte, sono andato a pranzo con lui lo stesso numero di volte che ho cenato con Bossi, mi sembra sia lui a volere andare via, non io". Una risposta peggiore dell'indifferenza. Di sicuro Berlusconi è consapevole dei rischi che corre, forse anche quello di elezioni anticipate. Ma è anche sicuro di voler andare sino in fondo: il "piccolo problema" si deve risolvere, ha detto ieri, "una volta per tutte". Marco Galluzzo 17 aprile 2010
IL SEMINARIO A VALMONTONE La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd Scontro tra D'Alema e Franceschini sull'apertura a Fini IL SEMINARIO A VALMONTONE La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd Scontro tra D'Alema e Franceschini sull'apertura a Fini MILANO - La tempesta che sta scuotendo il Pdl e lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi stappano il vaso di Pandora delle visioni, distinte, che convivono del Pd fin dalla sua nascita. L'occasione è il seminario dei Liberal Pd a Valmontone. I protagonisti sono Massimo D'Alema, esponente di spicco della maggioranza del partito, e Dario Franceschini, leader della minoranza. In platea, ad ascoltare, c'è Pier Luigi Bersani. Insomma, il 'gotha' dei dirigenti Pd che sabato si ritroveranno in una delicata riunione della Direzione del partito dopo il risultato deludente delle regionali. La domanda di fondo è: come fa il Pd a vincere e ad andare al governo del paese? Bersani e D'Alema (Lapresse) Bersani e D'Alema (Lapresse) SCINTILLE - Le risposte di D'alema e Franceschini sono lontane, a volte opposte. Franceschini rilancia il modello veltroniano di partito, ovvero il recupero dell'appeal innovativo delle origini, la vocazione maggioritaria, un netto schema bipolare. Per D'Alema quel progetto lì, ha giá mostrato la corda. Semmai la strada da seguire è tutt'altra: solo superando l'attuale bipolarismo si possono rimescolare le carte, si rompe un sistema cristallizzato attorno al blocco di potere di Berlusconi, si rompono le gabbie che stringono le forze politiche. Solo così si potranno aprire nuove prospettive per il Pd con un dialogo con Casini, innanzitutto, ma anche con Gianfranco Fini. Nell'ipotesi, insomma, che il Pdl venga meno per D'Alema l'attuale presidente della Camera può essere un interlocutore sia sul piano delle riforme che dei contenuti, vedi l'immigrazione o la bioetica. Gelido Franceschini che ribatte: "Fini è un avversario che cerca di costruire una destra normale e non sotto padrone, ma resta pur sempre un avversario". Per il leader della minoranza Pd sarebbe ipotizzabile un avvicinamento solo se vi fosse "un'emergenza democratica". Tolto questo caso, "credo che gli italiani si aspettino dal Pd non discussioni di ingegneria istituzionale, ma che riprenda la sua ragione di nascita, ovvero cambiare il paese". Ma per D'Alema "l'emergenza democratica c'è già. Franceschini è contraddittorio perchè da una parte non facciamo che dire che la democrazia è a rischio, che si va verso un sistema plebiscitario, che la libertá di informazione è minacciata. Più emergenza democratica di così...". BERSANI - A Valmontone c'è anche il segretario Bersani, che intervenendo ad un dibattito successivo a quello di Franceschini e D'Alema non si addentra nelle questioni sulle quali i due hanno dibattuto. Ma arrivando all'iniziativa, il segretario da sullo scontro dentro il Pdl una risposta, ai cronisti, che sembra vicina a quella di D'Alema: "Io non faccio il tifo per nessuno -dice Bersani riferendosi a Fini- ma certo noi siamo pronti a confrontarci con tutte quelle forze politiche che sono contrarie ad uno stravolgimento della Costituzione in senso plebiscitario e che criticano la politica economica di Tremonti e della Lega. Noi lo diciamo da tempo. Siamo qua e siamo pronti ad un patto repubblicano con tutti quelli che la pensano così". Per D'Alema un interlocutore possibile in questo senso, per l'eventuale 'patto repubblicano ' di cui parla Bersani, potrebbe essere anche Fini e lo spiega così: "Vorrei dire a Franceschini che Fini non è soltanto un leader che vuole una destra normale. Io sono molto attento a quello che fa Fini e su molti temi credo che i contenuti da lui espressi siano molto interessanti. Ha tenuto posizioni coraggiose e distinte da Berlusconi su temi cruciali come l'immigrazione e la bioetica, che sappiamo quanto siano delicati per la maggioranza di centrodestra. Io non sto parlando di formule o di alchimie, ma sono attento ai contenuti", spiega il presidente di ItalianiEuropei ricordando anche i tanti momenti di confronto con Fini tramite i lavori della fondazione 'FareFuturò, vicina al presidente della Camera. Per Franceschini le cose non stanno così: "Io credo che tra Berlusconi e Fini si arriverá ad una rottura. Anche perchè, se Fini questa volta torna indietro perderá di credibilitá. Lo scontro che è in atto è profondo ed è quello tra una destra normale con una sua dialettica interna o una destra sotto padrone, quella di Berlusconi per cui è un ingombro chiunque osi criticarlo". Ma detto questo per Franceschini il ruolo di Fini non può spingersi oltre il fatto che il presidente della Camera stia tentando di costruire una destra normale: "Per noi resta un avversario". LA DISCUSSIONE - La discussione attorno al rapporto con Fini nel corso del dibattito a Valmontone tra D'Alema e Franceschini si è innestata sul la discussione attorno ad alleanze e bipolarismo. Lo schema bipolare, secondo D'Alema, va superato e spiega perchè: "Noi abbiamo perso un milione di voti rispetto alle europee, ma il Pdl ne ha persi due volte e mezzo in più. Questi dati sono la spia di una crisi anche sistemica. Siamo alla fine di un ciclo. Come si esce da questa crisi? Berlusconi è tentato di uscirne con una spallata di tipo plebiscitario. Per impedirlo occorre rompere la gabbia del bipolarismo e dare una risposta di rinnovamento sistemico. Bisogna rompere la gabbia e liberare le forze. Ma per farlo occorre che da questa parte -prosegue D'Alema- ci sia un partito che non butta indietro quelle forze perchè è autoreferenziale o dá risposte simili a quelle di Berlusconi che vuole rafforzare i meccanismi restrittivi". Quindi per D'Alema vanno cercate sponde "con quelle forze politiche che sono contro un disegno plebiscitario, contro ipotesi di presidenzialismo che indebolirebbe la coesione del paese. Tutto questo dipende molto dal Pd e da come si pone di fronte a quelle forze che vogliono liberarsi e che magari con noi possono fare un pezzo di strada insieme. Se riusciremo a fare questo verranno da noi sia Casini che Fini". Per chiudere D'Alema invita tutti ad uscire "dalla falsa discussione tra chi vuole il progetto e chi privilegia le alleanze. Altrimenti ci portano alla neuro. Sono facce della stessa medaglia". Non la pensa così Franceschini secondo cui se il Pd non recupera una sua forte identitá allora non ci può essere alleanza che tenga e si tornerebbe ad essere 'sudditi di partiti che contano poco più del 5%. "Il bipolarismo -osserva Franceschini- è una delle poche conquiste che abbiamo fatto in questi ultimi anni e non dobbiamo tornare indietro da questo sistema per tattica favorendo, magari, una legge elettorale in cui piccoli partiti diventano ago della bilancia. Non è questa la strada ed è in contrasto con la nostra storia, con la storia dell'Ulivo". L'argomentazione non convince D'Alema: "Non è affatto così perchè proprio con questo sistema sono le forze minori a condizionare tutti perchè per ottenere il premio di maggioranza occorre fare le coalizioni più larghe possibili. In questo modo si sono fatti governi che in questi 16 anni non sono riusciti a portare a casa alcuna riforma sostanziale per il paese. Con questo sistema le forze minori hanno un peso che mai hanno avuto prima, di certo non lo hanno mai avuto nella prima Repubblica". Tutto questo, aggiunge D'Alema, potrebbe essere superato con una legge elettorale che preveda il doppio turno "ma se non ce la danno, inviterei ad una riflessione un pò più approfondita, tecnicamente composta, senza abbandonarsi agli slogan". (Fonte AdnKronos)
16 aprile 2010(ultima modifica: 17 aprile 2010)
nel suo intervento alla direzione del partito Bersani: al lavoro su progetto per l'Italia Il segretario del Pd : "Cambiare legge elettorale ma mantenere bipolarismo. Riforma fiscale subito. Pronto ddl per far uscire i partiti dalla Rai" nel suo intervento alla direzione del partito Bersani: al lavoro su progetto per l'Italia Il segretario del Pd : "Cambiare legge elettorale ma mantenere bipolarismo. Riforma fiscale subito. Pronto ddl per far uscire i partiti dalla Rai" Pier Luigi Bersani (Ansa) Pier Luigi Bersani (Ansa) ROMA - "Il futuro è una sfida, mettiamoci all'altezza. Serve un progetto per l'Italia, un'agenda che ci porti a far emergere la nostra visione del Paese". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, nel suo intervento alla direzione del partito. Secondo Bersani bisogna puntare "su pochi punti programmatici: lavoro, inteso come lavoro delle nuove generazioni; fisco; educazione, intesa come scuola e università; riforma delle istituzioni, giustizia e informazione. Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Trasmettiamo positività". FISCO - "La riforma del fisco non può essere rinviata dopo il federalismo". Per Bersani il fisco "è il luogo del tradimento della destra verso gli italiani", quindi "il primo obiettivo deve essere la fedeltà fiscale. Ogni euro in più che deriva dalla lotta all'evasione è euro in meno di tasse". RIFORMA ELETTORALE - "Dobbiamo combattere questa legge elettorale che è l'architrave del meccanismo plebiscitario di Berlusconi. Le soluzioni sono diverse ma dobbiamo tenere presenti tre paletti: il sistema bipolare, la scelta del deputato e la garanzia di una maggioranza stabile". "Intorno a questi tre criteri - sostiene Bersani raccogliendo la condivisione della minoranze del Pd - possiamo ragionare insieme e possiamo arrivare a proposte più precise. Ma cerchiamo di sdrammatizzare il tema perchè le leggi elettorali vanno e vengono mentre Berlusconi sta qui dal'94". "PATTO REPUBBLICANO CONTRO DERIVE PLEBISCITARIE" - "Serve un patto repubblicano contro le derive populiste e plebiscitarie per chi vuole le riforme nel solco costituzionale" ha rinforzato Bersani, che ha aggiunto che "se l'agenda è quella delle leggi ad personam, non ci cerchino. Dobbiamo contrapporre una posizione limpida. Per le riforme su solco costituzionale noi abbiamo le nostre proposte. Se si parla sul serio di questioni economiche e sociali ho già detto che vado fino ad Arcore". "LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA NON È UN TABÙ" - La riforma della giustizia "non può essere un tabu". "La giustizia è un servizio che non funziona per i cittadini e noi -sottolinea il segretario del Pd- lo vogliamo affrontare da quel lato". "Le nostre proposte sono in polemica con le leggi ad personam. Si può essere d'accordo o meno ma non esiste che nella nostra squadra, quando si presentano delle proposte, si parli di intelligenza con il nemico", ha evidenziato il segretario. "FUORI I PARTITI DALLA RAI, PRESENTEREMO UN DDL" - "Fuori i partiti dalla Rai" ha anche detto senza mezzi termini il segretario del Pd, annunciando che "presenteremo presto un ddl a questo scopo. Gli organismi di garanzia attuali si sono infatti rivelati strutturalmente impotenti a garantirci. È necessaria anche una nuova legge antitrust, che è anche il modo per affrontare il conflitto d'interessi". LA LEGA SVOLGE UN RUOLO DA "PRIMA REPUBBLICA" - "La Lega usa in modo spregiudicato la sua utilità marginale e svolge un ruolo da partito da prima Repubblica. Penso che ormai non potrà reggere i due-tre ruoli che si è data nel teatrino della politica" ha sottolineato Bersani. "Più la Lega prende potere - evidenzia Bersani - più è decisiva nel sostenere Berlusconi. È ora che si prenda la responsabilità dei problemi che il governo non ha risolto". Redazione online 17 aprile 2010
2010-04-16 Il Senatùr pessimista: "Temo che non si rimetta a posto" Berlusconi: "Fini desista, continuiamo a lavorare insieme" L'ufficio di presidenza del Pdl: "Il governo va avanti comunque" * NOTIZIE CORRELATE * Pdl, alta tensione tra Fini e Berlusconi "Ho parlato chiaro, attendo valutazioni" (15 aprile 2010) * Le ultime accuse: hai comprato gli ex di An e la Lega ti ricatta (16 aprile 2010) * Lo sfogo del Cavaliere: se va via finisce l’incubo e lo seguono in 7 o 8 (16 aprile 2010) Il Senatùr pessimista: "Temo che non si rimetta a posto" Berlusconi: "Fini desista, continuiamo a lavorare insieme" L'ufficio di presidenza del Pdl: "Il governo va avanti comunque" ROMA - E' stata una delle giornate più sofferte del Pdl, con una possibile scissione sempre sullo sfondo. Ma alla fine da Berlusconi è arrivata un' "ultima chiamata" a Fini: "Desista dall'idea di creare gruppi autonomi. Attendo una sua risposta positiva". Anche se "il governo va avanti comunque". Ai giornalisti che attorno all'ora di pranzo, nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, gli chiedono delle tensioni all'interno del Pdl, Silvio Berlusconi dice semplicemente che ci sono "piccoli problemi nel partito". Ma a distanza di poche ore diventa chiaro che i piccoli problemi tanto piccoli non sono: "Gianfranco Fini ha deciso di andare via dal Pdl e l'ha deciso da tempo. Se vuole fare dei gruppi autonomi, faccia pure, ma così facendo è fuori dal Pdl". E ancora: "A Fini ho fatto veramente la corte, ho cercato di capirlo, ma è lui a voler gruppi separati". "NON SONO IO A VOLER ROMPERE"- Le parole del Cavaliere sono trapelate dall'ufficio di presidenza del partito da lui stesso convocato per quelle che erano state definite come "comunicazioni urgenti" dopo il faccia a faccia di giovedì con il presidente della Camera. Tra i due cofondatori del partito, in ogni caso, resta il gelo. E se l'ex capo di An aveva detto di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, i due Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, i due confidare in un chiarimento nel corso della riunione della direzione generale di giovedì prossimo, il Cavaliere ha deciso di giocare di anticipo e di chiamare già oggi attorno a sé il vertice pidiellino. Il summit dello stato maggiore del centrodestra è ancora in corso, ma dalle agenzie di stampa trapelano le prime indiscrezioni. "Ho tentato di convincere Fini, ma lui vuole fare i gruppi separati" avrebbe detto Berlusconi parlando ai principali esponenti del partito. "Questo - ha detto - è quanto è successo, ora fate voi le considerazioni". Il presidente del Consiglio ha poi replicato ad ogni intervento spiegando appunto, di non essere lui a voler rompere. "Io voglio solo le riforme", ha detto secondo quanto viene riferito. Inizialmente il cavaliere aveva esordito spiegando che "il Governo non è a guida leghista e non è assolutamente nelle mani di Tremonti", come invece gli era stato rinfacciato da Fini. L'UFFICIO DI PRESIDENZA: "FINI DESISTA" - La convocazione dell'ufficio di presidenza - di cui fanno parte 37 membri tra cui lo stesso Berlusconi e i tre coordinatori Bondi, La Russa e Verdini, ma non ad esempio Gianfranco Fini - sembrava insomma essere stato il modo per ufficializzare una volta di più lo stato di tensione. Questa mossa ha spiazzato i finiani. Stamane, alcuni di loro - tra cui Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Flavia Perina e Adolo Urso - alla spicciolata hanno visto Fini attorno all'ora di pranzo. Ma al termine del vertice il Presidente del Consiglio ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha rivolto un nuovo invito a Fini, approvato all'unanimità dall'ufficio di presidenza: desistere dall'idea di creare gruppi autonomi per continuare a lavorare insieme: "C'è grande volontà di proseguire questa storica avventura". Ma, a sgombrare il campo dagli equivoci, "il governo va avanti comunque: quella del voto anticipato è un'eventualità che vogliamo scongiurare". Il premier ha però posto anche dei paletti, a cominciare dal fatto che a suo avviso la creazione di gruppi da parte di Fini sarebbe una scissione, incompatibile con la prosecuzione del suo incarico di presidente della Camera". In conclusione Berlusconi si è detto fiducioso che si possano superare le incomprensioni: "Attendo la risposta di Fini e spero che sia positiva". FINI FIDUCIOSO - Quasi in contemporanea all'annuncio della convocazione dell'ufficio di presidenza, le agenzie avevano diramato una dichiarazione di Gianfranco Fini che parlava in positivo della convocazione per giovedì prossimo della direzione nazionale del Pdl (un organismo composto da 171 membri) allargata ai gruppi parlamentari: "E' sul piano del metodo, una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto ieri al presidente Berlusconi" ha detto il numero uno di Montecitorio. "Mi auguro - ha aggiunto - che a partire dalla riunione, cui parteciperò, possa articolarsi una risposta positiva anche nel merito delle questioni sul tappeto, a cominciare dal rapporto tra il Pdl e la Lega". ERA GIA' IN PROGRAMMA - Tuttavia ambienti del Pdl fanno sapere che la direzione nazionale era già stata convocata nel quadro della consultazione degli organi di partito decisa dopo le regionali. Come dire : non è una conseguenza delle richieste di chiarimento avanzate dall'ex leader di An. Dopo l'ufficio di presidenza dei giorni scorsi doveva riunirsi anche il Consiglio nazionale, ma dato il numero dei componenti del "parlamentino" Pdl, circa mille tra parlamentari e rappresentanti ai diversi livelli locali, si è data priorità alla direzione, decisamente più "asciutta". BOSSI PESSIMISTA - Il leader della Lega, Umberto Bossi, dopo aver consigliato al Cavaliere di "trattare" con Fini ("Farebbero bene a non strappare e a trovare l’accordo") osserva dall'esterno. E prevede foschi risvolti per il governo: "Quale scenario? Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni". E poi aggiunge: "Non ho certezze ma temo che la cosa non si rimetterà a posto...". Ma è stato lei a fare arrabbiare Fini?, hanno insistito i cronisti. Bossi si è limitato ad agitare un pugno come a voler colpire scherzosamente chi gli aveva rivolto la domanda. La prima pagina del "Secolo d'Italia" La prima pagina del "Secolo d'Italia" IL SECOLO: SERVE UNA "RUPTURE" - Che quelle in atto non siano semplici scaramucce verbali lo conferma la minaccia di costituire gruppi autonomi in Parlamento da parte degli ex di An rimasti fedeli a Fini. E lo certifica anche il Secolo, l'ex quotidiano di An oggi considerato vicino alle posizioni del presidente della Camera, che sottolinea come "nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c'è un elemento poco valutato dei media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di "rupture", di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall'ottimismo dei desideri in luogo dell'antico ottimismo della volontà". La prima pagina del "Riformista" La prima pagina del "Riformista" GLI SCENARI - Resta dunque da vedere se le "comunicazioni" di Berlusconi saranno propedeutiche alla riappacificazione tra i due, che potrebbe dunque essere sancita dalla direzione nazionale, o se, piuttosto, non si riveleranno una mossa da contrattacco: la decisione di mettere subito le cose in chiaro da parte del premier, che nei retroscena raccolti dopo l'incontro di Fini aveva quasi auspicato una resa dei conti finale. Un divorzio annunciato, secondo molti (e secondo la prima pagina del Riformista, che fa un richiamo diretto al caso Veronica). Il Velino, l'agenzia di stampa che ha come editoriale Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, scrive che "le prospettive di una ricucitura restano vacillanti. Il clima resta segnato da tensione e incertezza". Mette tuttavia le mani avanti e cerca di ammonire sui rischi di gesti avventati il ministro per l'Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, secondo cui Berlusconi e Fini "troveranno la quadra". Anche perché, fa notare, "l'elettorato del Pdl non ci perdonerebbe scissioni. Il nostro dovere è quello di realizzare il programma di governo". Redazione online 16 aprile 2010
Il colloquio Le ultime accuse: hai comprato gli ex di An e la Lega ti ricatta "Gli parlavo dei problemi e mi rispondeva con le frasi dell’ultimo comizio" * NOTIZIE CORRELATE * Lo sfogo del Cavaliere se va via finisce l'incubo e lo seguono in 7 o 8 (16 aprile 2010) * Fini e Berlusconi, è rottura Schifani: "Se divisi, si voti" (15 aprile 2010) Il colloquio Le ultime accuse: hai comprato gli ex di An e la Lega ti ricatta "Gli parlavo dei problemi e mi rispondeva con le frasi dell’ultimo comizio" Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi in una foto d'archivio. (Ansa) Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi in una foto d'archivio. (Ansa) "Elezioni anticipate? Ma davvero c’è chi pensa che in Parlamento non ci sarebbero i numeri per formare un altro governo?". Fini non lo pensa, così com’è altrettanto chiaro che non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi del ribaltone. Dopo una vita passata a condannare quelli che in un discorso alla Camera additò come i "puttani della politica", non sarà certo Fini a fare il voltagabbana. Semmai la constatazione del presidente della Camera è il segno dell’escalation nello scontro con Berlusconi. E dal tono basso della voce s’intuisce lo stato d’animo dell’ex leader di An, un misto di rabbia e di determinazione, l’idea cioè che era inevitabile lo showdown con l’altro "cofondatore " del Pdl, che non fosse possibile andare avanti così, "perché per un anno ho posto i problemi con le buone, e la cosa non ha sortito effetti. Ora vedremo se Berlusconi capirà". Durante il pranzo pare che il premier non l’abbia capito, se è vero che Fini ritorna con la mente al colloquio e lo racconta con un senso di stupore: "Io gli parlavo delle questioni e lui mi rispondeva con le frasi che aveva usato al comizio di piazza San Giovanni...". E le "questioni " sollevate sono altrettanti nodi politici, esplicitati con crudezza verbale inusitata: "Tu, Silvio, hai abdicato al tuo ruolo. E io sono stato condannato alla marginalizzazione. La Lega ti ricatta. L’economia è in mano a Tremonti. Il 30%, che era la quota di An nel Pdl, è composto da persone che hai comprato". A Gianni Letta è toccato festeggiare il compleanno in un clima che di festa non aveva nulla, e ha constatato di persona quanto sia profonda la rottura tra i due, per quanto non ancora irreversibile. È in quegli spazi angusti che il braccio destro del Cavaliere lavora per tentare di trovare un compromesso, che Berlusconi però non vuol concedere, sebbene si sia licenziato dall’inquilino di Montecitorio, dicendo: "Diamoci tempo, almeno fino a lunedì". "Io aspetto", commenta l’ex leader di An: "Dipende da come reagirà Berlusconi, quali iniziative vorrà assumere, se si rende conto che i problemi ci sono, che non me li sono inventati. Io aspetto di sapere come pensa di affrontarli e risolverli". "L’impegno della concertazione ", per esempio, non è mai stato mantenuto dal Cavaliere, secondo Fini, che cita l’ultimo episodio, "il più eclatante": il patto di Arcore sulla "bozza Calderoli" per le riforme, e quel che è accaduto dopo. "Non è pensabile che un ministro della Repubblica salga al Quirinale per presentare un progetto di revisione costituzionale, e che dinnanzi alle mie perplessità Berlusconi risponda: "Cosa vuoi che sia...". Cosa vuoi che sia... Ma dove siamo? Dove siamo? ". Non c’è più nulla che unisca il presidente della Camera e il presidente del Consiglio, tranne la comune appartenenza al partito che insieme hanno fondato. E anche questo punto in comune si va velocemente logorando, se è vero che ieri sera i coordinatori del Pdl hanno fatto quadrato attorno a Berlusconi, ponendo l’ex capo della destra quasi fuori dalla creatura che un anno fa ha tenuto a battesimo, e definendo "incomprensibile" il suo atteggiamento. "Un partito è un partito se si discute e ci si confronta ", è la tesi di Fini: "Un partito non può servire solo a cantare "Meno male che Silvio c’è"". Il punto è che "Silvio" ha vinto le elezioni, ribaltando da solo i pronostici che lo davano per sconfitto. Fini lo sa, lo ha detto all’indomani del voto nei suoi colloqui riservati: "Ha vinto lui. Si è preso sulle spalle anche la Polverini ". E il risultato della Lega al Nord ha contribuito a saldare un asse che fa di Berlusconi e Bossi i titolari della ditta, lasciando il presidente della Camera senza ruolo. Il "tridente ", che sinora non c’è mai stato, difficilmente potrebbe nascere oggi. Per conquistarsi lo spazio Fini è pronto al gesto dirompente, alla nascita dei gruppi parlamentari del "Pdl-Italia". Introduce l’argomento ricordando che "all’Assemblea regionale siciliana esiste il gruppo del Pdl e quello del Pdl-Sicilia. Lì Berlusconi non è intervenuto per risolvere il problema, dando l’impressione che del partito non gli freghi nulla, considerandolo poco più di una corte di laudatores. Perciò aspetto, confido in una svolta, altrimenti—come in Sicilia—anche a Roma nasceranno gruppi parlamentari autonomi, pronti a sostenere lealmente il governo, ma ponendosi degli obiettivi politici". Evocando la Sicilia, Fini sa di lanciare una dichiarazione di guerra, p e r c h é n e l l ’ i s o l a r e g n a l’ingovernabilità. Dunque il problema non è se davvero il presidente della Camera possa contare su una settantina di parlamentari, con una cinquantina di deputati e venti senatori. Il problema è politico: semmai si dovesse riprodurre a Roma la spaccatura del Pdl siciliano, il premier non sarebbe più leader ma diverrebbe "ostaggio", posto al centro di una tenaglia con la Lega a far da contrappunto ai finiani. Nel gioco al rialzo dell’inquilino di Montecitorio è intervenuto il presidente del Senato, chiedendo piatto: "Quando la maggioranza si divide, la parola torna al corpo elettorale". Ed è evidente quale sia lo scopo: minacciando il ricorso alle urne, si vuole evitare che Fini possa infoltire i propri gruppi, posti al riparo dal voto anticipato. La verità è che nessuno pensa a ribaltoni e ad elezioni. Non ci pensa il premier, non ci pensa il presidente della Camera e non ci pensa tanto meno Bossi. Anzi, proprio il Senatùr è il più fiero avversario della fine traumatica della legislatura, perché in quel caso sfumerebbe il federalismo fiscale, dato che i decreti attuativi non sono stati ancora varati. Di più. Il giorno in cui la Consulta bocciò il lodo Alfano, Fini e Bossi si incontrarono, sottoscrivendo un comunicato in cui escludevano il ritorno alle urne e proponevano di andare avanti con le riforme. Ecco l’incastro, tutti i leader del centrodestra sono vittime e carnefici dello stallo che si è verificato. Non è dato sapere quanto potrà durare la prova muscolare, né se cesserà e quale sarà l’eventuale compromesso. Anche perché Berlusconi giura di non aver capito cosa vuole Fini, "non l’ho capito", ha confidato al termine del vertice: "Gliel’ho anche chiesto". E lui? "Mi ha risposto che il suo pensiero è noto, che l’ha espresso pubblicamente. Mah...". Possibile che il Cavaliere non l’abbia intuito? Perché Bossi, che pure non partecipava a quel colloquio, l’ha spiegato: "Non sono a pranzo con loro perché sarei il terzo incomodo". Francesco Verderami 16 aprile 2010
Dietro le quinte | La speranza che il cofondatore lasci la guida della Camera Lo sfogo del Cavaliere: se va via finisce l’incubo e lo seguono in 7 o 8 "Così si mette automaticamente fuori dal partito" * NOTIZIE CORRELATE * Lo sfogo del Cavaliere se va via finisce l'incubo e lo seguono in 7 o 8 (16 aprile 2010) * Fini e Berlusconi, è rottura Schifani: "Se divisi, si voti" (15 aprile 2010) Dietro le quinte | La speranza che il cofondatore lasci la guida della Camera Lo sfogo del Cavaliere: se va via finisce l’incubo e lo seguono in 7 o 8 "Così si mette automaticamente fuori dal partito" In una foto d'archivio dell'11 aprile 2006 Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini a Palazzo Chigi (Ansa) In una foto d'archivio dell'11 aprile 2006 Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini a Palazzo Chigi (Ansa) ROMA — Sembra che Fini si sia preso due giorni di tempo, Berlusconi sono mesi che dice di non avere tempo da perdere. Ovviamente con Fini. Da ieri pomeriggio per il premier il vaso è traboccato. Meglio semmai impegnarsi nella ricerca di truppe di rincalzo, magari nell'Udc, per bilanciare l'eventuale fuoriuscita dei finiani dalla maggioranza. È uno scenario verosimile? Forse no, ma il Cavaliere è convinto che non sarebbe un dramma: "Se andasse via — ha confidato — al massimo lo seguirebbero sette-otto persone e sarebbe la fine di un incubo". Ieri pomeriggio Berlusconi si è sentito anche sollevato. Al termine dell'incontro con il presidente della Camera si è concesso una passeggiata per le vie del centro della capitale, risposta plastica ad un pranzo tempestoso. Ha scherzato con gli amici dicendo di sentirsi più leggero: non più legato al dovere di mediare continuamente sulle richieste del cofondatore del Pdl, che alla sua sensibilità sono sempre apparse questioni di lana caprina, inutile perdita di tempo. Di che si tratti è chiaro alla cerchia dei più stretti collaboratori di Berlusconi: Maurizio Gasparri non va più bene, a Fini, come capogruppo del Pdl al Senato? Non è un problema del Cavaliere. Ignazio La Russa dà ombra al presidente della Camera? Anche in questo caso il premier considera la questione minimale, comunque tutta interna alla matrice stessa della famiglia finiana. Alcuni coordinatori regionali andrebbero sostituiti? Alcuni indirizzi del governo modificati? Esistono un partito ed organi che discutono, si riuniscono e poi decidono. C'è un'assenza di democrazia interna? Non è una questione che si può risolvere a tavolino davanti a una sogliola. In sintesi, con le parole ufficiose di Palazzo Chigi: "I problemi li ha posti Fini, per noi non esistono, non sono mai esistiti, non dobbiamo dare alcuna risposta". Esiste invece, agli occhi del Cavaliere, una sostanziale questione di tempi. Fini, dice, i tempi li ha sbagliati tutti. Lui è appena rientrato dagli Stati Uniti, dal vertice sulla sicurezza nucleare voluto da Obama, sarà domenica ai funerali del presidente polacco, andrà alla fiera di Hannover lunedì prossimo, ha spedito ieri una lettera ai vertici della Ue scritta insieme a Sarkozy. Ultimo, ma non ultimo: ha appena vinto le elezioni. Se il vaso è colmo, agli occhi del presidente del Consiglio, è anche per l'accelerazione di un confronto mirato allo scontro su un'agenda ritenuta marginale, quasi pretestuosa ed in ogni caso tutta interna all'assetto della maggioranza, che i primi a non capire sono proprio gli elettori del Pdl. Persino a Palazzo Chigi, fra coloro che di solito sono prudenti, si registra scarso ottimismo. Non ci sarebbero più margini per una ricomposizione. Altre volte, troppe volte, la polvere è andata a finire sotto il tappeto, per riaffiorare al pranzo successivo. Nei mesi scorsi Berlusconi ha immaginato più volte un Popolo della Libertà senza Fini, ne ha parlato in privato, sceneggiando un futuro in cui persino il ritorno al voto non era escluso, mentre il partito cambiava nome, per conservare gli elettori, al netto dell' alleato. Ieri aggiungeva una speranza più immediata: non averlo più come presidente della Camera. Se glielo abbia detto in faccia o meno, in fondo, cambia poco. All'ora di cena, a casa sua, con i coordinatori del partito convocati in gran fretta, insieme all'impulsiva minaccia di un ritorno al voto riassumeva così: "È stato lui a promettermi di fare un passo indietro il giorno in cui fosse tornato a fare politica piena, spero proprio che adesso, se andrà avanti, onori quella promessa". Infine una postilla: "Ovviamente chi fa o promuove un gruppo parlamentare diverso dal Pdl si pone fuori dal partito". È già scattata la conta sui numeri e il Cavaliere resta convinto di aver fatto bene i suoi conti. Marco Galluzzo 16 aprile 2010
IL SEMINARIO A VALMONTONE La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd Scontro tra D'Alema e Franceschini su l'apertura a Fini IL SEMINARIO A VALMONTONE La rottura Pdl fa scintille anche nel Pd Scontro tra D'Alema e Franceschini su l'apertura a Fini MILANO - La tempesta che sta scuotendo il Pdl e lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi stappano il vaso di Pandora delle visioni, distinte, che convivono del Pd fin dalla sua nascita. L'occasione è il seminario dei Liberal Pd a Valmontone. I protagonisti sono Massimo D'Alema, esponente di spicco della maggioranza del partito, e Dario Franceschini, leader della minoranza. In platea, ad ascoltare, c'è Pier Luigi Bersani. Insomma, il 'gotha' dei dirigenti Pd che sabato si ritroveranno in una delicata riunione della Direzione del partito dopo il risultato deludente delle regionali. La domanda di fondo è: come fa il Pd a vincere e ad andare al governo del paese? Bersani e D'Alema (Lapresse) Bersani e D'Alema (Lapresse) SCINTILLE - Le risposte di D'alema e Franceschini sono lontane, a volte opposte. Franceschini rilancia il modello veltroniano di partito, ovvero il recupero dell'appeal innovativo delle origini, la vocazione maggioritaria, un netto schema bipolare. Per D'Alema quel progetto lì, ha giá mostrato la corda. Semmai la strada da seguire è tutt'altra: solo superando l'attuale bipolarismo si possono rimescolare le carte, si rompe un sistema cristallizzato attorno al blocco di potere di Berlusconi, si rompono le gabbie che stringono le forze politiche. Solo così si potranno aprire nuove prospettive per il Pd con un dialogo con Casini, innanzitutto, ma anche con Gianfranco Fini. Nell'ipotesi, insomma, che il Pdl venga meno per D'Alema l'attuale presidente della Camera può essere un interlocutore sia sul piano delle riforme che dei contenuti, vedi l'immigrazione o la bioetica. Gelido Franceschini che ribatte: "Fini è un avversario che cerca di costruire una destra normale e non sotto padrone, ma resta pur sempre un avversario". Per il leader della minoranza Pd sarebbe ipotizzabile un avvicinamento solo se vi fosse "un'emergenza democratica". Tolto questo caso, "credo che gli italiani si aspettino dal Pd non discussioni di ingegneria istituzionale, ma che riprenda la sua ragione di nascita, ovvero cambiare il paese". Ma per D'Alema "l'emergenza democratica c'è già. Franceschini è contraddittorio perchè da una parte non facciamo che dire che la democrazia è a rischio, che si va verso un sistema plebiscitario, che la libertá di informazione è minacciata. Più emergenza democratica di così...". BERSANI - A Valmontone c'è anche il segretario Bersani, che intervenendo ad un dibattito successivo a quello di Franceschini e D'Alema non si addentra nelle questioni sulle quali i due hanno dibattuto. Ma arrivando all'iniziativa, il segretario da sullo scontro dentro il Pdl una risposta, ai cronisti, che sembra vicina a quella di D'Alema: "Io non faccio il tifo per nessuno -dice Bersani riferendosi a Fini- ma certo noi siamo pronti a confrontarci con tutte quelle forze politiche che sono contrarie ad uno stravolgimento della Costituzione in senso plebiscitario e che criticano la politica economica di Tremonti e della Lega. Noi lo diciamo da tempo. Siamo qua e siamo pronti ad un patto repubblicano con tutti quelli che la pensano così". Per D'Alema un interlocutore possibile in questo senso, per l'eventuale 'patto repubblicano ' di cui parla Bersani, potrebbe essere anche Fini e lo spiega così: "Vorrei dire a Franceschini che Fini non è soltanto un leader che vuole una destra normale. Io sono molto attento a quello che fa Fini e su molti temi credo che i contenuti da lui espressi siano molto interessanti. Ha tenuto posizioni coraggiose e distinte da Berlusconi su temi cruciali come l'immigrazione e la bioetica, che sappiamo quanto siano delicati per la maggioranza di centrodestra. Io non sto parlando di formule o di alchimie, ma sono attento ai contenuti", spiega il presidente di ItalianiEuropei ricordando anche i tanti momenti di confronto con Fini tramite i lavori della fondazione 'FareFuturò, vicina al presidente della Camera. Per Franceschini le cose non stanno così: "Io credo che tra Berlusconi e Fini si arriverá ad una rottura. Anche perchè, se Fini questa volta torna indietro perderá di credibilitá. Lo scontro che è in atto è profondo ed è quello tra una destra normale con una sua dialettica interna o una destra sotto padrone, quella di Berlusconi per cui è un ingombro chiunque osi criticarlo". Ma detto questo per Franceschini il ruolo di Fini non può spingersi oltre il fatto che il presidente della Camera stia tentando di costruire una destra normale: "Per noi resta un avversario". LA DISCUSSIONE - La discussione attorno al rapporto con Fini nel corso del dibattito a Valmontone tra D'Alema e Franceschini si è innestata sul la discussione attorno ad alleanze e bipolarismo. Lo schema bipolare, secondo D'Alema, va superato e spiega perchè: "Noi abbiamo perso un milione di voti rispetto alle europee, ma il Pdl ne ha persi due volte e mezzo in più. Questi dati sono la spia di una crisi anche sistemica. Siamo alla fine di un ciclo. Come si esce da questa crisi? Berlusconi è tentato di uscirne con una spallata di tipo plebiscitario. Per impedirlo occorre rompere la gabbia del bipolarismo e dare una risposta di rinnovamento sistemico. Bisogna rompere la gabbia e liberare le forze. Ma per farlo occorre che da questa parte -prosegue D'Alema- ci sia un partito che non butta indietro quelle forze perchè è autoreferenziale o dá risposte simili a quelle di Berlusconi che vuole rafforzare i meccanismi restrittivi". Quindi per D'Alema vanno cercate sponde "con quelle forze politiche che sono contro un disegno plebiscitario, contro ipotesi di presidenzialismo che indebolirebbe la coesione del paese. Tutto questo dipende molto dal Pd e da come si pone di fronte a quelle forze che vogliono liberarsi e che magari con noi possono fare un pezzo di strada insieme. Se riusciremo a fare questo verranno da noi sia Casini che Fini". Per chiudere D'Alema invita tutti ad uscire "dalla falsa discussione tra chi vuole il progetto e chi privilegia le alleanze. Altrimenti ci portano alla neuro. Sono facce della stessa medaglia". Non la pensa così Franceschini secondo cui se il Pd non recupera una sua forte identitá allora non ci può essere alleanza che tenga e si tornerebbe ad essere 'sudditi di partiti che contano poco più del 5%. "Il bipolarismo -osserva Franceschini- è una delle poche conquiste che abbiamo fatto in questi ultimi anni e non dobbiamo tornare indietro da questo sistema per tattica favorendo, magari, una legge elettorale in cui piccoli partiti diventano ago della bilancia. Non è questa la strada ed è in contrasto con la nostra storia, con la storia dell'Ulivo". L'argomentazione non convince D'Alema: "Non è affatto così perchè proprio con questo sistema sono le forze minori a condizionare tutti perchè per ottenere il premio di maggioranza occorre fare le coalizioni più larghe possibili. In questo modo si sono fatti governi che in questi 16 anni non sono riusciti a portare a casa alcuna riforma sostanziale per il paese. Con questo sistema le forze minori hanno un peso che mai hanno avuto prima, di certo non lo hanno mai avuto nella prima Repubblica". Tutto questo, aggiunge D'Alema, potrebbe essere superato con una legge elettorale che preveda il doppio turno "ma se non ce la danno, inviterei ad una riflessione un pò più approfondita, tecnicamente composta, senza abbandonarsi agli slogan". (Fonte AdnKronos)
16 aprile 2010
E sull'emergenza affollamento carceri: "Scontare ai domiciliari l'ultimo anno di pena" "La mafia italiana famosa per Gomorra" Il premier: "Sarebbe la sesta al mondo, ma fiction e letteratura sono un state un supporto promozionale" * NOTIZIE CORRELATE * Saviano al Corriere.it: "Io candidato? Non è il mio mestiere Oggi non c'è spazio per la politica pulita" (9 aprile 2010) E sull'emergenza affollamento carceri: "Scontare ai domiciliari l'ultimo anno di pena" "La mafia italiana famosa per Gomorra" Il premier: "Sarebbe la sesta al mondo, ma fiction e letteratura sono un state un supporto promozionale" Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi (Eidon) Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi (Eidon) ROMA - "La mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo, ma guarda caso è quella più conosciuta, perchè c'è stato un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra programmate dalle tv di 160 paesi nel mondo e tutta la letteratura in proposito, Gomorra e il resto...". Lo ha detto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi a margine della presentazione dei dati sulla lotta alla criminalità organizzata, dopo la riunione del Consiglio dei ministri. Già in passato il Cavaliere aveva citato lo sceneggiato della Rai come esempio di trasmissione che danneggia l'immagine del Paese. Ora ha aggiunto anche il libro di Roberto Saviano. "Vorrei dire che tutti i mafiosi di cui si parla nelle fiction - ha però chiosato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano - , l'ultima è il Capo dei capi, sono sottoposti al regime di 41 bis". REAZIONI - Immediate reazioni alle parole del premier. Walter Veltroni ha difeso Saviano: "Roberto è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del consiglio del nostro Paese avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo". "Solidarietà piena a Marina Berlusconi per aver pubblicato e promosso il libro di Roberto Saviano, Gomorra. L'enfasi di oggi, probabilmente legata alla richiesta di 11 anni di carcere per il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, rischia di procurare grandi problemi familiari in casa Berlusconi": così la deputata del Pd, Manuela Ghizzoni commenta le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A far muro intorno a Saviano soprattutto gli esponenti dell'Idv. Il commento più duro è quello di De Magistris, eurodeputato Idv: "In consiglio dei ministri evidentemente si usano sostanze stupefacenti, altrimenti le parole del premier non trovano giustificazione tanto sono audaci e mistificatorie". Di Pietro chiede al premier di scusarsi con lo scrittore e Belisario suggerisce al presidente del Consiglio il lettino di uno psicanalista: "Come vuole debellare il cancro in tre anni, novello padre Pio, così nello stesso arco di tempo vuole rendere l'Italia paese libero da latitanti". "MAFIE DISTRUTTE ENTRO LEGISLATURA" - Tornando alla presentazione dei dati sulla lotta alla criminalità organizzata il premier ha ribadito la volontà del governo di porsi come obiettivo di legislatura "di avere distrutto tutte le organizzazioni criminali". "Abbiamo superato le cinquecento operazioni di polizia giudiziaria, con quasi cinquemila arresti di presunti criminali - ha sottolineato - . La nostra azione di contrasto alla criminalità organizzata non ha nessun paragone possibili con precedenti governi". "In meno di due anni di governo - ha aggiunto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - abbiamo arrestato 23 latitanti della lista dei 30, considerati come i più pericolosi. L'ultimo, due giorni fa, è Nicola Panaro detto 'Nicolinò vero reggente del clan dei Casalesi". Il ministro ha poi evidenziato che "sono stati sottratti alla criminalità organizzata oltre 10 miliardi di euro". "Sono 16.679 i beni sequestrati alla criminalità organizzata - ha precisato Maroni - per un controvalore di 2 miliardi di euro mentre ne sono stati confiscati 4407, al 31 marzo, per un controvalore di 2 miliardi. Complessivamente il patrimonio sottratto alla mafia da quando siamo al governo supera largamente i 10 miliardi di euro". Maroni ha poi fatto osservare come "gli interessi delle organizzazioni criminali si stanno spostando fuori dall'Italia perchè sta diventando un paese in cui queste organizzazioni non si sentono più a proprio agio". ULTIMO ANNO DI CARCERE AI DOMICILIARI - Berlusconi ha poi spiegato che l'esecutivo è al lavoro sul fronte dell'emergenza affollamento nelle carceri e che a questo proposito si potrebbe pensare di far scontare ai detenuti l'ultimo anno di carcere ai domiciliari. "Stiamo lavorando per aumentare la capacità delle carceri - ha detto - e a un decreto legge che preveda che a chi manca solo un anno di detenzione vada ai domiciliari. Nessuno ha interesse a sottrarsi a questa misura perché se scappassero vedrebbero raddoppiata la durata della loro detenzione". LE REAZIONI - Molte le reazioni negative alle parole di Berlusconi. Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, esorta il Cavaliere a chiedere scusa a Saviano; la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, parla invece di "parole inquietanti e assurde". Il verde Angelo Bonelli si dice convinto che il leader del Pdl stia "sragionando": "Non si riesce a comprendere perchè il premier voglia denigrare uno dei simboli della lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese. Fa forse il tifo per l'altra parte?". E il presidente dei senatori dell'Udc, Gianpiero D'Alia, evidenzia come le dichiarazioni del premier siano "del tutto fuori luogo e offendono non solo Saviano, ma tutte le persone vittime delle mafie". Critico anche Pier Luigi Vigna, già procuratore nazionale antimafia e procuratore onorario della Cassazione: "Mi sembra una dichiarazione impropria, perchè il libro di Saviano ha aperto gli occhi a gran parte dell'opinione pubblica sulla camorra e quindi mi sembra che sia stato un libro molto utile". L'attore e regista Michele Placido, che de La Piovra fu il protagonista, dice invece che Berlusconi "sbaglia di grosso" e evidenzia come Saviano sia "una persona che tutta l'Italia deve avere nel cuore, un cittadino con il suo coraggio deve renderci orgogliosi. Oggi più che mai siamo tutti Saviano". Legambiente, infine, ha deciso di regalare al capo del governo una copia del film "Il Padrino": "Ricordiamo al Premier le parole di Paolo Borsellino ‘Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene’". Redazione online 16 aprile 2010
2010-04-15 SCHIFANI: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori" Pdl, alta tensione tra Fini e Berlusconi "Ho parlato chiaro, attendo valutazioni" Prima l'ipotesi di gruppi autonomi da parte del presidente della Camera. Poi la nota: "Pdl va rafforzato" SCHIFANI: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori" Pdl, alta tensione tra Fini e Berlusconi "Ho parlato chiaro, attendo valutazioni" Prima l'ipotesi di gruppi autonomi da parte del presidente della Camera. Poi la nota: "Pdl va rafforzato" Silvio Berlusconi (Ansa) Silvio Berlusconi (Ansa) MILANO - Alta tensione tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I due, che hanno pranzato insieme a Montecitorio, incontrandosi per la prima volta dalle giornate elettorali, sarebbero stati protagonisti di un colloquio molto teso. Le indiscrezioni sull'incontro parlavano inizialmente di toni di rottura tra i due fondatori del Pdl. Ricostruzioni, però, parzialmente smentite da note ufficiali e segnali distensivi lanciati da entrambe le parti. Ma che non avrebbero tanto convinto gli ex di Forza Italia, visto che, in serata, il presidente del Senato Renato Schifani si lascia andare ad una dichiarazione inequivocabile: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori". Secca la replica del ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi: "Il presidente del Senato dovrebbe sapere che si va a votare quando non esiste più una maggioranza che sostiene il governo". Ma gli stessi coordinatori del Pdl, dopo il vertice con il premier a Palazzo Grazioli, definiscono "incomprensibile" l'atteggiamento di Fini. IL CONFRONTO - Eppure era stato lo stesso presidente della Camera, dopo il colloquio con Berlusconi, a cercare di smorzare i toni diffondendo una nota: "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale". Per il presidente della Camera il premier "ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". Una nota, quella del leader di Montecitorio, arrivata però dopo una serie di indiscrezioni sul tenore del vertice con il Cavaliere. Il presidente della Camera avrebbe minacciato, secondo quanto viene riferito da alcune fonti della maggioranza, l'ipotesi di creare in Parlamento gruppi autonomi dal Pdl. Una ipotesi rilanciata dal finiano Italo Bocchino: "I gruppi autonomi possono esserci nel caso in cui arrivassero risposte negative ai problemi posti. Non è possibile che il co-fondatore e co-leader del Pdl apprenda per ultimo della bozza delle riforme. Una bozza presentata in una cena tra canzoni e festeggiamenti per il figlio di Bossi e per Cota". Una eventuale crisi di governo è però "da escludere categoricamente" secondo Bocchino. Berlusconi dal canto suo avrebbe invitato il leader di Montecitorio a pensare bene a tale eventualità, valutando il fatto che la scelta di gruppi autonomi comporterebbe la necessità di rinunciare al ruolo di presidente della Camera, che ora Fini ricopre anche in virtù del fatto di essere espressione del partito di maggioranza relativa della coalizione. Altre fonti della maggioranza riferiscono tuttavia che il presidente Berlusconi non ha mai invitato il presidente Fini a lasciare la presidenza della Camera. ULTIMATUM E PAUSA DI RIFLESSIONE - Sempre secondo fonti di maggioranza, Fini avrebbe accusato il capo del governo e il Pdl di andare a traino della Lega, chiedendo esplicitamente a Berlusconi di scegliere in modo chiaro se continuare a costruire il Pdl con lui o preferirgli il rapporto con Umberto Bossi. A questo punto il premier - riferiscono le stesse fonti - avrebbe chiesto 48 ore di riflessione. Secondo quanto riferito alla Reuters da una fonte vicina agli ex An, l'incontro tra il Cavaliere e Fini è stato "tumultuoso". Secondo altre fonti invece "non c'è stato alcun ultimatum del presidente Fini al premier Berlusconi. L'INIZIALE CAUTELA - Le indiscrezioni e le note sul pranzo di lavoro tra premier e presidente della Camera sono arrivati dopo l'iniziale cautela mostrata a riguardo da entrambi i leader del Pdl. "Ho mangiato benissimo" aveva detto sorridendo il capo del governo lasciando gli appartamenti del presidente della Camera e salutando i giornalisti in attesa. "Come è andato l'incontro?" gli era stato chiesto. "Giornalisti birichini. Non mi pronuncio", si era limitato a rispondere il premier. Poi, al termine di una breve passeggiata per via del Babbuino, nel centro di Roma, incalzato ancora dai cronisti sul pranzo di lavoro con Fini, il Cavaliere aveva anche spiegato: "Ma io... fatevelo dire dagli altri. Sapete che sono riservato...". PRONTI NUOVI GRUPPI - Indiscrezioni a parte, a Montecitorio c'è stato addirittura un incontro dei deputati vicini al presidente della Camera per valutare proprio l’ipotesi di costituire un gruppo autonomo dal Popolo della Libertà. Una possibilità già sul tappeto prima del vertice tra i due leader ma che ha subìto un’accelerazione durante l’incontro tra i due. "Tu ci stai?". Il presidente della Camera, i suoi deputati più fedeli e il suo staff avrebbero contattato in queste ultime ore diversi deputati che potrebbero aderire al progetto di gruppi autonomi, dopo il nuovo strappo con Berlusconi. Un'ipotesi è che il gruppo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia, riferiscono alcune fonti vicine all'ex leader di An. Secondo le stesse fonti i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 invece i senatori. IL VERTICE - In serata, nel frattempo, Berlusconi ha riunito a Palazzo Grazioli i coordinatori nazionali del partito Ignazio La Russa, Denis Verdini e Sandro Bondi. Coordinatori che poi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta: "Le recenti elezioni regionali e amministrative hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, un traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità e intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito. Da queste inoppugnabili considerazioni nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento di Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano". BERSANI E DI PIETRO - "Credo che il centrodestra abbia più problemi di quello che racconta, anche dal punto di vista delle riforme" è il laconico commento del segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che attacca il presidente del Consiglio: "La presidenza della Camera non mi pare sia nella disponibilità di Berlusconi. Sarebbe meglio se Berlusconi fosse più prudente". Duro Antonio Di Pietro "Per il bene del Paese prima ci liberiamo del sistema piduista, che sta portando avanti Berlusconi nel governare non solo il Paese, ma anche nel guidare il Parlamento, meglio . Mi fa piacere che lo abbia capito anche Fini e mi auguro che la prossima volta lo capiscano anche gli italiani" ha detto l'ex pm. BOSSI - Ha sminuito la portata dell'incontro invece il leader della Lega Umberto Bossi. Ai cronisti che a Montecitorio gli chiedevano cosa pensasse dell'incontro aveva detto: "Il vertice c'è già stato a Palazzo Chigi". "Io al pranzo Fini-Berlusconi? No, sarei il terzo incomodo" aveva anche aggiunto il numero uno del Carroccio. Redazione online 15 aprile 2010
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L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it2010-07-26 L'Aquila, legami tra clan e cricca. L'Icop: mai avuto appalti "In relazione alla ricostruzione post terremoto a L'Aquila, la Icop non è stata beneficiaria di alcun appalto, avendo ricoperto l'unico ruolo di soggetto partecipante - al mero rimborso dei costi sostenuti, e nell'ambito di una iniziativa "no profit" al Consorzio FORCASE, per lo svolgimento di attività di progettazione e collaterali". E' la rettifica che l'impresa Icop Spa ha inviato all'articolo apparso su L'Unità dell'11 giugno, edizione Internet, dal titolo "L'Aquila: antimafia sulla pista dei legami fra clan e la "cricca". La Icop specifica che: "non è in alcun modo finanziata dalla mafia o partecipata da quest'ultima (l'intero capitale sociale è direttamente nelle mani dell'ing. Paolo Petrucco e dei suoi figli Piero e Vittorio) e i finanziamenti per lo svolgimento dell'attività di impresa provengono escusivamente da Istituti Bancari". Inolte, "non si è vista revocare alcun appalto dell'ambito del terremoto dell'Aquila (proprio perché nessun appalto le era stato assegnato in quel contesto). Per la Icop, dunque, "è evidente come le affermazioni contenute nell'articolo sopra richiamato contengano una rappresentazione dei fatti di assoluta fantasia, del tutto difforme dal vero e contenente addebiti gravemente calunniosi e diffamatori nei confronti della società Icop Spa, con ciò determinando un pregiudizio economico e di immagine enorme e dalla portata potenzialmente catastrofica". La replica Fantasia non è la relazione del magistrato della Direzione Nazionale Antimafia Olga Capasso, datata 18/06/2010, di cui qui di seguito si pubblica l'incipit: "La Icop spa consorziata nel consorzio Forcase è sospettata di avere rapporti con la mafia, per cui la Prefettura di Udine ha avviato un supplemento di istruttoria dopo il rilascio della certificazione antimafia. Infatti nel rapporto della Dia allegato alla nota di quella Prefettura si evidenzia che nel 2005 la Icop aveva vinto un appalto al Comune di Mazara del Vallo insieme alla Durante srl, riconducibile a Durante (o Duranti) Dino, imputato poi assolto per associazione mafiosa. La Icop ricompare anche nei procedimenti della Dda di Catanzaro in quanto vincitrice di un appalto che poi aveva ceduto in subappalto alla Leto Costruzione srl di Crotone, tutta riconducibile alla famiglia Ciampà ('ndrangheta). Si è inoltre accertato che Petrocco Vittorio, uno dei soci della Icop, era in contatto con Trevisani Cesare, a sua volta vicino ai Troia Resuttana/ San Lorenzo (Cosa Nostra)". Angela Camuso 26 luglio 2010
Il giudice Marconi, la P3 e quella volta del dossier contro Cantone di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Dalle carte dell’inchiesta P3 spuntano fuori personaggi con storie che se le leggi tutte insieme capisci che forse nulla accade per caso. Umberto Marconi, per esempio, il presidente della Corte d’Appello di Salerno uno dei magistrati in vario modo coinvolti in questa brutta storia di "consortorie" e "trame inquinanti", come le ha definite il Capo dello Stato. "Il Presidente" risulta in varie telefonate con Sica e Martino (il primo indagato, il secondo arrestato nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma). Tutti insieme appassionatamente suggeritori ed autori del dossier diffamatorio nei confronti di Caldoro per favorire Cosentino alla guida della regione Campania. Così raccontano le telefonate. Roba di gennaio. "Non ho scritto il dossier anti Caldoro" ha spiegato Marconi, "è stato tutto un equivoco". Intanto ha già chiesto al Csm di essere trasferito ad altra sede. Tra domani e martedì la Commissione di palazzo dei Marescialli lo ascolterà per decidere sull’incompatibilità ambientale. In queste ore a palazzo dei Marescialli si sta rileggendo il curriculum di Marconi. Carriera brillante, per lo più nel civile, e nome di spicco di Unicost, la corrente di centro, di cui è stato segretario. Tra i meriti, anche qualche neo. Tra cui spicca una specie di predisposizione a restare coinvolto in faccende di dossieraggi . Tra il 2001 e il 2003 la toga di Unicost viene indagata dalla procura di Roma per concorso in calunnia e diffamazione in danno di Raffaele Cantone, all’epoca pm della sezione per i reati finanziari e poi sostituto di punta della Dda di Napoli (oggi Cantone è al massimario in Cassazione). Vicenda complicata, anche quella, che comincia nel 1999 quando a Napoli finisce indagato Lucio Varriale, imprenditore del settore assicurativo e della comunicazione. Cantone è il pm dell’inchiesta sullo scandalo della compagnia di assicurazioni Themis di cui Varriale era presidente. E Cantone diventa oggetto (febbraio 1999)di una campagna di denigrazione con tanto lettere firmate dalla sedicente Associazione magistrati combattenti per la Costituzione che gettavano fango e ombre sulla vita privata del magistrato spedite a magistrati, avvocati e giornalisti.Volantini così precisi - soprattutto quello che aveva in allegato una lettera dell’ex ministro Ferri che sponsorizzava l’elezione del figlio Cosimo (anche lui oggi in contatto con quelli della P3) all’Anm - che fu facile ipotizzare la manina di qualche collega in toga. La conferma arrivò due anni dopo, nel 2001, quando - nel frattempo la parte d’inchiesta che riguardava la calunnia a danno di Cantone era passata a Roma, pm Monteleone e e De Cesare - l’avvocato Vittorio Trupiano, collaboratore di Varriale, decise di collaborare e fece il nome di Marconi quale ispiratore e suggeritore almeno di parti delle missive. Varriale fu condannato a Napoli. I magistrati romani archiviarono ma nella richiesta vollero scrivere che "Marconi avrebbe coadiuvato l’estensore collaborando a fare inchieste e indagini sui colleghi in servizio alla sezione fallimentare di Napoli". Anche all’epoca, come oggi, Marconi scivolò su alcuni tabulati. Nel 2004 il Csm approvò la pratica a tutela di Cantone "per i gravi e denigratori attacchi subìti", ne sottolineò la correttezza e ne apprezzò la professionalità. Al Csm, soprattutto, non possono non ricordare il discorso pronunciato da Marconi il 19 gennaio 1988 quando sentenziò la bocciatura di Giovanni Falcone alla guida dell’ufficio istruzione di Palermo che Antonino Caponnetto, dopo quattro anni durissimi, stava per lasciare. Fu, quella, una vera e propria congiura. La nomina di Falcone all’ufficio istruzione sembrava cosa fatta. Ma i veleni e le correnti della magistratura preferirono il più anziano Antonino Meli (14 sì, 10 per Falcone, cinque astenuti). Falcone cominciò quel giorno a sentire il suo isolamento e ad immaginare il lavoro di "menti raffinatissime". Disse Marconi in quella drammatica seduta del 19 gennaio 1988: "Accentrare il tutto su figure emblematiche, pur nobilissime (Falcone, ndr)è di certo fuorviante e pericoloso". Di più: "Alimenta un distorto protagonismo giudiziairio e una non genuina gara per incarichi di ribalta... ". Vicepresidente di quel Consiglio era Cesare Mirabelli, anni dopo, oggi, contattato da Lombardi e Martino nella speranza di condizionare il voto della Consulta sul Lodo Alfano. 25 luglio 2010
2010-07-22 P3, no al rinvio dell'audizione di Marra. Marconi spostato, azione per Gargani Nessun rinvio all'audizione di Alfonso Marra fissata per lunedì prossimo al Csm. La prima Commissione, che ha aperto a carico del presidente della Corte di Appello di Milano una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale, non ha accolto la richiesta di slittamento avanzata dal legale di Marra, il magistrato di Cassazione Piercamillo Davigo. A votare contro il rinvio sono stati i consiglieri Mario Fresa (togato del Movimento per la giustizia) e Mauro Volpi (laico di centrosinistra). Astenuti la presidente della prima Commissione, Fiorella Pilato (Md) e Antonio Patrono (magistratura indipendente). Contrario il laico di centrodestra Gianfranco Anedda. Non ha partecipato al voto Giuseppe Berruti (Unicost). Con una nota inviata all'organo di autogoverno della magistratura, Davigo aveva chiesto più tempo per poter esaminare le carte e rilevava come le contestazioni mosse dalla Prima Commissione nell'ambito della procedura di trasferimento avviata nei confronti di Marra fossero le stesse alla base delle quali il pg di Cassazione ha avviato l'azione disciplinare a suo carico. Seppure l'audizione di Marra sia stata confermata, non è detto - viene fatto notare in ambienti di Palazzo dei Marescialli - che il presidente della Corte di Appello di Milano lunedì prossimo si presenti, proprio alla luce delle contestazioni disciplinari che gli sono state mosse dal pg Vitaliano Esposito. Angelo Gargani Il procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito ha avviato l'azione disciplinare nei confronti di Angelo Gargani, magistrato fuori ruolo, capo del servizio controllo interno del ministero della Giustizia. Il nome di Gargani compare negli atti dell'inchiesta sulla cosiddetta "loggia P3". Umberto Marconi La Prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura ha invece avviato una procedura di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale a carico di Umberto Marconi, il presidente della Corte di Appello di Salerno, il cui nome compare nelle intercettazioni dell'inchiesta di Roma sulla cosiddetta P3, in riferimento ad un presunto interessamento da parte del magistrato di Salerno nel confezionamento di una dossier per screditare il candidato del Pdl alla presidenza della Regione Campania, Caldoro. Marconi aveva inviato una lettera al Csm in cui reclamava la piena estraneità dalle vicende dell'inchiesta e per dichiararsi disponibile a un suo trasferimento ad altra sede. La lettera in cui Marconi sostiene rendersi conto della situazione di incompatibilità che si sarebbe venuta a creare verrà trasmessa dalla prima commissione del Csm alla terza, incaricata dei trasferimenti. 22 luglio 2010
P3, caccia ai conti di Verdini e Carboni. Alfano: fiducia a Caliendo Accertamenti a tappeto su tutti i conti correnti, compresi quelli non più attivi, aperti da Denis Verdini - o da persone a lui riconducibili - dal 2004 a oggi negli istituti bancari del Gruppo Unicredit: i magistrati romani che indagano sulla cosiddetta P3 hanno disposto ulteriori indagini sui rapporti bancari del coordinatore nazionale del Pdl, con l'obiettivo di accertare se attraverso quei conti correnti siano state effettuate operazioni illecite o siano comunque transitati fondi riconducibili a eventuali tangenti. Una decisione che riguarda anche Flavio Carboni, quello che secondo gli inquirenti è "l'animatore non manifesto delle attività del gruppo" che avrebbe tentato di condizionare le decisioni di organi istituzionali e costituzionali. Con il decreto di accertamento bancario, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli hanno dunque chiesto alla Guardia di Finanza di acquisire presso il gruppo Unicredit tutta la documentazione per ricostruire "talune operazioni finanziarie" effettuate sia da Verdini sia da Carboni, dal gennaio 2004. Un accertamento disposto dagli inquirenti in seguito all'acquisizione degli assegni circolari per 800mila euro - con causali diverse e non tutti Unicredit - negoziati in gran parte da Antonella Pau, moglie di Carboni. L'accertamento non riguarda solo i conti correnti attivi: i militari dovranno infatti acquisire gli estratti conti dei rapporti anche estinti, "la documentazione relativa a cassette di sicurezza, libretti di deposito a risparmio sia nominativi che al portatore, dossier titoli anche per quei rapporti laddove lo stesso abbia agito per delega o mediante qualsiasi altro strumento sostitutivo o di interposizione". Gli inquirenti vogliono inoltre sapere se collegati ai conti di Verdini e Carboni vi siano anche "aperture di credito, mutui, castelletti per sconto effetti e per altre operazioni di portafoglio". Le verifiche sui conti Unicredit si riallacciano a una complessa serie di accertamenti avviati dalla Guardia di Finanza che abbracciano diverse operazioni sospette. Al centro c'è il versamento di 2,6 milioni di euro da parte della Società Toscana Editrice (Ste) a favore di Denis Verdini e Massimo Parisi: questi ultimi ricevono la somma per la vendita di un pacchetto azionario della società Nuova Editrice Toscana. Ma agli investigatori tale versamento "appare come non giustificato anticipo" rispetto a quanto era stato concordato. Non solo. Il trasferimento quote non "risulta che sia mai stato effettivamente realizzato". Ma c'è un'altra operazione poco chiara che emerge dalle carte e che ruota attorno a una cifra sempre della stessa entità: 2,6 milioni di euro. Si tratta di un passaggio di quote della Ste, una società editrice, e di una serie di versamenti effettuati tramite assegni negoziati presso il Credito Cooperativo Fiorentino, banca di cui Verdini è presidente. Gli assegni sono stati emessi tra giugno e dicembre 2009 parte da Banca Popolare dell'Emilia Romagna, parte da Unicredit. I versamenti, per un totale di 800 mila euro, sono stati effettuati da Antonella Pau e da Giuseppe Tomassetti, indicato come un collaboratore di Carboni. Queste operazioni, secondo una scrittura privata, erano finalizzate all'ingresso di Pau e Tomassetti nel capitale sociale della Ste, attraverso l'acquisizione di un 30% mediante sottoscrizione di un aumento di capitale con sovrapprezzo per un valore di 2,6 milioni di euro. Cifra da pagarsi entro il 31 dicembre 2010. Ma di queste operazioni, così come di possibili aumenti di capitale della Ste, secondo quanto accertato dagli investigatori, nei libri sociali e nei verbali delle assemblee societarie della Società non è stata trovata traccia. Verdini: "Adesso basta!" Il coordinatore del Pdl Denis Verdini ha diffuso una nota per difendersi: "Adesso basta. Da parecchi giorni, praticamente in tempo reale con gli arresti, le redazioni di tutti i quotidiani e delle agenzie di stampa sono in possesso di una "chiavetta", altrimenti detta "pen drive", che contiene le oltre 14mila pagine dell`inchiesta relativa alla fantomatica P3". "Non voglio passare per stupido, illudendomi che esista ancora il segreto istruttorio, diventato invece come l`araba fenice -denuncia Verdini- ma allo stesso tempo non posso non notare che le notizie relative alla mia persona vengano distillate giorno dopo giorno, quasi vi fosse una regia, facendo finta che si entri all`improvviso in possesso di nuovi elementi. Tra l`altro, viene fatta una lettura assolutamente parziale e superficiale delle carte". "Leggo per esempio da alcune agenzie le anticipazioni della prossima puntata di sospetti e veleni contro di me. Come se si trattasse di una novità, e non parte delle 14mila pagine ormai conosciute, salta fuori che la Guardia di Finanza avrebbe avuto l`incarico di verificare l`esistenza di miei conti correnti presso l`Unicredit e altre banche, come se vi avessi nascosto un fantomatico tesoretto illegale. Come ho già detto in relazione ad altri articoli simili e relativi a miei inesistenti conti all`estero - assicura il coordinatore Pdl- cerchino pure ma chiarisco fin da subito che l`unica banca presso la quale esistono rapporti attivi e depositi è quella che presiedo, cioè il Credito Cooperativo Fiorentino". Alfano difende Caliendo Il Governo sempre più in difficoltà ora deve difendere anche il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. Il Guardasigilli Angelino Alfano è stato costretto a precisare la "piena correttezza del comportamento" del sottosegretario "in due anni di lavoro al ministero". Alfano ha risposto così al question time alla Camera ad un'interrogazione presentata dall'Idv sull'inchiesta sulla loggia P3. "Tutto è noto dell'inchiesta", ha cercato di giustificarsi il ministro, ricordando le indiscrezioni e le notizie apparse sulla stampa, nonché le interviste rilasciate dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, titolare delle indagini, "niente invece - ha osservato Alfano - è noto di ciò che Caliendo avrebbe materialmente fatto, agendo illecitamente in modo contrario ai doveri dell'ufficio che ricopre". Nel concludere la sua risposta all'interrogazione dell'Italia dei Valori, che ha chiesto quali iniziative intenda il governo mettere in campo sulla vicenda, Alfano ha anche ribadito che "è nostra intenzione adottare tutte le iniziative previste nel programma elettorale per rendere più efficente e funzionale la giustizia italiana. Ciò nella consapevolezza - ha concluso il Guardasigilli - della grande differenza che esiste tra noi e voi: per voi ola questione morale è andare di9etro a ogni inchiesta, per noi è morale perseguire gli autori di reati senza inseguire fantasmi, dare certezza della pena ai colpevoli, ristoro alle vittime di reati e garanzie degne di uno stato moderno e democratico". 22 luglio 2010
Abruzzo, le mani dei clan sugli appalti post-terremoto La camorra tentava di infiltrarsi negli appalti per la ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila. È uno degli elementi centrali emerso nell'operazione della Guardia di Finanza contro i Casalesi, che ha portato all'arresto di 6 persone. L'operazione 'Untouchable', infatti, ha consentito di monitorare "in diretta" le infiltrazioni della camorra casalese nelle commesse per la ricostruzione della città di L'Aquila, a seguito del devastante sisma del 6 aprile 2009. Infatti sono stati intercettati i colloqui telefonici con i quali gli arrestati disponevano l'invio del denaro necessario a finanziare le imprese costituite a L'Aquila, per loro conto, con il fine di aggiudicarsi i lavori per la ricostruzione. Dalle prime ore di questa mattina, circa 500 militari della Guardia di Finanza di Roma sono in azione per dare esecuzione a una imponente operazione di polizia, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che ha portato all'arresto di 6 persone con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso ed al sequestro di 21 società, 118 immobili ed altri beni e valori ad essi riferibili, per un ammontare complessivo di 100 milioni di euro. Gli arrestati, secondo le risultanze delle indagini condotte dai finanzieri del GICO del Nucleo Polizia Tributaria di Roma, sono ritenuti "espressioni economiche" del clan dei Casalesi, operanti nel Casertano, ma con propaggini anche in altre Regioni d'Italia e in particolare nel Lazio, in Abruzzo ed in Toscana. 22 luglio 2010
Famiglia Cristiana: "Nani e ballerine nei palazzi del potere" Il Paese è "in affanno, tra povertà e corruzione", mentre "la selezione della classe politica è al ribasso", "così che nei palazzi del potere si aggirano 'nani e ballerine'". Famiglia Cristiana fa proprie e rafforza le preoccupazioni manifestate la scorsa settimana dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco in una intervista all'Osservatore Romano, e rilancia la necessità di una classe politica d'ispirazione genuinamente cristiana e volta al bene comune. "Il Paese fatica tra errori, omissioni, tensioni e ritardi - scrive il settimanale cattolico - e anche qualche refuso". E bene ha fatto Bagnasco ad avvisare che "tra la gente serpeggia una preoccupazione 'seria e pungente', soprattutto tra quella fascia di popolazione che "ha ben poco da risparmiare". 21 luglio 2010
L'Avvenire: "Non sono solo 4 mele marce" La questione morale a Milano e in Lombardia "non è un piagnisteo" e forse ad averla aperta "non sono solo quattro mele marce": c'è "un'economia del disastro consegnata alla generazione futura, il peggio immaginabile della diserzione morale". Così, in un editoriale, il quotidiano dei vescovi Avvenire commenta il sequestro dell'area di Santa Giulia, le inchieste sulla contaminazione mafiosa e il rapporto sulle ecomafie di Legambiente, riferendosi anche indirettamente alle parole di Berlusconi al Duomo. 21 luglio 2010
2010-07-19 P3, Napolitano a Mancino: "Se ne occupi il nuovo Csm" Della questione morale nella magistratura, scoppiata con l'inchiesta sulla cosiddetta 'P3', si occupi il nuovo Csm. In ogni caso, non bisogna gettare ombre su chi nell'organo di autogoverno delle toghe all'epoca sostenne la normina di Alfonso Marra alla presidenza della Corte d'appello di Milano: si pronunciò "liberamente, al di fuori di ogni condizionamento". È il monito che rivolge il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera inviata al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, rispondendo alla richiesta avanzata da componenti del Consiglio di fissare all`ordine del giorno dei lavori di Palazzo dei Marescialli la questione delle "regole deontologiche minime" che debbono caratterizzare i comportamenti dei consiglieri, della quale oggi è stata data lettura al Comitato di presidenza del Csm. "La questione - secondo il presidente della Repubblica - dovrebbe essere dibattuta in termini generali e propositivi, prescindendo dalla esistenza di indagini penali, disciplinari e amministrative sull'episodio. A parte la seria preoccupazione, che è lecito mantenere, di non interferire in tali indagini - spiega Napolitano - ritengo da un lato che il tema non possa essere affrontato in termini 'generali e propositivì con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa Consiliatura, mentre è corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito, e dall'altro - conclude il messaggio del Colle - che si debba essere bene attenti a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento, su quella proposta di nomina concorrendo alla sua approvazione". 19 luglio 2010
2010-07-18 Lombardi: "Volevo solo farmi bello col premier" di Massimiliano Amatotutti gli articoli dell'autore "Noi nun comandamm´ manco ‘o cazz´ co´ sti quindici rincoglioniti...". Così Pasquale Lombardi il 7 ottobre del 2009, quando il vertice della P3 riunito al bar dell’hotel Eden, presente Marcello Dell’Utri, apprende che la Consulta ha bocciato il lodo Alfano. Davanti al gip di Roma che lo interroga il 10 luglio nel carcere di Bellizzi Irpino, due giorni dopo l’arresto, il geometra di Cervinara rivela: "Ho tentato di interessarmi alla vicenda del Lodo Alfano per acquisire meriti con il capo del mio partito, Silvio Berlusconi, affichè potesse ritenersi che ero in grado di arrivare anche ai giudici della Corte Costituzionale. Ammetto di aver contattato il presidente emerito Cesare Mirabelli, ma lui oramai non conta più nulla. Il giudice donna al quale si fa riferimento nella conversazione del 30 settembre 2009 è stata segnalata dal Pdl, ma non ne ricordo il nome (si tratta di Maria Rita Saulle, ndr)". E ancora: "Confermo gli incontri svoltisi in casa dell’onorevole Verdini ai quali hanno partecipato anche l’onorevole Dell’Utri, l’onorevole Caliendo ed il giudice Miller. Non ricordo della presenza di Martone. In quelle occasioni non abbiamo parlato del Lodo Alfano, ma soltanto della candidatura per la presidenza della Campania. Nego - precisa Lombardi - che l’interessamento al Lodo sia stato posto in corrispettivo con i vertici del partito della candidatura di Cosentino". E, sul tentativo di anticipare il giudizio della Cassazione sull’ordine di carcerazione a carico dell’ex sottosegretario: "Dopo l’emissione dell’ordinanza Cosentino mi chiese se conoscessi qualcuno in Cassazione, perché per il 28 gennaio, data della discussione del ricorso, era previsto uno sciopero degli avvocati". Stralci dell’interrogatorio di garanzia di Lombardi, durante il quale si è parlato anche del complotto ordito per screditare Stefano Caldoro dalla cricca capeggiata da Flavio Carboni e Arcangelo Martino, sono stati contestati ieri a Nicola Cosentino. La "serenità" e la "disponibilità all’ascolto" dei pm, il gelo di Caldoro: è stata una giornata a due facce per "Nic ‘o mericano". Quattro ore a rettificare, spiegare, discolparsi. A ribadire: "Il complotto? E’ un’idea stravagante, sono stato io a candidarlo". Nel pomeriggio, l’algida puntualizzazione del diffamato: "La candidatura è stata una scelta di Berlusconi, poi sostenuta dal Pdl". E quindi: "Non c’entra nulla con il dossier? È anche quello che ha detto al premier e a me". Cosentino arriva in Procura alle nove. I magistrati lo incalzano: il dossier confezionato da Ernesto Sica, secondo gli investigatori con l’aiuto del presidente della Corte d’Appello di Salerno, Umberto Marconi, i suoi rapporti con la P3, le pressioni sul presidente della Cassazione Vincenzo Carbone, che Lombardi nel suo interrogatorio ha definito "un mio amico". Cosentino ammette di conoscere sia Martino che Lombardi, scaricando su di loro e su Sica la responsabilità del dossier. E’ un interrogatorio abbastanza complicato per l’accusa, che non può utilizzare le intercettazioni "dirette". Cosentino è parlamentare e per ora non può essere chiamato a rispondere delle indicazioni che dava per telefono agli altri sodali sugli alberghi in cui Caldoro si sarebbe incontrato con i trans. Il cuore della difesa dell’ex sottosegretario è politico: "Quando ho preso il Pdl in mano in Campania eravamo opposizione, con me siamo al governo. Pensate che uno con questo ruolo e con questa forza si metta ad operare dei dossieraggi? Mi pare pura fantasia". Poi mostra un ritaglio di giornale: un’intervista del 15 gennaio in cui affermava: "Mi tiro indietro, il candidato è Caldoro". Cosentino è una sfinge sul tentativo operato dalla cricca di far anticipare il verdetto della Cassazione sul suo arresto: "I miei legali hanno chiesto loro la pronuncia d’urgenza". Ma questa parte dell’inchiesta approderà a Napoli: la procura antimafia potrebbe presto convocare Lombardi come teste. 18 luglio 2010
2010-07-17 Ghedini: "Cesare" non è Silvio. Carboni: sostennni Cappellacci Cosentino interrogato per quattro ore È stato interrogato dalla Procura di Roma l'ex sottosegretario all'economia Nicola Cosentino, dimessosi da sottosegretario due giorni fa, è indagato per i reati di associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3. Lo hanno interrogato il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli. "Penso di avere chiarito tutto quello che c'era da chiarire. I magistrati sono stati gentili e disponibili", ha detto l'ex sottosegretario al termine dell'interrogatorio durato circa quattro ore. Ghedini: Cesare non è Berlusconi "Come era facile intuire il nome Cesare non si riferisce affatto al Presidente Berlusconi. Dall'esame degli atti in una intercettazione fra Carboni e Martino del 16.9.2009, un mercoledì, si legge testualmente che Cesare è a Catania e rientra sabato. Si indica poi che possa rientrare venerdì sera e che non sarebbe andato al Congresso. Il Martino ipotizzava altresì di fare andare da lui il Cesare. Da tali indicazioni del tutto sconnesse dagli impegni del Presidente Berlusconi e da un controllo degli impegni dei suoi spostamenti tutti documentati, si è potuto acclarare che pacificamente mai si è recato in Catania in quella settimana. È quindi del tutto evidente che Cesare è da individuarsi in altro soggetto e ciò fa irrimediabilmente venir meno tutte le illazioni prospettate in questi giorni". Lo dichiara l'avvocato del premier Niccolò Ghedini.
Casini Il premier Silvio Berlusconi dice che la vicenda dell'inchiesta eolico è soltanto una 'montatura vergognosa' e Pier Ferdinando Casini questo è "un segno di impotenza". "Evocare i complotti -dice il leader dell'Udc - di solito è segno di impotenza. E comunque sono curioso di sapere chi l'ha ordito e magari se tutto ha preso inizio a casa Vespa perchè in quel caso sia Berlusconi che io dovremmo saperne qualcosa...". Carboni al Corsera: "Ho sostenuto Cappellacci" "Rappresento uno che sa produrre ricchezza. Mi hanno sempre dato fiducia, che si tratti di eolico, di immobiliare". È uno dei passaggi dell'interrogatorio cui i giudici hanno sottoposto il 9 luglio scorso Flavio Carboni e pubblicato oggi dal Corriere della Sera. Nell'interrogatorio, Carboni, secondo quanto riferisce il Corsera, ha anche raccontato degli incontri con Denis Verdini per candidare il giudiceArcibaldo Miller in Campania e Cappellacci, il governatore della Sardegna. Sul primo caso Carboni dice ai giudici: "Bisognava nominare i candidati della Regione Campania. Miller era la persona più idonea, era considerato da Verdini la persona ideale. Essendo io più amico di Verdini rispetto a Miller - continua Carboni -, potevo influenzare, potevo raccomandare. Cosa che ho fatto..che io trovo estremamente normale..Non so se ricordo bene, credo che sia stato Miller a rinunciare". Di Cappellacci afferma: "L'ho sostenuto, è vero". Ma poi, aggiunge, ne avrebbe avuto solo svantaggi perché ha cancellato "la legge Soru" che "consentiva alle grandi società di intervenire nel mondo dell'eolico". "Da quando è stato eletto - prosegue - questo signore ha creato danni a tutti, non solo a me". Degli altri personaggi coinvolti nell'inchiesta, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, Carboni dice: "Per me sono due estranei e mi hanno creato solo guai". Di Lombardi dice: "Uno stupido che al telefono diceva ciò che a me non interessava..Io non ho mai avuto nessun rapporto di inciuci..se poi i due soggetti avessero altre intenzioni o avessero altre malefatte ai danni dello Stato questo lo chieda a loro. I miei rapporti - aggiunge - sono stati solo e unicamente quelli di ricevere richieste da entrambi, ma soprattutto da Martino, quello che frequentavo di più". Berlusconi, Eolico? "Una nuova vergognosa montatura" Alcuni giornali "stanno mettendo in atto una nuova vergognosa montatura già smentita dai fatti tentando di coinvolgere il presidente del Consiglio e il Popolo della Libertà in vicende poco chiare da cui siamo lontani anni luce". Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in un audiomessaggio sul sito dei Promotori della Libertà. "Non ci sono ipotesi diverse di governo" "Voglio ricordare ancora una volta che la nostra è la prima forza politica in Italia", ha continuato il premier. "Abbiamo vinto tutte le sfide elettorali, degli ultimi 2 anni: le elezioni politiche, le elezioni europee, le elezioni amministrative, le elezioni regionali. Siamo quindi il pilastro portante del governo, e nella realtà e nei numeri non ci sono ipotesi diverse di governo". Ferranti, Pd: "Sarà il caldo ma Berlusconi straparla" "Sarà il caldo ma Berlusconi straparla – commenta la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. - L'inchiesta sulla P3 non è una invenzione giornalistica ma un'accurata indagine della procura di Roma che dovrebbe allarmare tutti coloro che rivestono ruoli di responsabilità nelle istituzioni repubblicane. Berlusconi, invece, non dimostra responsabilità politica e delegittima la fiducia nelle istituzioni. Ancora più goffo il tentativo di prendere distanza da una inchiesta che ha già portato alle dimissioni del sottosegretario Cosentino e che vede coinvolto il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini e alti rappresentanti delle istituzioni. Mi sembra che ce ne sia abbastanza per tirare fuori la testa dalla sabbia". Bersani: il premier deve venire in Parlamento "Sotto l'idea del "ghe pensi mi" alla fine si costruiscono dei meccanismi paralleli alla vita politica e amministrativa, favoriti da una legislazione speciale". Lo ha detto il segretario del Pd intervistato dal Tg3 a New York. "È un problema di singolo malaffare e di malcostume ma anche di meccanismi cui mettere mano". Per Bersani, Berlusconi invece di minimizzare dovrebbe andare in parlamento a dire cosa pensa dello Stato. "Bisogna che le intercettazioni siano garantite, che la magistratura possa fare il suo lavoro e che la politica, quando c'è qualcuno coinvolto, abbia la forza di dire dimettiti". Ma, ha sottolineato, "serve anche qualcosa di più: una riscossa civile" del Paese. Il presidente del Consiglio: "Non c'è da essere preoccupati" "Non c'è da essere preoccupati, occorre continuare a lavorare con tranquillità". Silvio Berlusconi invita gli esponenti dell'esecutivo ad "andare avanti" e soprattutto ostenta sicurezza "nonostante i tentativi di delegittimazione" in corso. Il premier, secondo quanto riferiscono fonti ministeriali, questa mattina in Consiglio dei ministri è stato categorico: "Andiamo avanti cinque anni. Non date retta ai giochi di palazzo. Dobbiamo concentrarci sulle cose concrete, parliamo dei fatti e dei risultati che abbiamo raggiunto". Inchieste: "Un disegno per delegittimarci" Il Cavaliere, riportano le stesse fonti, ha fatto un accenno proprio alle ultime inchieste giudiziarie quando ha spiegato che si tratta solo di "chiacchiere che non ci scalfiscono". "C'è un disegno per delegittimarci", ha insistito il Capo del governo, "noi andiamo avanti per la nostra strada". Il presidente del Consiglio ha annunciato poi di volersi concentrare sul partito, arrivando a rinunciare anche alle vacanze, e ha intimato i presenti a non prestare il fianco a polemiche sterili, soprattutto con i finiani. Il premier ha messo uno stop anche alla 'querelle sulle quote latte. L'argomento è stato posto in Consiglio dei ministri proprio dal responsabile dell'Agricoltura che ha fatto intendere di voler raffreddare le tensioni su questo tema. Chiudiamo la vicenda, è stato l'invito del Cavaliere che avrebbe trovato d'accordo tutti. Berlusconi dopo il Consiglio dei ministri ha poi avuto un incontro con Umberto Bossi sul federalismo. Prima della riunione qualche battuta nei confronti di Giulio Tremonti. Secondo alcuni quotidiani ambirebbe a diventare presidente del Consiglio: i ministri hanno scherzato così con il responsabile di via xx settembre: "Già che ci sei prendi contatti con le stanze presidenziali...". Il ministro Alfano "Non si può fare di tutta l'erba un fascio e dare la caccia alle streghe". Così il Guardasigilli Angelino Alfano, a Bruxelles dove ha partecipato al Consiglio dei Ministri Ue di Giustizia e Affari Interni. "Sono il ministro della Giustizia - ha detto ancora Alfano - e non intendo commentare un'inchiesta in corso. Ciascuno faccia il proprio dovere, sia dal punto di vista degli inquirenti che da quello dei diritti di chi deve difendersi". Ghedini: querelo Orlando Ghedini sapeva nulla delle riunioni della cosiddetta P3 con Verdini? Lo chiede Leoluca Orlando, portavoce dell'Idv: "C'è da chiedersi se l'onorevole Ghedini, collega di partito dei vari Scajola, Brancher e Cosentino, non sia stato in qualche modo a conoscenza delle riunioni in casa Verdini per fare pressioni indebite sui membri della Consulta che stavano per giudicare la costituzionalità del Lodo Alfano, che è un suo obbrobrio giuridico". "L'Onorevole Leoluca Orlando è evidentemente assai confuso. Come dovrebbe facilmente comprendere un conto è la critica politica altra cosa è l'indicazione di precisi comportamenti antigiuridici - replica Ghedini - Comunque avrà occasione in giudizio di spiegare le sue tesi. Vi è un unico dato certo e che sarà agevole provare ovvero la mia totale estraneità diretta o indiretta alle vicende in oggetto. Solo di questo dovrà rispondere l'onorevole Orlando". Anche Sica in Procura L' ex assessore all' Avvocatura della Regione Campania Ernesto Sica, indagato per l' inchiesta sugli appalti per l' eolico in Sardegna e sul falso dossier contro il presidente della giunta regionale campano Stefano Caldoro, è stato ascoltato questa mattina dai magistrati della Procura di Roma. Sica è stato accompagnato dai legali Felice Lentini e Fabrizio Merluzzi. L'ex assessore e sindaco di Faiano-Pontecagnano (Salerno) ha detto di aver "ribadito la mia assunzione di responsabilità politica per atti esclusivamente politici ed ho avuto modo di chiarire la mia assoluta estraneità ad associazioni segrete o palesi che siano. Ringrazio, pertanto, i magistrati della serenità con la quale hanno compreso un aspetto squisitamente politico e non delittuoso del mio operato". Sica si era dimesso domenica scorsa da assessore al termine di un faccia a faccia con Caldoro. 17 luglio 2010
I misteri di Casoria di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Dalle carte dell’inchiesta P3 riaffiorano i misteri di Casoria, cioè di papi Berlusconi, di Noemi Letizia e di tutto quello che ne derivò. Un’infinita di misteri, dalle vere attività di Elio Letizia alla mai chiarita ragione della visita di papi per il diciottesimo compleanno di Noemi; dalle relazioni pericolose del presidente del Consiglio con alcuni potenti della zona tra cui Arcangelo Martino, membro della P3, alla morte per prescrizione di un fascicolo processuale su Elio Letizia. Conviene procedere con ordine. E partire da un punto fermo: cioè da Arcangelo Martino, uno dei tre fondatori della presunta P3, ex assessore socialista a Napoli, nel 1993 finito in manette per corruzione. Era assessore all’Annona e al Commercio e con il suo collaboratore Elio Letizia, il papà di Noemi appunto, fu accusato (e poi prosciolto) di gestione allegra delle licenze commerciali. Un salto in avanti. Arriviamo al maggio 2009, alla vicenda del party di Casoria e alle dichiarazioni di Martino che spiega: "Sono stato io a presentare Letizia a Berlusconi, perché tra il 1987 e il 1993 sono stato grande amico di Bettino Craxi". Così amici che s’incontravano tutti all’hotel Raphael, lui, l’amico Letizia, il leader del Psi e il rampante Berlusconi. Un anno fa si disse anche che la visita di Berlusconi alla festa di Noemi era finalizzata a discutere con l’amico Elio le candidature di Malvano e Martusciello alle Europee del giugno 2009. Versione mai confermata dai diretti interessati. Mistero s’aggiunge a mistero, dunque. Sappiamo però, grazie all’inchiesta "Insider" sulla P3, che in quei mesi il trio Carboni (con legami pesanti con il clan camorristico di Sarno), Martino e Lombardi s’organizzava e si metteva in azione, faceva affari e pressioni in mezza Italia. In Campania, per la precisione, tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 voleva a tutti i costi imporre il sottosegretario Nicola Cosentino come candidato governatore nonostante l’accusa di mafiosità e dunque allestiva dossier contro il possibile candidato alternativo del Pdl, Stefano Caldoro. Per la fabbricazione di quel dossier il gruppo godeva dell’appoggio-consulenza di alcuni magistrati. Il 2 febbraio 2010 Lombardi chiama e ottiene di andare a trovare in ufficio il procuratore di Napoli Giandomenico Lepore. "Pasqualì…", "Gianmimì…" sono gli affettuosi saluti telefonici. Se il ruolo di Lepore può essere sin qui solo ipotizzato, nella fabbricazione del dossier hanno certamente ruoli fondamentali Vincenzo Carbone, presidente di Cassazione, e, ancora di più, Umberto Marconi, presidente della Corte d’Appello di Salerno. Il 22 e il 23 gennaio 2010 sembrano essere giornate cruciali per il dossier sulle abitudini sessuali di Caldoro. Marconi riceve nel suo ufficio Ernesto Sica, sindaco di Pontecagnano, poi assessore regionale (ora indagato e dimissionario), e insieme parlano con Martino. "Pronto, sono il presidente - sono qui con coso (Sica, ndr) per quella situazione, quando ci possiamo vedè?". Il giorno dopo Marconi lascia un messaggio a Martino: "Sono a Roma e ti ho servito". Sica è il fabbricatore materiale del dossier, in grado addirittura di adoperare le testimonianze di alcuni pentiti. Quando sta sfumando la candidatura di Cosentino a favore di Caldoro, il sindaco si fa avanti in modo prepotente con il coordinatore Verdini per essere candidato egli stesso. Il coordinatore del Pdl sembra voler sfuggire al confronto con Sica. Il quale però il 23 gennaio 2010 raggiunge Verdini ad Arezzo e lo affronta in malo modo: "Io sono il sindaco di un paese… Digli al presidente (Berlusconi, ndr) che (se non ottengo la candidatura, ndr) me ne vado, lascio il partito, ma non mi fermo e racconterò tutto, tutto da agosto 2007 a oggi". Cosa è successo da agosto 2007 a oggi? In cosa può essere ricattabile il presidente del Consiglio? Qualcosa che ha a che fare, per esempio, con i rapporti tra Sica ed Elio Letizia? I misteri di Casoria affiorano in tutte le carte dell’inchiesta Insider. A volte suggeriscono scenari suggestivi. Come il vecchio processo "scomparso" che coinvolgeva Elio Letizia, per dirne uno. Processo per corruzione, stralciato da quello di Martino nella cui sentenza (2003) si legge: "Le descritte illecite condotte risultano certamente ascrivibili al solo Letizia". Ma, per qualche indicibile motivo, di quel fascicolo non si è saputo più nulla. E mentre infuriava la storia di Casoria - Noemi e dintorni - è venuto fuori che era stato prescritto. Una pessima figura per il tribunale di Napoli, il cui presidente Carlo Alemi a settembre scorso ha chiesto al ministero di inviare gli ispettori per fare chiarezza. Richiesta che a Roma finisce però sul tavolo di Arcibaldo Miller, che è stato sostituto in quella procura dal 1980 fino al 2000 per poi approdare al ministero nel 2002. Lo stesso magistrato che gli uomini della P3 chiamano "Arci" e a cui chiedono spesso consigli e consulenze. Comunque sia, tra Napoli, Salerno e Santa Maria Capua Vetere, dalle intercettazioni è chiaro che i contatti della cosiddetta P3 erano tutti di altissimo livello. Le storie sono spesso circolari. E tornano dove sono cominciate. 17 luglio 2010
Cappellacci, il giorno più lungo (in Procura) di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore "Sono contento di aver fornito al magistrato elementi di un percorso che ritengo virtuoso, ". Lo ha detto il Governatore dell'isola, Ugo Cappellacci, al termine dell'interrogatorio, durato sei ore. È indagato per abuso d'ufficio e concorso in corruzione. Nel corso del lungo interrogatorio non sono state contestate altre ipotesi di reato. Per "Ughetto" il giorno più lungo di Mariagrazia Gerina È provato il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci, quando a notte lascia l’ufficio del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. A chiamarlo a Roma, ancora una volta, le trame tessute a casa Verdini. Quella che ha dato il via all’inchiesta porta dritto in Sardegna, dove, con l’aiuto di Cappellacci, il faccendiere Carboni aveva deciso di mettere le mani sull’eolico e sulle concessioni per gli impianti. Mesi di incontri, di telefonate intercettate, in cui Carboni detta la linea su tutto e Cappellacci si mette a sua disposizione. Nomina l’uomo che il faccendiere vuole alla guida dell’Agenzia per l’ambiente. Segue i promemoria, gli appunti e persino le correzioni dettate dal gruppo perché la delibera che serve a Carboni e che Cappellacci si è impegnato a portare in giunta non contenga errori: ovvero, consegni le concessioni nelle mani di Carboni. Ciò che il presidente "voluto da Cesare" può portare a sua difesa quando entra nell’ufficio di Capaldo è tutto contenuto in una cartellina. È la delibera del 12 marzo con cui ha cercato di chiudere pubblicamente il recinto quando per mesi era stato segretamente impegnato a fare in modo che i buoi scappassero dove Carboni voleva. Un testo che sbarra la strada a tutti i privati. Un po’ avventato a detta di una dirigente della Regione. "All’ultimo momento l’hanno fatta, io sono rimasta un po’ perplessa", si lamenta in una intercettazione allegata agli atti. Fretta dovuta all’esplodere dell’inchiesta fiorentina sul G8, secondo gli inquirenti. Ciò che Cappellacci non può dire ai pm è che tutto si sia svolto "a sua insaputa". Persino i nomi delle società a cui dovranno finire le concessioni rimbalzano da una conversazione all’altra. "Ugo", "Ughetto", "Ugo carissimo", lo cerca in continuazione la loggia, trascinandolo in un turbinio di incontri e richieste sempre più pressanti. Un abbraccio a cui Ugo non si sottrae. Il 20 gennaio i carabinieri fotografano lui e Carboni che lasciano casa di Verdin. "Ore 18.05 Dal palazzo Pecci Blunt uscivano Flavio Carboni ed un uomo riconosciuto per il governatore della Regione Sardegna Ugo Cappellacci. I due si salutavano con una stretta di mano, si scambiavano baci sulle guance e si allontanavano". Più l’abbraccio si fa stretto e più "Ugo" si barcamena come può. A volte si mostra "concitato", "concitatissimo", come riferisce Carboni a Dell’Utri. Altre volte è talmente a suo agio, da ricorrere agli "amici", per un favore a un magistrato, il presidente del tribunale di Cagliari, che è stato trasferito. E quando gli sorge qualche perplessità, basta una telefonata di Verdini, un cenno di Dell’Utri, o un riferimento evocativo a Cesare-Berlusconi. E il governatore fa marcia indietro. "Basta! Finito, finito finito finito! Il discorso chiuso! Siamo pronti... Se non è domani sarà lunedì", assicura a Carboni il 22 luglio, preannunciando la resa sulla nomina di Ignazio Farris all’Arpas. "Ugo, bravissimo", festeggia Dell’Utri con Carboni. L’apice quando "la loggia" sbarca in Sardegna. È il 13 dicembre, stavolta Cappellacci gioca in casa. E almeno i dettagli vuole deciderli lui. "Volevo venire a prenderti, ma mi ha bloccato", si rammarica Carboni con Dell’Utri, che in quel momento vede arrivare Cappellacci. C’è anche Verdini. Tutti dietro al presidente, alla volta di Suelli. Paesino del cagliaritano, prescelto dal presidente per ospitare l’incontro decisivo. Quello che metterà in moto tutte le procedure per concordare parola per parola delibera e contratti di concessione. Fino a quando la cricca del G8 finisce nel mirino. E anche la loggia e i suoi amici cominciano a tremare. 17 luglio 2010 2010-07-16 P3 e toghe sporche Berlusconi attacca: "Mi vogliono delegittimare" "Non c'è da essere preoccupati, occorre continuare a lavorare con tranquillità". Silvio Berlusconi invita gli esponenti dell'esecutivo ad "andare avanti" e soprattutto ostenta sicurezza "nonostante i tentativi di delegittimazione" in corso. Il premier, secondo quanto riferiscono fonti ministeriali, questa mattina in Consiglio dei ministri è stato categorico: "Andiamo avanti cinque anni. Non date retta ai giochi di palazzo. Dobbiamo concentrarci sulle cose concrete, parliamo dei fatti e dei risultati che abbiamo raggiunto". Il Cavaliere, riportano le stesse fonti, ha fatto un accenno proprio alle ultime inchieste giudiziarie quando ha spiegato che si tratta solo di "chiacchiere che non ci scalfiscono". "C'è un disegno per delegittimarci", ha insistito il Capo del governo, "noi andiamo avanti per la nostra strada". Il presidente del Consiglio ha annunciato poi di volersi concentrare sul partito, arrivando a rinunciare anche alle vacanze, e ha intimato i presenti a non prestare il fianco a polemiche sterili, soprattutto con i finiani. Il premier ha messo uno stop anche alla 'querellè sulle quote latte. L'argomento è stato posto in Consiglio dei ministri proprio dal responsabile dell'Agricoltura che ha fatto intendere di voler raffreddare le tensioni su questo tema. Chiudiamo la vicenda, è stato l'invito del Cavaliere che avrebbe trovato d'accordo tutti. Berlusconi dopo il Consiglio dei ministri ha poi avuto un incontro con Umberto Bossi sul federalismo. Prima della riunione qualche battuta nei confronti di Giulio Tremonti. Secondo alcuni quotidiani ambirebbe a diventare presidente del Consiglio: i ministri hanno scherzato così con il responsabile di via xx settembre: "Già che ci sei prendi contatti con le stanze presidenziali...".
Il ministro Alfano "Non si può fare di tutta l'erba un fascio e dare la caccia alle streghe". Così il Guardasigilli Angelino Alfano, a Bruxelles dove ha partecipato al Consiglio dei Ministri Ue di Giustizia e Affari Interni. "Sono il ministro della Giustizia - ha detto ancora Alfano - e non intendo commentare un'inchiesta in corso. Ciascuno faccia il proprio dovere, sia dal punto di vista degli inquirenti che da quello dei diritti di chi deve difendersi". L'avvocato del premier Niccolò Ghedini annuncia "azioni giudiziarie" contro i giornali che "tentano di gettare discredito" nei confronti del premier in relazione alla vicenda degli appalti per l'eolico. "In relazione agli articoli apparsi in questi ultimi giorni ed ancora oggi su alcuni quotidiani - scrive il legale e parlamentare del Pdl - tendenti a far ritenere che vi fosse una consapevolezza da parte del Presidente Berlusconi di attività antigiuridiche di terzi, peraltro ancora da comprovare, si deve ribadire come tali prospettazioni siano del tutto inveritiere e contraddette dagli stessi atti processuali. Ancora una volta con la parziale pubblicazione di atti di indagine, in palese violazione di legge, si tenta di gettare discredito nei confronti del Presidente Berlusconi. È evidente che saranno esperite tutte le azioni giudiziarie del caso". 16 luglio 2010
Un Cesare arrogante di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Anna Finocchiaro usa la passione politica e parole indignate per denunciare al Senato la manovra d’estate della cricca di governo mentre sui banchi della maggioranza si scherza, si dileggia. Il senatore del Pd Paolo Nerozzi parla della gravità dei licenziamenti della Fiat a Mirafiori e a Pomigliano, chiede l’intervento del ministro Sacconi. In cambio ottiene dalla destra risa di scherno e un "finalmente" quando parla della sanzione ingiustificata contro un delegato Fiom. Sono solo due episodi, tra i tanti, di una giornata politica che conferma l’arroganza di una maggioranza di governo che trascina le assemblee parlamentari ai livelli indegni e volgari consoni alla gang della P3, ai Cosentino, ai Verdini, ai Dell’Utri, al magistrato Alfonso Marra di cui ieri il Csm ha chiesto il trasferimento d’urgenza dal Tribunale di Milano per incompatibilità ambientale. Scorrendo le immagini di una giornata come quella di ieri c’è da chiedersi che cosa dobbiamo ancora vedere e subire, quale può essere il livello di sopportazione dei cittadini, del mondo del lavoro, dei sindacati, delle imprese responsabili e non asservite, davanti a comportamenti "vergognosi e ignobili", come denuncia solitario il parlamentare Passoni. Non siamo ancora arrivati alla fine di questa tragedia nazionale? L’azione del governo si misura tra i diktat e le banali battute di Tremonti, "la fiducia porta fiducia" ha sentenziato ieri, mentre Regioni e comuni confermano l’opposizione alla manovra, mentre il governatore della Banca d’Italia esprime qualche dubbio sui possibili risultati, mentre le famiglie italiane si impoveriscono e gli operai, al solito, sono quelli che stanno peggio. La stangata d’estate colpisce le donne, le lavoratrici statali che andranno in pensione più tardi, penalizza i giovani che un lavoro dignitoso e la pensione non li vedranno mai con questi chiari di luna, pesa sulle amministrazioni e le comunità locali. E tutto si tiene in questa Italia berlusconiana, arrogante e proterva: dalla manovra di Tremonti fino ai licenziamenti della Fiat, c’è una linea chiara che punta colpire e a penalizzare i ceti più deboli, le famiglie, i lavoratori che non abbassano la testa nemmeno davanti a Marchionne. Ora Berlusconi, il Cesare della P3, vuole una manifestazione di piazza perché ha bisogno di un bagno di folla, ammesso che ci riesca, per portare l’ultima spallata, quella per vietare le intercettazioni, per fermare l’informazione libera. In un paese normale, dove la dialettica democratica e parlamentare fosse davvero rispettata, anche il voto sulla manovra correttiva dei conti pubblici avrebbe potuto essere l’occasione per un confronto duro ma costruttivo e leale. Nessuno, nemmeno l’opposizione, avrebbe messo in discussione la necessità degli interventi, ma certo sarebbe stato necessario calibrarli più equamente. Invece si stangano i soliti e si salvano i furbetti padani che non pagano le multe per le quote latte. Al solito il problema è Silvio, anzi Cesare, e la sua credibilità, le sue ombre passate, la sua dipendenza da amici vecchi e nuovi. Perché come insegna la Storia se la moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto, allora figuriamoci Cesare.... 16 luglio 2010
Caliendo e i giudici assieme a Formigoni convocati dai Pm di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore L’investigatore invita a leggere con cura tutte le parti dell’asciutta ma eloquente ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta Insider ribattezzata P3. Specie dove il gip Giovanni De Donato scrive (pag.3): "Il materiale indiziario raccolto documenta anche l’esistenza di altri contatti e di ulteriori iniziative che finora non è stato possibile ricostruire compiutamente e che dovranno perciò essere oggetto di approfondimenti investigativi". E qualche decina di pagine più in là quando precisa che "il pm non ha ritenuto alla stato di formalizzare specifiche richieste al giudice" in merito ad altre posizioni che confermano "un grave quadro indiziario di una realtà organizzata e riservata del tutto corrispondente alla ratio della legge n°17/1982 (legge Anselmi)". L’inchiesta va avanti, quindi, ben oltre e ben al di là dei "quattro pensionati sfigati" di cui parla Berlusconi-Cesare. Ieri ha ottenuto la conferma di un altro giudice, quello del Riesame, che ha confermato la detenzione in carcere per Carboni e Lombardi nonostante entrambi ultrasettantenni. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Sabelli hanno in calendario una sfilza di interrogatori utili a chiarire le posizioni di alcune persone non ancora indagate ma con un ruolo di primo piano nella trame del gruppo e a fare luce su altre faccende. L’elenco degli interrogatori - al momento convocazioni di persone informate sui fatti – riguardano il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, l’ex Primo presidente Vincenzo Carbone (ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età giusto due giorni prima che scattassero gli arresti), il presidente della Corte d’Appello Alfonso Marra su cui il Csm ha già avviato la procedura per il trasferimento. SFILATA DI NOMI ECCELLENTI Nomi eccellenti, massimi rappresentanti dell’amministrazione dello Stato e della Giustizia che dovranno provare a spiegare il loro ruolo all’interno del sodalizio "volto – scrive sempre il gip – a condizionare gli apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali". Formigoni dovrà spiegare perché a marzo, quando la sua lista era stata estromessa dalle Regionali ed era in corso il nuovo giudizio davanti alla Corte d’Appello di Milano (che bocciò nuovamente la lista riammessa alla fine dal Tar) ritenne opportuno rivolgersi a Pasquale Lombardi per fare pressione su Marra (presidente della Corte d’Appello) ed ottenere il via libera per la lista. Formigoni usa toni perentori ("Ma l’amico, l’amico lì, Lombardi, Lombardo, è in grado di agire?" chiede a Martino il primo marzo), quasi che fosse normale rivolgersi al sodalizio per questo tipo di faccende. Marra, per conto suo, risponde e mostra – nelle telefonate intercettate – una certa disponibilità ad intervenire. Quando poi il tentativo fallisce per colpa "di una sezione di tre giovani che non sanno prendere manco il pedalino per il manico giusto" (Lombardi a Martino il 3 marzo), il gruppo e Formigoni si mettono d’accordo per vendicarsi ed ottenere un’ispezione – si presume punitiva – in Corte d’Appello a Milano da parte degli 007 del ministero. E qui entrano in gioco pesantemente sia il sottosegretario Caliendo (presidente dell’Associazione Diritti e Libertà, organizzatrice di convegni e strumento per prendere contatti e confidenza con le toghe via via invitate) che Arcibaldo Miller. Molto dovrà spiegare ai magistrati romani anche Carbone, ruolo decisivo nella vicenda Casentino. Non è escluso che alcuni di loro si presentino come testimoni e assumano la veste di indagati. Per violazione della legge Anselmi, quella che sciolto la P2. E, 28 anni dopo, potrebbe mettere fuori gioco la P3. 16 luglio 2010
2010-07-15 Toghe sporche, il Cms trasferisce il giudice Marra. Nelle carte "Cesare" è il premier All'indomani della richiesta di dimissioni dell'Anm ai magistrati coinvolti nella vicenda della cosiddetta "P3", la prima commissione del Consiglio Superiore della Magistratura ha aperto oggi una procedura di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale nei confronti di Alfonso Marra, presidente della Corte d'Appello di Milano, il cui nome era comparso in alcune intercettazioni dell'inchiesta su presunti illeciti in appalti per l'eolico. La decisione è stata assunta con quattro voti a favore e il parere contrario del membro laico del Csm ed ex parlamentare di An Gianfranco Anedda. Ieri, per la stessa vicenda relativa al presunto comitato d'affari segreto che avrebbe fatto capo tra gli altri all'imprenditore Flavio Carboni - il cui nome è apparso negli ultimi 30 anni in varie inchieste su trame eversive, anche se è stato recentemente assolto dall'accusa di aver partecipato all'omicidio del banchiere Roberto Calvi - si è dimesso il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, indagato tra l'altro per associazione segreta. "Sono contento che il Csm abbia aperto la procedura così si chiarirà la mia posizione", ha detto il presidente della Corte di Appello di Milano, Alfonso Marra. Anche la procura generale della Cassazione ha avviato una indagine disciplinare sui magistrati i cui nomi figurano nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Roma nei confronti di Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi. 15 luglio 2010
Ecco i verbali delle intercettazioni "Tu devi intervenire sulla Commissione..." di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Il controllo degli apparati giudiziari, Tribunali, Csm, Corte di Cassazione e Consulta, è uno dei principali obiettivi di questa Loggia P3 che sembra non inventare nulla rispetto alle vecchie gesta di quella che fu la Loggia P2 . Contattare per poi controllare le toghe era la mission dell’ex ragioniere promosso giudice sul campo per via di qualche incarico nella Commissioni Tributarie Pasquale Lombardi. "Pasqualì", nelle intercettazioni, 77 anni, di Benevento con una irrefrenabile loquacità al telefono e un irresistibile accento campano, s’era inventato uno strumento perfetto, Il Centro Studi Diritti e Libertà , promotore di convegni e incontri tra toghe in tutto il paese. Le quindicimila pagine dell’inchiesta "Insider" del nucleo operativo dei carabinieri coordinati dall’aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e dal sostituto Sabelli pullulano di nomi di magistrati e guidici. Ruoli di primo piano nella presunta loggia sembrano averli il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller. Sembra quasi che prendano ordini da Lombardi e soci. La riammissione della lista Formigoni alle regionali di marzo scorso è uno degli episodi più illuminanti. Il governatore preme con Martino per avere garanzie che la Corte d’Appello faccia il suo dovere e dia il via libera alla lista ("Ma Lombardi è in grado di agire? chiede in una nervosa telefonata del primo marzo). Seguono telefonate frenetiche tra Lombardi. "Ho già chiamato Fofò e gli ho detto di chiamare questi quattro stronzi della Commissione elettorale..." dice al magistrato Gaetano Santamaria. Fofò è Alfonso Marra nominato presidente della Corte d’Appello di Milano grazie alle pressioni sul Csm da parte del gruppo. Il 2 marzo sempre Lombardi insiste con il sottosegretario Caliendo: "Tu devi intervenire dopo nella Commissione che deve vedere il ricorso . "Sì, ma non lo fa, già c’ho parlato " replica Caliendo. E Lombardi: "Embè, è fesso allora, che cazzo, chiamatello... ". Gli sforzi saranno inutili. Il 3 marzo il ricorso sarà rigettato per colpa di "di tre giovani che non sanno prendere manco il pedalino per il mamico giusto " (Lombardi). Martino si vendica cancellando il convegno, lo stesso a cui Lombardi aveva invitato anche il procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, toga nel mirino della presunta loggia per via dell’inchiesta sul G8. La vendetta del gruppo pretende a questo punto un’ ispezione ministeriale a Milano. Il 5 marzo 2010 Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministro Alfano, spiega a Martino come si fa: "Denunzino che hanno fatto imbrogli nel senso che hanno travisato i fatti. In base a questo devo no fare un esposto in cui dicono che i giudici della Corte d'Appello hanno fatto delle irregolarità e chiedono un intervento di controllo al Ministro della Giustizia ". Lombardi e Martino seguono passo dopo passo la stesura dell’esposto con gli uffici di Formigoni finchè il plico, dopo correzioni e integrazioni suggerite a turno da Caliendo e Miller, viene recapitato al dottor Macchiarola al ministero della Giustizia. Nei gionri a seguire Lombardi e Martino pressano Caliendo e Miller per ottenere gli ispettori. "Non lo so Pasqualì! - replica Caliendo il 12 marzo - ho chiamato ieri sera, ho parlato di nuovo con il Ministro, col suo segretario e mò vedono loro eh...L’ho chiesto trenta volte. Ho detto che bisogna farlo ". E’ un crescendo di telefonate dall’11 al 22 marzo. Non se ne farà poi nulla. Con grande rammarico di Formigoni che il 23 marzo dice a Martino: "Ho ricevuto questa mattina una telefonata da colui che si è impegnato a correre velocemente sabato e invece mi dice che non cammina affatto nè veloce nè piano e che è stato consigliato a stare fermo dallo stesso Arci (Miller, ndr) perchè sarebbe un boomerang pazzesco". La telefonata di cui Formigoni dà conto a Martino è con un certo Angelino. Probabilmente lo stesso ministro Alfano La foto è tratta dal settimanale L'Espresso 14 luglio 2010
Cesare il birillone di Giovanni Maria Bellututti gli articoli dell'autore Cadono uno dopo l'altro i birilli del governo Berlusconi. Nell’ordine: Claudio Scajola, il ministro al Proprio Sviluppo Economico, Aldo Brancher il ministro al Proprio Legittimo Impedimento e ieri Nicola Cosentino, il sottosegretario più inquisito della storia che, tuttavia, per qualche ragione (il nostro Staino qua accanto avanza un’ipotesi) resta coordinatore in Campania del "Popolo della libertà". Auguri all’uno e all’altra. Dunque, tre birilli a terra. Il quarto gli addetti ai lavori l’avranno riconosciuto nella nostra copertina. È quel birillino che s’intravvede sullo sfondo, proprio nello stesso punto dove, una settimana fa, avevamo profeticamente collocato Nick Cosentino. È il sottosegretario alla sottogiustizia Giacomo Caliendo, l’uomo che secondo i giureconsulti della P3 avrebbe dovuto convincere quei "quattro stronzi" di magistrati a pronunciare una decisione favorevole alla lista Formigoni in Lombardia. E che, come ci ricorda Claudia Fusani, trent’anni fa si attivò per far restituire il passaporto a Roberto Calvi, poi trovato morto sotto un ponte di Londra. Una vecchia torbida vicenda nella quale ricorreva il nome del sempreverde Flavio Carboni. Tre birilli a terra e uno che oscilla in fondo alla pista da bowling di Palazzo Chigi, sede formale del governo. Invece nella sede reale, Palazzo Grazioli, tutti i birilli restano ben saldi e dritti. Denis Verdini, uno degli amici più cari di Carboni, indagato da due procure, è sempre coordinatore del Pdl e Nick Cosentino non solo continua a comandare il Pdl campano ma già, secondo il collaudato copione, grida al complotto. E lo fa con la benedizione del birillone, il nostro premier, il quale finge che tutta questa vicenda riguardi "quattro sfigati" e non lo chiami in causa in alcun modo. Allora, per la chiarezza. Ieri l'Unità - unico tra i giornali nazionali - ha segnalato una notizia che con tutta probabilità oggi sarà su tutta la stampa e che ieri sera, dopo ore, è stata finalmente ripresa dalle agenzie e dai siti internet (sul nostro c’era dall’alba). E cioè che il nostro premier, col nome in codice "Cesare", compare più volte nelle conversazioni dei membri della cosiddetta P3. I quali, nei momenti cruciali delle loro attività, parlano di "Cesare" e dicono di averlo informato e consultato, Il dubbio che Berlusconi fosse a conoscenza dell'attività degli "sfigati" sarebbe dovuto sorgere subito, visto che essi - come risulta in modo inequivocabile dagli atti - hanno agito sempre nel suo interesse. E visto che almeno due di loro (Verdini e Dell’Utri) sono ufficialmente tra i suoi principali collaboratori. Questo solo dubbio, in qualunque paese del mondo, avrebbe indotto qualunque premier a chiarire pubblicamente, e subito, il suo ruolo. Ma qua non siamo in presenza di un dubbio: l’identificazione del premier nel "Cesare" della P3 è stata fatta dai carabinieri. Leggete l’articolo di Massimo Solani per avere un’idea di quali implicazioni può avere un fatto come questo. Nessun paese può permettersi un premier potenzialmente ricattabile dalla criminalità organizzata. E il fatto che Berlusconi continui a difendere Cosentino non è la migliore delle rassicurazioni. 15 luglio 2010
Eolico, Cosentino si dimette da sottosegretario L'Anm: le toghe coinvolte facciano passo indietro di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore Obiettivamente, a mettersi nei panni del Cavaliere, c’è da impazzire. Alla nuova, ennesima, giornata più lunga della maggioranza non manca infatti nessun ingrediente di quelli che stanno rendendo la vita del governo una corsa a ostacoli e quella del premier un incubo a occhi aperti. C’è anzitutto Nicola Cosentino, coinvolto nell’inchiesta sugli appalti per l’eolico, che si dimette d’accordo con Berlusconi - ed è il terzo esponente dell’esecutivo in due mesi a lasciare - attaccando Fini ma restando coordinatore del Pdl in Campania, il che non mancherà di creare nuovi problemi al partito (come la permanenza di Verdini). C’è il presidente della Camera che, prima delle dimissioni, strappa con la maggioranza e, col parere contrario di Pdl e Lega, mette in calendario per la prossima settimana la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni al sottosegretario all’Economia, costringendo di fatto Berlusconi a stringere i tempi per evitare un Vietnam al momento del voto alla Camera. C’è poi il ddl intercettazioni, che si ferma ancora per una settimana perché - filtra dalla maggioranza - il Quirinale avrebbe mandato segnali al Cavaliere per fargli intendere che non c’è niente da fare, che gli emendamenti presentati non bastano a coprire le criticità del testo, quasi a sottointendere che magari a questo punto sarebbe miglior cosa ragionare sull’opportunità di non farla proprio, questa benedetta legge. Dunque non stupisce, alla fine, che Berlusconi stia brigando per ottenere un incontro col Papa. E nemmeno che il premier abbia accarezzato l’idea di rompere l’appeasement con il Colle e dimettersi, o per meglio dire minacciarlo, "perché io non mi faccio imbrigliare". D’altra parte c’è da comprenderlo, perché la giornata segna una vittoria per Fini e perché a questa vittoria non corrisponde, con ogni evidenza, una strategia di contrattacco efficace da parte del Cavaliere, che per ora si accontenta di giocare di rimessa annunciando sfracelli quando se ne occuperà "personalmente". È anche fiutando l’aria che il presidente della Camera si decide al passo non scontato di mettere subito in calendario la sfiducia a Cosentino - lui che solo poche settimane fa aveva fatto pendere "pro-maggioranza" la calendarizzazione delle intercettazioni. E’ sempre per questo che, di concerto col Cavaliere, il sottosegretario dimissionario si scaglia su Fini: "Si è voluto basare soltanto su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa. E’ risibile che voglia far passare le sue decisioni come se derivassero da una tensione morale verso la legalità quando si tratta soltanto di un tentativo, anche assai scoperto, di ottenere il potere nel partito tramite Bocchino". Un attacco che scivola sul co-fondatore del Pdl come acqua sull’olio: "Le dimissioni erano inevitabili e doverose, queste accuse invece mi lasciano del tutto indifferente", spiega Fini alla festa organizzata dal Secolo d’Italia per il libro "In alto a destra" (e subito rinominata "brindisi per l’uscita di Cosentino"). <CS9.4>Mentre il caso Cosentino si risolve a fotocopia del caso Brancher, e nel Pdl si rumoreggia che il vero problema sono gli incarichi nel partito dell’ex sottosegretario così come di Verdini, il Cavaliere è costretto peraltro a rimettere la testa sulle intercettazioni, con un ennesimo vertice. Il ddl, infatti, è di nuovo fermo un giro, incastrato come è tra gli emendamenti del Pdl Costa (indigeribili al Cavaliere, ma necessari), gli emendamenti della relatrice Bongiorno (ancor più indigesti) e, in generale, dalla circostanza che, senza un accordo politico, la via per la soluzione tecnica è impossibile da imboccare. Soprattutto perché, su tutto, pesa la crescente freddezza del Colle. Uno stallo tale che, per dire, la Consulta della giustizia del Pdl, riunitasi ieri sera, ha dovuto rinunciare al suo piatto più gustoso: fare ufficialmente a pezzi gli emendamenti della consigliera giuridica di Fini. Anche quello, sempre che ce ne siano i margini, rimandato di una settimana. 15 luglio 2010
Caliendo story. Dal passaporto di Calvi al Lodo Alfano di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Quella della memoria è un’attività sana, che va tenuta in esercizio. Per questo è sano oggi rileggere gli atti e la relazione finale della Commissione Anselmi che nell’84 spiega i veri obiettivi della P2 di Gelli e mette in guardia, una volta per tutte, dalle associazioni segrete. La legge che porta il nome della senatrice dc è oggi tra le ipotesi di reato contestate a Carboni, Martino, Lombardi (in carcere) nonché a Verdini, Cosentino, Dell’Utri e un’altra dozzina di persone. La Commissione Anselmi dedica un intero capitolo della relazione finale al tema dei rapporti con la magistratura. Che comincia così: "Sono presenti negli elenchi della Loggia P2 sedici magistrati in servizio e cinque membri del Csm, due togati - Pone e Buono - e tre segretari (Pastore, Croce e Palaia)". Il Piano di rinascita democratica del maestro venerabile Licio Gelli "prevedeva la necessità di stabilire un accordo morale e programmatico con la corrente di Magistratura Indipendente dell'Anm che raggruppa oltre il 40 per cento dei magistrati italiani su posizioni moderate per avere un prezioso strumento operativo all'interno del corpo anche ai fini di rapidi aggiustamenti legislativi che riconducono la giustizia a elemento di equilibrio e non di eversione". Sappiamo quali erano, allora, questi aggiustamenti: gli stessi di cui parla oggi il presidente del Consiglio che, per inciso, era titolare della tessera n° 1816 codice E.19.78 della P2. E, quindi, separazione delle carriere tra giudici e pm; pm e Csm sotto l’esecutivo eccetera. Ma quello che colpisce di più è imbattersi, scorrendo le righe della relazione Anselmi, nell’allora giovane membro togato del Csm Giacomo Caliendo, della corrente di Mi per l'appunto, che su mandato di un altro membro togato Domenico Pone (consigliere di Cassazione iscritto alla P2) e dell’allora vice del Consiglio Ugo Zilletti faceva "pressione" sul procuratore di Milano Mauro Gresti per far riavere il passaporto a Roberto Calvi, il vice-banchiere di Dio presidente dell'Ambrosiano, nei guai giudiziari fino al collo per una sfilza di reati valutari e societari. Diciamo subito che il passaporto a Calvi, nonostante le pressioni dei vertici del Csm, non fu restituito. Il banchiere riuscì comunque a scappare, ad arrivare a Londra per finire morto sotto il ponte dei Frati Neri. Caliendo è oggi il sottosegretario alla Giustizia amico di Lombardi, Martino e Carbone, tanto da partecipare con loro alle cene in casa Verdini, e l'uomo che in questi due anni ha mosso tutti i fili delle "riforme": Lodo Alfano, processo breve, legittimo impedimento, intercettazioni. Nell’81 Calvi è sotto indagine a Milano e tra le misure interdittive c’è il divieto di espatrio e il ritiro del passaporto. La P2, i cui elenchi sono stati scoperti il 17 marzo 1981 a Castiglion Fibocchi, si attiva attraverso per dare una mano al potente banchiere caduto in disgrazia inviando più volte dal procuratore di Milano Mauro Gresti il giovane Caliendo per trovare il modo di far riavere il passaporto a Calvi. Le "pressioni", nel marasma che si scatena in Italia dopo la scoperta delle liste, diventano oggetto di un’inchiesta a Brescia in cui sono coinvolti Ugo Zilletti, numero due del Csm eletto nell’80 all’unanimità dopo l’assassinio di Bachelet e Domenico Pone, giudice di Cassazione e membro togato del Csm. Contro di loro la testimonianza-denuncia del procuratore generale di Milano Carlo Marini, anche lui avvicinato per riconsegnare il passaporto a Calvi e sollecitato da Zilletti e Caliendo. Zilletti e Caliendo non risultano iscritti alla P2. Pone viene messo sotto procedimento disciplinare dal Csm. Il giudice istruttore di Roma Ernesto Cudillo decide con sentenza-ordinanza del 17 marzo 1983 di assolvere tutti. La procura generale di Roma rinuncia a fare appello. Non solo per il passaporto, del resto. Questo è solo uno degli episodi di interferenza P2-magistratura. La Commissione ne elenca altri. La vedova di Roberto Calvi ha raccontato che il marito pagava un fisso all'aggiunto di Milano Gino Alma per avere informazioni sulle inchieste. Un altro magistrato di Como (Ciraolo) andava a fare spesso visita a Calvi. Ernesto Pellicani, braccio destro di Carboni, racconta dei contatti con due magistrati di Milano (Carcasio e Consoli) per favorire la nomina di Consoli a procuratore generale a Milano e di riunioni conviviali a Roma alla presenza di deputati per far assolvere Calvi. Rizzoli parla di somme di danaro versate ai giudici per ottenere la riunificazione dei procedimenti a Roma. Cosa che è poi avvenuta. Vicende del tutto sovrapponibili a quanto oggi nelle carte dell’inchiesta Insider della procura di Roma: le riunioni in casa Verdini per il lodo Alfano; le pressioni in Cassazione per togliere dai guai Casentino e quelle sul Csm per le nomine di procuratori e presidenti di Corti e Tribunali; le intercettazioni in cui Caliendo prende ordini da Lombardi; il capo degli 007 ministeriali Arcibaldo Miller che spiega come richiedere l’ispezione ministeriale (questione lista Formigoni). La Commissione Anselmi si chiude dicendo che i contatti operativi con la magistratura "prescindevano dall'iscrizione o meno alla Loggia". A tal proposito ricorda come "la riunificazione a Roma, disposta dalla Cassazione, di tutti i procedimenti relativi alla Loggia non abbia giovato alla speditezza dell'istruttoria e al raggiungimento di un risultato concreto". E si sofferma sulla requisitoria del procuratore Gallucci che il 29 maggio 1982 "rappresentò la P2 come un fenomeno associativo di scarsa pericolosità". Più meno come "i quattro sfigati pensionati" di cui parla oggi il premier Berlusconi. Che, sempre dalle carte anche se questa volta del processo Dell’Utri, risulta fin dal 1980 in affari in Sardegna con Flavio Carboni e Romano Comincioli, il suo compagno di classe e oggi deputato. 15 luglio 2010
Scommesse, casinò e Internet. Carboni e i soldi della Camorra di Massimiliano Amatotutti gli articoli dell'autore Giuseppe Sarno, fratello di Ciro che nel rione di Ponticelli di cui è da decenni il ras incontrastato conoscono con il soprannome di "’o sindaco", fu catturato dai carabinieri in un appartamento nel cuore di Trastevere formalmente intestato a un altro camorrista, ma di fatto nella sua disponibilità. Era il 5 aprile del 2009, e il nome di Giuseppe De Martino, 47 anni, di professione riciclatore di danaro sporco per conto del potentissimo clan della camorra della periferia orientale di Napoli, tornò all’attenzione degli investigatori dopo un periodo di "sonno". In realtà, proprio a cavallo della cattura del fratello del boss, De Martino era impegnato, come scrivono in carabinieri di Roma in una delle informative allegate agli atti dell’inchiesta sulla P3 di Flavio Carboni, a tessere la tela dei rapporti con la cricca del faccendiere sardo. Il business individuato dalla camorra napoletana per ripulire i proventi delle estorsioni e del traffico di stupefacenti erano le scommesse on line. "Dal tenore dei colloqui intercettati – scrivono i militari dell’Arma - emergeva chiaramente come i soggetti monitorati si relazionassero con il Carboni al fine di sfruttarne, oltre che le disponibilità economiche, le conoscenze nel mondo politico, finanziario e imprenditoriale". A creare il contatto tra De Martino e Carboni è, secondo quanto hanno appurato gli investigatori, Carlo Maietto, il quale presenta il camorrista anche al noto impresario Lele Mora. Maietto, che nelle informative dei carabinieri è definito genericamente "imprenditore", è stato per anni un po’ di tutto: fotografo, agente di spettacolo, perfino produttore cinematografico. Al suo attivo, qualche b-movie del genere "poliziottesco" anni Settanta. Anni in cui diventa anche un protagonista delle cronache rosa, per la sua relazione con l’attrice svedese Janet Agren, conosciuta sul set di un film e poi sposata dopo una dolorosa separazione da Adelina Tattilo, cui era stato per molto tempo legato sentimentalmente. Altri tempi. Nell’epoca "attenzionata" dagli inquirenti romani, Maietto si dà un gran da fare per aiutare il suo amico legato a una delle organizzazioni criminali più feroci del napoletano. Fissa appuntamenti con Carboni, dispensa consigli, si lascia andare a considerazioni del tipo "stiamo facendo delle cose straordinarie", riferendosi agli affari in corso: la registrazione di un sito per le scommesse, ma anche l’opera di lobbing per far approvare la legge che istituisce i casinò nei grandi alberghi, altro business sul quale la cricca voleva lanciarsi. Decine le telefonate intercettate ai due, dalle quali emergono le cointeressenze in "attività di natura illecita", cui partecipano anche Luigi Sergio Tilocca e un immobiliarista lussanese, Ivano Chiusi, un altro personaggio noto alle cronache giudiziarie. Chiusi ha, infatti, un discreto curriculum criminale e agganci provati con la malavita organizzata campana. Qualche anno fa, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Monza la Guardia di Finanza del capoluogo brianzolo lo arresta per riciclaggio, sequestrandogli oltre cento milioni di euro in immobili e danaro. Insieme a lui finisce in carcere anche una vecchia conoscenza: Salvatore Izzo, pluripregiudicato, un passato da contrabbandiere, esponente di spicco di un clan operante nella zona di San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli. Davanti ai magistrati, Chiusi crolla: confessa quasi subito di aver accettato assegni da personaggi legati alla criminalità, per poi "ripulirli" in false cessioni di immobili e altri affari. Il processo è ancora in corso. RICICLAGGIO CAMORRISTICO Le triangolazioni tra De Martino, Maietto e Carboni, con la partecipazione di Chiusi e Tilocca, sono andate avanti per mesi. De Martino ha l’urgenza di ripulire il danaro sporco in attività all’apparenza lecite e sollecita incontri a ripetizione con Carboni. Con il faccendiere che detta la strategia: occorre, dice ai sodali, una società attiva da almeno tre anni, attraverso la quale far passare il flusso di danaro da riciclare. 15 luglio 2010
Corte Assise: Calvi fu ucciso La Corte d'assise d'appello di Roma ritiene che "Roberto Calvi non si sia suicidato" dunque "è stato ucciso". Lo si legge nelle motivazioni della sentenza che, il 7 maggio scorso, ha confermato le assoluzioni di Flavio Carboni, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi per l'omicidio del banchiere, trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte londinese di Black Friars (i Frati Neri).
La riapertura dell'istruttoria, per la Corte, ha confermato queste conclusioni: "Cosa Nostra, nelle sue varie articolazioni, impiegava il Banco Ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio. Il fatto nuovo, rispetto al primo grado, consiste nell'assunzione del dato per cui tali operazioni avvenivano quanto meno anche ad opera di Vito Ciancimino, oltre che di Calò". Ma se ciò "conferma la possibilità di individuare un valido movente dell'omicidio, allarga la platea delle persone a cui tale movente è possibile riferire". Quanto a Carboni, finito in carcere in questi giorni per associazione per delinquere finalizzata alla violazione della legge sulle società segrete, "non vi è dubbio che gravino indizi consistenti su di lui: Carboni è stato la persona che, nell'ultimo periodo di vita del banchiere, ha conseguito un rapporto privilegiato con la vittima, ne ha costantemente seguito le orme tanto da esser stato presente la stessa sera del 17 giugno 1982 nel medesimo albergo londinese". Tuttavia, a parere della Corte, "si pongono insuperabili argomenti ed elementi di segno opposto. La pluralità di moventi alternativi non pare concentrarne uno più specifico ed assorbente in danno di Carboni i cui interessi erano in sintonia col mantenimento in vita del banchiere". Anche per quanto riguarda Calò, "le versioni fornite dai vari collaboratori - secondo i giudici - sono risultate in contrasto tra loro o sono state smentite da altre risultanze del processo". Parlando di Diotallevi, "poiché vi è certezza quanto al suo contributo finalizzato all'espatrio clandestino di Calvi, analoga certezza non vi sarebbe circa l'effettiva e consapevole sua partecipazione ad un piano criminoso volto all'eliminazione del Calvi". Per la corte "troppi sono i moventi alternativi ipotizzabili e troppi i soggetti e le organizzazioni che avrebbero avuto interesse all'eliminazione di Calvi: dalla mafia, alla camorra, alla P2, allo Ior e ai politici italiani (beneficiari delle tangenti o interessati a cambiare l'assetto del Banco Ambrosiano o a mutare gli equilibri di potere all'interno del Vaticano)". Inoltre "in tale ambito di ipotesi non sufficientemente dimostrate, possono anche comprendersi i servizi segreti inglesi, essendosi acclarato che Calvi aveva, tra l'altro, finanziato l'invio di armi ai dittatori argentini nel periodo in cui era in atto il conflitto bellico per le isole Falkland. E così anche i servizi segreti italiani, che hanno mostrato (avvalendosi pure del loro ambiguo collaboratore Pazienza) di essere sempre informati di tutto e di aver seguito sino alla fine le mosse di Carboni e Calvi". 15 luglio 2010
Le mani delle ’ndrine sugli appalti lombardi: anche l'Expo nel mirino di Angela Camusotutti gli articoli dell'autore Expo e non solo. Le mani della ‘ndrangheta si allungavano su una gran parte degli appalti esistenti in Lombardia. Si legge nelle intercettazioni: "La Perego ….devono fare il collegamento di Rho … …. è un lavoro grosso….noi non ci perdiamo no…stabiliamo una cosa…è inutile che vengono, vengono trattando…vengono tutti qua per fare i prezzi…voi prendete un lavoro là grosso gli hanno abbassato il prezzo sono dei cani randagi….poi ti abbassano i prezzi e perdiamo tutto….un lavoro grosso…tu il lavoro lo prendi come a me….1000 euro al giorno, 1000 euro al giorno facciamo, possiamo faticare la mattina dalle 4 fino alla sera alle 10… ". "….Monte San Marco, mo la devono fare il tunnel, capito, fanno il tunnel che passa di sotto che si imbocca sotto l'imbocco della tangenziale che va per Bologna…a metà prezzo scusa perché…". Sono questi alcuni frammenti delle conversazioni sugli appalti lombardi che avvengono tra uomini della ‘ndrangheta in Calabria, nello specifico all’interno dell’auto Kia Carnival di Michele Oppedisano, nato a Rosarno 40 anni, della famiglia di Domenico Oppedisano, 80 anni, eletto ad agosto del 2009, in Calabria, "capocrimine", ovvero numero uno della ‘ndrangheta nel mondo, conversazioni captate durante i festeggiamenti faraonici per il matrimonio tra Elisa Pelle, figlia di Giuseppe, di San Luca e Giuseppe Barbaro, figlio del defunto Pasquale Barbaro, della famiglia "U Castanu". La Perego General Contractor, di fatto di proprietà del clan Strangio, è la ditta con la quale avrebbe avuto rapporti anche l'ex assessore provinciale di Milano Antonio Oliviero, indagato per corruzione e bancarotta. È stato proprio intercettando i boss in Calabria che i Ros e i carabinieri del nucleo investigativo di Reggio hanno scoperto non solo che gli appalti più importanti della Lombardia venivano decisi durante summit in Calabria ma anche l'organigramma, finora sconosciuto agli investigatori della 'ndrangheta in Calabria, in Lombardia e all'estero come in Australia, in Canada, in Germania e in Svizzera. "Qua in Lombardia siamo venti locali, siamo 500 uomini" è un’altra intercettazione illuminante contenuta nel provvedimento di fermo, lungo oltre 2000 pagine, emesso dal gip di Reggio Calabria nei confronti di 21 indagati. A parlare sono Saverio Minasi, calabrese, considerato il capo del locale di Presso e Carmelo Novella, il capo della ‘ndrangheta del mandamento Lombardia ucciso a San Vittore Olona il 14 luglio di due anni fa in quanto aveva intenzione di rendere le locali lombarde più indipendenti dalla Casa madre cioè la Calabria. Come locale della ‘ndrangheta si intende la principale struttura organizzativa dell'organizzazione calabrese: ogni locale ha un proprio capo che ha potere di vita e di morte su tutti e un contabile, che gestisce le finanze. In Lombardia la 'ndrangheta ha a disposizione un "piccolo esercito", scrive il gip di Reggio nel suo provvedimento di fermo. E tra gli appalti in cui si sono infiltrate le cosche anche quello relativo ai lavori, tuttora in corso, di ammodernamento della SS. 106: "la ‘ndrangheta sta estendendo la sua lunga mano su questo appalto con il consolidato sistema dell'assoggettamento dell'impresa e l'imposizione dei fornitori", scrive il giudice. E delle infiltrazioni dell'organizzazione criminale nei lavori per la SS 106 trattano diffusamente le carte dell'inchiesta contro la 'ndrangheta, ricostruendo i tentativi di controllo e condizionamento dei lavori e dei servizi relativi all'esecuzione del contratto d'appalto tra l'Anas e la Gioiosa Societa' Consortile srl. Gli esponenti della 'ndrangheta, infatti, puntavano a scegliere le ditte destinate ad aggiudicarsi i contratti di fornitura ferro e calcestruzzo e i servizi in genere (dal movimento terra alla mensa), imponendoli, anche con intimidazioni, a Gioiosa Società Consortile secondo una logica di spartizione e sulla base di accordi collusivi. 14 luglio 2010
Nome in codice "Cesare". Silvio informato su tutto di Massimo Solanitutti gli articoli dell'autore "Dovremmo raggiungere... Chiamiamolo così, cerca di capire: Cesare. Che sarebbe Cesare". Il 28 settembre 2009 Flavio Carboni è al telefono con Maria, una collaboratrice del presidente della Sardegna Cappellacci. Ma chi è questo "tale" Cesare il cui nome ricorre decine di volte nelle carte dell’inchiesta sulla nuova loggia P3? Cesare che va informato delle manovre sulla Consulta per il Lodo Alfano, Cesare a cui va riferito delle notizie (false) che vedrebbero Caldoro coinvolto in una storia di trans, Cesare a cui va detto degli affari sull’eolico in Sardegna. La risposta la danno i carabinieri in una nota ad una delle informative agli atti dell’inchiesta (nota n. 15 pag 12 segue informativa nr. 474/1- 50-3-44). Cesare, scrivono, "è pseudonimo utilizzato per riferirsi al Presidente del Consiglio". È la chiave di volta. Cesare è Silvio Berlusconi, il deus ex machina che si muove dietro le quinte di tutte le manovre della nuova loggia. Sempre informato, sempre presente un passo indietro. "Mio cugino Cesare vuole sapere", dice Arcangelo Martino il 30 settembre 2009 in piena manovra di salvataggio per il Lodo Alfano. "Mio nipote Cesare", fa eco Pasquale Lombardi. Del resto che i due stiano lavorando alacremente per pilotare il verdetto della Consulta Cesare-Berlusconi lo sa bene. "Io la settimana prossima mi incontro con Cesare - svela a Lombardi Nicola Cosentino il 2 ottobre - lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6 (la data inizialmente prevista per la pronuncia sul Lodo Alfano (ndr) e allora giustamente ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non m’ha scassa’ o’ cazz’". Quando il verdetto si avvicina, i conteggi si moltiplicano. Il gruppetto di Carboni è ottimista visto il lavoro fatto, e il 25 settembre Arcangelo Martino è euforico con Carboni: "Diglielo a Cesare!". E che Cesare sia pienamente della partita lo dimostra anche una intercettazione del 19 ottobre in cui si parla di una cena organizzata a casa di Verdini per parlare proprio del Lodo. "Bisogna vedere se c’è... se c’è Cesare", si chiede Carboni. "A me pare che non c’è", gli risponde Martino. Il lavoro ai fianchi sugli uomini della Consulta è incessante. Il 23 settembre "il gruppetto" si è riunito a pranzo, e Lombardi aggiorna sulla conta dei favorevoli e dei contrari in seno alla Corte Costituzionale il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo che ha dovuto lasciare il tavolo in anticipo. "Abbiamo fissato che ogni giorno, ogni settimana bisogna che ci incontriamo per discutere tra di noi e vedere ando stà o’ buono e ando sta o’ malamente - spiega - E poi ammo vedè Cesare quanto prima". Che poi, quando Carboni e Martino si accordano per vedersi e raggiungere casa di Verdini, il faccendiere sardo arrestato è costretto persino a spiegare che "non è al Grazioli, eh!". Del resto tutto si riferisce a Cesare-Silvio, e Carboni si vanta a più riprese di aver parlato con lui al telefono con Lombardi e Martino: dalle prime notizie sulla campagna diffamatoria contro Caldoro fino alle manovre sugli affari dell’eolico. "Fratello mio, gente che... hanno fatto muovere questi, perché sennò", sorride Martino il 30 settembre con Carboni. "Ma gente riferita al Cesare?", chiede Carboni. "Alle pecore! Al Cesare eh..", conclude Martino. 14 luglio 2010
Maxi blitz tra Calabria e Lombardia: 300 arresti Maxi blitz di carabinieri e polizia contro la 'ndrangheta: oltre 300 le persone arrestate in diverse parti d'Italia per vari reati. Con almeno 320 arresti, polizia e carabinieri stanno effettuando dalle prime ore di oggi un maxiblitz internazionale contro la malavita organizzata calabrese in diverse regioni italiane e negli Stati Uniti. Lo hanno riferito le forze dell'ordine. Al centro dell'operazione, gli appartenenti al clan di 'ndrangheta Commisso di Siderno, inserito a pieno titolo nell'imprenditoria e nel settore della finanza attraverso prestanome. Associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, usura, traffico internazionale di armi e stupefacenti, riciclaggio e infiltrazione nei pubblici appalti le accuse nei confronti degli arrestati, mentre è ancora in corso l'operazione, che secondo notizie per ora non confermate dagli inquirenti coinvolgerebbe anche esponenti politici. Il blitz -- frutto delle indagini coordinate dal pubblico ministero di Milano Ilda Boccassini in collaborazione con il capo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone -- avrebbe individuato e scardinato, secondo gli inquirenti, la struttura territoriale della malavita calabrese, capace di estendersi in diverse regioni italiane ed all'estero. Un'organizzazione che si è rivelata diversa da quanto ritenuto sinora, non una struttura "orizzontale" nella sua diffusione sul territorio bensì verticistica, con a capo una cupola sorretta da tre mandamenti che sarebbero i clan di Reggio Calabria città, i clan della costa jonica e quelli della costa tirrenica. Secondo quanto emerso dalle indagini, i padrini della cupola reggina si incontravano al Santuario della Madonna dei Polsi di San Luca per stabilire strategie e nuove regole, mentre i clan attivi in Lombardia avevano anche provato senza successo ad inserirsi nel business dell'Expo. Tra le figure di spicco finite in manette, molti dei capimafia della cupola reggina tra cui Cosimo Filomeni, detto il Brigante. Nel corso del blitz sono stati effettuati anche sequestri di beni per oltre 50 milioni di euro tra cui attività commerciali nella disponibilità delle cosche. La maxi-operazione di carabinieri e polizia - scattata stanotte e denominata 'Il criminè - ha colpito le più importanti e potenti famiglie della 'ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone, oltre alle loro proiezioni extraregionali ed estere. Di fatto sono state "destrutturate", dicono gli inquirenti, le cosche egemoni nel capoluogo reggino, nella fascia ionica ed in quella tirrenica, tra cui i Pelle di San Luca, i Commisso di Siderno, gli Acquino-Coluccio ed i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, i Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno, gli Alvaro di Sinopoli, i Longo di Polistena, gli Iamonte di Melito Porto Salvo. 13 luglio 2010
Caserta, gli appalti e la politica sotto il segno dei Casalesi di Massimiliano Amatotutti gli articoli dell'autore Il prefetto, il sottosegretario e il consigliere regionale. Ossia: Paolino Maddaloni, prefetto di Frosinone, Nicola Cosentino, vice di Giulio Tremonti, e Nicola Ferraro, membro dell’assemblea legislativa campana in quota Udeur fino a gennaio, quando, per lo scandalo Arpac, è incorso in un divieto di dimora che ne ha pregiudicato la ricandidatura alle Regionali. Il primo, da subcommissario del Comune di Caserta (a cui aveva tentato invano di dare la scalata, candidandosi a sindaco per la Casa delle Libertà nel 2006) avrebbe favorito un’impresa legata ai casalesi, la Orion dell’imprenditore Sergio Solmi, nella gara d’appalto (poi annullata) per l’installazione di centraline per il monitoraggio della qualità dell’aria. I pm antimafia Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio ne avevano chiesto l’arresto, il gip ha detto no. Del secondo racconta il pentito Raffaele Piccolo: "Cosentino è stato favorito dal gruppo Schiavone perché spesso, quale forma di estorsione nei confronti degli imprenditori, procedeva a dei cambi di assegni che portavamo agli imprenditori; soltanto alcuni assegni, però, potevano essere portati a Nicola Cosentino, ossia quelli per esempio dei soggetti apicali del clan come Nicola Panaro o Nicola Schiavone. Spesso, quando avevamo a che fare con imprese più importanti, onde evitare rapporti tra noi affiliati e l’imprenditore, le estorsioni venivano pagate in assegni a Iorio (Salvatore Iorio, arrestato ieri, ndr), il quale poi versava tali assegni a noi. Questa modalità di pagamento faceva infuriare Nicola Panaro o Peppe Misso (il boss del rione Sanità, ndr), i quali si trovavano nella necessità di cambiare i titoli. E così si ricorreva ad imprenditori come Nicola Cosentino". Il terzo, scrive il Gip Vincenzo Alabiso nell’ordinanza eseguita ieri dai carabinieri di Caserta a carico di 14 tra politici, imprenditori, funzionari pubblici ed elementi apicali dei clan di Casal di Principe (nell’elenco figurano anche Nicola Schiavone, figlio del superboss Sandokan, arrestato un mese fa, e i superlatitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine, che pure stavolta sono sfuggiti alla cattura), chiuse un accordo con Luigi Guida, alias "‘o drink", già reggente del clan di Francesco Bidognetti, oggi collaboratore di giustizia, per pilotare l’assegnazione di appalti pubblici alle imprese dei clan in cambio di voti. Erano i casalesi a confezionare le buste di offerta, sia delle ditte che dovevano vincere, sia delle ditte "di appoggio" (individuati almeno una cinquantina di imprenditori "disponibili"), destinate ad essere scartate. Un "ufficio centrale" teneva conto del turno di vincita degli imprenditori compiacenti e inviava le offerte alle stazioni appaltanti: se qualche impresa estranea al "sistema" partecipava alle gare, era Nicola Schiavone, cugino e omonimo del figlio di Sandokan, ad occuparsi della "dissuasione". Quando i suoi metodi non funzionavano, le buste venivano sostituite dai funzionari pubblici collusi. Di Ferraro, finito in carcere con il fratello Luigi, parla anche il pentito Oreste Spagnuolo, membro della falange stragista. Il collaboratore racconta di un incontro tra Peppe Setola e Luigi Ferraro: "Setola lo salutò ricordandogli di riferire al fratello che di lì a qualche giorno avrebbe ricevuto un regalo". Era la fine di maggio del 2008: il primo giugno fu massacrato Michele Orsi, imprenditore del settore dei rifiuti che, con la sua Eco4, rivaleggiava in affari con la EcoCampania dei Ferraro. Nell’operazione di ieri sequestrati 138 appartamenti in Campania e nel Lazio, 278 terreni in Campania, Sardegna e Puglia, 54 società, 600 depositi bancari e postali, 235 tra auto e moto. Sigilli anche all’Hyppo Campos di Castel Volturno, uno dei più grandi complessi turistico – alberghieri di lusso d’Italia, in capo alla società "Best Wellnes", dell’imprenditore napoletano Sergio Pagnozzi. Secondo la procura, un prestanome della famiglia di Sandokan. 13 luglio 2010
’Ndrangheta padrona dell’Expo La procura: "Cantieri sono cosa loro" di Giuseppe Vespotutti gli articoli dell'autore Con gli occhi all’Expo2015 e le mani sui cantieri: gli affari della ‘Ndrangheta a Milano vanno a gonfie vele. Anche perché nel tessuto imprenditoriale, economico e istituzionale del capoluogo lombardo, le cosche calabresi trovano validi fiancheggiatori. Anche all’interno dello stesso palazzo di Giustizia. È illuminante il quadro emerso ieri con la maxi operazione "Parco Sud", condotta dalla Dia milanese contro le famiglie Barbaro e Papalia, cosche arrivateda Platì, Reggio Calabria, ormai trent’anni fa per radicarsi nell’hinterland sud di Milano. Diciassette ordinanze di custodia cautelare, cinquanta perquisizioni, sequestri per cinque milioni di euro e 48 persone indagate - tra questi imprenditori e funzionari comunali - perché ritenute, a vario titolo, affiliate ad associazioni per delinquere di stampo mafioso. Un’operazione che chiude due anni di indagini, che hanno accertato traffici di armi e droga, oltre a numerosi episodi estorsivi e intimidatori adanno degli imprenditori chenonsi piegavano ai clan. Tutto è cominciato con l’osservazione delle attività di movimento terra nel Parco Sud, una vasta area verde sulla quale diversi immobiliaristi hanno intenti speculativi. EXPO È proprio il movimento terra - risorsa tipica della ‘ndrangheta, che controlla i subappalti nell’edilizia - a preoccupare il procuratore capo di Milano, Manlio Minale, quando fa riferimentoall’Expo 2015. Perché "il punto che favorisce l’infiltrazione mafiosa è proprio la mancanza nei contratti d’appalto della voce sul movimento terra". Un business che, assieme al settore dello smaltimento dei materiali, rappresenta la porta d’ingresso delle cosche negli appalti. Anche perché, spiega Minale, "non c’è la necessità della certificazione antimafia ". Occore quindi rivedere le norme che regolano il settore, "la cui consegna - dice il magistrato - non può essere lasciata alla direzione dei lavori sui cantieri". L’allarme è alto, anche se non sono emersi finora riferimenti diretti all’Expo. Si è fatta luce invece sull’inquinamento mafioso nei cantieri della linea ferroviaria Milano-Mortara e della Tav, "cosa loro" per la procura che ha accertato la presenza di soggetti vicini alla cosca Barbaro-Papalia, tra l’altro già emersa con un’inchiesta del luglio 2008. CONNIVENZE Con l’operazione condotta dalla Dia di Milano, dal Gico della Gdf e dai carabinieri, e coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e daipmMario Venditti, Alessandra Dolci e Paolo Storari, sono finite in carcere 9 persone, tra cui un geometra, Achille Frontini, storico perito del Tribunale di Milano, che avrebbe pilotato un’asta giudiziaria per assegnare un terreno a prezzo modico alla cosca. Cinque persone sono state raggiunte dalle ordinanze in carcere emesse dal Gip Giuseppe Gennari. Tra loro il presunto boss Domenico Barbaro, 72 anni detto "L’Australiano" e i figli Salvatore e Rosario, arrestati nel 2008. Tre persone invece sono latitanti, tra queste Domenico Papalia, figlio del boss della ‘ndrangheta in Lombardia Antonio, detenuto col carcere duro. Sono indagate anche 48 persone, tra cui addetti di uffici tecnici comunali che avrebbero favorito la cosca nelle pratiche edili. Un sistema di connivenze tra ambienti istituzionali, imprenditoriali e mafiosi, che allarma. "L’imprenditoria sana - ha commentato ilpmIlda Boccassini - deve capire che bisogna stare con lo Stato, non contro. Che non può accettare le violenze delle mafie per propri tornaconti personali". 04 novembre 2009
2010-07-12 Scandalo eolico, indagati Dell'Utri e Cosentino. Inchiesta G8, Carboni cercò di avvicinare i pm Gli arrestati dalla Procura di Roma, nell'ambito dell'inchiesta stralcio sugli appalti per l'eolico, l'imprenditore Flavio Carboni, l'ex esponente della Dc campana, Pasquale Lombardi e l'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino, intendevano avvicinare anche i magistrati di Firenze che indagavano sul G8 e sugli altri eventi affidati alla Protezione civile. Il dato emerge dall'ordinanza dei provvedimenti di custodia cautelare emessa dalla procura capitolina. Anche il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario all'economia Nicola Cosentino sono indagati a Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla cosidetta P3 nata da uno stralcio dell'indagine degli appalti sull'eolico in Sardegna. Dell'Utri e Cosentino sono accusati di associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulla costituzione delle associazioni segrete. In serata arriva la replica di Cosentino: "Ancora una volta apprendo dalle agenzie di stampa di essere sotto inchiesta da parte di qualche procura per aver commesso qualcosa. Questa volta mi pare si tratti di una sorta di 'banda del torchio', dal sapore davvero surreale. Mi chiedo quando e se si finirà di usare la magistratura per altri fini. In ogni caso, anche questa volta, le impronte digitali sono le stesse".
Intanto, nel Pdl esplode il caso Verdini. E i luogotenenti del Cavaliere si lanciano all'attacco del finiano di ferro Italo Bocchino, ex capogruppo Pdl, che aveva chiesto le dimissioni di Denis Verdini, indagato nell'inchiesta sull'eolico. "La dichiarazione dell'onorevole Bocchino di essere a conoscenza dei verbali di intercettazioni riguardanti indagini giudiziarie in corso, che secondo lui saranno pubblicate a breve sui mezzi di comunicazione, secondo il mal costume in voga nel nostro Paese, e' di una gravita' inaudita". E' quanto dicono in una nota congiunta Sandro Bondi, coordinatore del Pdl e Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl alla Camera, a proposito di quanto affermato da Italo Bocchino secondo il quale Denis Verdini "sara' costretto a dimettersi" quando "emergeranno le intercettazioni che hanno portato a indagare lo stesso Verdini". Per Bondi e Cicchitto, "a questo punto Bocchino ha l'obbligo di riferire come sia giunto in possesso di tali verbali, in che modo e attraverso quali canali. Questa vicenda dimostra a quale livello di degrado e di spregiudicatezza giungano alcuni esponenti politici. Inoltre rivela, se fosse confermata, l'intreccio perverso non solo tra una parte della magistratura e il mondo dell'informazione, ma anche tra ambienti giudiziari e esponenti politici, che utilizzano notizie coperte da segreto istruttorio come strumento di lotta politica". I due esponenti del Pdl concludono: "Si tratta di una vicenda dai contorni gravi e oscuri, che ci auguriamo sia chiarita sia dal punto di vista giudiziario che politico". Alla nota dei due esponentiPdl fa eco anche una dichiarazione di Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl della Camera dei deputati: ''Le dichiarazioni dell'amico Bocchino mi lasciano francamente perplesso - ha detto Lupi - I processi preventivi e un certo giustizialismo dipietrista non hanno mai fatto parte della cultura del Pdl. Verdini e', fino a prova contraria, innocente. Spetta ai magistrati, e non certo a Bocchino, condurre le indagini. Lasciamoli lavorare e lasciamo che Verdini possa chiarire e difendersi. Tutto il resto e' inutile chiacchiericcio''.. Non si è fatta attendere la risposta dell'ex capogruppo Pdl: ''Gli amici Bondi e Cicchitto possono star tranquilli che non c'e' alcun complotto in giro, ne' misteri'' - ha replicato Italo Bocchino, ora presidente di Generazione Italia. ''Quando ho parlato di atti che a mio giudizio porranno un problema di opportunita' politica a Berlusconi sul caso Verdini, mi riferivo semplicemente all'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carboni e soci, documento in possesso di tutte le redazioni dei giornali. A pagina 50 si parla di un'informativa dei carabinieri di duemila pagine con allegate altre 4000 pagine di atti e documenti, gran parte intercettazioni. Sempre a pagina 50 c'e' scritto che il pm allo stato ha formalizzato richieste solo per il reato associativo e non per i delitti-fine quali corruzione, abuso d'ufficio e altro, chiarendo a pagina quattro di aver utilizzato soltanto le telefonate con parlamentari necessarie a sostenere la misura nei confronti degli altri indagati. Tutto chiaro e limpido pertanto - conclude - senza alcun mistero''. A quanto si apprende, Silvio Berlusconi si sarebbe sentito più volte al telefono con il coordinatore del Pdl Densi Verdini. Nel corso delle telefonate, a quanto si apprende, il Cavaliere avrebbe espresso la sua solidarietà a Verdini dicendogli di andare avanti nel suo lavoro. Il tuo ruolo, avrebbe sottolineato il Cavaliere, non è in discussione. 12 luglio 2010
Inchiesta eolico: Dell'Utri e Cosentino indagati nella vicenda della P3 Cronologia articolo12 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2010 alle ore 17:23. Il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino, sono indagati dalla procura di Roma per associazione per delinquere finalizzata alla violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Reato già contestato al coordinatore del Pdl, Denis Verdini. I due sono indagati nell'ambito dell'inchiesta sull'eolico in Sardegna condotta dalla procura di Roma che coinvolge anche Flavio Carboni. Quest'ultimo insieme ad Arcangelo Martino e Raffaele Lombardi, avrebbero avvicinato anche i magistrati di Firenze che indagavano sul G8 della Maddalena e sui grandi eventi oggi al vaglio della procura fiorentina. Il nuovo tassello emerge da un provvedimento di custodia cautelare emesso dalla Procura di Roma. Secondo i magistrati il gruppo avrebbe utilizzato l'associazione culturale "Centro studi giuridici per l'integrazione europea Diritti e libertà" di Lombardi come strumento di pressione. L'associazione, scrivono i pm, "mirava ad acquisire e a rafforzare utili conoscenze nell'ambiente della politica e della magistratura". Intanto, sul fronte dell'inchiesta sul giro d'affari dell'eolico, forse già domani sarà sentito il presidente dell'Arpas, l'agenzia regionale di protezione ambientale della Sardegna, Ignaziol Farris, nominato dalla giunta guidata da Ugo Cappellacci. Farris è indagato per concorso in corruzione. Per gli inquirenti, infatti, la sua nomina sarebbe avvenuta in modo irregolare e per assecondare le pressioni di Flavio Carboni. Che avrebbe fatto pressioni su Cappellacci, indagato per corruzione e abuso d'ufficio, per indurlo a designare alla guida dell'agenzia un uomo di fiducia del faccendiere. Dal canto suo, il governatore sardo, che avrebbe dovuto presentarsi domani in procura per essere sentito dai magistrati, ha chiesto un rinvio della data per altri impegni del suo legale. L'interrogatorio slitta così a fine luglio. Intanto, oggi, l'ex avvocato generale della Cassazione, Antonio Martone, accusato di aver partecipato a una cena a casa di Verdini nel corso della quale si sarebbe discusso di un tentativo di avvicinamento dei giudici della Consulta che dovevano decidere sul Lodo Alfano, ha scritto una lettera al numero uno dell'Anm, Luca Palamara, in cui respinge ogni addebito. "Ribadisco con forza che non ho mai fatto pressioni sui giudici della Corte Costituzionale e che sono completamente estraneo a tutti gli episodi che i giornali hanno tratto dall'ordinanza del gip". (Ce. Do.)
nchiesta sull'eolico, Palamara chiede chiarezza sulla questione Morale. La replica di Martone Cronologia articolo12 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2010 alle ore 16:25 Il presidente dell'Anm, Luca Palamara torna a parlare, a margine di un convegno al Csm, di quanto emerge dall'inchiesta della procura di Roma sull'eolico. "Quello della questione morale è un tema su cui vogliamo chiarezza e nettezza: la magistratura che noi vogliamo non può permettersi di avere al suo interno situazioni di opacità, anche quando riguardano le nomine negli uffici direttivi". "C'è un'indagine in corso, bisogna accertare con tempestività e rigore ciò che è accaduto secondo il rispetto delle regole - aggiunge Palamara - e il ruolo dell'Anm deve essere netto e chiaro di presa di distanza da queste situazioni e ispirato da un modello di magistratura indipendente e integerrimo. Su questa strada - rileva - non arretreremo di un millimetro, perchè su questo ci giochiamo il futuro della magistratura". Queste, conclude il leader del sindacato delle toghe, "sono vicende che, al di là del merito, danno un quadro di inquinamento inquietante. C'è una questione morale all'interno della magistratura che impone dei distinguo soprattutto nella scelta dei dirigenti, che deve esser ancorata al merito e svincolata da logiche di appartenenza". Lascia la magistratura, intanto, Antonio Martone per il "desiderio di poter agire a difesa della mia onorabilità in piena libertà e senza condizionamenti derivanti dallo status di magistrato di fronte a coloro che si sono rivelati goffi millantatori e che hanno utilizzato il mio nome per cercare di avallare i loro disegni". Così l'ex avvocato generale della Cassazione, in una lettera indirizzata al presidente dell'Anm Luca Palamara, ha spiegato la decisione maturata venerdì scorso, a seguito dell'inchiesta romana sugli appalti per l'eolico in Sardegna. "Da un magistrato mi sarei aspettato, quanto meno, il beneficio del dubbio", scrive Martone, riricordando di aver "servito l'amministrazione della Giustizia ininterrottamente per oltre 44 anni ricchi di soddisfazioni, ma anche di sacrifici, rischi e, infine, amarezze. Sfido chiunque - sottolinea l'ex avvocato generale della Cassazione - magistrato o avvocato, a indicare un solo concreto provvedimento o atto da me adottato che non si sia ispirato rigorosamente ai principi di indipendenza, imparzialità e terzietà, senza farmi condizionare da ideologie e idee politiche". Lo stesso invito Martone lo rivolge "anche a Pino Berruti e Livio Pepino, componenti del Csm che hanno rilasciato dichiarazioni ai giornali di oggi, ma che ben dovrebbero conoscere l'attività che ho svolto presso la Corte di Cassazione per oltre 23 anni". Adesso, aggiunge Martone, "per me è anche giunto il momento della riflessione su quanto in tanti anni ho fatto per la Giustizia e per quanto ho vissuto nella Magistratura. Oggi che non siamo più colleghi - scrive rivolgendosi a Palamara - ricorro 'al Leì per esprimerle la certezza che il tempo (spero non lungo) saprà essere gentiluomo". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Nullatenenti per il fisco, ma affittano ville di lusso di Felicia Masoccotutti gli articoli dell'autore Nell’Italia in più di un cittadino su due dichiara redditi che non superano 15mila euro all’anno, è facile imbattersi in altre anomalie, per così dire, contabili. L’ultima riguarda i contratti di affitto per ville esclusive: il 47% sono intestati a persone che risultano nullatenenti, o nella migliore delle ipotesi a pensionati che se la passano talmente male da aver chiesto e ottenuto la social card, la famigerata tesserina di qualche manciata di euro dispensata da Tremonti per avere sconti al supermercato. L’evidente paradosso viene reso noto da Contribuenti.it, associazione dei contribuenti che rileva con una certa frequenza il trend dell’evasione fiscale in Italia. Le ville in questione non si trovano in periferia, dominano baie di Porto Cervo, si affacciano sui Faraglioni di Capri, sono a Portofino e a Positano, a Forte dei Marmi, e a Sabaudia, Ravello, Panarea, Taormina, Amalfi. "Gli intestatari dei contratti di affitto sono prestanome di facoltosi imprenditori, per evadere le tasse", spiega una nota su questo punto superflua. I "poveri possidenti" e i "ricchi nullatenenti" che non dichiarano nulla ma spendono come nababbi, si alleano in una vittoriosa battaglia contro le casse dello Stato e, soprattutto, contro chi le sue tasse le paga fino all’ultimo euro. Le due categorie di cittadini "infedeli" sono stati al centro di un simposio internazionale che si è tenuto a Capri. Sono ritornate cifre inverosimili come quella che vuole oltre la metà dei contribuenti dichiarare (nel 2009) meno di 15mila euro annui e circa due terzi meno di 20mila euro; solo l'1% ha dichiarato oltre 100mila euro e lo 0,2% più di 200mila euro. Se questo è non si capisce come mai aumenti, ad esempio, proprio la spesa per l’affitto di ville esclusive. È cresciuta nel 2009 del 3,7%. E, secondo stime dell’associazione, i "ricchi nullatenenti" anche quest’anno non lesineranno in "passion investiments": auto di grossa cilindrata, yachts, gioielli e oggetti d'arte. Il "nulla da dichiarare" grida vendetta. Tanto più che "gli altri", quelli che dichiarano tutto, dovranno fare i conti con la manovra da 24 miliardi varata dal governo. A parte i contratti bloccati per gli statali, i tagli a Regioni e Comuni che si tradurranno in meno servizi o in tariffe più care, c’è nel decreto un nuovo condono e, in nome della libertà di impresa, si sancisce che per costruire una casa, ma anche un ipermercato non occorre più nessun permesso. Basta una "segnalazione di inizio lavori" (La Scia). I controlli arriveranno dopo, se arriveranno. Abusi (edilizi e fiscali), speculazione e raggiri non sono mai stati così facili. La "filosofia" del fai-da-te (cioè fate quello che vi pare) è rafforzata dall’assenza di norme incisive che riguardano appunto la regolarità fiscale. Eppure neanche due mesi fa era stato il governatore della banca d’Italia, Mario Draghi, a evidenziare l’altro, macroscopico, paradosso. Il nostro rapporto debito-Pil "sarebbe tra i più bassi della Ue" senza l’evasione. "Macelleria sociale è una espressione rozza ma efficace e io credo che gli evasori fiscali siano tra i responsabili". 12 luglio 2010
Condannato a 14 anni il comandante del Ros Giampaolo Ganzer Cronologia articolo12 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2010 alle ore 16:00. Dopo 170 udienze che hanno costellato cinque anni di processo, dopo un'indagine partita dalla Dda di Brescia nel settembre 1997, l'attuale comandante del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri (Ros), il generale Giampaolo Ganzer, è stato condannato oggi a 14 anni di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre altri 12 imputati, tutti appartenenti all'Arma si sono visti infliggere pene comprese tra i 5 anni e 2 mesi e i 13 anni e 6 mesi. I giudici dell'ottava sezione penale del Tribunale di Milano, presieduta da Luigi Caiazzo, al termine di una Camera di consiglio durata sette giorni, hanno inflitto la pena più alta, 18 anni, al narcotrafficante libanese ed ex confidente del Ros Ajaj Jean Bou Chaaya. Solo quattro su 18 gli imputati assolti, tra cui un carabiniere e tre presunti trafficanti stranieri. Per tutti gli imputati è caduta l'accusa di associazione per delinquere e sono stati prescritti i reati di peculato, falso e traffico d'armi. Caduta anche l'aggravante dell'associazione in armi. Le 14 condanne dunque si riferiscono a singoli episodi delittuosi commessi nel corso di alcune importanti operazioni antidroga compiute "sotto copertura" dal Ros: "Cobra" del 1994 e "Cedro 1" del 1995, i nomi di quelle in cui i giudici hanno riscontrato le pesanti irregolarità che hanno portato alla condanna di Ganzer. La sentenza emessa dai giudici di Milano, che solo in parte hanno accolto le richieste del pm Luisa Zanetti che, ad esempio, aveva chiesto 27 anni per Ganzer, è particolarmente importante dato che riguarda un militare stimato e di lungo corso, a capo di una delle più qualificate strutture anticrimine presenti in Italia e che, fin dalla sua nascita nel dicembre del 1990, ha condotto molte delle maggiori operazioni antiterrorismo e antidroga. In alcune di queste il generale e gli altri carabinieri condannati oggi avrebbero passato il segno, forse per amplificarne il successo e accelerare la propria carriera, anche se bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza per avere indicazioni più precise. Quella sul Ros è stata infatti un'inchiesta delicata, lunga e difficile, seguita da una vicenda giudiziaria altrettanto complessa, inziata a Brescia, poi trasferita a Milano a causa della presenza tra gli indagati del magistrato Mario Conte (che sarà processato da solo e a parte), quindi a Bologna e infine riassegnata dalla Cassazione al capoluogo lombardo quando erano scaduti tutti i termini per gli accertamenti.
Traffico di droga, Ganzer condannato a 14 anni Il generale Giampaolo Ganzer, attuale comandante del Ros, è stato condannato a 14 anni di carcere a Milano nell'ambito del processo su presunte irregolarità in operazioni antidroga condotte negli anni '90 da un piccolo gruppo all'interno del reparto speciale dell'Arma. I giudici dell'ottava sezione penale del tribunale, hanno condannato il generale Ganzer (con la pena più alta tra i diciotto imputati) per due segmenti di operazioni condotte sotto copertura e ritenute dall'accusa irregolari. Per lui il pm Luisa Zanetti aveva chiesto 27 anni di carcere. Condannato anche l'ex colonnello del Ros Mauro Obinu, ora all'Aise (ex Sisde) a 7 anni e dieci mesi di reclusione e a 35 mila euro di multa, oltre all'interdizione perpetua ai pubblici uffici. Tra i diciotto imputati tre sono stati assolti, mentre gli altri sono stati condannati a pene che vanno dai 13 anni e mezzo e 59 mila euro di multa per l'ex sottufficiale Gilberto Lovato, in giù. 12 luglio 2010
2010-07-11 Verdini indagato per "associazione per delinquere" Sarebbero almeno cinque gli indagati nella tranche dell'inchiesta sugli appalti per gli impianti eolici in Sardegna condotta dalla Procura di Roma che ha svelato "un'associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti" e volta "a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali nonché‚ degli apparati della pubblica amministrazione". Tra questi appare anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini accusato come gli altri di violazione della legge Anselmi sulla costituzione delle associazioni segrete. Nel registro degli indagati oltre all'imprenditore sardo Flavio Carboni, all'ex esponente della Dc campana, Pasquale Lombardi e all'imprenditore napoletano, Arcangelo Martino, arrestati tre giorni fa, risulta iscritto anche l'assessore regionale della Campania Ernesto Sica. 11 luglio 2010
Capitalismo di rapina Come svuotare un'azienda e far soldi di Roberto Rossitutti gli articoli dell'autore Immaginate la storia di Eutelia come un’enorme matrioska. Nel gioco ogni pezzo ne custodisce un altro, è nascosto fino a quando non lo sveli. La vicenda della società di Arezzo, che ha portato venerdì all’arresto di otto persone per bancarotta fraudolenta, ha le stesse fattezze di un’enorme bambola di legno. Dove ogni reato ne nasconde un altro. E un altro ancora. Un sistema, semplice come una mastrioska appunto, per fare soldi sulle spalle dei lavoratori. Un simbolo del nostro capitalismo. La storia. Eutelia è una società giovane. Nasce undici anni fa ad Arezzo per operare nel settore di servizi telematici e in Internet. Fa capo alla famiglia Landi che occupa, con tutti i parenti, l’intero consiglio di amministrazione. All’inizio si chiama Plug-It. Cambia nome nel 2003 dopo la fusione con Edisontel. La società è un mostro. Muta forma continuamente. Costituisce rami d’azienda, altre società, come Agile e Omega, prende pezzi di attività, li smembra, li cede e li ricompra. Nel 2005 approda in Borsa. La sua bulimia non cessa. Acquisisce altre società, commesse, dipendenti. Fino a scoppiare. Fino a quando il sacco non è pieno. Nel 2008 inizia la fuga. La società, con i bilanci in profondo rosso, chiede lo stato di crisi. Si apre una lunga vertenza. Il 15 giugno 2009 a sorpresa, in piena trattativa sindacale presso il Ministero dello Sviluppo Economico, i 2000 lavoratori vengono trasferiti in Agile e contestualmente venduti per 96mila euro ad Omega. A capo di questo nuovo soggetto industriale vengono posti due noti fallimentaristi. Inizia lo svuotamento della società, il furto di lavoro. Secondo l’ordinanza della Procura di Roma i vertici di Eutelia concentrano su Agile perdite e debiti, dipendenti di cui ci si voleva liberare. "È stata fatta - è scritto nell’ordinanza - un’operazione di svuotamento attraverso operazione di distrazione, pagamenti a privati e società, privi di una oggettiva giustificazione per 12 milioni di euro". Vengono ceduti crediti a garanzia di obbligazioni che sono state assunte da altre società del gruppo Omega. Non solo. Nella scomposizione del castello societario Eutelia gira ad Agile un ramo di azienda It (Information Tecnology). Nel contratto di cessione, dice l’ordinanza, sono sovrastimante le attività del ramo d’azienda. Si scrive che ci sono 22 milioni ordini e di commesse. In realtà il valore effettivo non è superiore a sette. La cessione ha una logica. Non dà la possibilità di esigere i crediti relativi a questo ramo d’azienda. Il tutto sulla pelle dei lavoratori. Che, non solo sono sottoposti a una procedura di licenziamento, ma sono costretti a subire un’aggressione. Il 10 novembre del 2009 un gruppo di squadristi, travestiti da poliziotti, armati di tutto punto, e capeggiati dal proprietario Samuele Landi, irrompe nella sede di Roma, aggredendo i dipendenti riuniti in presidio. L’intreccio Interviene la magistratura. Il 23 dicembre il tribunale fallimentare di Roma sequestra l’azienda e la pone sotto custodia cautelare. Ma i Landi non demordono. Devono completare l’opera. A febbraio tentano di riappropriarsi dell’azienda con la richiesta di concordato preventivo. A garanzia del debito presentano fideiussioni. Prestate da una da una società che si chiama Cofiart. Ma sono fittizie. Cofiart non ha il patrimonio per garantire come prevede il testo unico bancario. La società fa capo all’imprenditore romano Dino Patrizio Cozzi. Quando i magistrati ne chiedono l’arresto scoprono che è già sotto indagine per associazione a delinquere, riciclaggio internazionale, bancarotta, creazione fittizia di capitale. Da tempo Cofiart offriva garanzie bancarie a società o enti locali che ne facevano richiesta per far fronte, appunto, a fideiussioni. In qualche mese, secondo la Finanza, la società avrebbe emesso 5mila polizze fideiussorie raccogliendo premi per oltre 11 milioni di euro a fronte di un capitale garantito che supera i 750 milioni di euro. Tutte false. Le fideiussioni fasulle sono in voga in Italia. I magistrati della Procura di Roma che lavorano ai reati economici (il gruppo è coordinato dal pubblico ministero Nello Rossi) le chiamano "titoli tossici all’italiana". Ce ne sono tante. E muovono i mercati finanziari. Le società che le gestiscono hanno un riconoscimento formale ma poi zero requisiti patrimoniali. Le loro garanzie costano poco. Si paga di meno, se ne ottengono in misura ridotta. Spesso le aziende le usano per rateizzare il debito tributario e frodare il fisco. Dopo una rata o due le società che le hanno contratte muoiono o, sfruttando una normativa particolare, si trasferiscono all’estero. E se l’operazione non risulta rapidamente entro un anno dal trasferimento fuori dai confini non può essere chiesto il fallimento. E senza fallimento niente bancarotta. Agli 8 amministratori dell’Eutelia finiti sotto inchiesta (Pio Piccinini, Leonardo Pizzichi, Claudio Marcello Massa, Marco Fenu, Salvatore Riccardo Cammalleri, Antonangelo Liori, Isacco Landi e Samuele Landi) servivano invece per riprendersi la società. E organizzare nuovi colpi. Progettavano nuove acquisizioni, di "ripartire" con delle nuove matrioske. In Italia o Romania. Dovunque si possa lucrare sulle spalle dei lavoratori. 11 luglio 2010
L'odore dei soldi di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore Il caso Eutelia-Agile, con 2000 lavoratori senza futuro e otto manager e azionisti finalmente in galera, c’entra poco con la crisi economica e industriale. Riguarda, invece - molto - l’origine, i protagonisti, le regole del capitalismo italiano. Samuele Landi, il padrone col pugnale tra i denti che minacciò lo scorso autunno i dipendenti in lotta nella sede di Roma, è il fondatore, oggi latitante, del movimento "Imprenditori d’Italia" che vorrebbe farla finita coi sindacati, i vincoli di legge, i controlli che limiterebbero lo sviluppo della vocazione imprenditoriale. Personaggi di questo genere hanno potuto, in soli dieci anni, fondare aziende, acquisirne e venderne altre, quotarsi in Borsa, reperire capitali dal mercato e dal sistema bancario, allo scopo non di creare valore, occupazione e sviluppo rispettando il contesto sociale (come indica l’articolo 41 della Costituzione che Berlusconi vorrebbe abolire) ma di arricchirsi, spogliando le aziende dei loro cespiti migliori e abbandonando per strada migliaia di dipendenti con le loro famiglie. Non è una novità: casi del genere si sono ripetuti negli ultimi anni e basterebbe scorrere le recenti cronache dei processi Parmalat, Cirio, Antonveneta, per verificare e accertare che in questo paese non cambia mai nulla. Basti pensare che il gruppo di proprietà del presidente del Consiglio conquistò il controllo della Mondadori corrompendo un giudice, come è stato definitivamente accertato fino alla Cassazione. C’è un capitalismo di rapina, a tutti i livelli, alti e bassi, che non rispetta le regole, gli azionisti, i lavoratori e le comunità in cui opera. È la logica dell’appropriazione esclusiva, dell’affermazione del comando del più forte e del più ricco, quella che prevale e che emerge chiaramente, in un altro ambito che collega la politica e la malavita economica, nell’inchiesta Verdini-Carboni, un tandem alla base di un’associazione segreta per conquistare affari, condizionare o minacciare la giustizia, influenzare l’informazione. Tutto questo avviene mentre la Consob, l’autorità di controllo delle società e della Borsa, è rimasta senza presidente e dopo che da due mesi non c’è il ministro dello Sviluppo economico. Per entrambe le cariche la maggioranza di governo sta litigando. Avremmo bisogno come il pane di sceriffi del mercato e di ministri capaci per fronteggiare la crisi industriale, ma Berlusconi ha altre priorità. Le regole, la legge, il Paese, vengono sempre dopo. Ps: ... a proposito di regole, forse siamo dei moralisti fuori moda, ma siamo rimasti spiacevolmente sorpresi dal leggere sui giornali che anche il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, era a cena, l’altra sera, a casa Vespa, con il presidente del Consiglio e sua figlia Marina, il cardinale Bertone e il presidente delle Assicurazioni Generali Cesare Geronzi. Draghi è un uomo di mondo, rispettato e autorevole, ha lavorato pure per la Goldman Sachs, e può cenare certamente con chi vuole: ma chissà perché questa notizia lascia un po’ di amaro in bocca. 11 luglio 2010
La frode come "mission", nemmeno Tanzi arrivò a tanto di Luigina Venturellitutti gli articoli dell'autore Tra i tanti dissesti finanziari che hanno arricchito le cronache giudiziarie italiane, impoverendo nel frattempo lavoratori e risparmiatori, non se ne trova uno come Eutelia. Vale a dire, uno nato e cresciuto con il preciso scopo di finire in dissesto finanziario. La sottrazione illecita di fondi societari come "mission aziendale" - direbbero gli esperti - e non come attività parallela, da condurre con discrezione, magari approfittando di una crisi industriale in corso. STORIE DI FINANZA E FRODE Tra i crac della storia recente fa scuola quello della Cirio, gloriosa azienda alimentare fondata nel 1856 e giunta al declino nel 2002, nove anni dopo l’acquisto da parte gruppo Cragnotti: il default si scaricò in gran parte sui piccoli risparmiatori, a cui furono rifilate obbligazioni riservate a investitori professionali per oltre un miliardo di euro, e gli inquirenti accertarono il dirottamento di soldi aziendali per pagare debiti personali di Sergio Cragnotti o per saldare premi a calciatori della Lazio. Ma "artifici e raggiri", bilanci falsi e "scatole vuote" nacquero in ambito industriale, per nascondere perdite e buchi finanziari. "Invece in Eutelia si è creato un sistema di frode che ha portato alla distruzione di un’azienda sana, senza problemi di cassa o di mercato" spiegano Fabrizio Potetti e Laura Spezia della Fiom-Cgil. Non a caso il sindacato e i singoli lavoratori - prima volta assoluta - hanno deciso di presentare un esposto alla magistratura per ottenere il risarcimento dei danni. Un discorso simile vale anche per la Parmalat, il più grande scandalo europeo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio, scoperto verso la fine del 2003 nonostante le difficoltà finanziarie del gruppo di Collecchio fossero rilevabili già agli inizi dei Novanta. Il buco creato da Calisto Tanzi si aggirava sui 14 miliardi di euro, e costò l’azzeramento del patrimonio ai piccoli azionisti e risparmiatori. Ma i finanziamenti alla politica e gli acquisti di società in dissesto per favorire potenti compiacenti miravano, anche, a veder ricambiato il favore con una commessa industriale o una facilitazione di credito. "Niente di tutto ciò si è verificato in Eutelia, dove il gioco di scatole cinesi aveva il solo ed unico obiettivo di derubare i lavoratori per arricchire il management" sottolineano i dirigenti Fiom. Tristemente nota, infatti, la dichiarazione di un manager fresco d’arresto: "Io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero e la mia villa". Parole che guadagnano al dissesto Eutelia il podio della spudoratezza. Anche rispetto a vicende torbide come quella della Finmek, azienda di ingegneria elettronica con sede a Padova, che crollò nel 2004 sotto il peso di un crac da un miliardo di euro. Il fondatore Carlo Fulchir mise sulla strada quasi 6 mila dipendenti disperdendo capitali in acquisti e cessioni di aziende in crisi. Landi e compagni rischiano di fare lo stesso con un’azienda che fino a poco tempo fa godeva di perfetta salute. 11 luglio 2010
Landi, l'autore del raid contro gli operai di Giuseppe Vespotutti gli articoli dell'autore Sostiene Samuele Landi: "Oggi siamo accusati di essere ladri quando ladri non siamo, di essere sprezzanti per le persone quando mettiamo le persone al primo posto (...) Per me il disegno è chiaro. Alcuni Landi sono ancora gli azionisti di maggioranza (di Eutelia) e siccome qualcuno vuole prendersi la rete dal fallimento, facciamo passare che è tutta colpa loro, che loro sono i ladri, in modo che non possano fare ricorsi al commissariamento, li mettiamo tutti dentro così si arrenderanno no?". La tesi dell’ex ad di Eutelia, raggiunto da un mandato d’arresto ma latitante - fino a venerdì notte era a Dubai - è chiara: il complotto. Un progetto messo su ad arte dai magistrati al fine di favorire qualche ""cricca" affaristica" che punta a scippare quei 13mila chilometri di rete Eutelia che valgono 400milioni di euro. Per l’ex "Capitano", come era solito firmarsi quando scriveva sul blog aziendale, ben cinque procure della Repubblica sarebbero in combutta contro di lui e i suoi collaboratori: Arezzo, Milano, Novara, Pistoia e Roma. Una squadra di pm al servizio di qualche potere forte. Ma d’altra parte l’imprenditore con la passione per il paracadutismo - "Capitan Uncino" per i suoi compagni di lancio - non è il primo a gridare alla congiura quando viene pizzicato della magistratura. Abbiamo buoni esempi in politica, dove Landi si è creato uno spazio come fondatore del movimento "Imprenditori d’Italia". Ed è da lì, dal sito del suo partito (http://arezzo.imprenditoriditalia.org/) che dà sfogo alle sue ragioni e difende alcuni dei sette ex manager che la procura di Roma ha arrestato venerdì con l’accusa di bancarotta fraudolenta. L’ultimo post è di ieri. S’intitola "La verità su Agile" e comincia così: "Apprendo solo dalla stampa i presunti capi di accusa in quanto ancora nessuna notifica né a me né al mio avvocato è stata fatta". Alle accuse dei pm romani, secondo cui gli arrestati avrebbero distratto 11 milioni e 770 mila euro nell’operazione di passaggio di Agile da Eutelia al gruppo Omega, l’ex manager aretino risponde: "Non ho mai avuto contatti, né telefonato o ricevuto telefonate dai soggetti di Omega". Li avrebbe invece incontrati "una sola volta in occasione della firma della cessione di Agile ad Omega, cessione deliberata dal Cda di Eutelia". Lui, insomma, non c’entra nulla con quella squadra di killer d’impresa che - secondo i magistrati - avrebbe agito alle spalle dei duemila dipendenti, "cagionando il fallimento dell’azienda". Invenzioni. "Assurde ricostruzioni", "soprusi della magistratura", "deliranti rapporti della Guardia di Finanza", che lo hanno portato a denunciare - lo scrive lui stesso - il pm aretino Roberto Rossi e il capitano della polizia tributaria di Arezzo. Che la rete Eutelia sia guardata con attenzione è un fatto. Secondo i sindacati, che sottolineano di non voler dare adito alle tesi di Landi e che vedono nella magistratura l’unica istituzione realmente impegnata nel caso, circa un anno fa si è tenuto un incontro tra Eutelia e Mediaset con oggetto proprio la rete. Un abboccamento, nulla di più, che poi è sfumato. "È possibile - sostiene Fabrizio Potetti della Fiom - che qualcuno al di fuori della magistratura non abbia voluto vedere quello che stavano facendo in Eutelia. Noi - aggiunge il sindacalista - siamo stati gli unici a presentare gli esposti alle procure di Roma, Milano e Arezzo. E abbiamo sempre denunciato la disattenzione delle istituzioni sulle operazioni societarie. Ma ai tavoli col governo e allo Sviluppo economico - conclude Potetti - l’unica preoccupazione è sempre stata la cig dei lavoratori, accompagnata all’ostilità con cui si è guardato alle nostre azioni (art 28 su cessione di ramo d’azienda) contro il passaggio di Agile da Eutelia a Omega". Alle sue "verità" Landi consegna anche il blitz di novembre nella sede romana di Eutelia quando, cappellino col teschio in testa e 15 vigilantes alle spalle, ha cercato di cacciare i lavoratori che presidiavano l’azienda. "Ho ritenuto opportuno tentare di liberare la sede dagli occupanti - scrive - (membri dei centri sociali) che da oltre 2 mesi la occupavano impedendo ai lavoratori di entrare e svolgere la propria attività". 11 luglio 2010
Chi è | Antonangelo Liori L’arresto di Antonangelo Liori, 46 anni, ex direttore de l’Unione sarda , ex giornalista (è stato radiato dall’ordine nel 1999) in Sardegna non ha sorpreso nessuno. Anzi, a dirla tutta, se qualcosa ha sorpreso è che sia avvenuto solo l’altro ieri. Infatti Antonangelo Liori, negli ultimi quindici anni, di occasioni per finire dentro ne ha avute a iosa. Tanto che da un po’ di tempo, quando un discorso tra colleghi cadeva su di lui, la domanda non era il solito "che fine ha fatto?", ma "ancora a piede libero?" Un curriculum giudiziario ricchissimo, un piccolo compendio del codice penale: condanne per ricettazione, per truffa, per diffamazione a mezzo stampa. Solo con queste ultime Antonangelo Liori, classe 1964, ha accumulato un totale di una decina di anni di reclusione. Un record nazionale e forse anche europeo ottenuto con metodo e ostinazione. Indimenticabile la campagna di stampa contro il ministro dell’ambiente Edo Ronchi e contro l’istituzione del Parco del Gennargentu. Liori fece sue non solo le ragioni ma anche gli argomenti dell’ambiente barbaricino più radicale. Accusò Ronchi di essere un criminale, un terrorista, un fascista e, per "tranquillizzarlo, scrisse. "Nessuno le sparerà, sarebbe una pallottola sprecata". All’epoca era ancora un giornalista ed era difficile se non impossibile immaginare la deriva da squalo dell’imprenditoria e della finanza che l’ha condotto dietro le sbarre. Ma già allora chi l’aveva conosciuto all’inizio della carriera faceva fatica a ritrovarlo in quegli editoriali lividi di rabbia che, tra l’altro, contenevano la condanna per diffamazione del suo autore. I colleghi assistevano sbigottiti al suicidio professionale di uno dei più promettenti giornalisti sardi. Studente liceale brillante, una laurea col massimo dei voti in antropologia culturale, il giovane Liori era giunto a Cagliari da Desulo, paese della Sardegna profonda, portando con sé tutto l’orgoglio e la forza di chi sa esattamente da dove viene e cosa occorre fare e avere per essere un uomo appagato e rispettato, un "moderno balente". Alternava il lavoro da cronista per l’Unione alla scrittura di saggi e racconti – scrive straordinariamente bene Liori: chiaro, ironico, fluente - e all’elaborazione di traduzioni di testi classici greci e latini. Una passione che, a quanto pare, ha resistito se è vero che, come riferiscono le cronache, prima di entrare in carcere ha chiesto di poter portare con sé dieci libri e un dizionario di greco. Via via che negli anni giungevano notizie sempre più sbalorditive sulla vita spericolata del "nuovo" Antonangelo, ci si domandava tra ex colleghi ed ex amici, cosa gli avesse fatto andare di volta il cervello. Forse quel salto troppo brusco quando, neanche trentenne, Nichi Grauso lo promosse da cronista a direttore? Forse l’essere passato in un baleno dallo stato di "studente di Desulo" a quello di "Egregio dottore"? O forse una degenerazione in superomismo dell’idea di balentia? Spiegazioni facili, banali, insufficienti. Che confliggono con l’intelligenza di quel ragazzo simpatico e un po’ guascone che teneva nel taschino della camicia la penna e nella tasca posteriore dei pantaloni il coltello a serramanico dei pastori. Chissà che adesso, che ha tempo per meditare e per leggere, il "vecchio" Antonangelo non si risvegli. Ha 46 anni. Ancora molto tempo davanti. Per risarcire i danni che ha cagionato e cominciare una nuova vita. 11 luglio 2010
Cappellacci, l’eolico e il caso-Carboni I pm lo convocano di Francesca Ortallitutti gli articoli dell'autore Martedì dovrebbe essere una data fatidica per Ugo Cappellacci, presidente della Regione Sardegna. Se sarà a Roma con il suo legale (che ha già parlato di impedimenti per via di un processo a Cagliari) dovrà chiarire alla Procura di Roma il suo ruolo nella bufera sull’eolico che sta sconvolgendo la politica isolana. Era comunque già indagato dal 14 maggio scorso per abuso d’ufficio e concorso in corruzione ed è confermato anche l’avviso di garanzia per l’assessore all’Urbanistica Gabriele Asunis. Dovrà comparire anche lui di fronte ai magistrati romani, insieme al presidente dell’Arpas Ignazio Farris e all’ex presidente dell’Autorità d’Ambito Franco Piga, entrambi indagati. Sono loro gli attori principali dello scandalo del vento. La nomina all’Arpas è stata infatti pesantemente condizionata da Flavio Carboni, finito in manette nei giorni scorsi per violazione della legge Anselmi sulle logge massoniche. Un’accusa gravissima che getta lunghe ombre anche sui rapporti intercorsi tra Cappellacci e il faccendiere originario di Terralba, che si rivolgeva al governatore chiamandolo "caro Ugo", come risulta dalle intercettazioni. Che qualcosa comunque non andasse lo si era capito da tempo, sin dalle prime pubblicazioni delle conversazioni con Verdini. È qui che la giunta guidata dal "caro Ugo" cambia improvvisamente rotta sull’eolico, sfornando la famosa delibera del 12 marzo, quella che "chiudeva l’armadio a doppia mandata". Dall’assalto si passa allo stop assoluto. Peccato che però non serva a nulla. Non solo perché è incostituzionale, come sottolinea tra l’altro la stessa direzione regionale dell’Area legale della regione, ma anche perché affida anche all’Arpas il potere di rilasciare la famosa autorizzazione unica per gli impianti eolici. E così si spiega perché Carboni era stato beccato in un’intercettazione a dire che "senza Farris all’Arpas" lui non faceva niente. Finora non è stato aggiornato il PEARS, piano regionale energetico. Lì ci sono in ballo 550 megawatt da produrre con l’eolico, una parte di questi doveva essere "venduta" attraverso bando pubblico. Curiosamente questa procedura è stata cancellata dalla giunta Cappellacci nel 2009. Forse i megawatt "liberi" hanno scatenato gli appetiti della criccopoli guidata da Flavio Carboni per un affare pronto senza il fastidioso ostacolo di una gara pubblica. Come se non bastasse poi, la delibera con la nomina di Ignazio Farris non compare ancora nel sito della Regione, in barba alla trasparenza amministrativa obbligatoria. Cappellacci comunque è in difficoltà e le inchieste giudiziarie non fanno altro che spargere sale sulle ferite. Aperte anche dalla lotta interna del Pdl. La sconfitta alle amministrative ha fatto da cartina tornasole, con il senatore Piergiorgio Massidda che ha giocato da solo tutta la partita e non ne vuole sapere di rientrare nei ranghi. Un’altra botta è arrivata con la batosta sul disegno di legge del piano casa, bocciato sonoramente dalla maggioranza. Intanto il "rimpastino" in giunta (tradotto in scambio di poltrone) in programma dopo lo schiaffone elettorale è stato anticipato a fine luglio, ma può essere inutile se a rimescolare le carte sarà la magistratura. I disoccupati della Sardegna ancora aspettano che qualcuno si occupi di loro. 11 luglio 2010
Inchiesta sull'eolico, Verdini si difende: "Contro di me fango e menzogne" Il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, smentisce la notizia secondo la quale sarebbe indagato per 'associazione segreta' e si dice pronto a chiarire la sua posizione davanti ai magistrati definendo solo "fango e menzogne" le accuse che gli vengono attribuite. "Mi trovo mio malgrado trascinato in mezzo a uno tsunami mediatico-giudiziario di violenza inaudita, senza nessuna possibilità di potermi difendere compiutamente da una serie di ricostruzioni che definire fantasiose costituisce un eufemismo - scrive Verdini in una nota -. Ho perfino appreso da un quotidiano di essere indagato come membro di un'associazione segreta di cui non sono mai stato a conoscenza e di cui, conseguentemente, non ho mai fatto, né faccio, parte. Mi sono state portate una o due volte a casa mia (e non otto come scrive un altro quotidiano) tutte insieme le tre persone arrestate ai sensi della legge Anselmi, e in quelle occasioni non si è mai parlato né del lodo Alfano, né di pressioni sul Csm o sulla Cassazione, né di candidature alla presidenza della Campania, né di qualsiasi fatto che abbia rilevanza penale, a cominciare proprio da questa fantomatica organizzazione segreta". "Ancora oggi, poi, alcuni quotidiani continuano a parlare della banca che presiedo e di un fiume illecito di denaro (chi 8 milioni di euro, chi 4) depositati, transitati o negoziati presso il Credito cooperativo fiorentino. Notizia smentita più volte da me e dalla banca stessa, in quanto completamente falsa - puntualizza il coordinatore del Pdl -. Peraltro, la stessa ordinanza del gip di Roma conferma, come da indagini svolte presso il Ccf e il Giornale della Toscana, che sono stati fatti regolari versamenti con assegni circolari in più rate per complessivi 800mila euro, che servivano alla ricapitalizzazione della società che edita il quotidiano. Un'operazione del tutto trasparente, che nulla ha a che vedere con le calunniose illazioni riportate dalla stampa. Sono pronto a chiarire tutto davanti ai magistrati, quando riterranno opportuno convocarmi, nella speranza, probabilmente vana, che questo stillicidio di notizie in aperta violazione del segreto istruttorio cessi, che la verità venga finalmente acclarata, e che s'interrompa questo incredibile fiume di fango e di menzogne che viene quotidianamente riversato sulla mia onorabilità di uomo e di politico".
Dichiara la sua "totale disponibilità a consegnare le dimissioni" ma sottolinea la sua "estraneità ai fatti" l'assessore regionale campano Ernesto Sica, coinvolto nelle indagini della Procura di Roma che hanno portato all'arresto di Flavio Carboni e di altre due persone. Sica, che potrebbe aver avuto un ruolo in un presunto tentativo di Carboni di ostacolare la candidatura del presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, con diffamazioni e falsi fascicoli, aggiunge che questa indagine "richiede un doveroso chiarimento con Caldoro che mi ha investito della sua fiducia". 10 luglio 2010
Il faccendiere a Denis: "Sentiamo Ugo" Tutto comincia nel luglio del 2009. Flavio Carboni è impegnatissimo sul fronte sardo e ha un obiettivo preciso: la nomina di Ignazio Farris a direttore dell’Arpas, l’agenzia regionale sarda per l’ambiente. Ne parla con Pinello Cossu, consigliere provinciale a Iglesias. Ne discute con un consulente dell’Arpa, Marcello Garau. Scrivono i magistrati nell’ordinanza che ha portato in cella Carboni: "Colpisce il fatto che Carboni discorra di una nomina attribuita dalla legge regionale alla competenza della giunta come di una cosa della quale può disporre lui stesso". Il 5 agosto del 2009 Denis Verdini rassicura Carboni: gli parla di una seduta straordinaria e di un "intervento fulmineo" per la nomina di Farris. Che il giorno dopo gli viene confermata dall’assessore Gabriele Asunis. Ma a fine agosto la nomina non è stata ancora ufficializzata. E Flavio Carboni dà nuovi segni di nervosismo. Telefona a Verdini e gli chiede di chiamare "il nostro Ugo". L’intervento evidentemente ha un effetto. Perché nel pomeriggio dello stesso giorno Cappellacci chiama Flavio Carboni e gli assicura che "è tutto a posto". Poco dopo è Carboni a chiamare Farris per dargli la lieta notizia. E questi, grato, commenta: "Adesso bisognerà rimboccarsi le maniche". Secondo i magistrati, la gratitudine di Farris è più che giustificata: la sua nomina è avvenuta senza alcuna valutazione comparativa dei suoi titoli con quelli di altri candidati. Siamo alla fase-due. Carboni ora lavora per semplificare a suo favore le procedure. E Farris lo rassicura più volte: "Ho già preparato il regolamento per l’autorizzazione unica". C’è, però, qualche problema sulle competenze dell’Arpa: non è chiaro se l’ente debba fare le istruttorie. Farris ne parla con Carboni e dice di aver inviato a Cappellacci un promemoria. Si assiste, in pratica, a un modellare le norme e i regolamenti seguendo le indicazioni di Carboni. E si individuano aree e terreni. Qua compare la figura di un ingegnere, Franco Piga, che Farris indica come "uomo di totale fiducia del presidente". Questa attività culmina, il 21 ottobre del 2009, in un incontro nella casa romana di Verdini, presenti Carboni e, con tutta probabilità secondo i giudici, anche Cappellacci. Si parla ancora della "semplificazione" delle procedure. È un inseguirsi di incontri e di riunioni. In un’occasione è presente anche Marcello Dell’Utri. Ma nel febbraio scorso salta tutto. Verdini, indagato dalla procura di Firenze per gli appalti alla protezione civile, abbandona la partita. Chiama Carboni per annunciare che è costretto a interrompere i rapporti: "Mi devi capire, mi devi scusare...". Si diffonde la paura. Poco dopo, il 12 marzo 2010, la giunta regionale approva un regolamento che va in senso opposto alle aspettative di Carboni. Cappellacci è esasperato, preoccupato: "Basta - dice all’ingegner Piga - mi sono rotto veramente le palle". 10 luglio 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
"Sanità, Polverini guardi ai meriti Svelerò i curricula dei nominati" di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore L’urgenza del tema la riassume così: "Come cittadini abbiamo il diritto di sapere che i nostri ospedali vengano affidati non a chi è più amico di chi è al governo ma a chi è più competente". Nomine e sanità. Sull’argomento, Ignazio Marino, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, ha ingaggiato, e non da oggi, una sua personale crociata. E ora promette di dare del filo da torcere ai nuovi presidenti di Regione alle prese con lo spoil system. Vedi Renata Polverini che, impegnata in queste ore a mettere nero su bianco i tagli alla sanità laziale decisi da Tremonti, ha provveduto intanto a "mandare a casa" tutti tutti i direttori delle Asl, per procedere a nomine a lei più gradite. Marino però la avverte. Da presidente della commissione per il controllo, renderà noti i curricula dei nuovi nominati e li comparerà con quelli dei direttori uscenti: "Se Renata Polverini non sceglierà in base alle competenze ma alla tessera di partito, la inchioderemo alle sue responsabilità. Non si può gestire la salute pubblica con la logica del sottogoverno". Cosa le fa pensare che sarà una logica da sottogoverno a guidare le scelte di Renata Polverini? "A quanto sento la sua intenzione è di non rinominare nessuno dei direttori scelti dalla giunta precedente. Più che un criterio scientifico è questione di appartenenza". La nuova presidente li considera almeno in parte responsabili della situazione in cui versa la sanità del Lazio. "Ho la sensazione che Renata Polverini non abbia nelle sue mani una analisi con numeri e percentuali sui risultati positivi o negativi raggiunti da ciascuno, se in quella Asl si è allungata la lista d’attesa per la mammografia o se è migliorata l’efficienza con cui un infartuato viene soccorso, se ce l’ha sarebbe interessante che la rendesse pubblica, purtroppo penso che abbia deciso sulla base di un atteggiamento supino nei confronti dei partiti che la sostengono". Un vizio diffuso. "Da presidente della Commissione sanità durante il governo Prodi ho ricevuto diverse richieste di raccomandazione da aspiranti primari che mi segnalavano la partecipazione allo stesso concorso di uno di Forza Italia. Sa come sono uscito dall’imbarazzo? Con una lettera standard in cui auspicavo che vincesse la persona tecnicamente più preparata. Nessuno mi è più venuto a chiedere nulla". Tutto è affidato alla buona volontà? "In Parlamento giace una mia proposta di legge firmata da 60 deputati per cambiare i meccanismi di nomina dei direttori generali e primari. Prevede che i titoli di chi concorre e di chi vince vengano resi pubblici su internet. Pensi che attualmente la legge dà 18 mesi ai neonominati per fornire i titoli scolastici. Anche se poi ci sono esempi virtuosi come la Toscana dove vige un meccanismo di controllo dei risultati raggiunti". Che fine ha fatto la sua proposta? "Molti anche nel centrodestra dicevano che l’avrebbero sostenuta, ma non risulta nemmeno inserita all’ordine del giorno della Commissione sanità. Io comunque i titoli dei direttori che verranno nominati li renderò noti lo stesso. È ora di dire basta ai meccanismi di sottogoverno come unico obiettivo di gestione della salute pubblica. La politica dovrebbe piuttosto spiegarci perché nel Lazio ci sono 34 reparti di emodinamica in grado di salvare la vita a un infartuato ma solo 8 funzionano 24 ore su 24". E invece, ritirato il ticket sui disabili, si accinge a spiegare i nuovi tagli. "La verità è che la manovra che mira alla distruzione del sistema sanitario pubblico. Faccio un esempio: in Italia c’è una carenza di 1500 anestesisti, immaginiamoci cosa potrà accadere quando andranno in pensione e solo uno su 5 verrà sostituito". 11 luglio 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
L’agenzia segreta di Carboni per aggiustare giudici e politici di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore A volte ritornano. Forse, peggio, non sono mai sparite del tutto. Sono le cricche, più o meno occulte, che muovono i fili del nostro paese. Se ha agito in modo "palese" la cricca di Anemone e Balducci pur in barba alle regole e al mercato, quella di Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino "era caratterizzata dalla segretezza degli scopi volta a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali e di apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali". Una nuova P2. Di sicuro una sorta di agenzia segreta che aveva come obiettivo il condizionamento di giudici e politici per aggiustare e orientare sentenze e pronunce, decisioni importanti, dal Tar alla Cassazione, dal Csm alla Corte costituzionale. Il tutto in favore del Presidente del Consiglio (lodo Alfano), di qualche procuratore e presidente di Corte d’Appello (Milano), di governatori (Formigoni) e aspiranti tali (Cosentino). Molte volte, come vedremo, il presunto sodalizio piduistico è andato a buca. "La figura di merda l’amme fatta nuje cu chille d’a Corte d’Appello (…). Pasquà tutta gente inaffidabile come Fofò, Pasquale, Nicola… noi non contiamo un cazzo" si lamenta al telefono il 4 marzo 2010 Arcangelo Martino con Pasquale Lombardi. Il "rammarico" nasce dal fatto che non sono riusciti ad agire sulla corte d’Appello di Milano, nonostante i buoni uffici col presidente Alfonso Marra per la cui nomina avevano scomodato mezzo Csm (da Mancino al consigliere laico Tinelli, passando per i togati Berruti e Ferri), per far riammettere la lista di Formigoni alle regionali. Altre volte invece ha avuto successo, come nel caso delle nomine in Sardegna delle persone amiche che dovevano favorire gli interessi economici del gruppo nel settore dell’eolico. Comunque c’hanno provato in continuazione, sempre. Associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso, alla violenza privata e alla diffamazione. Non basta: l’aggiunto della procura di Roma Giancarlo Capaldo contesta a Carboni, Lombardi e Martino anche l'articolo 2 della legge Anselmi, quella che ha sciolto perché illegale la loggia P2. I promotori dell’associazione sono tre vecchie conoscenze: Flavio Carboni, l’uomo che ha intrecciato - sempre indenne a parte il crac dell’Ambrosiano - tutti i misteri d’Italia, dalla P2 alla morte di Roberto Calvi; Pasquale Lombardi, esponente della Dc campana, ex sindaco del suo paese in provincia di Avellino ed ex componente di Commissioni Tributarie; Arcangelo Martino, assessore socialista al comune di Napoli già coinvolto in Tangentopoli. Tre che forse un esponente delle istituzioni farebbe meglio a non frequentare. Tre, invece, che chiedono e vengono ricevuti, al Csm dal vicepresidente Nicola Mancino, in Cassazione dal presidente Vincenzo Carbone, da sottosegretari (Caliendo e Cosentino), da decine e decine di parlamentari, da Dell’Utri a Verdini, entrambi pdl, a Lusetti (Pd, ex Margherita). Come tutti i sodalizi criminali, anche questo ha un luogo e una data di nascita. La sera del 23 settembre 2009 nel bellissimo appartamento di Denis Verdini, palazzo Pecci Blunt in piazza dell’Ara Coeli, si ritrovano Carboni, Martino, Lombardi, il senatore Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Motivo della riunione è l’esito del Lodo Alfano, lo scudo processuale che avrebbe dovuto mettere il premier al riparo dai processi in cui è imputato. La Consulta si riunirà il 6 ottobre e tutta la maggioranza è in fibrillazione. Sarà quella, come poi dimostrato dalle cronache, una data spartiacque delle legislatura. Specie se, come poi è avvenuto, la Corte dovesse bocciare il Lodo. Tutti cercano di dare una mano al premier. Di farlo sapere e di averne in cambio favori. "Tra settembre e ottobre - si legge nell’ordinanza del gip Giovanni De Donato - Carboni, Martino e Lombardi hanno tentato l’avvicinamento di giudici della Corte Costituzionale per influire sul Lodo. L’operazione si intreccia con il tentativo dei tre di ottenere la candidatura dell’onorevole Nicola Cosentino alla presidenza della Regione Campania, contropartita in cambio degli interventi compiuti sulla Corte Costituzionale". Il gip, al momento, dà conto di sei tentativi di condizionamento, per sei questioni diverse: Lodo Alfano; nomina di Cosentino; gli impianti per l’eolico in Sardegna; la riammissione della lista Formigoni alle regionali; le pressioni sul Csm per le nomine di alcuni procuratori (Isernia, Nocera Inferiore, Corte d’Appello di Milano); le pressioni sul ministero per inviare un’ispezione a Milano alla Commissione che aveva bocciato la lista Formigoni. Lo scheletro dell’inchiesta sono le intercettazioni, telefoniche e ambientali. A proposito del Lodo, il 30 settembre Lombardi chiama l’ex presidente emerito Cesare Mirabelli: "I suoi colleghi, su che posizione staranno? La donna, dicono che è amica sua, possiamo intervenire almeno su di lei?". Il Lodo sarà bocciato con 9 voti contrari e sei favorevoli. E Lombardi dirà a Martino: "Che figura di merda, noi non cumandamm manc ‘o cazz". Per far fuori Caldoro in favore di Cosentino ("quel bravo ragazzo" dice Martino a Carboni) alla guida della Campania, il gruppo agisce su due piani. Da un lato Lombardi agisce col presidente della Cassazione Vincenzo Carbone per intervenire a favore del ricorso contro la richiesta d’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa del sottosegretario (ricorso che sarà poi rigettato). Dall’altra il gruppo agisce per diffamare, via internet ("tutto on line, come siamo moderni noi") Caldoro e sue presunte abitudini sessuali. "Un Marrazzo in Campania" si diverte Martino al telefono con Sica, sindaco di Pontecagnano "che fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci, povero Berlusconi". Andranno in porto due operazioni su sei (Sardegna, Corte d’Appello). "Se è vero che il sodalizio non sempre riesce nei propri scopi - scrive il gip - la mancata realizzazione degli obiettivi non esclude il reato di associazione segreta". Anche perché questa nuova presunta P2 agirà, come vedremo, anche su altri fronti. 10 luglio 2010
"Professò, ci aiuti per il Lodo Alfano, so' anche amici suoi"... di Massimo Solanitutti gli articoli dell'autore Nicola Cosentino presidente della Campania. Per il gruppo di Carboni è una missione. Così, quando il sottosegretario è raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare per i suoi rapporti con i Casalesi, la "ditta" si attiva per correre ai ripari: la prima mossa è intervenire con la Corte di Cassazione per chiedere (senza successo) l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare. Il 17 gennaio 2010 Lombardi telefona al primo presidente Vincenzo Carbone. "Ieri sono stato con molti amici bravi, parlano tutti bene di te, dicono che tu dovresti stare altri due anni alla Cassazione (...) Comunque venerdì sto da te perché ti voglio riferire quello che hanno detto". Il 25 gennaio Lombardo informa il sottosegretario Cosentino del suo intervento. "Io ho fatto il 90%, il dieci lo devi fare tu. Tu domattina te ne vai un po’ da Letta, Gianni, il quale è in ottimi rapporti con il mio amico". Il 26 gennaio Lombardi richiama Carbone: "Io mi so fatto portare l’olio e te lo porto domani mattina. Ti ha chiamato Letta?". L’intervento sulla Cassazione non sembra funzionare, e ecco allora pronto il piano B. "Dopo che i vertici del partito avevano individuato come candidato alla presidenza della Regione Campania Stefano Caldoro - scrive infatti il gip - il gruppo ha iniziato una intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato tentando di diffondere notizie diffamatorie sul suo conto". Al progetto partecipa anche Ernesto Sica, all’epoca sindaco del Comune di Pontecagnano. Il 21 gennaio Martino chiama Sica. Martino: "Allora, noi abbiamo messo in piedi una cosa strepitosa. Questa cosa va accompagnata e assecondata fino all’ultimo". Sica: "Non so, tu pensi che una valanga mediatica sia opportuna? Ci vorrebbe un regista mediatico bravissimo". I due si sentono anche il giorno successivo. Sica: "Dico, mò tanto uscirà quella bomba e uscirà al momento opportuno!" Martino: "Ma quello, ma lui quando sta costruendo il dossier lo costruisce per fare questo, sennò che senso avrebbe?" L’8 febbraio Martino riceve un sms: "Dicci a Nicola che dovrebbe uscire il rapporto di Caldoro coi trans. Forse del problema ha parlato anche un pentito. Che fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci. Povero Berlusconi". Nel pomeriggio del 9 febbraio Sica chiama Martino dopo che su un sito web è stata pubblicata una notizia infamante sul conto di Caldoro. Sica: "Mo stavo leggendo, ho visto Internet, una cosa incredibile, dice: "Un Marrazzo in Campania, nuovo caso Marrazzo". (...) Parla di queste passioni erotiche che c’ha Caldoro". Il Lodo Alfano deve passare al vaglio della Corte Costituzionale, e il gruppo di Carboni si spende perché la Consulta non bocci l’ombrello legislativo predisposto per il premier Berlusconi. Lombardi gioca la carta pesante. "Dopo essersi procurato il suo numero personale - scrive infatti il gip - la mattina del 30 settembre telefona al presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli. (...) "No dicevo questo, siccome il sei ottobre si verificherà il lodo del ministro... In quell’occasione i suoi amici colleghi, ex colleghi, su che posizioni staranno?". Alla risposta generica dell’interlocutore Lombardi chiarisce in termini espliciti il suo interesse. "Quella della Consulta che è la donna, dice che è sua amica". Nonostante il crescente imbarazzo di Mirabelli l’altro non desiste: "Possiamo intervenire almeno su questa signora?". La replica dell’interlocutore, che cerca con evidenza di sottrarsi alla richiesta inopportuna ("Mah, non è che gli interventi valgano granché") non frena Lombardi, che lo informa che "abbiamo fatto un po’ tutto noi, abbiamo fatto almeno accertare di raggiungere un po’ quasi tutti e le dico il risultato, quattro negativi, cinque positivi, tre ni", e insiste: "Vedi un po’ se sulla signora possiamo avere un riscontro". Poi la chiusa: "Professò, mi stanno mettendo in croce gli amici miei... Sono anche amici suoi eh?"". 10 luglio 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
2010-07-10 Cappellacci chiamato dai giudici per lo scandalo eolico Il governatore della Sardegna Ugo Cappellacci ha ricevuto dalla procura della repubblica di Roma l'avviso a comparire nell'ambito dell'inchiesta su un presunto comitato d'affari che avrebbe voluto condizionare gli appalti dell'energia rinnovabile in Sardegna. Secondo i legali di Cappellacci il provvedimento dei magistrati presenterebbe dei vizi di forma e sarebbe per questo nullo. Il governatore si è comunque preoccupato di fare subito delle dichiarazioni confermando di aver ricevuto l'invito a comparire, di aver fiducia nella magistratura e di essere pronto quanto prima a chiarire la sua posizione davanti ai magistrati.Cappellacci figura nell'elenco degli indagati nell'ambito dell'indagine che ha portato all'arresto dell'imprenditore Flavio Carboni. Assieme a Cappellacci saranno ascoltati Ignazio Farris, presidente dell'Arpas Sardegna; Franco Piga, presidente dell'Autorità d'Ambito territoriale della Sardegna; e a Gabriele Asunis, assessore regionale dell'Urbanistica. Potrebbero essere interrogati dal giudice già mercoledì. 10 luglio 2010
Il faccendiere a Denis: "Sentiamo Ugo" Tutto comincia nel luglio del 2009. Flavio Carboni è impegnatissimo sul fronte sardo e ha un obiettivo preciso: la nomina di Ignazio Farris a direttore dell’Arpas, l’agenzia regionale sarda per l’ambiente. Ne parla con Pinello Cossu, consigliere provinciale a Iglesias. Ne discute con un consulente dell’Arpa, Marcello Garau. Scrivono i magistrati nell’ordinanza che ha portato in cella Carboni: "Colpisce il fatto che Carboni discorra di una nomina attribuita dalla legge regionale alla competenza della giunta come di una cosa della quale può disporre lui stesso". Il 5 agosto del 2009 Denis Verdini rassicura Carboni: gli parla di una seduta straordinaria e di un "intervento fulmineo" per la nomina di Farris. Che il giorno dopo gli viene confermata dall’assessore Gabriele Asunis. Ma a fine agosto la nomina non è stata ancora ufficializzata. E Flavio Carboni dà nuovi segni di nervosismo. Telefona a Verdini e gli chiede di chiamare "il nostro Ugo". L’intervento evidentemente ha un effetto. Perché nel pomeriggio dello stesso giorno Cappellacci chiama Flavio Carboni e gli assicura che "è tutto a posto". Poco dopo è Carboni a chiamare Farris per dargli la lieta notizia. E questi, grato, commenta: "Adesso bisognerà rimboccarsi le maniche". Secondo i magistrati, la gratitudine di Farris è più che giustificata: la sua nomina è avvenuta senza alcuna valutazione comparativa dei suoi titoli con quelli di altri candidati. Siamo alla fase-due. Carboni ora lavora per semplificare a suo favore le procedure. E Farris lo rassicura più volte: "Ho già preparato il regolamento per l’autorizzazione unica". C’è, però, qualche problema sulle competenze dell’Arpa: non è chiaro se l’ente debba fare le istruttorie. Farris ne parla con Carboni e dice di aver inviato a Cappellacci un promemoria. Si assiste, in pratica, a un modellare le norme e i regolamenti seguendo le indicazioni di Carboni. E si individuano aree e terreni. Qua compare la figura di un ingegnere, Franco Piga, che Farris indica come "uomo di totale fiducia del presidente". Questa attività culmina, il 21 ottobre del 2009, in un incontro nella casa romana di Verdini, presenti Carboni e, con tutta probabilità secondo i giudici, anche Cappellacci. Si parla ancora della "semplificazione" delle procedure. È un inseguirsi di incontri e di riunioni. In un’occasione è presente anche Marcello Dell’Utri. Ma nel febbraio scorso salta tutto. Verdini, indagato dalla procura di Firenze per gli appalti alla protezione civile, abbandona la partita. Chiama Carboni per annunciare che è costretto a interrompere i rapporti: "Mi devi capire, mi devi scusare...". Si diffonde la paura. Poco dopo, il 12 marzo 2010, la giunta regionale approva un regolamento che va in senso opposto alle aspettative di Carboni. Cappellacci è esasperato, preoccupato: "Basta - dice all’ingegner Piga - mi sono rotto veramente le palle". 10 luglio 2010
L’agenzia segreta di Carboni per aggiustare giudici e politici di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore A volte ritornano. Forse, peggio, non sono mai sparite del tutto. Sono le cricche, più o meno occulte, che muovono i fili del nostro paese. Se ha agito in modo "palese" la cricca di Anemone e Balducci pur in barba alle regole e al mercato, quella di Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino "era caratterizzata dalla segretezza degli scopi volta a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali e di apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali". Una nuova P2. Di sicuro una sorta di agenzia segreta che aveva come obiettivo il condizionamento di giudici e politici per aggiustare e orientare sentenze e pronunce, decisioni importanti, dal Tar alla Cassazione, dal Csm alla Corte costituzionale. Il tutto in favore del Presidente del Consiglio (lodo Alfano), di qualche procuratore e presidente di Corte d’Appello (Milano), di governatori (Formigoni) e aspiranti tali (Cosentino). Molte volte, come vedremo, il presunto sodalizio piduistico è andato a buca. "La figura di merda l’amme fatta nuje cu chille d’a Corte d’Appello (…). Pasquà tutta gente inaffidabile come Fofò, Pasquale, Nicola… noi non contiamo un cazzo" si lamenta al telefono il 4 marzo 2010 Arcangelo Martino con Pasquale Lombardi. Il "rammarico" nasce dal fatto che non sono riusciti ad agire sulla corte d’Appello di Milano, nonostante i buoni uffici col presidente Alfonso Marra per la cui nomina avevano scomodato mezzo Csm (da Mancino al consigliere laico Tinelli, passando per i togati Berruti e Ferri), per far riammettere la lista di Formigoni alle regionali. Altre volte invece ha avuto successo, come nel caso delle nomine in Sardegna delle persone amiche che dovevano favorire gli interessi economici del gruppo nel settore dell’eolico. Comunque c’hanno provato in continuazione, sempre. Associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso, alla violenza privata e alla diffamazione. Non basta: l’aggiunto della procura di Roma Giancarlo Capaldo contesta a Carboni, Lombardi e Martino anche l'articolo 2 della legge Anselmi, quella che ha sciolto perché illegale la loggia P2. I promotori dell’associazione sono tre vecchie conoscenze: Flavio Carboni, l’uomo che ha intrecciato - sempre indenne a parte il crac dell’Ambrosiano - tutti i misteri d’Italia, dalla P2 alla morte di Roberto Calvi; Pasquale Lombardi, esponente della Dc campana, ex sindaco del suo paese in provincia di Avellino ed ex componente di Commissioni Tributarie; Arcangelo Martino, assessore socialista al comune di Napoli già coinvolto in Tangentopoli. Tre che forse un esponente delle istituzioni farebbe meglio a non frequentare. Tre, invece, che chiedono e vengono ricevuti, al Csm dal vicepresidente Nicola Mancino, in Cassazione dal presidente Vincenzo Carbone, da sottosegretari (Caliendo e Cosentino), da decine e decine di parlamentari, da Dell’Utri a Verdini, entrambi pdl, a Lusetti (Pd, ex Margherita). Come tutti i sodalizi criminali, anche questo ha un luogo e una data di nascita. La sera del 23 settembre 2009 nel bellissimo appartamento di Denis Verdini, palazzo Pecci Blunt in piazza dell’Ara Coeli, si ritrovano Carboni, Martino, Lombardi, il senatore Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Motivo della riunione è l’esito del Lodo Alfano, lo scudo processuale che avrebbe dovuto mettere il premier al riparo dai processi in cui è imputato. La Consulta si riunirà il 6 ottobre e tutta la maggioranza è in fibrillazione. Sarà quella, come poi dimostrato dalle cronache, una data spartiacque delle legislatura. Specie se, come poi è avvenuto, la Corte dovesse bocciare il Lodo. Tutti cercano di dare una mano al premier. Di farlo sapere e di averne in cambio favori. "Tra settembre e ottobre - si legge nell’ordinanza del gip Giovanni De Donato - Carboni, Martino e Lombardi hanno tentato l’avvicinamento di giudici della Corte Costituzionale per influire sul Lodo. L’operazione si intreccia con il tentativo dei tre di ottenere la candidatura dell’onorevole Nicola Cosentino alla presidenza della Regione Campania, contropartita in cambio degli interventi compiuti sulla Corte Costituzionale". Il gip, al momento, dà conto di sei tentativi di condizionamento, per sei questioni diverse: Lodo Alfano; nomina di Cosentino; gli impianti per l’eolico in Sardegna; la riammissione della lista Formigoni alle regionali; le pressioni sul Csm per le nomine di alcuni procuratori (Isernia, Nocera Inferiore, Corte d’Appello di Milano); le pressioni sul ministero per inviare un’ispezione a Milano alla Commissione che aveva bocciato la lista Formigoni. Lo scheletro dell’inchiesta sono le intercettazioni, telefoniche e ambientali. A proposito del Lodo, il 30 settembre Lombardi chiama l’ex presidente emerito Cesare Mirabelli: "I suoi colleghi, su che posizione staranno? La donna, dicono che è amica sua, possiamo intervenire almeno su di lei?". Il Lodo sarà bocciato con 9 voti contrari e sei favorevoli. E Lombardi dirà a Martino: "Che figura di merda, noi non cumandamm manc ‘o cazz". Per far fuori Caldoro in favore di Cosentino ("quel bravo ragazzo" dice Martino a Carboni) alla guida della Campania, il gruppo agisce su due piani. Da un lato Lombardi agisce col presidente della Cassazione Vincenzo Carbone per intervenire a favore del ricorso contro la richiesta d’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa del sottosegretario (ricorso che sarà poi rigettato). Dall’altra il gruppo agisce per diffamare, via internet ("tutto on line, come siamo moderni noi") Caldoro e sue presunte abitudini sessuali. "Un Marrazzo in Campania" si diverte Martino al telefono con Sica, sindaco di Pontecagnano "che fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci, povero Berlusconi". Andranno in porto due operazioni su sei (Sardegna, Corte d’Appello). "Se è vero che il sodalizio non sempre riesce nei propri scopi - scrive il gip - la mancata realizzazione degli obiettivi non esclude il reato di associazione segreta". Anche perché questa nuova presunta P2 agirà, come vedremo, anche su altri fronti. 10 luglio 2010
"Ma quali reati, era solo normale lobby"... di Angela Camusotutti gli articoli dell'autore Ha respinto le accuse, sostenendo che le pressioni da lui esercitate al fine di favorire, ad esempio, la nomina di Ignazio Farris a presidente dell’Arpa in Sardegna ovvero a caldeggiare la candidatura di Cosentino a presidente della Regione Campania erano "normali attività di sostegno politico", cioè attività lecite di lobby. E che se altri suoi amici hanno commesso reati, come acquisire informazioni coperte dal segreto ovvero realizzare dossier contro Stefano Caldoro, costoro lo hanno fatto "a sua insaputa". Così, ieri mattina a Regina Coeli, si è difeso affiancato dal sua avvocato Renato Borzone il faccendiere Flavio Carboni, nel corso dell’interrogatorio di garanzia durato quasi due ore e interrotto da un malore accusato dall’indagato, che ha lamentato le sue gravi condizioni di salute per problemi cardiaci, facendo presente di aver subito un infarto soltanto un anno e mezzo fa. Davanti a Carboni, oltre al gip Giovanni De Donato, il pm Rodolfo Sabelli e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che gli hanno contestato le numerose telefonate che dimostrerebbero, secondo l’accusa, l’esistenza di una società segreta volta a condizionare attraverso la commissione di reati l’andamento democratico delle istituzioni della Repubblica. L’avvocato Borzone, al termine dell’interrogatorio, ha mantenuto la posizione già annunciata subito dopo l’arresto, sostenendo la debolezza dei capi d’imputazione dato che a Carboni, nell’ordinanza, non viene contestato alcun specifico episodio di corruzione ma soltanto una serie di attività svolte a fare pressioni a politici. Borzone ha anche chiesto l’immediata scarcerazione di Carboni per la sua malattia. Già ieri, a Regina Coeli, l’avvocato lo aveva trovato al centro clinico, dove era stato trasferito per un malore immediatamente dopo l’arresto. "Carboni era sconvolto, quasi in uno stato confusionale", ha detto Borzone, dicendosi ottimista. "Questa storia finirà come tutti gli altri processi che hanno coinvolto il mio assistito. Carboni viene inquisito soltanto perché ormai si è fatto una brutta fama", dice l’avvocato, che ha difeso il faccendiere anche nell’ultimo importante processo a suo carico, quello per l’omicidio del banchiere Roberto Calvi, finito con un’assoluzione per insufficienza di prove. D’altra parte, c’è da dire che stando a indiscrezioni circolate in ambienti giudiziari l’inchiesta contro la società segreta avrebbe subito un’accelerazione a seguito di fughe di notizie. L’inchiesta, infatti, si basa quasi esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche, diventate inutili nel momento in cui gli indagati ne sono stati informati. 10 luglio 2010
"Professò, ci aiuti per il Lodo Alfano, so' anche amici suoi"... di Massimo Solanitutti gli articoli dell'autore Nicola Cosentino presidente della Campania. Per il gruppo di Carboni è una missione. Così, quando il sottosegretario è raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare per i suoi rapporti con i Casalesi, la "ditta" si attiva per correre ai ripari: la prima mossa è intervenire con la Corte di Cassazione per chiedere (senza successo) l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare. Il 17 gennaio 2010 Lombardi telefona al primo presidente Vincenzo Carbone. "Ieri sono stato con molti amici bravi, parlano tutti bene di te, dicono che tu dovresti stare altri due anni alla Cassazione (...) Comunque venerdì sto da te perché ti voglio riferire quello che hanno detto". Il 25 gennaio Lombardo informa il sottosegretario Cosentino del suo intervento. "Io ho fatto il 90%, il dieci lo devi fare tu. Tu domattina te ne vai un po’ da Letta, Gianni, il quale è in ottimi rapporti con il mio amico". Il 26 gennaio Lombardi richiama Carbone: "Io mi so fatto portare l’olio e te lo porto domani mattina. Ti ha chiamato Letta?". L’intervento sulla Cassazione non sembra funzionare, e ecco allora pronto il piano B. "Dopo che i vertici del partito avevano individuato come candidato alla presidenza della Regione Campania Stefano Caldoro - scrive infatti il gip - il gruppo ha iniziato una intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato tentando di diffondere notizie diffamatorie sul suo conto". Al progetto partecipa anche Ernesto Sica, all’epoca sindaco del Comune di Pontecagnano. Il 21 gennaio Martino chiama Sica. Martino: "Allora, noi abbiamo messo in piedi una cosa strepitosa. Questa cosa va accompagnata e assecondata fino all’ultimo". Sica: "Non so, tu pensi che una valanga mediatica sia opportuna? Ci vorrebbe un regista mediatico bravissimo". I due si sentono anche il giorno successivo. Sica: "Dico, mò tanto uscirà quella bomba e uscirà al momento opportuno!" Martino: "Ma quello, ma lui quando sta costruendo il dossier lo costruisce per fare questo, sennò che senso avrebbe?" L’8 febbraio Martino riceve un sms: "Dicci a Nicola che dovrebbe uscire il rapporto di Caldoro coi trans. Forse del problema ha parlato anche un pentito. Che fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci. Povero Berlusconi". Nel pomeriggio del 9 febbraio Sica chiama Martino dopo che su un sito web è stata pubblicata una notizia infamante sul conto di Caldoro. Sica: "Mo stavo leggendo, ho visto Internet, una cosa incredibile, dice: "Un Marrazzo in Campania, nuovo caso Marrazzo". (...) Parla di queste passioni erotiche che c’ha Caldoro". Il Lodo Alfano deve passare al vaglio della Corte Costituzionale, e il gruppo di Carboni si spende perché la Consulta non bocci l’ombrello legislativo predisposto per il premier Berlusconi. Lombardi gioca la carta pesante. "Dopo essersi procurato il suo numero personale - scrive infatti il gip - la mattina del 30 settembre telefona al presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli. (...) "No dicevo questo, siccome il sei ottobre si verificherà il lodo del ministro... In quell’occasione i suoi amici colleghi, ex colleghi, su che posizioni staranno?". Alla risposta generica dell’interlocutore Lombardi chiarisce in termini espliciti il suo interesse. "Quella della Consulta che è la donna, dice che è sua amica". Nonostante il crescente imbarazzo di Mirabelli l’altro non desiste: "Possiamo intervenire almeno su questa signora?". La replica dell’interlocutore, che cerca con evidenza di sottrarsi alla richiesta inopportuna ("Mah, non è che gli interventi valgano granché") non frena Lombardi, che lo informa che "abbiamo fatto un po’ tutto noi, abbiamo fatto almeno accertare di raggiungere un po’ quasi tutti e le dico il risultato, quattro negativi, cinque positivi, tre ni", e insiste: "Vedi un po’ se sulla signora possiamo avere un riscontro". Poi la chiusa: "Professò, mi stanno mettendo in croce gli amici miei... Sono anche amici suoi eh?"". 10 luglio 2010
Gerardo D'Ambrosio: "Il peggio non è mai passato Ma nel potere si aprono crepe" Dottor D’Ambrosio, è tutta colpa di Flavio Carboni se abbiamo pensato a lei. È riemerso il faccendiere di tutti i faccendieri, è il passato che torna e che forse non se n’è mai andato, un incrocio epocale tra malaffare, misteri, politica, potere, un brandello della nostra più triste mitologia. Da Calvi all’Ambrosiano, da Moro alle cosche ed eccolo qui vivacissimo e ficcante, di nuovo, titolare di quell’incrocio, nei servizi offerti a un potere che si sviluppa come una gonna plissettata, fatta di angoli acuti disegnati però sempre dallo stesso filo. Carboni momentaneamente in cella, un presentimento oscuro nel cuore, uno scandalo nuovo dai contorni fin qui sfocati che, per via di quel nome, pare già vecchio. Saremo dei sentimentali, dottor D’Ambrosio, ma abbiamo pensato a lei che aveva ficcato il naso nel crack dell’Ambrosiano. Che effetto le fa ritrovare il nome di Flavio Carboni nei titoli di testa delle nostre cronache? "Non me ne meraviglio, pochissimo tempo fa è riemerso perfino Chiesa dalle nebbie della Prima Repubblica..." Prima, seconda...dobbiamo stare al gioco? " Ciascuno faccia come crede. Il malaffare in Italia non ha subito traumi significativi negli ultimi decenni, si muove allo stesso modo, penetra forse meglio e più di un tempo nei gangli della pubblica amministrazione, governa mercato e politica. Dov’è che inizia la Seconda Repubblica?" Dicono da Mani pulite. Da quando lei e altri bravi colleghi avete dato uno scossone a quel sistema di relazioni di potere ben nascoste dai caveau e dalle segreterie... "Scossone...Mi viene in mente Solone: diceva che bisognava dare uno scossone per alleggerire...dovremmo farlo oggi più di ieri perché la mia opinione è che dopo Mani Pulite sia incrementato...chiamiamolo il "coefficiente di penetrazione" del malaffare nelle commesse pubbliche. Non siamo passati dal paradiso all’inferno, sia chiaro. Anche in altri tempi le commesse, pur passando dalla fase della gara d’appalto, veleggiavano sulla base di sentieri spesso oscuri e predefiniti; ma oggi con ciò che si è fatto e si tende a fare distribuendo pass "politici" per urgenza e "grandi eventi", si saltano formalità deterrenti rispetto alla spudoratezza dell'agire a "man bassa", soprattutto si legittima ciò che la forma condannerebbe all’illegittimità, è una virata etica notevole, del tutto al passo con la nostra contemporaneità..." Scherza? Sta dicendo che abbiamo fatto passi indietro rispetto a quel verminaio? Che l'Italia è più marcia di allora, di quando si faceva suicidare il padrone di una banca sotto un ponte londinese e uno come Carboni veniva accusato di aver collaborato a quel "suicidio"; non solo, gli si imputava persino di aver fatto mercato dei segreti custoditi nella borsa di Calvi su un "banchetto" gestito dallo Ior? " Sì, confermo, stiamo peggio ma sono ottimista: mi pare che la gente, i cittadini, la base del paese stia dando segnali incoraggianti, non ne può più di questo stato di cose, ne ha consapevolezza, lotta. Dai cittadini de L’Aquila ai disabili: troppe crepe in questo presente che si vorrebbe blindare, anche con la legge bavaglio..." Come si fa a raccontare alla gente che Mani Pulite è servito così a poco? "Basta spiegare che Mani Pulite è finita mentre stava per affrontare il passaggio più alto e impegnativo nella lotta al malaffare e alle sue connessioni con la politica. Alla vigilia di quella fase, la magistratura fu messa al centro di un vortice tremendo in cui la parola d'ordine era una sola: sono i giudici i criminali, e quella parola d'ordine ci fu sistemata sulla testa come una lapide...come stanno facendo anche oggi..." Per essere sinceri, ricordo anche illustri esponenti della sinistra accodarsi, con qualche garbo in più, a quel coro... "E mica l'hanno concluso. Che senso ha garantirsi – come proponeva qualcuno nel Pd - che il presidente della Repubblica possa insediarsi al Quirinale anche se è sotto processo per un grave reato? Ce l'ha solo se si pensa di voler stendere uno zerbino in vista della salita al Colle di Berlusconi. Fortuna che questa cosa è rientrata, ma che aria è questa? Ci vuole uno scossone, lo dicevo prima...". 10 luglio 2010
Fondi neri Finmeccanica in manette Lorenzo Cola di Massimo Solanitutti gli articoli dell'autore Era appena rientrato dalla Svezia, dove aveva assistito la moglie in sala parto, e valigie in mano era già pronto a salire su un aereo con destinazione Stati Uniti. L’Italia gli scottava sotto ai piedi e altissimo era il rischio di essere arrestato per via di quella storia di riciclaggio e fondi neri su cui i magistrati della capitale hanno iniziato a ficcare il naso dopo l’esplosione dello scandalo Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Lorenzo Cola, ex consulente Finmeccanica, sapeva bene che la sua libertà aveva le ore contate, per questo aveva fretta di partire. I carabinieri del Ros lo hanno bloccato giovedì pomeriggio a Roma in pieno centro e lo hanno trasferito al carcere romano di Rebibbia in esecuzione del provvedimento di fermo firmato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai sostituti Rodolfo Sabelli, Giovanni Bombardieri, Francesca Passaniti. Che nel decreto hanno messo nero su bianco "il concreto e fondato pericolo di fuga", originato dalla "consapevolezza dell’indagato di un’indagine a suo carico" e dimostrato "dall’imminente allontanamento per l’estero". Quello di Lorenzo Cola non è un nome qualunque. "Ieri sera sono stato a cena con uno dei capoccioni di Finmeccanica, uno dei tre che contano", spiegava al telefono Gennaro Mokbel imprenditore la cui storia ha incrociato sia quella della Banda della Magliana che quella della ‘Ndrangheta e finito in carcere per l’esplodere dello scandalo Telecom-Fastweb. Proprio a Cola, infatti, il gruppo Mokbel avrebbe fatto arrivare circa 7,5 milioni di euro per il tramite dell’ex senatore Nicola Di Girolamo (arrestato nel marzo scorso) l’uomo che le cosche calabresi e Gennaro Mokbel avrebbero portato fino a Palazzo Madama aiutando la sua elezione nella circoscrizione estero. Quei soldi, ha raccontato Di Girolamo nelle scorse settimane iniziando a collaborare con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, dovevano servire per garantire alla Digint (società di cui il senatore e Mokbel detenevano il 51%, il restante 49% era in mano a Finmeccanica) commesse e appalti per conto della holding della Difesa. "Tramite Nicola - spiegava al telefono il faccendiere romano - ci hanno offerto di aprire un’agenzia per tutto il centro Asia per la vendita di prodotti per la sicurezza, prodotti militari e elicotteri". Parole che proprio Di Girolamo aveva chiarito nel corso dei suoi interrogatori con Capaldo. "Dal 2008 e nell’arco di tre anni - ha infatti spiegato l’ex senatore - Digint avrebbe avuto contratti di fornitura e partecipazioni da società legate a Finmeccanica per un totale di 50 milioni di euro". Uno sviluppo aziendale che avrebbe poi permesso al gruppo Mokbel di rivendere la Digint (una scatola vuota da riempire di contratti, secondo il Ros) a Finmeccanica per un prezzo esorbitante. E i soldi di cui ha parlato Di Girolamo secondo l’accusa avrebbero fatto parte di un versamento complessivo di otto milioni e 300 mila euro che, almeno nominalmente, dovevano servire per l’acquisizione della Digint. Di questi, però, 7,5 erano in realtà la "commessa" riservata a Cola per il suo interessamento. Per questo, grazie alle rogatorie inviate a Hong Kong, in Svezia e a San Marino, i magistrati romani hanno fatto scattare le manette con l’accusa di concorso in riciclaggio aggravato. 10 luglio 2010
Eutelia, arrestati otto ex manager di Giuseppe Vespotutti gli articoli dell'autore Con l’accusa di bancarotta fraudolenta, otto ex manager di Agile-Eutelia e Omega sono stati raggiunti ieri da altrettanti mandati d’arresto nell’ambito dell’operazione coordinata dal pm Paolo Ielo della procura di Roma e condotta in tutta Italia dalla Guardia di Finanza. Le indagini sul crac Agile, il ramo di information tecnology che Eutelia ha ceduto al gruppo Omega, hanno portato in carcere Isacco Landi, consigliere di amministrazione Eutelia; Pio Piccini, ex presidente ed amministratore delegato di Omega e amministratore unico di Agile; Leonardo Pizzichi, presidente del Cda di Eutelia; Claudio Marcello Massa, amministratore di fatto di Agile, amministratore pro-tempore di Omega; Marco Fenu, dirigente di Agile e tesoriere del Gruppo Omega; Salvatore Cammalleri, nella qualità di amministratore unico e procuratore di Agile; Antonangelo Liori, deus ex machina del Gruppo Omega ed ex direttore del quotidiano l’Unione Sarda. L’unico finora sfuggito all’arresto è Samuele Landi. L’ex presidente del Cda di Agile nonché amministratore di Eutelia, famoso per la violenta irruzione nello stabilimento Eutelia occupato dai dipendenti, si trova infatti a Dubai. Il gruppo di ex manager avrebbe distratto patrimoni della società per più di 11 milioni di euro (11.1179.989) e messo in atto operazioni dolose per "cagionare il fallimento di Agile", con l’intento di spogliarla dei suoi asset e di sottrarre la garanzia ai creditori più importanti, i circa duemila dipendenti. Gli arrestati avrebbero anche sottratto crediti alla Agile per poi cederli senza corrispettivo a garanzia di obbligazioni assunte da altri soggetti, per un valore pari a 5.529.543 euro. Proprio ieri al ministero dello Sviluppo economico si è tenuto l’ennesimo tavolo sindacale su Agile, che in questo momento è commissariata. A breve il Tribunale di Roma deciderà se decretarne il fallimento o l’amministrazione straodrinaria. 10 luglio 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
2010-07-08 Eolico in Sardegna: arrestato Flavio Carboni Una superloggia segreta e pressioni su Lodo Alfano di Paola Meddetutti gli articoli dell'autore Il faccendiere sardo Flavio Carboni è stato arrestato questa mattina a Roma dai carabinieri del nucleo investigativo con mandato firmato dal gip Giovanni De Donato su richiesta del pubblico ministero Rodolfo Sabelli. Carboni, 78 anni, originario di Torralba, in provincia di Sassari, è stato condotto a Regina Coeli. Il suo difensore Renato Borzone ha già annunciato il ricorso al tribunale delle Libertà. In manette anche il geometra Pasquale Lombardi, ex sindaco Dc dell'Avellinese e membro delle commissioni tributarie, che si trova nel carcere di Bellizzi, in Irpinia, e l'imprenditore edile Arcangelo Martino, recluso a Napoli. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere semplice e la violazione degli articoli 1 e 2 della legge Anselmi che riguarda le associazioni segrete. Sugli arresti spunta così l'ombra della massoneria: "Banda segreta come la P2 per pilotare giudici e politici". L'ORDINANZA L'accusa più pesante per Carboni, Martino e Lombardi, secondo quanto contenuto nell'ordinanza di custodia cautelare, riguarda il tentativo, nella primavera del 2009, di avvicinare i giudici della Corte Costituzionale per influire sull'esito del giudizio relativo al cosiddetto Lodo Alfano che aveva introdotto la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato. Gli indagati avrebbero anche esercitato pressioni, tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010, per cercare di candidare alla presidenza della Regione Campania Nicola Cosentino e per recuperarne la candidatura, dopo l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, avvicinando il presidente della Corte di Cassazione. Non solo, ma dopo che il Pdl aveva dirottato le preferenze su Stefano Caldoro, il gruppo si sarebbe attivato per screditare il nuovo candidato, tentando di diffondere notizie diffamatorie sul suo conto. La magistratura contesta inoltre le pressioni su componenti del Csm per la nomina a cariche direttive di alcuni magistrati graditi - tra i quali, secondo il gip, Alfonso Marra, aspirante alla carica di presidente della Corte d'appello di Milano - e diversi tentativi di influenzare l'esito del ricorso per la riammissione della lista del presidente della Lombardia Roberto Formigoni. Nel mirino anche i rapporti con alcuni rappresentanti del Ministero della Giustizia, che sarebbero stati avvicinati dalla "cricca" perché venisse avviata un'ispezione sui magistrati milanesi che, facendo parte del collegio, esclusero la lista Formigoni. Quello emerso oggi rappresenta un stralcio della più ampia indagine avviata nel 2008 sugli appalti per l'eolico in Sardegna. L'imprenditore sardo e gli altri due uomini arrestati erano finiti nel registro degli indagati della Procura di Roma insieme ad altre tre persone, tutti con l'accusa di corruzione: Pinello Cossu, consigliere Udc della provincia di Carbonia Iglesias; Ignazio Farris, nominato dalla Giunta Cappellacci alla direzione dell'ARPAS (Agenzia Regionale Protezione Ambiente); Franco Piga, commissario dell'Autorità d'ambito, ruolo importante nella gestione delle acque. Nello specifico, Cossu avrebbe raccomandato Farris a Carboni, che lo avrebbe a sua volta "imposto" come Direttore dell'ARPAS alla Giunta Cappellacci. Secondo gli inquirenti, attorno all'eolico sardo si sarebbe sviluppato un "sistema gelatinoso" manovrato da Carboni e mirato a ottenere appoggi politici per favorire imprenditori interessati alla realizzazione di parchi eolici in Sardegna, affievolendo i lacci e lacciuoli burocratici imposti dalla normativa. E non è un mistero che nell'agosto del 2009 la Giunta Cappellacci fece cadere effettivamente quasi tutti i vincoli per gli impianti eolici fissati dalla precedente Giunta Soru dando il via, di fatto, a un far west del vento su cui fece marcia indietro solo nel marzo 2010 con una delibera di stop assoluto, quando e perché, probabilmente, la "cricca" aveva annusato l'odore dell'inchiesta. L'INDAGINE L'indagine, partita due anni fa sulla base di un'informativa della Direzione Distrettuale Antimafia e coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai pm Rodolfo Sabelli e Ilaria Calò, si è successivamente allargata ad altri nomi eccellenti: Denis Verdini, coordinatore del Pdl, che da Carboni avrebbe intascato una maxitangente di 800 mila euro (transitati per il Credito Cooperativo Fiorentino, la banca di Verdini) per raccomandare la "cricca del vento" a Ugo Cappellacci, a sua volta indagato per corruzione e abuso d'ufficio con l'accusa di aver aggirato le vie legali per nominare all'ARPAS Ignazio Farris (delibera secretata, quella della nomina), uomo raccomandato da Carboni, come lo stesso faccendiere ha ammesso pubblicamente. Farris, a capo dell'Agenzia che effettua la Valutazione di Impatto Ambientale (Via) dei progetti di parchi eolici e che è tutt'ora al suo posto nonostante le richieste di dimissioni, avrebbe dovuto dare il via libera alle fattorie del vento targate Carboni & Co. Ma nelle intercettazioni erano rimasti impigliati anche nomi di rilievo come il senatore Marcello dell'Utri e il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, che non risultano però indagati. L'uomo chiave della vicenda, il tessitore occulto delle trame del eoliche è però lui, Flavio Carboni, personaggio che ha cavalcato i misteri della Prima e della Seconda Repubblica: coinvolto nell'indagine per la morte del banchiere Roberto Calvi sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982, accusa da cui è stato di recente assolto, è riemerso successivamente come il burattinaio dell'affaire eolico: sarebbe lui, secondo l'accusa, ad aver funzionato come anello di congiunzione tra gli interessi dei signori del vento e la Regione Sardegna attraverso l'appoggio romano di Verdini, che lo avrebbe introdotto alla corte di Cappellacci. Ma, come il presidente della Commissione antimafia Giuseppe Pisanu ha confermato, neanche la mafia starebbe a guardare: l'eolico, secondo alcune ipotesi, non sarebbe altro che il "piede nella porta" attraverso cui conquistare e svalutare i territori di maggiore pregio ambientale per dare il via , una volta minati di pali d'acciaio e svalutati a dovere, alla speculazione edilizia. 08 luglio 2010
Chi è Flavio Carboni? Dal caso Calvi in poi... Una condanna definitiva a 8 anni e 6 mesi per la vicenda del fallimento del Banco Ambrosiano, e una serie di assoluzioni. La più recente è quella dall'accusa di concorso nell'omicidio di Roberto Calvi dopo che il pm aveva chiesto la condanna all'ergastolo, ma Carboni era uscito indenne anche dall'accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, vice di Calvi all'Ambrosiano e da quella di falso e truffa ai danni del Banco di Napoli e di ricettazione della borsa di Calvi. Queste sono solo alcune delle vicende che hanno visto coinvolto il discusso faccendiere sardo Flavio Carboni, arrestato oggi per l' ennesima volta nell'ambito dell'inchiesta sull'eolico in Sardegna. Dal suo primo arresto, avvenuto in Svizzera nell'estate del 1982, Carboni ha avuto spesso a che fare con tribunale e manette, quasi sempre risolti nel nulla di fatto. L' improvviso successo economico del faccendiere di Torralba ha inizio negli anni '70 con una serie di società immobiliari e finanziarie. Poi Carboni fa il suo debutto nel mondo dell'editoria, acquistando il 35% delle azioni del quotidiano regionale 'La 'Nuova Sardegna'' e diventando editore del giornale sassarese ''Tuttoquotidiano'', per il fallimento del quale è stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma. Dagli atti giudiziari è emerso anche uno stretto legame di Carboni con esponenti della banda della Magliana e della mafia. Legato soprattutto alla storia del Banco Ambrosiano e della morte di Calvi, per la quale, oltre alla recente assoluzione dall'accusa di concorso in omicidio, era stato già chiamato in causa per la falsificazione del passaporto e l' espatrio clandestino del banchiere e per concorso in esportazione di capitali. Il suo nome emerge anche nell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: è stato ascoltato dalla Procura di Roma come testimone il 4 febbraio scorso, alla luce dei rapporti che ha avuto con esponenti del Vaticano e, nell'ambito della sua attivita' di uomo d'affari, con riferimento a soggetti legati in qualche modo alla Banda della Magliana. Rapporti con il gruppo criminale capitolino che, comunque, l'uomo d'affari ha sempre negato, affermando che si trattava di rapporti con persone di cui ignorava l'appartenenza alla banda. Durante il sequestro Moro, il chiacchierato imprenditore sardo avvicinò esponenti Dc offrendosi di sollecitare l'intervento della mafia per la sua liberazione. Qualche giorno dopo Carboni riferì pero' che la mafia non voleva aiutare Moro perché troppo legato ai comunisti. Carboni ha avuto rapporti anche con Francesco Pazienza, con Licio Gelli e con l' ex gran maestro della Massoneria Armando Corona, padre dell'attuale assessore della Regione sarda Ketty Corona. Il nome di Carboni compare anche nel falso dossier di Demarcus pubblicato sull' Avanti, (per il quale recentemente è stato indagato anche Cesare Previti) che sosteneva un legame tra Stefania Ariosto e i servizi segreti. Il dossier parlava anche di un incontro tra la Ariosto e Carboni. 08 luglio 2010
I guai di Cappellacci, tradito dai suoi e sotto inchiesta di Gianluca Serratutti gli articoli dell'autore Bocciatura del Piano Casa Cappellacci e nuovo blitz della Polizia giudiziaria negli uffici della Regione. È il 30 giugno del Governatore della Sardegna, un’altra giornata nera. Che si aggiunge alla serie innescata con l’inchiesta della procura di Roma sui presunti illeciti nel business dell’eolico, per i quali sono indagati, oltre lo stesso Cappellacci, Flavio Carboni, Denis Verdini e politici e dirigenti a loro legati. In gergo pugilistico quello di ieri è un "uno-due" che stenderebbe un toro. Il primo colpo lo sferra a Cappellacci la sua maggioranza, che boccia clamorosamente, a voto segreto, la versione sarda del Piano Casa, aggiornato e corretto dal Presidente dopo quello approvato nell’autunno scorso. Il secondo colpo arriva da un accesso agli atti della Procura di Cagliari che prefigurerebbe un nuovo filone di indagine sulle attività della giunta Cappellacci, stavolta riguardante i concorsi per l’assunzione dei dirigenti. Agenti della polizia giudiziaria avrebbero bussato all’assessorato degli Affari Generali per acquisire documenti sul reclutamento di personale e sui concorsi. A contare i secondi a Cappellacci, dopo una serie così micidiale, assieme all’opposizione c’è anche una consistente parte della maggioranza, che ha votato contro il Piano Casa (su 65 presenti, 27 i sì e 37 i no) e che il giorno precedente aveva messo in mora il Presidente. I tanti mal di pancia si condensano nella richiesta di un rimpasto della giunta e di un energico cambio di rotta rispetto a un’agenda politica eterodiretta da Roma. Come ha dimostrato la vicenda eolico, con il corollario di nomine e atti sollecitati fuori dalla Sardegna e oggi al vaglio degli inquirenti. In più, e di qui la ricaduta sul voto al Piano Casa, a Cappellacci è mossa l’accusa, anche dentro la coalizione che lo sostiene, di prestare eccessiva attenzione a interessi non troppo diffusi. Proprio su questo punto le avvisaglie di un dies nefastus per Cappellacci si potevano leggere il giorno precedente, in concomitanza con il vertice di maggioranza, nel blog del consigliere regionale del Partito Sardo d’Azione Paolo Maninchedda. In un articolo dal titolo "Le norme del cosiddetto piano casa che non posso votare", segnalava la contrarietà del suo partito a norme che avrebbero consentito deroghe in materia di lottizzazioni e concesso "un premio ai comuni non virtuosi che continuano ad amministrare coi vecchi piani di fabbricazione, un premio ai comuni che hanno consumato il consumabile. Uno schiaffo ai Comuni che pur dotati di Puc si videro bloccate dal Piano Paesaggistico le lottizzazioni. Un premio anche a un altro signore, potentissimo". Il signore sarebbe Sergio Zuncheddu, editore dell’Unione Sarda, quotidiano schieratissimo contro la passata esperienza di governo regionale del centrosinistra. Le norme bocciate avrebbero consentito di rimuovere il vincolo paesaggistico e riavviare opere di costruzione sulla costa, anche nel caso della lottizzazione di Cala Giunco, dell’editore cagliaritano, che era stata definitivamente cassata dal Consiglio di Stato. NUOVA BOCCIATURA Già un’altra volta Cappellacci fu bocciato dal Consiglio regionale sardo, quando, di fatto, furono sospesi gli effetti di una delibera con cui la giunta sotto le feste di Natale avviava le trattative per l’acquisto di immobili di Zuncheddu da destinare a sede degli uffici della Regione. Il dibattito molto acceso in Consiglio regionale ha messo sul piatto il rischio che le norme sul piano casa potessero appunto riguardare pochi e favorire pochissimi. È il tenore degli interventi dell’opposizione e dell’ex Presidente Soru, che due anni fa si dimise quando parte della sua maggioranza bocciò un emendamento che delegava la giunta a proseguire il lavoro di stesura del Piano Paesaggistico. Non si ha alcuna notizia di reazioni del Presidente Cappellacci alla clamorosa nuova bocciatura. 02 luglio 2010
Mafia e vento tra i nuraghi "Lì faremo le pale come in Sicilia" di Nicola Biondotutti gli articoli dell'autore C’è un file investigativo che incrocia l’inchiesta sugli appalti del G8 e che potrebbe svelare come dietro i reati di corruzione spesso si cela l’ombra della mafia. Si tratta gli appalti per gli impianti eolici in Sardegna, un grande affare che abbraccia tutto il mezzogiorno. Il deus ex-machina che compare nell’inchiesta in corso è Luigi Franzinelli, imprenditore trentino. In teoria la mafia Franzinelli l’avrebbe dovuta vedere solo al cinema. E invece con i boss Franzinelli ha fatto affari d’oro proprio con gli appalti sull’eolico, tra il 2004 e il 2007. Fino a quando, nel febbraio dello scorso anno, viene arrestato insieme con un esponente locale ed assessore di Forza Italia a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, e due imprenditori legati al boss Matteo Messina Denaro. Il 9 marzo 2010 Franzinelli è stato condannato a due anni di reclusione per corruzione con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. Nell’inchiesta sull’eolico in Sardegna, diretta dai Pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli e dal Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, il suo nome viene accostato a quello di Flavio Carboni con il quale Franzinelli ha uno stretto legame. Franzinelli in una telefonata intercettata si sarebbe detto convinto che "in Sardegna bisogna fare come in Sicilia". Proposito per nulla tranquillizzante alla luce delle sue disinvolte frequentazioni siciliane. Franzinelli è un esperto di energia eolica. Dalla Puglia alla Calabria, fino alle due isole maggiori, ha realizzato decine di impianti di energia pulita. Un successo, quello di Franzinelli, che di pulito però almeno in Sicilia non aveva nulla. L’imprenditore trentino infatti "ungeva le ruote" di amministratori e mafiosi: 150 mila euro e una Mercedes fiammante per garantirsi zero concorrenza e la giusta protezione. Le relazioni con i boss La sua storia giudiziaria parte nel febbraio 2009 nell'ambito dell'indagine trapanese denominata Eolo sulla costruzione del parco eolico intorno a Mazara del Vallo. Franzinelli viene arrestato insieme a un consigliere comunale mazarese Vito Martino (Forza Italia), a Giovan Battista Agate, pregiudicato e fratello del boss Mariano Agate; a Melchiorre Saladino, imprenditore di Salemi, ritenuto vicino al boss Messina Denaro e all’architetto del comune di Mazara, già detenuto per associazione mafiosa. È il metodo mafioso in salsa trapanese, quello per cui la mafia non impone il pizzo ma permette di fare affari a chi ama il successo ad ogni costo. Intanto sulla vicenda degli appalti per gli impianti eolici in Sardegna la Commissione parlamentare Antimafia si è già attivata per acquisire elementi di indagine. E un’inchiesta è stata aperta anche dalla DDA di Cagliari sulle possibili infiltrazioni mafiosi nel business dell’eolico. 19 maggio 2010
2010-06-28 Il Vaticano ammette: errori della Propaganda Fide Il Vaticano ammette: nella gestione degli immobili la Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, più nota come Propaganda Fide, potrebbe aver sbagliato. La Santa Sede ha diramato un comunicato ufficiale a seguito delle notizie che hanno investito persone legate al potente istituto a proposito delle inchieste sugli appalti intorno al G8 e dintorni e che hanno riguardato la vendita e l'acquisto di immobili a Roma. Nella nota stampa il Vaticano scrive che l'istituzione ha "un compito impegnativo e complesso, che si deve avvalere della consulenza di persone esperte sotto diversi profili professionali e che, come tutte le operazioni finanziarie, può essere esposto anche ad errori di valutazione e alle fluttuazioni del mercato internazionale". Propaganda Fide è finita nell'inchiesta sulla "cricca degli appalti", riguardo alla gestione avvenuta sotto la guida del cardinal Crescenzio Sepe, dal 2001 al 2006, attualmente indagato per "corruzione" dai magistrati di Perugia. "La Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli ricava le sue risorse principalmente dalla colletta della Giornata Missionaria Mondiale, interamente distribuita tramite le Pontificie Opere Missionarie nazionali, e, in secondo luogo - si legge nella nota vaticana - dai redditi del proprio patrimonio finanziario ed immobiliare". "Il patrimonio si è formato nel corso dei decenni grazie a numerose donazioni di benefattori di ogni ceto, che hanno inteso lasciare parte dei loro beni a servizio della causa dell'Evangelizzazione", si difende la Santa Sede. Dopo di che annuncia che nel futuro la Congregazione avrà "una gestione professionale", in "linea con gli standard più avanzati", per evitare "gli errori di valutazione" del passato. Ricordando che l'istituzione è "vitale per la Santa Sede e per l'intera Chiesa Cattolica", e che "risponde al comandamento di Gesù: 'Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura", il Vaticano sottolinea che la Congregazione ha bisogno del "sostegno di tutti i cattolici" e che "ha il compito di dirigere e coordinare in tutto il mondo l'opera dell'evangelizzazione e la cooperazione missionaria", che ciò "richiede una quantità non indifferente di risorse finanziarie", al quale si aggiungono i "sussidi" inviati alle chiese locali e "aiuti" per specifici progetti. Con l'intento di fugare ombre e dubbi, scrive ancora il Vaticano, "la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli ricava le sue risorse principalmente dalla colletta della Giornata Missionaria Mondiale, interamente distribuita tramite le Pontificie Opere Missionarie nazionali, e, in secondo luogo, dai redditi del proprio patrimonio finanziario ed immobiliare. Il patrimonio si è formato nel corso dei decenni grazie a numerose donazioni di benefattori di ogni ceto, che hanno inteso lasciare parte dei loro beni a servizio della causa dell'Evangelizzazione". 28 giugno 2010
2010-06-22 I lavori della metro di Napoli Finanzia Arcus esegue Lunardi di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Le vie del Signore sono infinite. Anche quelle, assai più umane e terrene, delle contrapartite in odore di patto corruttivo. Addio vecchie mazzette nascoste magari dentro qualche pouf sistemato in bella vista nel salone di casa. Gli investigatori che stanno cercandodi fare luce sul presunto intreccio di interessi tra Propaganda Fide (leggi Vaticano), ministero delle Infrastrutture e "cricca" hanno acceso il loro interesse su una partita di giro ancora tutta da dimostrare ma definita "molto interessante". Incrociando atti, documenti sequestrati e altri acquisiti perchè pubblici, si scopre infatti che nel 2005 Arcus, la spa pubblica braccio operativo di Infrastrutture e Beni Culturali per finanziare progetti di interesse culturale e "inventata" a tavolino da Lunardi, Sancetta, Balducci & c. nel 2004, finanzia per un milione e mezzo di euro la metropolitana di Napoli stazioni Duomo e Municipio. Nel 2006 quel finanziamento viene rinnovato per altri due milioni e mezzo di euro. La Rocksoil A parte che non si capisce perchè la costruzione di una metropolitana possa essere definita progetto culturale, gli investigatori notano che la progettazione dell’opera è affidata a Rocksoil-Milano la società di geoingegneria che appartiene alla famiglia Lunardi, all’ex ministro delle Infrastrutture. Lo stesso che nel 2004 ha scritto il regolamento di Arcus e quali opere finanziare e che da sabato risulta iscritto sul registro degli indagati della procura di Perugia per corruzione aggravata insieme con il cardinale Crescenzio Sepe, originario di Aversa e dal maggio 2006 arcivescovo di Napoli. L’alto prelato è molto amato dai suoi concittadini. E di sicuro si è speso fin dal 2005 perchè la metropolitana della città di cui sta per diventare cardinale sia inserita in quella corsia privilegiata di finanziamenti che è il bilancio di Arcus. Pensare male è peccato ma a volte si fa bene. Ecco perchè non deve essere considerato blasfemo ipotizzare che anche la metropolitana di Napoli, tre milioni e 700 mila euro di finanziamenti, possa essere una delle contropartite del presunto patto corruttivo tra il cardinale e l’ex ministro. Al centro del presunto patto, e cuore dell’iscrizione a registro per corruzione aggravata per Sepe e Lunardi, resta sempre il palazzo di via dei Prefetti, a due passi da piazza del Parlamento. Il palazzo è fresco di restauro, facciata color giallo fiorentino, portone verde scuro, ingresso in pietra e cotto, pareti a olio con deliziose appliques di seta grezza. Tutto molto raffinato. Lunardi, anzi l’Immobiliare San Marco che risulta al piano terra del palazzo di quattro piani con dieci diversi campanelli, l’ha acquistato nel 2004 da Propaganda Fide di cui in quegli anni (dal 2001 al 2006)era prefetto il cardinale Pepe. Angelo Zampolini, l’architetto accusato di riciclaggio e ufficiale pagatore delle case della cricca, ha raccontato a verbale di essere stato presente all’atto di compravendita dell’immobile. L’architetto non ricorda bene a quale titolo fosse presente. Vale solo la pena di ricordare che le altre volte, per le compravendite di Scajola, Pittorru e Incalza, e, aveva portato assegni circolari per completare gli acquisti con la parte non denunciata. Non in questo caso, assicura. "Sicuramente - ha spiegato - mi sono occupato di una parte di ristrutturazione". Zampolini fa mettere ai verbale che se il valore dichiarato è 3 milioni, quel palazzo ne valeva sicuramente molti di più (10-11). A questo punto resta da capire perchè Propagande Fide, cioè Sepe, ha deciso nel 2004 di svendere quell’immobile. "Ci sarebbe costato troppo per la ristrutturazione, era pericolante" spiega oggi l’alto prelato. E’ un fatto che la compravendita avviene nel 2004 mentre Lunardi, Balducci, Sancetta sono all’opera per far nascere Arcus; che per quattordici mesi l’allora ministro ha vissuto gratis in via dei Prefetti; che nel 2005 e nel 2006 Arcus stanzia 5 milioni per la sede di Propaganda Fide, il palazzo del ‘600 che affaccia in piazza di Spagna ma che è territorio del Vaticano. Tutto sommato, uno scambio quasi alla pari. 23 giugno 2010
2010-06-22 Chiesta conferma misure cautelari per la "cricca" di Angelo Balducci La Procura della Repubblica di Roma ha chiesto oggi al giudice dell'udienza preliminare di confermare i provvedimenti emessi a Firenze nei riguardi dell'imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli (arresti domiciliari), dell'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci (detenuto in carcere), dell'ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis (detenuto in carcere) e dell'avvocato Guido Cerruti, che deve stare al domicilio coatto nella Capitale. Per tutti è ipotizzato il reato di corruzione nell'ambito dell'inchiesta sull'appalto per la costruzione della caserma dei marescialli a Firenze. La richiesta è stata firmata dal procuratore aggiunto Alberto Caperna e dai pubblici ministeri Ilaria Calò e Roberto Felici. Il gip dovrà ora decidere sulla richiesta della Procura entro il 30 giugno prossimo. Nel frattempo i pubblici ministeri della Capitale completeranno l'esame degli atti dell'inchiesta che la Cassazione il 10 giugno scorso ha trasferito per competenza a Roma. Dei quattro indagati Angelo Balducci non aveva fatto ricorso. Nell'inchiesta sono indagati anche il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei. 22 giugno 2010
Rimborsi elettorali, Di Pietro indagato per le europee 2004 Il parlamentare ed ex magistrato Antonio Di Pietro è stato iscritto sul registro degli indagati dalla Procura di Roma con l'accusa di truffa, per una vicenda relativa ai rimbirsi elettorali delle Elezioni europee 2004. Lo riferiscono oggi fonti giudiziarie. L'apertura del fascicolo, dicono le fonti, fa seguito a una denuncia presentata da un ex fondatore dell'Italia dei Valori, Elio Veltri, in seguito allontanatosi da Di Pietro. La denuncia sarebbe relativa al versamento dei fondi presso un'associazione omonima, l'Italia dei Valori, e non al partito, secondo le fonti. Due anni fa, dicono ancora le fonti, un fascicolo per un'analoga vicenda che vedeva protagonista l'ex magistrato di "Mani Pulite" era stato archiviato. 21 giugno 2010
2010-06-19 Propaganda Fide, l'"immobiliare" del Vaticano che trova casa ai vip Via della Mercede, via Condotti, via Sistina: in ognuna di queste prestigiose strade - e in molte altre - del centro storico di Roma non è difficile ammirare uno dei palazzi di proprietà di Propaganda Fide, ora Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli. Proprietaria, secondo le stime più recenti, di un patrimonio immobiliare intorno ai nove miliardi di euro, disseminati tra le migliaia di appartamenti ed edifici di lusso abitati spesso da inquilini vip, da Bruno Vespa a Cesara Buonamici. Un patrimonio balzato alle cronache nell'ambito dell'inchiesta sulla 'cricca degli appaltì e sulla rete gestita da Angelo Balducci, attualmente in carcere e consultore della Congregazione all'epoca dell'ex 'papa rossò, card. Crescenzio Sepe. Era il 22 giugno 1622 quando papa Gregorio XV con la bolla Inscrutabili divinae providentiae fondò la congregazione Propaganda Fide con il compito specifico di diffondere la fede cattolica nel mondo intero. A tal scopo, il dicastero vaticano "coordina ed esercita la giurisdizione sulle missioni della Santa Sede e promuove la formazione del clero e della gerarchie locali", si legge sul portale della Congregazione. E in quattro secoli di storia, il dicastero vaticano non ha certo lesinato in attività missionarie, teologiche e culturali per assolvere ai propri compiti. Dando vita, ad esempio, a quattro Pontificie Opere Missionarie, in Italia e in Francia, o avvalendosi, dal 1627, di un proprio ateneo, oggi chiamato Pontificia Università Urbaniana. Ma a far accendere i riflettori su Propaganda Fide in questi giorni sono soprattutto i suoi immobili coinvolti nell'inchiesta sui grandi eventi. Un patrimonio che da piazza di Spagna si irrada a raggiera per le vie più lussuose della capitale fino all'Esquilino e ai Parioli. E che i radicali hanno più volte passato al setaccio, denunciando un certo numero di sfratti per finta locazione nei confronti di vecchi inquilini che abitavano in appartamenti da ristrutturare. Nel corso degli anni, numerosi vip sono stati affittuari nelle circa duemila case della congregazione. Altri immobili invece sono stati venduti, come il palazzetto di via Prefetti, ceduto all'ex ministro Lunardi. E nel patrimonio della congregazione, accumulato con i lasciti di chi vuole sostenere l'evangelizzazione in Africa o in Asia, non vanno contati i possedimenti extraterritoriali vaticani, come il Palazzo di Propaganda Fide, iniziato dal Bernini e finito dal Borromini. O come le offerte, che ogni anno i fedeli effettuano in occasione della giornata Missionaria e che portano alle casse del dicastero più ricco d'Oltretevere circa 70-80 milioni di euro. In aggiunta alle donazioni di tanti benefattori. 18 giugno 2010
Propaganda Fide non vende sogni ma solide realtà... di Francesca Fornariotutti gli articoli dell'autore Il Governo non ammette al programma di protezione Gaspare Spatuzza, il pentito che accusa Berlusconi e Dell'Utri. I suoi familiari, esposti alle lupare della Mafia, non avranno la scorta. Come si sposteranno? Il governo gli darà una limousine: una Lincoln quattro porte decapottabile del 1961. Spatuzza, dicono, si è pentito fuori tempo massimo. Se ti ravvedi dopo più di 15 anni non puoi pretendere di essere credibile. Al massimo, puoi fare il Presidente della Camera. Fini è così deciso a prendere le distanze dalla legge bavaglio votata grazie ai suoi parlamentari che ha già prenotato l'albergo a Fiuggi. A Gennaio del 2030. Nel frattempo, Berlusconi spiega che la legge è necessaria perché gli intercettati - 30mila secondo i tecnici delle procure - sono in realtà 7 milioni e mezzo. Deve averli fatti contare a Tremonti. È una cifra così palesemente sparata a caso che ha fatto impennare Wall Street. Quella di Berlusconi è una corsa contro il tempo. La sua popolarità è ai minimi perché tra gli estimatori di un tempo aumenta la percentuale di chi "Non sa-non risponde". Per esempio: Scajola, Bertolaso, Matteoli e Verdini. Sa e risponde soltanto Lunardi, e spiega che da ministro ha fatto e ricevuto favori da Anemone. Ma che razza di difesa è? Deve avere gli stessi avvocati di Sarah Ferguson. Lunardi, del resto, diceva anche che bisogna imparare a convivere con la Mafia. Aspetto solo che dica che è legittimo rubare un'auto e investire il proprietario per avere conferma dei miei sospetti: ha scambiato la Costituzione con il regolamento di Grand Theft Auto. Quello che gli altri membri del Governo non sanno o non dicono lo si apprende dalle indagini: gli intrecci tra gli affari della cricca le proprietà immobiliari del Vaticano, fino alla casa di via Giulia offerta a Bertolaso. Ora il Papa chiede più controlli sulle case di Propaganda Fide. Si è insospettito quando ha visto che la targa "Propaganda Fide dirige l'opera di evangelizzazione dei popoli" è stata sostituita con quella "Propaganda Fide non vende sogni, ma solide realtà". 18 giugno 2010
2010-06-15 Inchiesta G8: restano in carcere Balducci e De Santis Restano in carcere Angelo Balducci e Fabio De Santis, arrestati nell'ambito dell'inchiesta sull'appalto Scuola marescialli. Lo ha deciso il tribunale di Firenze, discutendo le istanze presentate dai due imputati che, sulla base della sentenza della Corte di cassazione di giugno chiedevano l'inefficacia della misura cautelare. Intanto è attesa la decisione del tribunale del riesame di Firenze, che ieri si è riunito per discutere i ricorsi di Balducci e De Santis contro il no pronunciato dal gip di Firenze il 5 marzo scorso alle richieste di scarcerazioni. La decisione del giudice del riesame non dovrebbe arrivare prima di domani. Il no alle istanze di scarcerazione è stato depositato ieri dal tribunale di Firenze. A decidere è stato il collegio formato da Emma Boncompagni, Dolores Limongi e Silvia Cipriani, quello che sostituirà il collegio che stamani si è dichiarato incompatibile con il processo. Secondo le difese, alla luce della decisione della Cassazione, "il decreto di giudizio immediato avrebbe perso efficacia, essendo stato emesso da un gip incompetente, con conseguente regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari". Secondo i giudici "l'assunto difensivo non può essere condiviso, atteso che la pronuncia della suprema Corte (di cui ancora non è dato conoscere la motivazione) riguarda il solo procedimento incidentale, tant'è che la stessa Corte non ha disposto la scarcerazione dei ricorrenti, implicitamente non ritenendo decorsi i temi di fase". La Presidenza del Consiglio si è costituita intanto parte civile nel processo fiorentino contro la cosiddetta "cricca", un intreccio di interessi e favori reciproci tra imprenditori ed alti funzionari dello Stato, emerso dall'inchiesta sugli appalti per i grandi eventi a Firenze. Lo ha spiegato oggi l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi, parlando con i giornalisti prima dell'inizio della prima udienza del processo. "Il decreto per la costituzione di parte civile è stato firmato da Berlusconi in persona", ha detto. "Il nostro interesse è che il processo si incardini" ha aggiunto, spiegando che al momento l'avvocatura dello stato sta aspettando che si decida la questione della competenza per poi procedere. Secondo l'avvocato Giannuzzi, "questi reati hanno leso l'immagine dell'amministrazione, poiché si tratta di funzionari in servizio presso un dipartimento della Presidenza del Consiglio. Il danno attualmente non è quantificabile, ma certamente l'immagine della presidenza è stata danneggiata". I decreti per la costituzione di parte civile devono essere autorizzati dalla presidenza del consiglio, ha spiegato l'avvocato Giannuzzi, ma "mentre in genere li firma il sottosegretario Letta, questa volta è stato Berlusconi in persona a firmare". Niente manette. L'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci, e l'avvocato Guido Cerruti non erano presenti questa mattina in aula. C'era invece l'ex provveditore alle opere pubbliche della Toscana, Fabio De Santis, che è arrivato in Tribunale senza le manette ai polsi. Fatto che il suo avvocato, Alfredo Gaito, ha commentato positivamente al termine della breve udienza: "De Santis è stato introdotto senza manette: evidentemente l'errore di una volta ha insegnato qualcosa: Spero non valga solo per De Santis, ma per tutti i detenuti che devono entrare in queste aule". Il presidente del collegio che stamani si è riunito per la prima udienza del processo per l'appalto Scuola Marescialli, dopo essersi astenuto e aver rinviato l'udienza al 17 giugno, in vista della prossima udienza ha disposto la "nuova traduzione degli imputati ove ancora detenuti e non rinuncianti a comparire, senza uso delle manette". Gli imputati ancora in carcere sono Fabio De Santis e Angelo Balducci. L'altro, Guido Cerruti, che ha l'obbligo di dimora, è stato autorizzato ad allontanarsi dal comune per partecipare alla prossima udienza. 15 giugno 2010
2010-06-04 "Menzogne su di me, querelo E ho capito chi le ha suggerite" di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore Sulla storia dei due appartamenti di Propaganda Fide che secondo l’architetto Zampolini, Angelo Balducci avrebbe procurato a lui e all’Idv, Antonio Di Pietro taglia corto. "Anche un bambino di sette anni guardando i documenti che ho prodotto capirebbe che quelle di Zampolini sono solo menzogne", dice, rimandando alle spiegazioni pubblicate sul suo blog. L’appartamento di via della Vite: che "non è mai stato nella disponibilità dell’Idv". Quello di via Quattro Fontane, dove abita la tesoriera dell’Idv Silvana Mura: a lei e allo stesso Di Pietro "fu segnalato dal collega di partito Stefano Pedica, nipote di un monsignore, con ottimi rapporti in Vaticano e non Balducci". Certo, nella querela per calunnia e diffamazione che oggi il leader dell’Idv presenterà ai magistrati di Perugia ci sarà tutto. Anche il contratto per editare il giornale dell’Idv con la società editrice Mediterranea "che in via della Vite aveva sede prima e dopo quel contratto". E quello di locazione di via delle Quattro Fontane, firmato dall’ex marito di Silvana Mura, Claudio Bellotti. "Né io né mia figlia lo abbiamo mai affittato o ci abbiamo mai abitato". Quando lo raggiungiamo l’ex pm è ancora intento a scrivere il testo della querela. E mentre scrive ha in mente solo una cosa: consentire ai magistrati di trovare "il mandante e il beneficiario occulto delle falsità di Zampolini". Una figura che per ora si limita a evocare. "Io ho in mente anche nomi cognomi e generalità concrete ma se avessi la prova li avrei già denunciati". Perché parla di un mandante? "Non so Zampolini nel riferire quelle cose che riguardano la mia persona sia in buona fede o in cattiva fede. Non so se quello che racconta sia frutto esclusivo della sua immaginazione o se quei fatti a lui sono stati raccontati in quel modo falso da altri, né quando, se in precedenza o nell’arco di tempo che va dal 22 al 18 maggio scorso. So che il 18 maggio nel penultimo interrogatorio Zampolini diceva di non sapere nulla in riferimento alla mia posizione e che il giorno 22 si ripresenta dai magistrati per raccontare con dovizia di particolari, in forma di presentazione spontanea, cose che non rispondono a verità. E di questo vi è la prova documentale che consegnerò insieme alla ricostruzione dei fatti alla magistratura perché accerti chi ci sia dietro questa operazione che coinvolge non solo me, ma Prodi, Veltroni, Rutelli". Secondo lei chi c’è dietro? "Io ho in mente nomi cognomi e generalità concrete ma se avessi la prova li avrei già denunciati. So che quel mandante e beneficiario occulto, mettendo in bocca a Zampolini dichiarazioni platealmente false, prende due piccioni con una fava: mina la credibilità del teste e delle dichiarazioni vere e riscontrate che ha già fatto (vedi gli assegni girati per conto di Scajola e per conto di Incalza, i rapporti con Lunardi) e mette tutti nello stesso calderone confondendo responsabilità penali e dibattito politico. Dopo di me ci saranno altri veleni, già anticipati. Vede, Zampolini è persona che sta raccontando una serie di fatti che sono utili ad accertare la verità. E andare spontaneamente dal magistrato per dire che anche Di Pietro è stato favorito da Anemone, che anche Prodi e Rutelli e Veltroni hanno segnalato i loro professionisti, senza riscontri, fatti, circostanze, è un grave danno alla credibilità del teste e dell’inchiesta". Quali erano i suoi rapporti con Balducci. "Io sono il ministro che l’ha rimosso dall’incarico di presidente del Consiglio dei lavori pubblici. Ho spostato lui come tutti gli altri. Una decisione di prevenzione generale che alla luce di ciò che è successo poi è stata lungimirante. Lui non rimase soddisfatto dello spostamento e si mise in malattia. Poi non l’ha visto più nessuno". Qualche tempo dopo se lo ritrova come responsabile della struttura di missione per le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia. Scrive a Prodi, poco prima della fine del governo, di non fidarsi.Parla di "macroscopiche violazioni di legge". "Sì, ma non me lo sono ricordato l’ultimo giorno. In quella lettera se ne richiamano altre nelle quali già avvertivo il governo che le 04 giugno 2010
2010-06-03 La cricca e il bilocale di Guido: "In tre anni pagati 54mila euro" di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Un "regalo" di 54 mila euro. Così la cricca Balducci&Anemone aveva pensato di tenere nella "giusta" considerazione Bertolaso da cui poi in cambio è stata coinvolta nei grandi appalti gestiti dalla Protezione civile responsabile dal 2001 dei Grandi Eventi. Cinquantaquattromila, una cifra si dirà non elevata, che corrisponde ai tre anni di affitto del grazioso quanto esclusivo bilocale in via Giulia, una delle vie più esclusive di Roma. Alloggio che, secondo il racconto dell’architetto Angelo Zampolini ai magistrati di Perugia Sergio Sottani e Alessia Tavarnese, era pagato dal costruttore Anemone. Può essere solo la punta di un iceberg di favori e regalie. O può essere anche l’unica regalia. Qualcuno la può chiamare tangente o mazzetta. Ma tanto basta per chiudere definitivamente la stagione di superGuido Bertolaso, l’uomo che in questi dieci anni di governo ha potuto spendere più di ogni ministero senza dover rendere conto ad alcuno grazie a procedure d’urgenza e segrete. Ha avuto un po’ il sapore dell’addio il lungo abbraccio che il sottosegretario Gianni Letta ha voluto riservare in pubblico al capo della Protezione civile ieri mattina durante la parata militare. Bertolaso ha risposto di prima mattina agli articoli sui giornali che raccontavano i dettagli dell’interrogatorio dell’architetto Angelo Zampolini, l’ufficiale pagatore dei "favori" del costruttore Anemone, tra cui le case di Scajola, dei figli di Balducci, dell’ex generale Pittorru, dell’ex ministro Lunardi e del suo funzionario Ettore Incalza. Zampolini, indagato per riciclaggio, interrogato il 18 maggio ha spiegato alcuni dettagli della lista Anemone. Tra questi che "Bertolaso ha avuto in affitto per tre anni l’alloggio in via Giulia, 1.500 mensili che mi dava Anemone e che io stesso provvedevo a consegnare al proprietario". Tutto falso, replica il comunicato del sottosegretario: "Ho avuto l’uso di quella casa per pochi mesi e gratis grazie ad un amico. Sono pronto a dare tutti i dettagli alla procura". La procura di Perugia lo sentirà, magari anche presto. E’ un fatto che la posizione del sottosegretario, già indagato per corruzione, sembra aggravarsi. "Cominciano ad essere tanti i dettagli che Bertolaso ha ritenuto opportuno non rivelare nell’ interrogato di aprile" fa notare una fonte investigativa. Ad esempio i lavori di falegnameria nella casa di famiglia in via Bellotti Bon (esiste una ricevuta da 20 mila euro); la consulenza della moglie Gloria Piermarini architetto dei giardini al Salaria village di Anemone pagati con fattura di 25 mila euro. Ultimo dettaglio non rivelato, i 54 mila euro i tre anni di affitto, dal 2003 al 2006, in via Giulia. A cui vanno aggiunte le spese sostenute sempre da Anemone per la ristrutturazione dello stesso alloggio. Riscontri alla versione di Zampolini i pm di Perugia li hanno già avuti dal proprietario dell’appartamento di via Giulia, il regista Raffaele Curi. Un dato è acquisito: la ditta Anemone dal 2003 in poi ha ottenuto i più importanti appalti di Stato. Compresi quelli della Protezione Civile. Il 22 maggio Zampolini ha chiesto di essere sentito di nuovo a Perugia. In questo secondo verbale l’architetto – che ha avuto vari incarichi da palazzo Chigi - ha voluto raccontare come anche l’allora ministro ai Lavori Pubblici Antonio Di Pietro avesse beneficiato in qualche modo dei favori della cricca. In questo secondo racconto non si parla di soldi, "né per gli affitti né per le ristrutturazioni". Però Balducci, allora funzionario responsabile dei Lavori pubblici, "voleva ingraziarsi il ministro e gli ha procurato due case di Propaganda Fide, una in via della Vite e una in via Quattro Fontane. Entrambi sono stati ristrutturati da Anemone". Di Pietro ha smentito "ogni legame con la cricca". Ha affidato al suo sito le prove documentali "contro le solite calunnie". La casa in via della Vite era affittata all’editore del giornale dell’Idv. L’altra all’onorevole Silvana Mura che paga 2000 euro al mese a Propaganda Fide. L’allegato 5 contiene il documento con cui Di Pietro scrisse al premier Prodi per togliere ogni potere di spesa a Balducci. Cosa che poi successe. I due appartamenti avrebbero quindi ottenuto l’effetto contrario a quello atteso. 03 giugno 2010
2010-05-27 Maxi evasione nel Comasco: oltre 12 mln di euro. Il Fisco: "Traditi dal Telepass" Un'evasione fiscale di oltre 12 milioni di euro è stata scoperta dai militari della Guardia di Finanza di Olgiate Comasco al termine di due verifiche fiscali condotte nei confronti di altrettante società con sede in Svizzera, operanti nel commercio all'ingrosso di tessuti e abbigliamento. Le società, che di fatto attingono dal mercato italiano la maggior parte dei propri introiti, operano attraverso un proprio direttore - responsabile del comparto commerciale - che costantemente si reca in Italia al fine di acquisire ordinativi da molteplici aziende con sedi in diverse province quali Roma, Napoli, Parma, Torino, Piacenza, Bergamo e Rimini. Mentre il vice Direttore delle società, residente in Italia, sul territorio nazionale espleta funzioni amministrative/gestionali tra cui lo sdoganamento della merce venduta, il trasporto al cliente finale ed i rapporti con le banche. Le indagini, anche attraverso riscontri forniti dalla Società Autostrade relativi agli apparecchi telepass montati sulle autovetture usate dal direttore commerciale, hanno permesso di appurare la presenza "abituale" del direttore nel territorio italiano al punto da attribuirgli la figura di "stabile organizzazione personale" riconducibile alle società svizzere le quali, di conseguenza, in base alla normativa fiscale italiana, hanno l'obbligo di presentazione anche della dichiarazione dei redditi. È scattata così la denuncia alla magistratura comasca dell'amministratore unico delle due società per l'omessa dichiarazione di redditi prodotti in Italia. Redditi pari a 112 milioni di euro che saranno, pertanto, sottoposti alla tassazione del Fisco nazionale. 27 maggio 2010
2010-05-21 nchiesta G8, Matteoli si difende: mai avuti conti in banche estere "Non ho, né mai ho avuto conti aperti né disponibilità in banche estere, tantomeno in filiali di banche italiane operanti in Lussemburgo. Non possono dunque esistere operazioni bancarie direttamente o indirettamente a me riconducibili, ovvero a persone a me collegate". Lo afferma il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Altero Matteoli smentendo la notizia pubblicata oggi su alcuni quotidiani secondo la quale ci sarebbe un conto riconducibile al Ministro in una banca operante in Lussemburgo. "Quanto riportato da alcuni quotidiani è quindi assolutamente falso e calunnioso, specie per me che all'estero non ho mai messo piede in una banca. Ho già dato mandato al mio legale di proteggere il mio buon nome in ogni sede".
Gli fa eco Bondi: "Sapevo di vivere in un paese barbaro e incivile almeno per le persone oneste, ma non fino a questo punto. Apprendo oggi su Libero che il mio nome figurerebbe in una inchiesta su movimenti bancari transitati per una filiale di Unicredit a Lussemburgo. Si tratta di una notizia semplicemente comica". E quanto afferma in una nota il coordinatore del Pdl. "Purtroppo so bene che quando i fatti saranno accertati saràè sempre troppo tardi per rendere giustizia alla mia onestà. Comunque in riferimento alle notizie riportate oggi sui quotidiani Libero e il Fatto, gli autori delle calunnie ne risponderanno presto in tribunale", conclude Bondi. 21 maggio 2010
2010-05-14 Bertolaso e Anemone tra segreti e bugie di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Nelle annotazioni relative all’anno 2003 si legge: "Via Giulia-Bertolaso", intervento numero 5 della lista. Stesso anno solare, intervento n°19, questo volta c’è solo: "Bertolaso". Poi c’è "via Bellotti Bon 2", anno 2004, l’abitazione di Bertolaso; "via Vitorchiano", sede della Protezione Civile, intervento n°7 dell’anno 2005; "uffici presidenza protezione civile via Ulpiano", intervento n° 23 del 2006; e di nuovo, "via Vitorchiano", intervento n°41 del 2007. Dopo il capitolo chiese e conventi e caserme e palazzo Chigi, non c’è dubbio che uno dei clienti più affezionati di Diego Anemone sia proprio Guido Bertolaso e gli uffici delle varie sedi della Protezione Civile. Così dice "la lista" già ribattezzata "dei favori e dei lavori", il personalissimo libro mastro del costruttore Diego Anemone, perno, con Balducci, della cricca che ha monopolizzato gli appalti pubblici negli ultimi dieci anni. Prima ancora degli eventuali scambi di favori – leggi lavoretti di falegnameria - la cosa certa qui sono le incongruenze tra le "verità" del sottosegretario n°1 della Protezione civile e i fatti che emergono nell’inchiesta. "Non ho mai mentito agli italiani" disse venerdì scorso nella conferenza stampa (che su l’Unità chiamammo "pro domo sua") per realizzare la quale ottenne l’uso esclusivo di Palazzo Chigi. Bertolaso, invece, o quel giorno era molto distratto o ha mentito. E la lista ne è la prova. "Conoscevo Anemone, persona corretta e un gentiluomo – disse – ma nego di averlo mai chiamato ‘il capo’ o di aver avuto rapporti privilegiati". Spiegò - per la prima volta, come se volesse mettere le mani avanti - che Anemone aveva fatto alcuni lavoretti di falegnameria in casa sua ("Sistemò le tapparelle e per questo è stato regolarmente pagato con assegno da 20 mila euro") e che la moglie Gloria Piermarini, architetto paesaggistico, nel 2007 aveva fatto una consulenza per il verde del "Salaria Village" pagata con regolare fattura. E aggiunse: "Un lavoro interrotto quando si seppe che Anemone sarebbe stato beneficiario di appalti da parte della Protezione civile". Già dopo la conferenza stampa ci si domandò perché mai Bertolaso, indagato per corruzione dal 10 febbraio scorso, non aveva comunicato questa informazione ai magistrati di Perugia nell’interrogatorio (di sei ore) del 13 aprile scorso. Ora si scopre che la ditta Anemone aveva lavorato per la Protezione civile ben prima del 2007. La lista dei favori e dei lavori minuziosamente tenuta dal costruttore Diego Anemone pone anche altri imbarazzanti interrogativi. Per esempio: che tipo di intervento ha fatto Anemone in via Giulia sotto il nome Bertolaso? Il capo della Protezione civile ieri ha smentito di aver mai avuto un appartamento in via Giulia. Eppure Anemone mette nero sui bianco "Via Bellotti Bon2 (casa di Bertolaso)- Via Giulia-Bertolaso", anno 2004. Gli interventi di Anemone. Non saranno poi case di sua proprietà, ma Anemone interviene due volte negli uffici di superGuido al secondo piano di via Ulpiano, finestre ad angolo, da un lato il Tevere e dall’altro le statue di marmo del Palazzaccio. E altre due volte in via Vitorchiano, seconda sede della Protezione Civile. Possibile che solo Anemone in tutta Roma e provincia fosse in grado di eseguire quei lavori? Dopo quello delle cose non vere c’è il capitolo delle cose non dette. Quelle che, ancora una volta, Bertolaso ha trascurato nella sua conferenza stampa. Ed ecco che dalla lista emergono i grandi appalti che la ditta Anemone si è aggiudicata prima della stagione del G8, dei Mondiali di nuoto e dei Grandi Eventi. Ad esempio, nel 2005, un importante appalto per la messa in sicurezza del Gran Sasso ("L’Aquila-G.Sasso" si legge al punto 35 dell’anno 2005) e nel 2004 la ricostruzione della scuola di San Giuliano di Puglia, a Campobasso, tirata giù da un terremoto che uccise 27 bambini e un insegnante. E suscitano molti interrogativi anche i silenzi di Bertolaso sul cognato Francesco Piermarini, l’ingegnere fratello della moglie. Era nella "Unità di missione" del G8 della Maddalena e grazie alla "lista" scopriamo che la sua "Ecorescue", società specializzata in rifiuti e bonifiche, ha ricevuto 125 mila euro per una consulenza con la "Cogecal srl", la ditta incaricata della costosissima bonifica dell’Arsenale della Maddalena. Il titolare della "Cogecal", Roberto Calcabrini è tra i beneficiati da Anemone nella lista dei favori. Non è spiegato cosa. Può essere di tutto: da un lavello a un appartamento. 14 maggio 2010
Bersani: Bertolaso lasci. L'inchiesta vada a fondo di Simone Collinitutti gli articoli dell'autore Il Pd chiede che si vada "a fondo" di questa vicenda ormai ribattezzata "appaltopoli", perché ormai è chiaro che non si tratta soltanto di un semplice serie di "casi singoli". E che il centrodestra ritiri, come dice il responsabile Giustizia Andrea Orlando, i disegni di legge che mettono al riparo dai processi premier e ministri (Lodo Alfano) e che rendono più difficili le indagini (ddl intercettazioni). Non è affatto piaciuta a Pier Luigi Bersani la lettura avanzata da Antonio Di Pietro e veicolata da alcuni giornali secondo cui il Pd sta erroneamente rinviando il tema della scelta del candidato premier e si sta muovendo con troppa cautela di fronte all’inchiesta sulla "cricca" del G8. "Assolutamente no", risponde il segretario del Pd ai giornalisti che lo intercettano fuori dalla sede del partito. "Nessuna cautela", dice Bersani, anzi: "Bisogna andare assolutamente a fondo perché con tutta evidenza non si tratta di una somma di casi ma di un meccanismo che ha origini in un’intenzionalità politica di allargamento di appalti riservati e fuori gara". Il punto, spiega il leader del Pd, è che troppo spesso con l’"alibi" delle emergenze i grandi appalti sono stati decisi con "procedure riservate, non trasparenti". Per questo sbaglia Berlusconi a dire che si tratta solo di casi singoli. Di questi se ne occuperà la magistratura, dice il leader del Pd, "il governo dica invece cosa pensa del meccanismo. Noi chiediamo che si vada a fondo altrimenti la corruzione dilaga". C’è però un "caso singolo" che Bersani non lascia passare sotto silenzio, ed è quello di Guido Bertolaso. Già a metà febbraio, il segretario del Pd aveva avvisato che se non ci avesse pensato da solo, sarebbe stato il Pd a chiedere le dimissioni del sottosegretario. Passati tre mesi ed emerse altre notizie, Bersani chiede a Bertolaso di fare "un passo indietro per il buon nome della Protezione civile": "È una istituzione - ha detto nel corso di "8 e mezzo" - è tutta un mondo che va preservato, per questo mi sembra giusto richiedere le sue dimissioni". Nel Pd però non si fanno troppe illusioni sul fatto che, dopo l’addio di Scajola e magari anche di Bertolaso e di altri esponenti del governo, si vada direttamente ad elezioni anticipate. Se così dovesse essere "il Pd è pronto" ripete Bersani a Di Pietro, che continua a chiedere di individuare subito un candidato premier, figura che per altro si sceglierà attraverso "primarie di coalizione", fa sapere il leader del Pd nel giorno in cui maggioranza e minoranza del partito trovano l’accordo sul nuovo statuto, regole per le primarie comprese. Ma Bersani fa capire - più ricordando che "esiste anche un capo dello Stato" e che il centrodestra ha un centinaio di parlamentari in più che non con la battuta che ci crede "fifty-fifty" al voto anticipato - che secondo lui una crisi di governo non necessariamente porterebbe alle urne. Un’altra cosa che Bersani fa capire nel corso di "8 e mezzo" è che non ha gradito il giudizio su di lui ("bravo da ministro, inadeguato da leader") dato dall’editore del gruppo l’Espresso Carlo De Benedetti: "Questo chiarisce che non mi ha scelto lui, che sono stato scelto in un altro modo. E poi l’ingegnere sa benissimo che come non mi impressionavo quando ero un giovane ministro dell’Industria, tanto meno mi impressiono adesso che ho qualche anno in più. Il mio partito ha una sua autonomia". 14 maggio 2010
Silvio prolunga l'interim e si "indigna" con i suoi ministri di Ninni Andriolotutti gli articoli dell'autore Provvidenziale l’invito del medico alla "cautela" per quei sintomi d’influenza che hanno costretto Berlusconi a disertare il Consiglio dei ministri di ieri. Pochi erano pronti a scommettere che la sedia vuota di Scajola, le facce meste di Bondi e Matteoli o i volti tirati di altri in lista d’attesa per l’ingresso trionfale nell’affare appaltopoli avrebbero tirato su l’umore "rasoterra" del premier. Le incognite che pesano sul futuro - e che potrebbero rendere indispensabile un rimpasto di governo se non addirittura una crisi - rendono incerto, oggi, un percorso che fino a ieri sembrava in discesa. Oplà: Romani alle Attività produttive e via, come se nulla fosse, spediti verso il futuro. Non è così, e il Cavaliere si vede costretto a mantenere ancora nelle proprie mani l’interim di Scajola. Perché, al di là del balletto di papabili sostituti dell’ex ministro dei balconi con affaccio sul Colosseo "il problema è politico" e il premier teme - come spiegano dal Pdl - che dalle pieghe dell’inchiesta G8 possano venir fuori altre "grane". Il Cavaliere febbricitante - che ha ricevuto in vestaglia i suoi ospiti a Palazzo Grazioli - ha fatto trapelare all’esterno una certa indignata presa di distanze da chi "usa la politica per gli affari suoi". Uno sconcerto condito, però, dalla netta condanna per "ogni forma di sciacallaggio". Per quel "massacro mediatico" - così lo definisce Cicchitto - delle liste di ristrutturazioni vip targate Anemone. L’"aria di attesa" per gli sviluppo delle indagini "grandi eventi", che si respirava ieri in Consiglio dei ministri, contamina Palazzo Grazioli. Dove si studiano mosse e contromosse al buio, o quasi. Visto che le voci - che magari domani saranno smentite dai fatti - coinvolgono nomi di primissimo piano governativo. Certo, c’è Bossi che rassicura. "Il Governo rischia?", chiedevano ieri i giornalisti. "Se portano via tutti i ministri sì - scherzava il Senatur - Ma finché ci siamo io, la Lega e Tremonti, non lo buttano giù". Sicuro della "fedeltà" di "Umberto", però, il Cavaliere pensa di ridurre tutti "i fronti aperti". Possibile, così, al di là della rabbia covata nei confronti del Presidente della Camera, un incontro a quattr’occhi con lui già la prossima settimana. Il flop dei tentativi di riappacificazione via Denis Verdini, rispediti al mittente dall’ex leader di An - malgrado lo scompiglio tra i berluscones ex aennini preoccupati "dello scavalco" del Cavaliere - non fanno demordere Berlusconi. Il premier, in realtà, punta a costruire "un salvagente intorno al governo" per parare i colpi "dell’effetto domino delle inchieste". E "Silvio stesso", alla fine, potrebbe far propria la proposta di Casini per un governo "di salute pubblica". Intestandosela e lanciando l’amo "convinto che né Pd né Idv abboccheranno, ma sicuro che l’Udc, e magari anche Rutelli, saranno della partita". Che poi tutto ciò serva anche a "ridimensionare il controcanto di Fini" è altro discorso. Per il momento "Silvio pensa al governo" e a farlo navigare tra i marosi giudiziari che potrebbero farlo naufragare. Certo, il premier assicura che "la maggioranza è salda" e che lui "rimarrà in sella" per l’intera legislatura. Ma perché la profezia si avveri dovrà lavorare di gran lena, con il vento contrario "dello stillicidio quotidiano che logora l’esecutivo". L’assicurazione di Fini, "niente imboscate contro il governo", può essere letta addirittura come un "ramoscello d’ulivo" dalla parti di Palazzo Grazioli. Il premier, certo, non si fida, ma è costretto alla tregua forzata "sempre che la situazione con Gianfranco non precipiti all’improvviso". Era stato lo stesso Fini, tra l’altro - anche durante il famoso pranzo a Montecitorio - a proporsi come ponte interno/esterno al Pdl per calamitare nella maggioranza Casini, Rutelli e altri. Questo avrebbe consentito al premier "di porsi al centro del centrodestra e di mediare senza farsi schiacciare dalla Lega". Gossip l’arruolamento dell’Udc nelle truppe berlusconiane, come taglia corto Casini? Tra l’appoggio al decreto salva Grecia, gli spiragli sul nuovo Lodo Alfano, e un ipotetico ingresso Udc in maggioranza ne corre, in sostanza. L’ex Presidente della Camera, così spiegano dalle sue parti, sembra intento "più a ereditare il dopo Berlusconi che a puntellare oggi il Cavaliere". Secondo fonti Pdl, però, "Pierferdi ha capito che in compagnia della sinistra non potrà fare molta strada e cerca di rientrare nella sua casa naturale". 14 maggio 2010
2010-05-13 Solo con le intercettazioni si può vincere la guerra contro gli evasori di Oreste Pivettatutti gli articoli dell'autore Se le parlo da ufficiale, le dico che il paese è sano. Rappresentando l’istituzione non posso darle risposte troppo brutte… In confidenza le direi che quasi tutti gli operatori economici evadono il fisco, che non evade solo chi non è capace. Il paese è sano? Un corno. L’evasione fa paura…". Grazie. Lo dice uno che al fisco non ha rubato neanche un centesimo e ammira la Guardia di Finanza come si può ammirare l’angelo vendicatore e sterminatore. L’ufficiale delle Fiamme gialle che mi parla, due lauree, una in scienze politiche, un’altra in giurisprudenza, un master alla Bocconi, scuole di specializzazione, indagini dagli esiti clamorosi (ci sono Berlusconi e Mediaset nel suo libro nero), mi racconta il suo mestiere. Si spiega subito e trascrivo: "Le verifiche fiscali vengono effettuate in presenza di elementi che già si hanno agli atti, perché quando si inizia una verifica cosiddetta di iniziativa senza avere elementi in mano è difficile che si riesca a individuare qualche cosa che vada al di là delle semplici irregolarità formali". Non c’è il cadavere in strada. "Sono le Procure della Repubblica che, registrando nel corso delle loro indagini reati di rilievo fiscale, ci forniscono i primi elementi. In parole semplici: se nel corso di un procedimento penale, avvalendosi degli strumenti che la legge mette a disposizione, intercettazioni telefoniche o perquisizioni, vengono acquisiti notizie e documenti di rilievo ai fini fiscali, chiuse le indagini, chiediamo noi, per i nostri scopi, al sostituto procuratore la prescritta autorizzazione per utilizzare quelle notizie e quei documenti. A quel punto si va in un’azienda e non c’è bisogno di tante ricerche complicate, cervellotiche, lunghe. Si va al posto giusto, si sa già come colpire il bersaglio, le false fatture, le false dichiarazioni… Lo dico sulla base della mia esperienza trentennale, in tutta Italia e in particolare al Nord, tra Brescia e Milano, zone ricche, dove gli operatori di un certo livello sono tanti e dove quindi il fenomeno dell’evasione ha una particolare incidenza. Ho lavorato anche nelle Marche. Un posto vale l’altro. La differenza la fa la ricchezza, dal punto di vista dell’evasione". Ma è chiaro che attraverso le normali verifiche, quelle che per legge sono d’obbligo ogni due anni, si raccoglie poco: "I trenta giorni a disposizione, che possono diventare sessanta, sono insufficienti per capire la realtà finanziaria di un grosso gruppo. Se si va a sorpresa in una piccola azienda qualcosa salta fuori, ma nessuno è così pollo da lasciar documentati nel computer d’ufficio tutti i traffici in nero". Questione di poteri. Quelli della Guardia di Finanza vennero fissati nel 1924, poi via via aggiornati. Ad esempio i "poteri di accesso": una sorta di perquisizione, ma non sono la stessa cosa della perquisizione, perché puoi entrare in un’azienda ma se trovi un cassetto chiuso o una borsa chiusa non puoi aprirli senza il consenso del "soggetto", cioè dell’imprenditore su cui si indaga. Che cosa serve davvero? "Intercettazioni telefoniche, perché, se hai la possibilità di ascoltare la gente che si parla al telefono, vieni a sapere tante belle cose, che non scoprirai mai se stai lì a spulciare documenti per anni. È ovvio, lapalissiano. Un caso celebre… Quando ero nelle Marche, siamo partiti con le indagini su un gruppo calabrese: avevamo il sospetto di riciclaggio. Abbiamo cominciato proprio da intercettazioni telefoniche, scoprendo che quei soggetti non erano altro che prestanome, teste di legno, di un imprenditore marchigiano famoso, che fabbricava cappe per i camini, poi arrestato, che aveva fatto figurare tutta la sua manovalanza alla dipendenza di quei calabresi, che non pagavano niente, niente Iva, niente contributi con un danno per l’erario e per gli istituti di previdenza valutato in sei sette milioni. Nelle intercettazioni abbiamo sentito che era proprio lui, l’imprenditore, a dare ordini". Il nostro ufficiale delle Fiamme gialle non mi sembra però convinto dell’efficacia della repressione. Non basta, data la mole dell’evasione: "Occorrerebbero una pattuglia di controllori per ogni operatore economico e, in aggiunta, una squadra che controlla i controllori. E quanto dovrebbe essere grande la Guardia di finanza per controllare pizzerie, parrucchieri, ristoranti, idraulici, autofficine". Una riforma del sistema fiscale, chiede il nostro ufficiale. E poi prevenzione. Sarebbero utili i famigerati "studi di settore", alzando un po’ la soglia, perché "si sa che gli studi nascono da accordi con le categorie ed allora la tendenza è di tenerli bassi per non scontentare nessuno". E poi ancora "strumenti più penetranti tipo il monitoraggio di tutte le movimentazioni", che avevano introdotto Bersani e Visco e che Tremonti ha ridimensionato: "E’ chiaro che non si sconfigge l’evasione controllando l’operazione da cinquecento euro. La si rende più difficile". "Alla fine – aggiunge – è questione di cultura, di moralità pubblica, di senso civico. Noi ci crediamo furbi ed allora si raggira il fisco, recitando a giustificazione il ritornello: le tasse sono troppo pesanti, ci difendiamo non pagandole". Una volta lo disse pure il nostro presidente del consiglio… "Invece, in base al noto principio della traslazione delle imposte, quello che non paga uno, lo paga tutta la comunità. Non ci spremerebbero come limoni, se pagassimo tutti". 13 maggio 2010
Inchiesta G8: Mancino, da Anemone nessun regalo ''Il signor Anemone non mi ha fatto alcun regalo''. Lo ha dichiarato il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, con riferimento a notizie apparse su alcuni quotidiani. "A seguito della mia nomina a ministro dell'Interno nel 1992 - ha precisato Mancino - vennero commissionati dal Sisde all'impresa del signor Diego Anemone lavori di messa in sicurezza dell'appartamento da me allora abitato in locazione a Roma in corso Rinascimento 11. Si trattò essenzialmente della blindatura di porte e di finestre". "Nel 2004-2005 una volta trasferitomi in via Arno, feci eseguire, a mie spese, - ha proseguito il vicepresidente - modesti lavori di messa in opera di due librerie a muro e di un armadio anch'esso a muro: fu naturale per me rivolgermi ad un'impresa che godeva della fiducia d'istituzioni prestigiose, e perciò dava garanzie di affidabilità. Ribadisco che da me l'imprenditore Anemone non ha avuto alcun tipo di protezione né io ho avuto da lui alcuna 'regalia', come si è scritto". "Poiché si fa riferimento anche ad altri immobili, è bene precisare che, quando la società del gruppo Pirelli, proprietaria dell'immobile di corso Rinascimento, mise in vendita gli appartamenti, io acquistai quello da me locato, intestandolo a mia figlia. - Ha detto ancora Mancino - successivamente, per comprare un appartamento in via Arno mia figlia ha venduto quello di corso Rinascimento, mentre mia moglie ed io abbiamo venduto il nostro appartamento di Avellino".
LISTA ANEMONE,NOMI POLITICI E ISTITUZIONI - Ora sono in molti a tremare nei palazzi della politica: nell'inchiesta della procura perugina sugli appalti spunta una lista di nomi, che sarebbe stata sequestrata dalla Guardia di Finanza in un computer di Diego Anemone nel 2009. Un elenco di oltre 350 nomi tra cui politici, alti funzionari dello Stato e vertici delle forze di polizia che avrebbero usufruito dei lavori eseguiti dalle imprese del gruppo Anemone. E nell'elenco vi sarebbero non solo i nomi dei potenti, ma anche l'indicazione dei lavori eseguiti in alcuni dei più importanti palazzi del potere e in diverse caserme. La lista fu recuperata nel corso delle indagini sui mondiali di Nuoto a Roma: allora non aveva avuto particolare rilevanza investigativa, ma oggi, alla luce degli ultimi riscontri ottenuti dagli investigatori sui fondi del 'riciclatore' Angelo Zampolini utilizzati per coprire parte dell'acquisto di abitazioni di personaggi importanti tra cui l'ex ministro Scajola, assume tutt'altro rilievo. Nel documento trovato nel computer di Anemone non ci sarebbero invece gli importi pagati per i servizi ottenuti dal gruppo. I magistrati perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi vogliono ora chiarire se quei nominativi abbiano avuto lo stesso 'trattamento' ottenuto da coloro che sono già stati tirati in ballo da Zampolini: fra gli altri Scajola, Lunardi, Incalza e il generale della Gdf Pittorru. Nella lista anche il regista Pupi Avati, che però precisa: "Non ho mai ricevuto regali da Anemone". Il regista spiega che Angelo Balducci si offrì di procurargli e fargli istallare un montacarichi nella sua casa di Todi, cosa che avvenne nel 2002 o nel 2003 mentre il proprietario di casa era assente. Avati quindi non sa chi effettuò i lavori, ma assicura: "Ho pagato regolarmente" e "sono in grado di esibire (qualora mi venga richiesta) la matrice dell'assegno e il documento relativo". In procura a Perugia sono convinti che il vero ammontare del giro di soldi messo in moto da Anemone - secondo l'accusa per compensare i funzionari pubblici che avrebbero favorito le aziende della cricca negli appalti pubblici - sia ancora tutto da quantificare e comunque di molto superiore ai quasi tre milioni scoperti su un conto della Deutsche Banke intestato a Zampolini. Un fiume di denaro che gli investigatori perugini stanno cominciando a rintracciare nei 1.143 rapporti bancari, di cui 263 conti correnti, intrattenuti da Balducci, Anemone, dai loro rispettivi familiari, dagli intermediari e dalle società a loro riferibili. Nei prossimi giorni gli ulteriori accertamenti svolti dalla guardia di Finanza su una serie di operazioni sospette segnalate dalla Banca d'Italia, nonché sui conti correnti intestati innanzitutto a Zampolini ma anche ad Alida Lucci, la segretaria di Anemone, dovrebbe cominciare a dare qualche risposta. In sostanza, nella movimentazione di quei conti la procura spera di trovare la 'prova' che il denaro sia servito per compensare i funzionari pubblici. Così come dovrà essere ancora chiarita l'ultima delle sei operazioni immobiliari compiuta da Zampolini e già accertate dalla Guardia di Finanza, quella che riguarda l'acquisto di un immobile in piazza della Pigna. E si è fatto sentire il legale di Peter Paul Pohl, l'immobiliarista altoatesino legale rappresentante della Schlanderser Bau Srl, la società che ha venduto l'immobile alla Immobilpigna di cui era legale rappresentante Diego Anemone e fiduciari i due figli di Angelo Balducci, Lorenzo e Filippo. Sostiene l'avvocato Michael Gruener che "il preliminare è stato stipulato il 25 novembre 2003 con l'architetto Angelo Zampolini come acquirente (per sé o per una persona fisica o giuridica)" per un importo di 350mila euro. Il 27 e 28 novembre l'architetto versa sul suo conto rispettivamente 200mila e 100mila euro in contanti. Il successivo pagamento - un milione e 100mila - viene fatto il 22 dicembre sempre tramite assegno. Gli investigatori vogliono dunque capire quale sia la provenienza di quel milione e mezzo pagato da Zampolini, convinti che si tratti dei soliti 'fondi' neri di Anemone. Il palazzetto di via della Pigna, secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stato poi successivamente venduto alla 'Immobiliare Icr' e anche su questo atto gli inquirenti vogliono vederci chiaro.
PDL ALL'ATTACCO DEI MEDIA "Siamo in una situazione per un verso paradossale per un altro verso gravissima: prima vengono offerti in pasto elenchi di nomi poi, chissà quando, verranno fatte le indagini. Nel frattempo ogni nome è offerto al massacro mediatico, indipendentemente dalle ragioni per cui esso si trova nel computer di Anemone. Ovviamente il segreto istruttorio è praticamente annullato da tempo e in compenso ci troviamo di fronte all'ennesima lista di proscrizione". È quanto dichiara il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto. BERLUSCONI, INCHIESTE? NON E' TANGENTOPOLI, MA CHI SBAGLIA FUORI - Silvio Berlusconi torna sulle inchieste che hanno coinvolto membri dell'esecutivo ed esponenti della maggioranza. Incalzato da alcuni imprenditori che nel corso della cena offerta dal presidente del consiglio a Palazzo Grazioli gli ricordavano le numerose inchieste emerse in questi mesi, il Cavaliere, a chi gli faceva notare che qualcuno parla di nuova Tangentopoli, ha replicato con un ragionamento che alcuni dei presenti hanno così riassunto: sono vicende che finché riguardano il comportamento dei singoli, fra l'altro tutte da dimostrare, non possono indebolire il governo che c'é, é solido e andrà avanti. Certo, ha aggiunto il premier, se dovesse emergere che qualcuno ha sbagliato ne pagherà le conseguenze con l'uscita dal governo o dal partito. Nel corso di questo ragionamento, secondo uno dei presenti, Berlusconi si sarebbe detto deluso dall'ex ministro Claudio Scajola. BERSANI: "Bisogna andare assolutamente a fondo perchè con tutta evidenza non si tratta di una somma di casi ma di un meccanismo che ha origini in un'intenzionalità politica di allargamento di appalti riservati e fuori gara in un'applicazione distorta delle direttive comunitarie". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani nega cautele o timori del Pd rispetto all'inchiesta G8. 13 maggio 2010
Scajola, Lunardi, Bertolaso: tutti i beneficiati di Anemone di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore C’è un filo rosso che sta guidando il lavoro degli investigatori che cercano di venire a capo del gelatinoso sistema di corruzione messo in piedi dalla cricca di Balducci, Anemone e soci. È una lista di "decine e decine di nomi, circa settanta" tra cui spiccano quelli dei ministri Scajola e Lunardi e quello del dirigente del ministero delle Infrastrutture Ercole Incalza. Ma anche Bertolaso, registi cinematografici come Pupi Avati ("quella ditta ha realizzato un saliscendi per le vivande, che ho pagato 4.400 euro, nella mia casa Todi" ha detto), un ex ministro, vertici delle forze dell’ordine e tanti altri. È stata trovata durante una perquisizione negli uffici del gruppo Anemone custodita nelle memorie dei computer. È già stata ribattezzata "la lista dei favori", l’elenco dettagliato di lavori grandi e piccini realizzati in favore di qualcuno. "Committenti pubblici e privati" si spiega, soggetti per cui il gruppo Anemone ha svolto negli anni lavori di ristrutturazione, ma anche – come hanno spiegato le indagini – acquisti a nero di appartamenti, o altri tipi di favori e regalie, dal cellulare allo scaldabagno. "Lavoro da una vita in modo corretto e trasparente e mi sono sempre fatto in quattro per tutti" ha detto domenica uscendo dal carcere. È la verità più vera che potesse dire. In effetti Diego Anemone, come testimonia la lista, si è fatto in quattro per tutti pur di ingraziarsi i potenti di turno e cercare di avere in cambio appalti e commesse e trasformare in dieci anni la ditta di famiglia da azienda artigiana in holding con fatturati intorno ai 40 milioni di euro. Ma il vero giro d’affari del gruppo, tra conti correnti, contabilità parallele e giochi societari, è ancora uno dei misteri dell’inchiesta. La lista sembra essere la vera gola profonda per gli investigatori. Non sono indicati importi di denaro e solo in qualche caso le date e la tipologia dell’intervento. Spesso ci sono nomi senza i cognomi o solo iniziali. Alcuni non hanno un immediato riscontro. Altri sì, e sono nomi che pesano. TRACCE IN PISCINA È stata trovata verso la metà del 2009 dal Nucleo tributario della Guardia di Finanza quando all’epoca la procura di Roma cercava di imbastire un’indagine seria sulle mega-piscine dei Mondiali di nuoto. Indagine che non decollò mai per le prudenze e le commistioni dell’ex procuratore aggiunto Achille Toro. La lista dei favori si è disvelata solo nelle ultime settimane, quando le indagini hanno dato logica e senso a quelle annotazioni. Ora quegli appunti sul computer stanno facendo tremare i palazzi romani. Perché il principio che guida la lista sembra essere quello dello scambio dei favori: chi è indicato in quei fogli si è, o prima o dopo, per un motivo o per l’altro, direttamente o indirettamente, sdebitato con lo zelante Anemone. O con il suo mentore Balducci. Il lavoro degli investigatori coordinati dalla procura di Perugia consiste oggi, anche, nell’intrecciare la mappa degli appalti ottenuti negli ultimi dieci anni (la cricca avrebbe ormai una data di nascita, il 2000, con il Giubileo) dal gruppo Anemone con questo memorandum di cortesie e utilità. Di sicuro il ministero delle Infrastrutture è stato il committente più prolifico per il gruppo: dal 2002 al 2009 ventuno opere per giro di affari di circa cento milioni di euro. Tutte grandi opere affidate con procedure d’urgenza, gare a invito e vincoli di riservatezza. A cominciare dalla sala situazioni-area di crisi del Viminale (appalto dal valore di due milioni e mezzo di euro) alla ristrutturazione della sala conferenze e sala stampa di Palazzo Chigi (tre milioni di euro), la sede del Sisde a Roma (oltre 14 milioni, siamo nel 2004, l’anno della casa di Scajola in via del Fagutale pagata con i 900 milioni di assegni di Zampolini e la pratica appalti necessita anche del via libera del Viminale) fino ai 14 milioni per il carcere di Sassari con il padiglione di massima sicurezza per i detenuti al 41 bis. Anemone si aggiudica l’appalto nel novembre 2009. Sono gli ultimi mesi di vita della cricca. Tra pochi giorni il Riesame deciderà se trasferire parte dell’inchiesta a Roma per questioni di competenza. Anche per questo ieri gli avvocati di Scajola hanno chiesto il rinvio dell’interrogatorio previsto per domani. 13 maggio 2010
2010-05-12 Scajola non deporrà a Perugia: "Non ci sono necessarie garanzie" L'ex ministro Claudio Scajola non si presenterà all'audizione fissata per il 14 maggio davanti ai pm di Perugia perchè, dopo le notizie sull'inchiesta apparse in questi giorni sui giornali verrebbe sentito "in una veste che parrebbe ormai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti". Lo afferma, in una nota, l'avvocato Giorgio Perroni, legale di Scajola. Secondo l'avvocato, l'audizione avverrebbe "senza, quindi, il rispetto delle garanzie difensive normativamente previste". "È mia convinzione - sottolinea infatti l'avvocato - che la Procura della Repubblica di Perugia non sia competente a conoscere di questa vicenda sia perchè i fatti sono tutti, pacificamente, avvenuti a Roma, sia perchè, in ogni caso, la competenza a giudicare il ministro Scajola sarebbe, eventualmente, di altro organo, ovvero a dire del Tribunale dei Ministri". L'avvocato Perroni, dopo aver sottolineato di essere andato stamani alla procura di Perugia e di aver avuto un colloquio con i pm titolari dell'indagine, spiega che "questo pomeriggio ho deciso di non far presentare il mio assistito, onorevole Claudio Scajola, all'audizione come persona informata sui fatti fissata per il 14 maggio, dandone comunicazione ai Magistrati". Le ragioni di "questa mia personale scelta - aggiunge il legale - vanno rinvenute nella singolare situazione che, a mio avviso, si è venuta a determinare". E spiega: "ormai da giorni la stampa nazionale riporta quel che viene rappresentato come il contenuto di atti di indagine (testimoniali e documentali) concernenti la compravendita" dell'immobile di via del Fagutale, "di proprietà del ministro Scajola ed oggetto di investigazione da parte della Procura di Perugia. In particolare, secondo quanto riportato dai giornali, le persone sentite hanno riferito che il prezzo dell'immobile fu, per 900 mila euro, pagato con assegni circolari consegnati brevi manu alle venditrici dallo stesso ministro, tratti su un conto corrente intestato all'architetto Zampolini e la cui provvista era riconducibile all'imprenditore Diego Anemone. Più di recente, poi - aggiunge l'avvocato - la stampa ha riferito che la Procura di Perugia sta indagando in ordine a preziosi favori che l'onorevole Scajola avrebbe, precedentemente alla compravendita de qua, elargito a Diego Anemone, facendo esplicito riferimento sia all'appalto concernente il cantiere del centro Sisde di piazza Zama a Roma, sia al rilascio del nulla osta di sicurezza, entrambi cronologicamente collocabili in un periodo in cui l'on. Scajola era Ministro dell'Interno". "Alla luce di tali notizie, che si dimostreranno non conformi al vero - sottolinea Parroni - non riesco obiettivamente a comprendere come la Procura di Perugia possa valutare di sentire l'onorevole Scajola in una veste che parrebbe oramai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti. Tale situazione, a mio avviso - continua il legale - non è corretta su un piano tecnico processuale e mi determina un comprensibile stato di imbarazzo a consentire che la richiesta audizione avvenga secondo le modalità indicate e senza, quindi, il rispetto delle garanzie difensive normativamente previste". 12 maggio 2010
Benvenuti a casa Scajola " precedente | successivo " Avere una casa, possederla, è il sogno base di tutti gli esseri umani. È per comprare casa nel paese di provenienza che risparmiano tutti i migranti. Lasciare una casa ai figli è lo sforzo di una vita. Finchè non sei padrone delle due camere in cui ti ricoveri ogni sera, ti par di vivere sotto il segno dell’ansia. Devi trovare tutti i mesi i soldi per l’affitto, a Roma e a Milano si tratta quasi sempre di cifre esagerate anche per appartamenti miserabili in quartieri deprimenti. Devi far fronte all’ipotesi sfratto, e non soltanto per morosità, basta un ghiribizzo del locatario, l’immancabile parente a cui l’appartamento dove vivi tu va di diritto. Spesso il contratto di locazione è in nero perché, secondo "la legge all’amatriciana", se vuoi la legalità paghi il 30% in più (essere onesti costa), si intestardisce chi può permetterselo, gli altri abbozzano e continuano a vivere da precari, nella vita, nel lavoro. Precari "dentro", che fa male. Allora, appena ha raggranellato qualche euro, la maggioranza dei cittadini incomincia a girare per banche allo scopo di ottenere un mutuo e comprarsi 40 metriquadri in cui vivere in pace. Ma ottenere un mutuo non è facile. In Italia si dà volentieri soltanto a chi non ha bisogno. Chi ha bisogno di un prestito è mal visto negli istituti di credito. Così la maggioranza dei cittadini entra in un incubo di attese. Certe volte ce la fa, certe volte rinuncia. Resta in affitto e compra un "gratta e vinci". Gratta, ma non vince. Così quando un ministro, pagato ogni mese quanto la maggioranza dei cittadini guadagna in un anno, si compra 200 metriquadri di casa, pagandoli come se fossero 40 e glieli ristrutturano anche gratis, la maggioranza dei cittadini, finalmente, si incazza. Niente di personale, dottor Scajola, il problema è simbolico. 06 maggio 2010
G8, altra casa "scontata" per un uomo di Matteoli Una nuova tranche di assegni da 562mila euro, firmati dal "riciclatore" di Diego Anemone, l'architetto Angelo Zampolini, e, soprattutto il capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, l'ingegner Ercole Incalza, dietro l'acquisto per soli 390mila euro di un appartamento di cinque camere a Roma, a due passi da piazzale Flaminio. In attesa che il tribunale del riesame decida se la competenza ad indagare sulla cricca degli appalti debba essere di Perugia o di Roma, i magistrati perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi continuano a scoprire pezzi di un puzzle che è ancora lontano dall'essere definito. Ed è molto probabile, visto che la decisione del tribunale del riesame non arriverà prima di venerdì, che salti l'interrogatorio dell'ex ministro Claudio Scajola, fissato proprio per il 14. L'obiettivo dei pm è chiaro: ricostruire il percorso del denaro che, scrivono nella richiesta d'arresto per il commercialista Stefano Gazzani e per il funzionario pubblico Claudio Rinaldi, dalle mani di Anemone e attraverso Zampolini - colui che si occupava di "investimenti finanziari in immobili con intestazione a favore di terzi" - era destinato alla "remunerazione dei pubblici ufficiali". Denaro proveniente dai conti di Zampolini ma anche dai 30 (di cui 23 ancora attivi) intestati nella banca delle Marche alla segretaria dell'imprenditore, Alida Lucci. In questo quadro gli accertamenti delegati al nucleo tributario della Guardia di Finanza hanno già dato i primi esiti e in procura a Perugia c'è la certezza che una nuova operazione da 562mila euro sia stata compiuta da Zampolini, trasformando denaro contante - secondo gli inquirenti sempre di Anemone - in assegni circolari. L'operazione risale al luglio del 2004. Ma non solo. I militari della Guardia di Finanza hanno infatti scoperto che oltre alle quattro operazioni sospette già venute alla luce - l'acquisto da parte dell'ex ministro Claudio Scajola dell'appartamento fronte Colosseo, le due case comprate dal generale della Gdf Francesco Pittorru e quella acquistata dal figlio di Angelo Balducci, Lorenzo - ce ne è una quinta che viene definita in ambienti investigativi "molto interessante". Si tratta della vendita di un appartamento in via Emanuele Gianturco 5 a Roma. A vendere sono Maurizio De Carolis e Daniela Alberti, ufficialmente giardinieri, mentre a comprare è tale Alberto Donati, dirigente, nato a Montevarchi (Arezzo), il 22 giugno del 1958. Ma dietro Donati ci sarebbe, secondo gli inquirenti, Ettore Incalza. Quest'ultimo Š infatti il padre della moglie di Donati, e sarebbe lui ad aver indicato al genero l'imprenditore Anemone per trovare una casa a Roma. Incalza, ora a capo della struttura di missione del ministero delle Infrastrutture, era gi… al dicastero nel 2004, chiamato dall'allora ministro Lunardi. L'atto di compravendita è redatto dal solito notaio Gianluca Napoleone, lo stesso che ha firmato le altre quattro operazioni immobiliari realizzate con fondi portati da Zampolini. Il 7 luglio 2004 (il giorno dopo il rogito firmato da Scajola), si legge nell'informativa della Gdf, Zampolini si presenta nella filiale 582 di Roma della Deutsche Bank con 520mila euro in contanti e chiede l'emissione di 52 assegni circolari da 10mila euro intestati a Maurizio De Carolis. Lo stesso giorno, nello studio del notaio Napoleone, De Carolis vende la casa ad Alberto Donati. Si tratta, è scritto nell'atto, di un appartamento "al piano secondo, distinto con il numero 12, composto da 5 camere ed accessori... con annessa cantina posta al piano sotterraneo". La cifra ufficiale di vendita riportata sul contratto è di 390mila euro: 150mila la parte venditrice dichiara "di averli ricevuti prima d'ora dalla parte acquirente", mentre altri 240mila dovevano essere versati entro il 30 luglio del 2004. Gli investigatori credono però che l'appartamento sia stato pagato molto di più, anche con i 520 mila euro consegnati da Zampolini a De Carolis. 12 maggio 2010
Mafia, Lombardo indagato: "Tutte voci infondate" "Sono tutte voci infondate, una serie di sciocchezze, a meno che non sia il modo di comunicarmi qualcosa. Mi auguro che qualcuno mi contatti e che non debba ricevere per mezzo stampa le contestazioni". Il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, liquida le indiscrezioni pubblicate dal Corriere della Sera circa l'inchiesta della procura di Catania in cui è indagato per concorso in associazione mafiosa. "Ho sentito al telefono - ha aggiunto - l'assessore Nino Strano (anche lui coinvolto nell'inchiesta) che ha confermato quello che ho sempre sostenuto: le accuse a lui rivolte sono solo illazioni". In relazione a presunti accertamenti patrimoniali riguardanti sua moglie, che comunque non è indagata, circa la realizzazione di un impianto fotovoltaico che doveva realizzarsi a Ramacca, il governatore ha ribadito: "Ha rinunciato al progetto che ci avrebbe reso 150mila euro l'anno, pagando il prestito, più della mia indennità al netto delle spese". L'inchiesta scaturita dalle indagini del Ros di Catania su presunti rapporti tra mafia e politica è confermata però in maniera informale da più fonti che sottolineano come la sua posizione non sia stata ancora vagliata dai magistrati che stanno compiendo accertamenti e verifiche sul rapporto di 5mila pagine dei carabinieri. Nell'inchiesta è già emerso che sono indagati per concorso esterno all'associazione mafiosa il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, e suo fratello Angelo, parlamentare nazionale del Mpa. Nei confronti di quest'ultimo sono in corso anche accertamenti su un presunto "pestaggio" che avrebbe subito nel 2009 ma mai denunciato. Nel fascicolo aperto della Procura di Catania sono coinvolti anche due deputati regionali: Fausto Fagone dell'Udc e Giovanni Cristaudo del Pdl-Sicilia. Di Nino Strano, ex deputato di An confluito nel Pdl, e considerato un "finiano", le cronache parlamentari si sono occupate anche per avere festeggiato, il 24 gennaio del 2008, la caduta del governo Prodi mangiando mortadella nell'aula del Senato mentre il suo collega Domenico Gramazio stappava una bottiglia di spumante. In passato è stato anche assessore regionale al Turismo e lo stesso incarico ha avuto al Comune di Catania. Con la giunta dell'allora sindaco Umberto Scapagnini è stato condannato a 2 anni 2 mesi di reclusione per violazione della legge elettorale per contributi previdenziali concessi dall'amministrazione ai suoi dipendenti per i danni da 'cenere nerà dell'Etna tre giorni prima delle elezioni comunali del 2005. Sempre con l'ex Giunta Scapagnini è stato rinviato a giudizio per falso ideologico nell'inchiesta sul "buco in bilancio" al Comune. 12 maggio 2010
2010-05-11
2010-05-09 Appaltopoli, scarcerato Anemone ma inchiesta continua Anche dopo la scarcerazione del maggiore indiziato Diego Anemone, l'inchiesta perugina è in pieno svolgimento. Martedì approderà davanti al tribunale del riesame l'appello dei pm contro la decisione del gip di non concedere gli arresti dell"architetto Angelo Zampolini, del commercialista Stefano Gazzani e dell'ex commissario dei mondiali di nuoto a Roma Claudio Rinaldi. Il giorno successivo il gip esaminerà la richiesta della procura di commissariare le aziende del gruppo Anemone. Venerdì sarà quindi sentito come persona informata dei fatti l'ex ministro Claudio Scajola, coinvolto nell'indagine per l'acquisto di un'abitazione anche con assegni circolari dell'architetto Zampolini, che gli inquirenti sospettano siano riconducibili ad Anemone. Dal piccolo favore ("...c'ha la macchina che non gli funziona... gliene facciamo dare una in sostituzione...") alla grande mazzetta da occultare a San Marino: secondo gli inquirenti di Perugia e Firenze, l'imprenditore romano Diego Anemone, oggi scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare, faceva di tutto per aggradare i pubblici funzionari che gli avrebbero procurato illecitamente appalti milionari. Si spezzava in quattro pur di mantenere in vita quel "sistema gelatinoso" di cui egli stesso sarebbe stato l'elemento centrale. Il nome di Anemone ricorre in migliaia di pagine, centinaia di intercettazioni e verbali di interrogatori. L'imputazione principale, a Perugia, è quella di associazione per delinquere, finalizzata a commettere "una serie indeterminata di reati di corruzione, abuso di ufficio e riciclaggio". Di questa associazione, secondo i pm del capoluogo umbro attiva fin dal 1999, farebbero parte manager pubblici, costruttori e liberi professionisti, ciascuno con un proprio ruolo. I pubblici ufficiali sono Angelo Balducci, Fabio De Santis, Claudio Rinaldi e Mauro Della Giovampaola (pure lui scarcerato oggi), i primi tre incaricati della gestione di tre Grandi eventi - i Mondiali di nuoto di Roma 2009, il G8 alla Maddalena e le celebrazioni per il 150/o anniversario dell'Unità d'Italia - e Della Giovampaola "operante all'interno della Struttura di missione" del G8 alla Maddalena. Gli imprenditori della 'criccà, per i pm di Perugia, sono invece l'intera famiglia Anemone - Diego, Daniele, Dino e Luciano - e Vanessa Pascucci, "soci di società tra loro collegate o costituite in consorzi beneficiarie di appalti concessi dalle suddette autorità". Il commercialista Stefano Gazzani e l'architetto Angelo Zampolini, infine, farebbero parte dell'associazione per delinquere "quali riciclatori del denaro provento dei delitti contro la pubblica amministrazione e quali soggetti intermediari per la dazione delle somme oggetto della corruzione". Numerosi gli appalti che sarebbero stati illecitamente assegnati dai presunti pubblici ufficiali corrotti a società riferibili ad Anemone: la ristrutturazione dello stadio centrale del tennis del Foro italico, la realizzazione del Nuovo museo dello sport di Tor Vergata, il completamento dell'aeroporto perugino di Sant'Egidio, la realizzazione alla Maddalena di interventi riguardanti il Palazzo della conferenza e area delegati, l'Arsenale, l'area stampa e i servizi di supporto. Appalti per decine di milioni di euro. Il prezzo della corruzione sarebbe consistito nelle più svariate 'utilita" che il costruttore avrebbe procurato ai pubblici ufficiali: da telefoni cellulari a lavori di ristrutturazione nelle loro abitazioni, dalla messa a disposizione di auto alla fornitura di mobili, dall'assunzione di parenti ed amici nelle sue società a prestazioni sessuali. Ma non mancano vere e proprie 'dazionì di denaro, come quelle che gli inquirenti ritengono di aver individuato in alcuni conti esteri riconducibili, in particolare, a Rinaldi e Balducci. È il caso di uno specifico fatto di corruzione compiuto tra il 2007 e il 2009, relativo ai lavori edilizi di ampliamento dell'ormai famoso Salaria Sport village, di proprietà della 'Società sportiva romanà ("riconducibile a Diego Anemone e Filippo Balducci"), nell'ambito del Grande evento 'Mondiali di nuotò di cui Balducci e Rinaldi sono stati commissari. Secondo l'accusa le autorizzazioni per costruire sarebbero state concesse "in violazione della legge" e la Società sportiva romana avrebbe guadagnato dall'operazione qualcosa come 9 milioni di euro. In cambio, i pubblici ufficiali avrebbero ottenuto "denaro per una somma allo stato non determinata che veniva girata in conti esteri", individuati in particolare a San Marino, in Lussemburgo e in Svizzera. Diego Anemone, l'imprenditore coinvolto in diversi filoni dell'inchiesta sugli appalti, è uscito dal carcere di Rieti poco dopo le 6 di stamane Accompagnato da persone di fiducia è salito a bordo di una berlina ed ha dribblato cronisti, fotografi e telecamere che lo attendevano fuori dall'istituto di pena. Chi l'ha visto spiega che il manager aveva indosso occhiali scuri e pareva molto dimagrito. Il motivo della scarcerazione è la scadenza dei termini di custodia cautelare. Per quanto riguarda Anemone mercoledì il giudice della indagini preliminari dovrà esaminare la richiesta dell'ufficio dell'accusa di nominare un commissario per le imprese del gruppo. "Ho sempre lavorato onestamente, con tenacia, senza risparmiarmi e nel massimo rispetto di tutti i miei collaboratori", ha affermato il costruttore, figura centrale dell'inchiesta sugli appalti dei Grandi eventi, scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare. Anemone si dice certo "che la Giustizia, nella quale continuo ad avere grande fiducia, farà chiarezza sulla mia totale innocenza". "Lavorerò sodo - aggiunge - per far emergere la verità rispetto le vicende delle quali mi si accusa ingiustamente e le carte processuali lo dimostreranno 09 maggio 2010
Conti all'estero, s'indaga su Bertolaso. Nel mirino anche gli affari del cognato di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Guido Bertolaso fu sentito per cinque ore dai magistrati di Perugia il 13 aprile scorso. Ma gli investigatori ancora non sapevano, e lui si guardò bene dal dire, che tra lui e il costruttore Anemone c’erano stati rapporti diretti e privati di lavoro tra il 2006 e il 2007 con relativa emissione di fatture e assegni. Così ha colpito non poco gli stessi investigatori il fatto che venerdì il Capo della Protezione civile e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, indagato per corruzione nell’inchiesta sulla cricca che tra Lavori Pubblici e Protezione civile ha gestito i grandi appalti con un sistema gelatinoso di corruttela, abbia ottenuto l’uso della sala stampa di palazzo Chigi, cioè del governo, per pronunciare la sua vibrata arringa. "Si vede che si era scordato di quell’assegno, dettagli che avrà giudicato insignificanti" è stato il commento di chi cerca di capire fin dove arriva il sistema gelatinoso. In attesa che le verifiche contabili di Finanza, Ros dei carabinieri e polizia accertino altri rapporti diretti tra il costruttore Anemone e parenti e amici di pubblici funzionari e/o ministri - come quelli che hanno permesso l’acquisto delle case per i figli di Balducci, del generale Pittorru e del ministro Scajola - la procura di Perugia ha chiesto alla Banca d’Italia di avere informazioni circa eventuali conti all’estero di 70 persone tra cui anche Guido Bertolaso e il cognato Francesco Piermarini. "Si richiede la collaborazione di codesta Unità di Informazione Finanziaria - si legge nella richiesta - in relazione alla segnalazione di operazioni sospette e di informative pervenute da Fiu estere in relazione ai seguenti soggetti". Segue una lista con i nomi di tutti i protagonisti e le seconde file dell’inchiesta, da Balducci alla moglie Rosanna Thau, dagli imprenditori Fusi, Di Nardo, Carducci e Rocco Lamino a impiegate prestanome e sacerdoti come don Evaldo Biasini, la banca occulta del sistema Anemone. Tra questi, appunto, anche Bertolaso e il cognato Francesco Piermarini. Scrive il gip di Firenze Rosario Lupo a pagina 11 della prima ordinanza di custodia di questa vicenda: "Nel pur breve periodo di monitoraggio (telefonico ndr) a carico di Guido Bertolaso, emergeva altresì che, in evidente conflitto di interesse, il cognato di Bertolaso, Francesco Piermarini, di professione ingegnere, è stato impiegato nei cantieri della Maddalena relativi al vertice G8. Sono altresì emersi rapporti tra il predetto Piermarini e Diego Anemone". Ora, sommando queste righe alla richiesta di verifica sui capitali all’estero "al fine - scrivono i magistrati - di individuare i proventi dell’attività di corruzione", e al fatto che la posizione di Bertolaso è ancora lontana, pare, dall’essere archiviata, si capisce perchè molti potenti stanno ancora tremando. E perchè Bertolaso abbia deciso di uscire allo scoperto: meglio una conferenza stampa di una giornalata. Prima operazione: "Nel 2006 - ha spiegato Bertolaso - ho pagato con questo assegno 20 mila euro ad Anemone per lavori di falegnameria in casa mia". Prima e dopo di lui, molti altri. Seconda operazione: "Nel 2007 mia moglie Gloria, architetto paesaggistico, ha svolto una consulenza per il Salaria sport village di Anemone. Ma anzichè incassare i previsti 99 mila euro mia moglie ne ha incassati solo 25 mila. Aveva interrotto la consulenza per motivi di opportunità". Gli affari del cognato Ciò di cui il grande capo della Protezione civile non parla è il ruolo di Francesco Piermarini, il cognato, e i rapporti con Anemone. E’ certo che il nome Piermarini è sinonimo di business, dai rifiuti all’edilizia, dalle consulenze di eventi alla produzione di film. Il tutto grazie a varie società che annoverano tra i soci nomi eccellenti dell’imprenditoria. Forse è questo il filo che adesso gli investigatori stanno per tirare. Bertolaso afferma: "Non sono ricattabile, non ho mai mentito agli italiani". Nulla dice, però, sul numero di appalti vinti dal gruppo Anemone negli ultimi dieci anni che dagli anni del Giubileo hanno fatto schizzare il gruppo da anonima ditta di costruzione a società con fatturato oltre i 40 milioni di euro. Con appena 26 dipendenti. Diego Anemone esce oggi dal carcere di Rieti dopo tre mesi di detenzione. Il costruttore, che nelle intercettazioni si lamentava di dover sistemare troppa gente - figli, nipoti e cognati - sa molto di tutti. Finora ha sempre negato: "Mai dato soldi ad alcuno". Oggi comincerà a fare i conti se ancora sia questa la linea difensiva che più gli conviene. 09 maggio 2010
Appalti, scarcerato Anemone il costruttore della "cricca" È stato scarcerato Diego Anemone, il costruttore considerato una delle figure centrali dell'inchiesta condotta dalla procura di Perugia sugli appalti per i grandi eventi. Era detenuto nel carcere di Rieti ed oggi sono scaduti i termini di custodia cautelare disposti dal Gip di Perugia. Anemone ha lasciato il carcere di Rieti nelle ore scorse nel massimo riserbo. Ha raggiunto una località che viene mantenuta riservata e comunque non a Roma. Per il momento Anemone non intende avere contatti con i mezzi di informazione. Sempre oggi è prevista la scarcerazione del funzionario pubblico Mauro Della Giovanpaola, detenuto nel carcere di Terni. Quella di Diego Anemone è stata un' uscita dal carcere effettuata nel massimo della segretezza. Dopo che informazioni discordanti si erano susseguite durante tutta la giornata di ieri sull'orario sulla sua scarcerazione per evitare l'assedio dei giornalisti, Anemone alle 6,20 di questa mattina ha lasciato la nuova casa circondariale di Rieti. Visibilmente dimagrito, con giubbotto ed occhiali scuri ed al polso un orologio con il cinturino blu elettrico, Diego Anemone, accompagnato da una donna bionda che era entrata poco prima nel carcere, e da altri cinque uomini, è salito a bordo di una Mercedes che si è allontanata insieme ad un'Audi scura dall'edificio. Anemone, a bordo dell'auto, ha girato il volto per evitare di essere ripreso all'uscita dai cancelli da telecamere e fotografi. 09 maggio 2010
Bertolaso su Clinton, Frattini lo rimprovera di Natalia Lombardotutti gli articoli dell'autore E due. Per la seconda volta il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rimprovera Guido Bertolaso per la nuova stoccata che ha rifilato ai Clinton, mettendo in imbarazzo l’Italia nel rapporto con gli Stati Uniti. Se la prima riguardava l’accusa agli Usa di inefficienza nei soccorsi portati ad Haiti, questa volta Mister Protezione civile è piombato nel cattivo gusto parlando delle due "Monica" che avrebbero messo nei guai se stesso e l’ex presidente Usa. In modo netto, il ministro degli Esteri ha comunicato che "la Farnesina e il governo si dissociano pienamente dal linguaggio e dalla affermazioni" del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, parole che "non riflettono in alcun modo il pensiero del governo italiano". E ancora, per scusarsi verso Hillary Clinton, ora segretario di Stato Usa, il ministro a nome del governo "in maniera ferma e compatta riafferma la massima stima e considerazione nei confronti dell’ex presidente americano, Bill Clinton". Poi, seguendo le orme di Silvio, Frattini intervistato a Radio Anch’io ridimensiona il giudizio a "battuta non offensiva e non indirizzata" a mettere in dubbio "l’amicizia e la stima profonda" del governo verso Bill Clinton. Che tra Frattini e Bertolaso, due esponenti del governo che si occupano direttamente o occasionalmente di affari esteri, non corra buon sangue, quanto piuttosto gelosia per conquistare il podio nella considerazione del premier, è cosa nota. Ma in questo caso ha un suo peso la reazione Usa: fonti diplomatiche americane, infatti, se pur in via non ufficiale hanno fatto trapelare presso la diplomazia italiana il loro disappunto per l’uscita di Bertolaso, definita "imbarazzante". Nel gennaio scorso Hillary Clinton aveva reagito duramente alle critiche del capo della Protezione civile pronunciate sulle rovine di Haiti: "Chiacchiere" calcistiche da "processo del lunedì", tanto che Berlusconi intervenne per bacchettare l’amico Guido e affiancare Frattini nel condannare dichiarazioni che "hanno generato equivoci". Salvo fare la solita capriola di rappresentanza di fronte ai membri dell’Ocse, martedì scorso, dando ragione a Bertolaso sulla critica alla gestione dei soccorsi Usa da Haiti. Ma la sparata del capo della Protezione civile dall’isola caraibica piombò sul ministro degli Esteri in volo notturno verso Washington, dove il giorno dovette subire l’imbarazzo di sedere accanto a una Hillary Clinton su tutte le furie. Così, in diretta, prese le distanze dalle parole di Bertolaso dettate dalla "emotività". Confermata piena stima e fedeltà verso gli Stati Uniti, il ministro riuscì a tamponare il caso diplomatico; l’altro, invece, si offese: ma quale emotività? Così venerdì il Super sottosegretario ha messo di nuovo in difficoltà il titolare della Farnesina tirando fuori lo scandalo Lewinsky per fare pulizia sul suo: "Volevo dire a Bill Clinton che io e lui abbiamo avuto un problema che si chiama Monica", ha detto Bertolaso occupando, col beneplacito del premier, la sala stampa di Palazzo Chigi per i suoi fatti privati. Ma se lui è convinto di "non aver avuto problemi reali" con la massaggiatrice brasiliana al Salaria Sport Village, "lui - Clinton - qualche problemuccio l’ha avuto" con la stagista. Dietro le quinte ci sono sia la rivalità tra i due che il conflitto di competenze che si stava aggravando con la nascita, poi sfumata, della Protezione civile Spa: sarebbe entrata spesso in conflitto con le competenze del Dipartimento cooperazione della Farnesina. al quale sono stati dimezzati i fondi. Non ultimo quel risiko di alleanze sul fronte dell’energia: l’asse Berlusconi-Putin per gli accordi Eni-Gazprom (e Bertolaso è sempre il fiduciario del premier) o i patti con la Libia: strategie che fanno storcere il naso agli Usa. Partita che si gioca su quel campo del conflitto d’interessi del ministero dello Sviluppo tanto più con l’interim. All’impettito ministro Frattini l’arduo compito di tenere saldo il filo tanto sbandierato da Silvio, ai tempi di Bush, con l’alleato americano. 09 maggio 2010
Carboni, l'occulto consigliere dell'eolico sardo di Giovanni Maria Bellututti gli articoli dell'autore Sarà stato per l’euforia dell’assoluzione dall’accusa dell’omicidio di Roberto Calvi. Fatto sta che Flavio Carboni ha rivelato di essere una sorta di consigliere occulto della maggioranza che governa la Sardegna. Al punto di aver indicato il nome del presidente dell’Arpas, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale: quell’Ignazio Farris che da qualche giorno, assieme allo stesso Carboni e al coordinatore del Pdl Denis Verdini, è indagato per concorso in corruzione dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma nell’ambito dell’inchiesta sul "comitato d’affari" che si sarebbe spartito gli appalti per la costruzione di alcuni impianti eolici nell’isola. Intervistato da La Stampa e dal quotidiano Il Sardegna, l’ormai settantottenne "uomo d’affari" ha tranquillamente riconosciuto di aver suggerito il nome di Farris ("È una brava persona. Mettere una buona parola, una raccomandazione, che reato?") e di averlo sostenuto. In che modo l’ha chiarito lo stesso presidente della Regione Ugo Cappellacci che proprio ieri è tornato nell’isola dopo una settimana negli Stati Uniti: "Per la scelta di Farris, che non nego, fu decisiva la segnalazione di Verdini. Del resto si trattava del capo del mio partito". Cappellacci non ha trovato un bel clima nei suoi uffici: i carabinieri inviati dalla Direzione antimafia, che la scorsa settimana avevano fatto visita all’assessorato all’Industria, l’altro ieri si sono presentati al secondo piano del palazzo della Regione, dove si trova la direzione generale, e hanno clonato il contenuto di un pc. Gli investigatori tentano di capire se l’attività del "comitato d'affari", oltre alla nomina dell’amico di Carboni alla guida dell'Arpas, abbia prodotto altri risultati. Chissà, magari qualche delibera poi non registrata. L’inchiesta della Dda romana - a condurla è l’aggiunto Giancarlo Capaldo - è stata avviata nel 2008. Fu allora che gli inquirenti rilevarono le prime tracce del "comitato d’affari". Secondo l’ipotesi del magistrato, era costituito da alcuni imprenditori del Nord che, su invito di Flavio Carboni, avevano messo assieme diversi milioni di euro da investire nell’eolico in Sardegna. Sempre secondo l’ipotesi investigativa, questo denaro poi transitò nelle casse della Banca di credito cooperativo, della quale Verdini è presidente (e che è stata già perquisita). Ma Carboni non ebbe solo il ruolo di collettore del denaro. Assunse anche quello di "promotore" (o "sviluppatore"), figura già emersa in altre inchieste giudiziarie sui business criminali attorno alle energie alternative. Si tratta dell’uomo che, attraverso i suoi contatti e la sua esperienza, apre la strada alla costruzione delle centrali. Insomma, uno che sa quali ingranaggi politici e amministratori oliare, e come. Si comprende dunque l’imbarazzo di quanti hanno avuto occasione di incontrarlo nei mesi durante i quali, secondo gli investigatori, svolgeva quest’attività. Di certo Verdini e Cappellacci furono tra loro. Ci fu un incontro a Roma nella casa di Verdini, poi - ha riconosciuto lo stesso presidente della Regione - ce ne furono altri in Sardegna. Uno in un albergo di Cagliari e un altro in un convegno a S. Margherita di Pula. Non basta: Carboni, seduto accanto a Verdini, presenziò al discorso di Silvio Berlusconi in occasione dell’apertura della campagna elettorale di Cappellacci. Una conoscenza di lunga data: "Con Cappellacci - ha detto Flavio Carboni - ci siamo incontrati diverse volte, soprattutto quando non era presidente". Il capo del governo sardo ha negato che in quegli incontri si sia parlato di politica. Quanto al summit nella casa romana di Verdini, a la Stampa ha detto: "Flavio Carboni mi chiese informazioni sulla possibilità di sottoscrivere accordi di programma con la Regione Sardegna su fonti energetiche alternative. Io gli spiegai che non era possibile. Che la precedente normativa lo consentiva, ma che adesso non era più possibile". Curiosamente Carboni, nell’intervista a Il Sardegna, di quell’incontro ha fornito una versione diversa. Ha detto, infatti, che non si parlò di impianti eolici. E ha aggiunto: "In Sardegna chiesi una sola autorizzazione, tantissimo tempo fa, per un impianto del Nord che non mi diedero. Altro che favori, io dovrei essere molto arrabbiato con questa amministrazione regionale". E qua le due versioni tornano a coincidere. Perché Ugo Cappellacci oggi si presenta come il più accanito tra gli oppositori alle centrali eoliche: "Ho bloccato le pale come un talebano". A sostegno di questa tesi, una delibera adottata meno di un mese fa (poco prima che l’indagine giudiziaria esplodesse) che annuncia l’istituzione di una società, "Sardegna energia", incaricata di occuparsi di energie alternative. Ma prima? Forse Carboni non ha mentito a proposito di quella richiesta di autorizzazione avanzata "tantissimo tempo fa". Cicito Morittu, assessore all’Ambiente della giunta guidata da Renato Soru, fa risalire agli anni tra il 2001 e il 2004 la comparsa nell’isola dei primi "sviluppatori". Alcuni dei quali, aggiunge, "rispuntano oggi nelle indagini della magistratura romana". "In quegli anni furono presentate 87 richieste di impianti eolici per un totale di 3750 megawatt di potenza e di tremila torri disseminate su tutte le cime montagnose della Sardegna". L’isola era governata dal centrodestra. Prima dalla giunta guidata da Mauro Pili, poi da quella guidata da Italo Masala, con Ugo Cappellacci assessore alla Programmazione e al Bilancio. Di tutti questi impianti, i più importanti furono approvati. Salvo essere poi bloccati, nel 2004, dalla legge salvacoste della giunta Soru. Nel 2007, con la legge finanziaria, il governo di centrosinistra definì le modalità (accordi di programma e bandi) per lo sfruttamento del vento a fini energetici. E la gestione fu affidata a un ente regionale, l'Enas, quello che si occupa degli acquedotti, con l'obbiettivo di dimezzare il costo dell’acqua tagliando, attraverso il vento, il costo dell'energia. Tutte queste norme (e anche i finanziamenti all’ente regionale) sono state abolite dalla giunta Cappellacci poco dopo l’insediamento. Per questo, ha scritto l’ex assessore Morittu e ha ribadito Renato Soru in un’intervista apparsa ieri su La Nuova Sardegna - è difficile credere alle attuali posizioni "talebane" di Ugo Cappellacci.. 09 maggio 2010
2010-05-06 Berlusconi: "Mai parlato di congiure L'interim durera giorni" "Non ho mai pronunciato la parola congiura, questo lo avete scritto voi, è un termine che non ho mai pronunciato". Ci risiamo. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, conversando con i cronisti in Transatlantico, smentisce la stampa sul caso Scajola. E ribadisce: "Non ho mai parlato di congiure e complotti. Il termine congiura è un vocabolo che non mi appartiene. Ci sono alcuni magistrati politicizzati e basta, non è cambiato niente. Non ho mai detto congiura o complotto".
La successione di Scajola "Durerà giorni". Risponde così Silvio Berlusconi, ai cronisti che alla Camera gli chiedono se l'interim assunto allo Sviluppo Economico durerà dei mesi. L'interim allo Sviluppo economico "sarà breve e sarà un incarico limitato nel tempo". Lo assicura Silvio Berlusconi parlando a Montecitorio. "È un incarico - ha aggiunto - diciamo così, tecnico. Durerà giorni". Berlusconi ha aggiunto che sulla scelta del successore di Scajola, serviranno dei giorni perchè "devo consultarmi anche con gli alleati, all'interno del Governo e mi sono preso qualche giorno di tempo per una decisione che deve essere ponderata". Nomi in campo? "Ci sono alcuni nomi che ho in mente", ha risposto il premier. 06 maggio 2010
ppalti, un testimone: assegni a Lunardi. Lui smentisce: mai firmati progetti "Questo qui dice che io ho firmato dei progetti? Me li porti allora. Non esistono oppure la mia firma è falsa. All'epoca non potevo firmare progetti, nè come ministro nè come libero professionista. Non sono mica matto". Pietro Lunardi smentisce le dichiarazioni del tunisino Ben Fathi Hidri, secondo il quale l'ex ministro delle Infrastrutture avrebbe firmato i progetti che gli inviava Angelo Balducci per poi affidarli a Diego Anemone, ricevendo in cambio una tangente del 10%. "Dopo aver letto il suo nome ho fatto degli accertamenti, ho chiesto a chi lo conosceva", dice Lunardi in un colloquio telefonico con il Corriere della Sera. "Quello è un ubriacone, un drogato, manovrato da chissà chi. Sono falsità assolute. Le avesse dette una persona affidabile, un Berlusconi per dire, potrei capire. Ma così no". L'attenzione della procura di Perugia è concentrata sugli appalti ottenuti dal gruppo Anemone per verificare eventuali irregolarità. Nelle carte dell'inchiesta perugina non ci sarebbero nomi di altri politici oltre a quello di Scajola e dell'ex ministro Pietro Lunardi. A carico di entrambi non è stato comunque preso al momento alcun provvedimento. 06 maggio 2010
2010-05-05 Ue, il Pil dell'Italia in lenta ripresa, ma i conti sono fragili In Italia, sostenuta soprattutto dai consumi privati e dall'export, "la ripresa va rafforzandosi lentamente", con un Pil che si attesterà allo 0,8% nel 2010 e, a politiche invariate, all'1,4% nel 2011. Valori che comunque sono "ampiamente in linea con la media della zona euro". Queste le previsioni di primavera della Commissione Ue, che ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita economica del governo italiano, che nel Programma di stabilità aggiornato indicava un Pil all'1,1% quest'anno e al 2% il prossimo. DEFICIT ITALIA 5,3% ANCHE IN 2010, PESA CALO PIL Il disavanzo dell'Italia si attesterà al 5,3% anche nel 2010: lo prevede la Commissione Ue, che spiega questo "livello più elevato di deficit" rispetto alle aspettative del governo (5,0%) con "una caduta dell'attività economica" che è stata più marcata del previsto. Nel 2011, a politiche invariate, Bruxelles prevede che il deficit italiano "si riduca leggermente" attestandosi al 5% (contro il 3,9% stimato dal governo nel Programma di stabilità aggiornato). DEBITO ITALIA IN RIALZO,SOPRA 118% IN 2010 E 2011 La Commissione Ue prevede che il debito pubblico italiano, dal 115,8% del 2009, salga sopra il 118% nel 2010 rimanendovi, a politiche invariate, anche nel 2011. Il governo prevedeva di non andare oltre il 116,9% nell'anno in corso. In particolare, il debito italiano (superato nella Ue solo da quello della Spagna che viaggia verso il 130%) quest'anno sarà al 118,2% e il prossimi al 118,9%. CONTI ITALIA FRAGILI, MA POLITICA GOVERNO ACCORTA "Attraverso la crisi, in un contesto di rischi persistenti sui mercati dei titoli di Stato, il governo italiano ha perseguito una politica di bilancio accorta tenendo conto delle fragili finanze pubbliche dell'Italia, soprattutto il suo elevatissimo debito pubblico": é quanto scrive la Commissione Ue nelle sue previsioni economiche di primavera. Nel testo si sottolineano in particolare gli effetti sul deficit di quest'anno (previsto al 5,3%) dovuti a una crescita della spesa primaria intorno al 5% nel 2009 ("considerevolmente più veloce di quanto previsto dal governo") e a "una caduta delle entrate", sempre lo scorso anno, dovuta a un restringimento della base imponibile e all'aver posticipato al 2010 parte dei pagamenti dovuti dalle pmi nel 2009. Un effetto positivo si è invece avuto da alcune misure, come "la tassa straordinaria sul rimpatrio dei capitali detenuti illegalmente all'estero", lo scudo fiscale. Sul fronte del debito pubblico, che per Bruxelles crescerà più del previsto, la Commissione Ue sottolinea come questo "si sia arrampicato di dieci punti nel 2009" e come "il grosso dell'aumento sia stato dovuto alla caduta del Pil, all'enorme peso degli interessi e ad un avanzo primario negativo dovuto all'attivazione degli stabilizzatori automatici". "Limitate iniezioni di capitale nel settore bancario - aggiunge Bruxelles - a ulteriori accumulazioni di liquidità detenuta dal Tesoro con la Banca d'Italia si sono aggiunte al debito". UE RIVEDE AL RIALZO PIL EUROZONA +0,9% IN 2010 La Commissione Ue ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita della zona euro, indicando per il 2010 un Pil allo 0,9% contro lo 0,7% previsto lo scorso febbraio. Nel 2011 si stima un Pil all'1,5%. "La ripresa dell'economia nella Ue è graduale ma procede", spiega Bruxelles, anche se "una domanda interna debole continua a darle un carattere contenuto". Inoltre, "la velocità della ripresa varia da Paese a Paese". A trainare sono la Francia (+1,3% nel 2010) e la Germania (+1,2%). Restano in recessione, invece, la Grecia (-0,9%) e la Spagna (-0,4%). Per l'Italia nel 2010 è previsto un Pil allo 0,8%. 05 maggio 2010
2010-05-04 Scajola si dimette: "Devo difendermi" Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, e' stato ricevuto a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il ministro dimissionario, che stamani ha annunciato le sue dimissioni, e' arrivato nella sede del governo oltre mezz'ora prima di Berlusconi, impegnato a villa Madama con l'Emiro del Kuwait, Sheikh Sabah Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah. Il presidente del Consiglio e il ministro dello Sviluppo, a quanto si apprende, si sono incontrati nello studio del capo del governo. "Il ministro Scajola ha assunto una decisione sofferta e dolorosa - ha deto poi il presidente del Consiglio -, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito. Al ministro Scajola va l'apprezzamento mio e di tutto il governo per come ha interpretato il ruolo di ministro dello Sviluppo economico in una fase difficile e delicata che, anche grazie al suo contributo, l'Italia sta superando meglio di altri Paesi". Berlusconi trova anche il tempo di attaccare la stampa: "Se c'è una cosa" che è "sotto gli occhi di tutti" è che in Italia "c'è fin troppa libertà di stampa", dice nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi. Una battuta pronunciata in occasione della presentazione del rapporto Ocse sulla capacità di risposta alle catastrofi naturale, rapporto molto favorevole all'Italia. Il premier soddisfatto ha osservato: "Altre volte abbiamo avuto dei rapporti fatti da osservatori internazionali", come appunto quello sulla libertà di stampa, che "ci mettevano in situazione di grande distanza dai primi. Ecco, credo che c'è la sicurezza di tutte che abbiamo fin troppa libertà di stampa, è un fatto indiscutibile". In mattinata si era riunito con alcuni suoi fedelissimi per preparare la conferenza stampa con i giornalisti. Poco prima di mezzogiorno l'annuncio: "Mi dimetto". L'incontro con la stampa, convocata presso la sede del ministero dal ministro travolto dallo scandalo della casa al Colosseo è cominciato proprio con queste parole. Scajola lascia l'incarico: "Devo difendermi, non posso continuare a fare il ministro". E poi la provocazione: "Un ministro non può sospettare di stare in una casa pagata da altri". VIDEO Le dimissioni in diretta LO STRISCIONE "Cerchi casa? Chiedi a Scajola" Le dimissioni del 2002 per le frasi su Biagi Sul sito Pdl: "Cacciatelo!" Libero e Giornale: "Che guaio" "Vivo da 10 giorni una grande sofferenza", dice in conferenza stampa, e "in questa situazione che non auguro a nessuno, devo difendermi. E per difendermi, non posso piu' continuare a fare il Ministro" "Ho avuto attestati di stima da Berlusconi, da colleghi di governo e da tutta la maggioranza": ha affermato il Ministro dello Sviluppo Economico. ''Mi trovo esposto ogni giorno - ha detto Scajola - a ricostruzioni giornalistiche contraddittorie. In questa situazione che non auguro a nessuno io mi devo difendere. E per difendermi non posso continuare a fare il ministro come ho fatto in questi due anni, senza mai risparmiarmi. Ne siete testimoni, ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo commettendo sbagli ma pensando di fare il bene''. Sono estraneo ai fatti e lo dimostrerò. "Sono certo che le mie dimissioni permetteranno al governo di andare avanti con il lavoro che anche io ho contribuito" a fare in questi due anni. ''Ho imparato nella mia vita che la politica da' sofferenze. Ma ho anche imparato che sono compensate da soddisfazioni. So che tutti i cittadini hanno grandi sofferenze e io non sono l'unico che sta soffrendo''.Lo ha detto il ministro per lo Sviluppo conomico, Claudio Scajola, nel corso della conferenza stampa con cui ha annunciato le proprie dimissioni. Finita la sua dichiarazione Claudio Scajola saluta i giornalisti e se ne va. A questo punto i cronisti protestano rumorosamente perche' non hanno avuto modo di fare nemmeno una domanda. Le dimissioni di Claudio Scajola sono "una scelta giusta". Lo dice Pier Luigi Bersani a Repubblica tv. "Mi pare- aggiunge- che le cose che Scajola ha detto fin qui non sono convincenti per nessuno. Se non ha nient'altro da aggiungere- dice Bersani- mi pare inevitabile che Scajola rassegni le dimissioni. Anche perche' e' emerso un verminaio sui meccanismi di appalti, che avvengono secondo procedure secretate, e chiedo che venga scavato fino in fondo. Perche' e' una vicenda intollerabile", dice Bersani. Le sue dimissioni sono un'altro episodio di un governo e una maggioranza "in stallo", che prelude "strappi" all'interno del centrodestra. È l'analisi del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commentando l'accettazione delle dimissioni del ministro da parte del premier Berlusconi. Intanto emergono testimonianze e documenti che inguaiano il ministro. "Portai gli assegni circolari direttamente al ministero, dove si doveva stipulare l’atto". Non ha vuoti di memoria l’architetto Angelo Zampolini su quel giorno di luglio 2004, quando la proprietà dell’appartamento romano di via del Fagutale n°2 passava dalle mani delle sorelle Papa a quelle del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola. E, com’è noto, per il rogito non possono mancare i soggetti coinvolti. "Ricordo - dice l’architetto - che erano presenti il ministro, le due venditrici e il notaio. Consegnai i titoli direttamente al ministro". Si trattava di assegni per un valore di 900 mila euro. La testimonianza di Zampolini aderisce al racconto delle due sorelle Papa, Beatrice e Barbara. Le proprietarie dell’appartamento, infatti, hanno detto per tre volte agli inquirenti che "quegli assegni sono stati consegnati dal ministro Scajola". Titoli che le due sorelle si sono divise equamente, 40 a testa, e che, una volta depositati in banca, hanno attirato l’attenzione, sembrando i figli di operazioni sospette. All’incontro, le due proprietarie sono lusingate dall’acquirente e non si mettono a discutere di modi o tempi del pagamento. Dal ministro, ricevono un acconto 200 mila euro in contanti che si dividono a metà. La prima a essere ascoltata dagli investigatori, il 23 marzo, è stata Beatrice. "Riconosco i 40 assegni circolari emessi dalla Deutsche Bank il 6 luglio 2004 - ha detto - mi sono stati consegnati dal ministro Scajola che ha acquistato la nostra casa di famiglia per 1 milione e 700 mila euro. Fu il ministro, davanti al notaio Napoleone, a consegnarmeli, mentre la restante parte mi è stata data in contanti". Una cifra, questa di 1.700.000 euro, che non corrisponde a quella dichiarata da Scajola: i 610 mila euro che compaiono anche nel documento notarile. Infatti, le vecchie proprietarie aggiungono che "nell’atto non figura questo passaggio perché ci eravamo accordati per denunciare solo 600 mila euro". Inoltre, secondo le Papa, l’incontro si è svolto "in via della Mercede in una sala riunioni, nella disponibilità del ministro" e c’era anche "il direttore dello sportello B della Deutsche Bank". Un altro dato del racconto di Zampolini che sembra coincidere con gli atti in mano degli inquirenti riguarda la provenienza dei soldi serviti per avere in cambio gli assegni circolari. "Io li ho ricevuti da un cittadino tunisino che collaborava con Anemone - ha detto l’architetto - ma non saprei come rintracciarlo". I carabinieri del Ros, però, lo avevano già trovato: si tratta di Laid Ben Fathi Hidri, l’autista di Angelo Balducci. Il tunisino, infatti, ha dichiarato ai magistrati di avere avuto più volte il compito di prendere soldi liquidi e di portarli a Zampolini. Erano "buste dal contenuto sconosciuto" destinate "a vari soggetti, alcuni anche ministri", ha detto Fathi Hidri. Secondo la versione di Zampolini, Anemone lo "incaricò di trovare un appartamento per Scajola". Vicenda di cui "era informato anche Angelo Balducci. Inizialmente visionammo un altro immobile nella zona del Gianicolo, ma il ministro mi spiegò che non gli piaceva e così gli proposi quello al Colosseo che poi effettivamente venne acquistato. La procedura fu quella seguita solitamente: versai sul mio conto corrente i soldi messi a disposizione da Anemone e poi provvidi a prelevarli sotto forma di assegni circolari". Intanto il costruttore Diego Anemone ha fatto sapere, tramite i suoi legali, di non avere mai dato il denaro a Zampolini. Domenica prossima, Anemone uscirà dal carcere e, dice il suo avvocato, "chiarirà tutto". 04 maggio 2010
Editoria, Ciarrapico indagato per truffa L'imprenditore e senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico è stato indagato dalla Procura di Roma per truffa aggravata. Avrebbe avuto contributi per l'editoria pari a circa 20 milioni. Medesima cifra è stata posta sotto sequestro dai militari del Nucleo speciale di polizia valutaria di Guardia di finanza. Oltre a lui sono indagati il figlio Tullio e altre cinque persone, prestanomi amministratori di fatto di società ricollegabili all'editore. La procura parla di "gravi fatti di fraudolente percezioni di contributi all'editoria per importi complessivi pari a circa 20 milioni di euro dal 2002 al 2007 e per analoghi tentativi susseguitisi fino all'anno in corso, in danno dello Stato - presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per l'informazione" da parte delle società editrici Nuova Editoriale Oggi srl e Editoriale Ciociaria Oggi srl. I militari della Guardia di finanza, nucleo speciale di polizia valutaria, diretti dal colonnello Leandro Cuzzocrea e su disposizione del pm Simona Marazza, responsabile dell'inchiesta, hanno eseguito sequestri preventivi a Roma, Milano e in altre città, di immobili, quote societarie e conti correnti ed una imbarcazione di lusso, che era ormeggiata a Gaeta. Gli accertamenti sono stati coordinati dal procuratore aggiunto della Capitale, Pietro Saviotti. Il sequestro di beni e quote societarie per quasi 20 milioni di euro ha riguardato "beni riconducibili, attraverso intestazioni fittizie" a Giuseppe Ciarrapico "rilevato come effettivo proprietario delle società editrici". Il reato di truffa aggrava secondo l'articolo 640 bis del codice penale, per gli inquirenti, si completa proprio perché Ciarrapico e gli altri, tra cui il figlio Tullio, avrebbero chiesto e ottenuto dallo Stato i finanziamenti dal Dipartimento per l'editoria con società che figuravano come cooperative. Le quote societarie i beni e tutto quanto è stato sequestrato dagli investigatori delle Fiamme gialle saranno adesso affidati ad un custode societario. L'indagine a carico di Giuseppe Ciarrapico è partita oltre tre anni fa, dopo che dalle verifiche della Gdf è emerso che l'imprenditore ha incassato il doppio dei soldi che avrebbe dovuto avere come contributo pubblico per diversi giornali locali di cui il senatore del Pdl è editore. L'inchiesta è stata comunque avviata dalla magistratura dopo una puntata di 'Report', il programma di Raitre condotto da Milena Gabanelli in cui sono stati denunciati numerosi casi di finanziamenti sospetti concessi ai mass media. Nell'ambito dello stesso filone d'inchiesta, nel maggio del 2006, finirono in carcere quattro persone, tra cui l'ex direttore del Giornale d'Italia e all'epoca amministratore unico della società editrice dello stesso quotidiano. Secondo l'accusa, in pratica, Ciarrapico avrebbe eluso la legge per l'emanazione dei contributi all'editoria (la 250 del '90) facendo figurare che le due società, Editoriale Ciociaria Oggi e Nuova Editoriale Oggi, amministratrici degli otto giornali da lui controllati che avevano gestioni separate. L'ex re delle acque minerali - sempre secondo l'accusa - avrebbe sfruttato la complicità di dipendenti a lui legate per cercare di non incappare nei controlli che poi, in realtà, lo hanno inguaiato. Il reato di truffa aggravata in concorso è contestata a collaboratori, che secondo i pm erano semplici 'prestanome'. 04 maggio 2010 Vedi tutti gli articoli della sezione "Italia"
"Grave che non faccia niente per Unità d'Italia" Per Gianfranco Fini è molto grave che il Pdl non abbia presentato una proposta per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il presidente della Camera lo dice in una intervista. "Nel mio intervento alla Direzione del Pdl, che tante polemiche suscitò - aggiunge - mi ero permesso di chiedere per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario? E non sarà, avevo chiesto, perchè gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?". Fini non è meravigliato dalla presa di posizione del Carroccio: "Ovviamente depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell'unità nazionale. Però non mi meraviglia. La Lega - sostiene - in fondo non è un partito nazionale. I sostenitori di Bossi, lo sappiamo, si sentono figli di una nazione tanto inesistente quanto retoricamente declamata". La critica è per il suo partito: "Si dà il caso - spiega - che il Pdl sia il maggior partito italiano, in cui sono confluite culture politiche rilevanti, tra cui quella di destra. Avendo contribuito a fondarlo, considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l'Unità". 04 maggio 2010
FareFuturo, il premier indaga sui finanziatori di Il congiuratotutti gli articoli dell'autore Non ci sono solo i circoli di Generazione Italia a far arrabbiare il premier. Anzi, per lui l’annuncio dato ieri in proposito dal presidente della Camera in qualche modo rappresenta almeno un elemento di chiarezza in un percorso che, nella sua visione, porterà prima o poi Fini e i suoi uomini fuori dal Pdl. Quel che dà più fastidio a Berlusconi è piuttosto il continuo controcanto che, in attesa di quello che gli appare un inevitabile esito finale, continuerà ad arrivare dalla terza carica dello Stato e dai suoi uomini su ogni scelta di Palazzo Chigi. Il Cavaliere vuole limitare al massimo quello che considera un vero e proprio stillicidio di consenso nei suoi confronti, proveniente soprattutto da quella che ha individuato da tempo come la principale centrale del dissenso: FareFuturo. Raccontano da Palazzo Grazioli che alcuni giorni fa, stufo delle solite critiche, ha deciso di non rimanere oltre con le mani in mano e di voler cominciare a capire come limitare, sul piano della battaglia culturale, il terreno d’azione di quel fastidioso circolo, iniziando dalle fonti di approvviginamento. Per questo, adottando uno schema già usato tempo fa in occasione dell’appello agli inerzionisti a tener presente il tasso di "negatività" delle testate sulle quali comprare o meno pubblicità, ha domandato che sul suo tavolo venisse portata la lista degli imprenditori che contribuiscono alla fondazione presieduta da Adolfo Urso. Una richiesta consegnata ai suoi più fedeli collaboratori, da non diffondere, per ora. Berlusconi vuole vedere, scritti nero su bianco, i nomi dei non pochi uomini di impresa che sostengono il think tank del presidente della Camera, e magari cercare di capirne le ragioni, per verificare se, anche di fronte alla svolta antiberlusconiana del cofondatore Pdl, siano o meno ancora intenzionati ad aiutare un pensatoio che ogni giorno di più si dimostra la spina nel fianco del governo. Soprattutto vuole capire se siano o meno consapevoli che aiutare chi rema contro il presidente del consiglio può essere controproducente. Sono proprio tutti sicuri di poter continuare a farlo senza entrare in contrasto con quello che, visto da Palazzo Chigi, appare incontestabilmente come il bene del Paese? Insomma, si chiedono gli uomini del presidente, questi imprenditori non temono di essere in conflitto di interessi con il governo? 04 maggio 2010
Fini lancia la politica sui territori: "Basta coi sondaggi" Gianfranco Fini, in un video sul sito di Generazione Italia, lancia la sua idea di politica, contrapposta neanche troppo implicitamente a quella basata "sui sondaggi". "Generazione Italia ha l'obiettivo primario di garantire in tutto il territorio nazionale la presenza di tanti circoli, composti da volontari", dice il presidente della Camera. "La politica non può essere solo un mestiere, la politica deve essere innanzuttito partecipazione, anche piena di di passione, per fare in modo che il futuro sia migliore del presente e in particolar modo il futuro dei più giovani". Del resto, la politica sul territorio Fini la sta facendo da tempo. Gianmario Mariniello, di Generazione Italia, fa sapere che "cresce la lista di amministratori locali che condividono la battaglia interna al Pdl di Gianfranco Fini: abbiamo superato 'quota 500' e andiamo avanti". "Con la "rete" di Generazione Italia sul territorio, tutti questi amministratori, che spontaneamente, senza alcuna sollecitazione, hanno aderito alla nostra iniziativa, formeranno un network di sicuro successo. L'obiettivo è arrivare a quota 1000, per poi organizzare una grande Convention a Roma. Siamo a metà dell'opera". In mattinata, il presidente della Camera si era scagliato proprio contro una politica basata solo sui sondaggi, sottolineando la necessità di una "cultura rinnovata e strategica capace di pensare alle conseguenze della politica sul futuro". Parlando al convegno organizzato dalle fondazioni Farefuturo e Respublica, la terza carica dello Stato ha detto: "Soffriamo di uno schiacciamento sull’immediato, la cultura del sondaggio è l’unico strumento di strategia politica: per uscirne è necessaria una cultura rinnovata e strategica capace di pensare alle ricadute della politica sul futuro, una cultura libera dall’immobilismo, dalla paura dell’altro e del nuovo". "Oggi viviamo un inno al presentismo - ha sottolineato il presidente della Camera - e non è una questione solo italiana o europea, ma occidentale. Nel giro di quindici anni il mondo è cambiato, ci sono nuove sfide ma la politica non ha modificato il suo linguaggio. Ha preferito cavalcare la paura e il presentismo abdicando a visioni di prospettiva e cercando un consenso di breve periodo". Il presidente della Camera, infine, ha richiamato l’importanza dei partiti politici: "E’ importante il ruolo svolto dai partiti politici perché se è vero che i partiti-chiesa sono tramontati in maniera irreversibile è vero anche che oggi hanno la responsabilità importante di fornire ai cittadini gli strumenti per concretizzare il loro impegno politico attraverso la partecipazione elettorale". L'Unione europea, ha fatto poi notare Fini, vive lo strano paradosso, dopo l'approvazione del Trattato di Lisbona del "massimo dei poteri attribuiti al Parlamento e del minimo di partecipazione democratica dei cittadini alla sua elezione" con il 43,2% di afflusso alle urne pari a circa 162 mln aventi diritto. Per superare le contraddizioni insite in questo paradosso il presidente della Camera ha indicato la necessitá di un superamento, da parte delle forze politiche dei tradizionali modi di affrontare il dibattito, di 'leggerè la societá e di "appiattimento sul presente", fomentato, quest'ultimo, dalla tecnica dei sondaggi validi per il "market to market" ma che privano la politica dello sguardo di prospettiva. Per superare questo gap, Fini ha ricordato lo spirito "universalistico del Cristianesimo" che è nella matrice culturale del Partito popolare europeo. 03 maggio 2010
2010-05-02 "Unità d'Italia leghisti a cerimonia? Non credo" "Non so se ci sarà un leghista alla cerimonia per il 150esimo dell'unità d'Italia che si terrà a Quarto alla presenza del Capo dello Stato". Così Roberto Calderoli ha risposto a Lucia Annunziata durante la trasmissione 'In mezz'orà. "Non lo so, vedremo - ha risposto Calderoli -. Ma penso che la miglior risposta sia realizzare l'unità d'Italia attraverso il federalismo. È inutile parlare di un totem sapendo che ci sono differenze nel paese, chi lavorerà per realizzare l'unità paese festeggerà così il 150esimo. La celebrazione in se stessa ha poco senso - ha insistito Calderoli -, trovo che sia meglio dare soluzioni, sollevare la bandiera non basta", perciò ad Annunziata che gli ha chiesto se lui personalmente parteciperà alla cerimonia Calderoli ha risposto: "io sarò a lavorare per realizzare questo progetto". "Le dichiarazioni di Calderoli sono sconcertanti, ma purtroppo non originali perché ormai è diventata una triste abitudine che i ministri della Lega esternino contro la Costituzione e l`unità d`Italia". È quanto afferma Matteo Orfini, responsabile Cultura della segreteria del Pd a proposito delle affermazioni del ministro sulle celebrazioni del 150esimo dell'unità d'Italia. "Partecipare alle celebrazioni dei 150 anni ha un forte valore e non toglierebbe tempo al lavoro del governo per realizzare le riforme - osserva Orfini -. Tuttavia, questo fatto increscioso evidenzia con forza lo scarso interesse che questa maggioranza attribuisce alle celebrazioni dell`Unità d`Italia, come testimoniano le dimissioni di molti autorevoli membri del comitato del centocinquantenario". 02 maggio 2010
Elezioni? Nervi tesi nel Pdl L'unica alternativa al governo Berlusconi sono le elezioni. E l'ipotesi di un esecutivo tecnico guidato da Giulio Tremonti non è all'ordine del giorno. Anche perchè il primo ad essere "contrario" è lo stesso ministro dell'Economia. A stoppare eventuali scenari alternativi a quello attuale ci pensa Roberto Calderoli. Ospite della trasmissione 'In 1/2 orà, il ministro della Semplificazione prova a fare chiarezza: che Berlusconi sia il leader "non ci piove"; e l'idea di andare al voto rappresenterebbe un venir meno al senso di responsabilità di fronte "alla crisi" ed alla necessità di "fare le riforme". Il Carroccio dice no alle urne, ma chiede alla maggioranza un impegno preciso: "Utilizzare i prossimi tre anni per fare le riforme". Il ministro leghista evita di entrare nelle 'beghè interne al Pdl anche se non risparmia critiche all'atteggiamento di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, è la spiegazione di Calderoli, è "frustrato" per essere l'eterno delfino "che non decolla mai" e per questo, sbagliando, "prende di punta" lo stesso Cavaliere. Parole, quelle del ministro, che seguono però la preoccupazione fatta filtrare nei giorni scorsi dal Carroccio sullo scontro interno al Popolo della Libertà. Il premier che ha trascorso la giornata ad Arcore, dove resterà anche domani (non si esclude la tradizionale cena del lunedì con il Senatur), mantiene la linea decisa nei giorni scorsi e cioè evitare repliche alle 'provocazionì. Difficile però non pensare che le 'uscitè del 'finianò Italo Bocchino sui contratti della Rai e la Endemol (società che ha nella proprietà il Cavaliere e i suoi figli) siano passate inosservate. "I contratti più importanti della Rai vanno a Silvio Berlusconi e ai suoi figli, proprietari della Endemol", dice Bocchino a Sky Tg24 facendo riferimento all'articolo apparso su Il Giornale in cui si parlava di sua moglie, proprietaria di una casa di produzione e dei contratti con il servizio pubblico. Quell'articolo, così come le notizie apparse sul quotidiano diretto da Vittorio Feltri, sono definite "spazzatura". E sono sempre le parole del parlamentare vicino a Gianfranco Fini a far salire la temperatura all'interno del Pdl. A proposito delle riforme, Bocchino non risparmia un'altra frecciata al Cavaliere: "Noi dobbiamo affrontare le riforme economiche e sociali - spiega - e non dobbiamo fermarci a dire al Paese che vogliamo fare la riforma della Costituzione e della giustizia". Una sorta di agenda di priorità che scatena la reazione della maggioranza interna. Sandro Bondi si dice "dispiaciuto" dall'atteggiamento del deputato 'finianò invitandolo ad un confronto "utile al partito" e non "a sfibranti e meschine scaramucce da cortile". Osvaldo Napoli invece lo paragona al dottor Jackyill e mister Hide: "Bocchino che riscrive l'agenda del governo è lo stesso che fino all'altro giorno, nella veste di capogruppo vicario del Pdl, condivideva quella stessa agenda e le difendeva nel confronto politico". Che la situazione sia tutt'altro che tranquilla lo testimonia poi il botta e risposta tra Ignazio la Russa e Carmelo Briguglio, altro esponente della componente finiana. A scatenare la polemica il battesimo oggi a Milano di 'Nostra destra' voluta dal coordinatore del Pdl che raccoglie i dirigenti lombardi provenienti da An. Non si tratta di una corrente, precisa il ministro della Difesa ma "un'aera che vuole dare il suo contributo al Pdl". Una spiegazione che non convince Briguglio: "La nascita di un'altra area o corrente che dir si voglia dentro il Pdl - è la replica - è un dato positivo perchè sancisce tutte le ragioni della minoranza interna circa la necessità del pluralismo". La replica di La Russa non si fa attendere: "Sono sciocchezze", taglia corto. 02 maggio 2010
Pdl: Bocchino, mia moglie fa lo stesso lavoro dei Berlusconi "È vero che mia moglie ha contratti con la Rai per diversi milioni, in quanto titolare di una società che produce fiction, vendendole anche alla Tv pubblica. Fanno altrettanto le società della famiglia Berlusconi, che sono infatti i primi fornitori della Rai" attraverso la Endemol. Italo Bocchino non fa sconti a Berlusconi, dopo che è stato costretto a dimettersi da vicecapogruppo del Pdl alla Camera e messo sotto inchiesta dal "Giornale" per il fatto che la moglie vende i suoi programmi alla Rai. "Non lo trovo scandaloso", aggiunge il parlamentare: "La Endemol è una grande società che fa produzione, ricchezza e audience. Quello che troverei scandaloso sarebbero scelte al di fuori della normativa vigente". E aggiunge: "Se vogliamo fare un codice etico per cui con la Rai non possono avere nulla a che fare i parenti fino al sesto grado di chi siede in Parlamento, io sarei d'accordissimo: però il maggior colpito sarebbe Berlusconi, che è il maggior beneficiario insieme ai suoi figli". "Mia moglie -spiega l'esponente del Pdl- fa quello di mestiere, e i prezzi indicati dall'articolo sono quelli di mercato. Ricordo che l'ho conosciuta nel '93, e che lei già nel '90 aveva prodotto due documentari firmati da registi importanti per la Rai, in occasione dei Mondiali di calcio". Secondo Bocchino non è un atto illecito che i familiari d i esponenti politici producano programmi per la Rai: "Se vogliamo fare un codice che lo vieti, io sono d'accordo. Ma al momento è un atto lecito, non riesco a capire come si fa a considerarla un'accusa. È come se io accusassi il premier del fatto che il maggior produttore di programmi per la Rai siano le società di Berlusconi e dei suoi figli...". Il partito "Il ruolo di un grande partito è quello di un esercizio serio della democrazia interna che non può portare alla marginalizzazione di un dirigente politico al quale non vengono addebitati errori nella conduzione del gruppo parlamentare, ma vengono addebitati giudizi non soddisfacenti verso il leader del partito", dice Bocchino. "La nostra - ribadisce Bocchino - è una scelta politica e andiamo avanti con la nostra battaglia che è interna al partito che vogliamo più forte, più democratico, più partecipato e più attento sui temi trascurati in questi anni". Le riforme La riforma della Costituzione "è molto importante" ma "non interessa i cittadini", mentre la riforma della giustizia "interessa solo il 6% degli italiani, gli altri no". I cittadini hanno altre priorità: "Fisco più equo, lavoro, previdenza". Il finiano riscrive le priorità delle riforme, derubricando quella riforma della giustizia indicata da Silvio Berlusconi come primo punto da affrontare. "Gli italiani sono interessati a 3 riforme - sostiene Bocchino - cui deve mettere mano il governo. In primo luogo, un fisco più equo: bisogna fare pagare tutti, con sanzioni più severe e anche le manette agli evasori. Poi il lavoro: il Governo ha fatto un ottimo lavoro, la disoccupazione è all'8%, è alta, ma in Ue è al 10 e in Spagna al 20%. Ma ora bisogna riformare il mercato più flessibile ma senza sacche di precariato con diritti compressi". Terza riforma, la previdenza: "Stiamo invertendo l'ordine naturale, i nonni e i padri stanno mangiando la ricchezza di figli e nipoti, lasciandogli una previdenza che li lascerà indebitati e costretti a lavorare ancora più a lungo. Noi avevamo fatto una riforma perfetta, la Maroni, purtroppo cancellata dal Governo Prodi. Dobbiamo riprenderla". 02 maggio 2010
2010-04-30
2010-04-27 Bocchino, le dimissioni sono ufficiali Fini vuole la presidenza del gruppo ''Caro Fabrizio, dopo quanto accaduto in direzione nazionale credo sia opportuno favorire un chiarimento all'interno del gruppo parlamentare anche al fine di accogliere la richiesta di mie dimissioni reiteratamente avanzata dal presidente Berlusconi attraverso te e a mezzo stampa''. Inizia cosi' la lettera che Italo Bocchino, capogruppo vicario alla Camera del Pdl, ha scritto ieri e consegnato oggi al capogruppo Fabrizio Cicchitto, con il quale ha avuto un lungo colloquio. ''Ti comunico pertanto - si legge nella lettera - che e' mia intenzione avviare il percorso che portera' alla formalizzazione di queste dimissioni nell'assemblea del gruppo, che dovremo convocare per eleggere i nuovi vertici. Il regolamento, infatti lega il destino del presidente al vicario (simul stabunt simul cadent) ed e' inevitabile il ricorso all'assemblea, cosa assai utile anche per favorire l'espressione democratica dei colleghi deputati e per dare la possibilita' alla minoranza di contare le proprie forze''. ''Prima di convocare congiuntamente l'assemblea del gruppo - aggiunge Bocchino - ti prego di favorire un mio incontro con il presidente Berlusconi anche alla presenza del coordinatore Verdini affinche' si possa dare vita ad un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovra' fare''. ''Visto il rapporto che ci lega - conclude - ho il dovere di comunicarti che all'assemblea del gruppo presentero' la mia candidatura a presidente contrapposta alla tua o a quella di altri. Cio' non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso''. Secondo l'ufficio stampa del Pdl, però, "il destino del vicario non coinvolge la presidenza. L'art.8 del regolamento del Gruppo non lega affatto il destino del Presidente e del Vicepresidente Vicario a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica". ''Ho preso atto della lettera di dimissioni dalla carica di vicecapogruppo vicario che mi e' stata oggi presentata dall'onorevole Italo Bocchino. Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica e anche sullo statuto del Gruppo. E' evidente che il problema delle dimissioni dell'onorevole Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del Partito''. Lo afferma Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, annunciando di aver ricevuto la lettera di dimissioni di Bocchino dal ruolo di vicepresidente dei deputati del partito. ''Di conseguenza - spiega Cicchitto - si e' deciso di prendere il tempo necessario per un esame della situazione. Nel frattempo e' stato concordato il massimo impegno comune per assicurare l'unita' politica e operativa del gruppo a sostegno del Governo''. Nascono però malumori all'interno della corrente finiana sulla candidatura di Bocchino: ''Se per davvero l'onorevole Bocchino, vice capogruppo dimissionario del PdL alla Camera, intende candidarsi a presidente dello stesso gruppo ''per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo'', allora lo faro' anch'io''. Roberto Menia, finiano doc e sottosegretario all'Ambiente, porta allo scoperto i malumori di alcuni ex An verso il dimissionario Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl alla Camera. ''Non so quale consenso egli pensi di avere - afferma Menia - ma non ha certo il mio ne' quello di molti che con lealta' seguono Fini e con altrettanta lealta' sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte''. 27 aprile 2010
2010-04-26 Fini ai suoi: "Liberi di dissentire" Dentro il Pdl, leali al governo e alla maggioranza ma liberi di dissentire: Gianfranco Fini fa il punto con i parlamentari che gli sono rimasti fedeli, cerca di rassicurare i finiani che lo hanno seguito nell'ultimo strappo e di mostrare loro la rotta, nella sala della Camera intitolata all'indimenticato Pinuccio Tatarella. Contare tutti i 'finiani' anche oggi è impossibile per la stampa, tenuta rigorosamente lontana dal vertice della minoranza del Pdl da uno stuolo di commessi di Montecitorio. Si può dire invece che qualcuno già scende dalla scialuppa (oggi Amedeo Laboccetta, dopo un colloquio di quasi un'ora nello studio del presidente Fini, dice "Io non ci sto") e altri non si censurano nelle critiche. Roberto Menia, fedelissimo dell'ex leader di An e suo amico personale, chiede ad esempio "Dove si va a sbattere? Qual è la strategia?". "Siamo passati da ipotesi di gruppi autonomi ad una non definita area di minoranza - rimarca Menia -. E Fini, da leader di An a capo di una piccola minoranza. Ne valeva la pena?". E il sottosegretario all'Ambiente chiede che siano censurati, anzi "licenziati i vari fautori di governi tecnici e ribaltoni, come a suo giudizio è il direttore di Farefuturo Alessandro Campi. La riunione si fa lunga, ognuno dice la sua e Fini ascolta, palesemente desideroso di dilatare al massimo lo spazio del confronto interno, tanto che resti agli atti la differenza rispetto alla direzione di giovedì scorso e alla liturgia celebrativa dell'operato del governo e del suo premier Silvio Berlusconi, naturalmente fatto salvo il grave scontro tra i due co-fondatori. "Non è in discussione la permanenza nel Pdl - mette subito in chiaro l'ex leader di An - e dobbiamo garantire la massima lealtà alla coalizione e alla maggioranza di governo, dobbiamo mostrare agli elettori totale fedeltà al programma elettorale". Un'indicazione soprattutto ad uso di chi da oggi in poi andrà in tv o farà dichiarazioni. Nessun pretesto, insomma, offerto a chi vuole bollare la nuova "minoranza politico-culturale" come un manipolo di facinorosi pronti a sabotare l'agenda di governo. Fini torna a spiegare, in una riunione fiume ancora in corso, che non si può accettare una Lega 'dominus' della coalizione e che il federalismo fiscale può essere realizzato a patto che non ci sia un Nord che se ne avvantaggia rispetto al Sud. Poi chiede ai suoi di affrontare i prossimi delicati passaggi parlamentari, primo tra tutti quello sulle intercettazioni, senza censurare divergenze di opinioni ma con spirito costruttivo. Non ci saranno imboscate né le "scintille in Parlamento" di cui parlava Sandro Bondi al termine della direzione. Un concetto che Fini tornerà a spiegare domani in tv ospite di Ballarò, seconda tappa mediatica dopo 'In 1/2 ora' di Lucia Annunziata di una campagna televiva che l'ex leader di An vuole fare per spiegare agli italiani le sue posizioni politiche. Dopo aver definito ieri "irresponsabili" coloro che spingeranno verso le elezioni anticipate, Fini cerca oggi di coinvolgere i suoi in un'ottica costruttiva. "Facciamo un seminario - li esorta - un convegno con le nostre proposte che funga da piattaforma programmatica per rendere più forte il Pdl". C'é già una data in agenda: venerdì 14 maggio. Intanto, resta la questione relativa ad Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl che, per evitare polemiche e strumentalizzazioni politiche, domani vuole consegnare 'brevi manu' al capogruppo Fabrizio Cicchitto la lettera delle sue dimissioni. "Adesso toccherà a loro darci una risposta", spiega Bocchino nella riunione, forse alludendo alla clausola del regolamento approvato dal gruppo che lega il destino di Bocchino a quello di Cicchitto, essendo stati eletti in ticket. Insomma: simul stabunt, simul cadent. "Per litigare bisogna essere in due", ma "per divorziare basta essere in uno": così Silvio Berlusconi rispondendo ad una domanda su quale sia il segreto di un buon matrimonio politico, nel corso della conferenza stampa con Putin. 26 aprile 2010
Fini: "Non mi pento di quello che ho detto Elezioni? Da irresponsabili" "Non faccio un nuovo partito nè ci saranno imboscate" "Non mi pento di quanto ho detto a Berlusconi perchè il presidente del Consiglio ha detto una cosa che non corrisponde al vero, cioè che io mi dovrei dimettere perchè ho espresso una opinione in parte dissenziente da quanto espresso dal presidente del Consiglio che è il leader anche da me riconosciuto del Pdl". È quanto ha detto Gianfranco Fini intervenendo alla trasmissione di Lucia Annunziata In mezz'ora. Poi il riferimento allo scontro con Berlusconi. "Nessuno può dire dimettiti per le tue opinioni politiche, semmai pronto a discutere della possibilità di dimettermi se mi dimostrano che vengo meno ai miei doveri di rispettare e far rispettare il regolamento. Il presidente della Camera non deve dimettersi per esprimere delle opinioni all'interno del suo partito, in alcuni casi dissenzienti rispetto a quelle del presidente del Consiglio e leader del partito", ha precisato Fini. Che ha aggiunto: "Io di destra ero e di destra sono" e "nel Pdl penso di rappresentare la sensibilità della destra moderna, che non ha la bava alla bocca e cerca di dialogare con l'avversario" perchè la sua voce "sarà molto più forte di quanto non facciano pensare i numeri in Direzione". E sul capitolo "epurazioni": Il rischio di epurazioni all'interno del Pdl "è stato messo in conto" ma si tratterebbe di una mossa "poco liberale", dice il presidente della Camera che: "dipenderà da Berlusconi". "Chi oggi mi sostiene - dice Fini - non lo fa certo per interesse. Non credo che la maggioranza ampia del Pdl reputi oggi - aggiunge però - intelligente fare la lista degli epurandi perchè c'è poco di liberale. Faremo delle discussioni sulle modalità con cui far funzionare meglio il partito e nulla più di questo in vista del Congresso". Ricordando poi che Italo Bocchino ha messo sul tavolo le proprie dimissioni, Fini aggiunge: "Ma davvero - chiede - oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti - conclude - o di liste di epurazione". Riforme Discutere non vuol dire opporsi alle riforme. Nemmeno nel campo della giustizia. Fini piega così il senso del suo intervento in Direzione Nazionale, uno dei più contestati dal premier Berlusconi. "Quelli che si riconoscono nelle mie parole - ha detto Fini intervenendo a in mezz'ora - chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Noi - ha spiegato - siamo favorevoli alla separazione delle carriere ma nessuno ci chieda che i pm siano dipendenti dall'esecutivo". Anche per questo, ha aggiunto, "se c'è la volontà di ascoltare si trova sempre un punto di equilibrio rispettoso degli equilibri costituzionali come, ad esempio, del ruolo della magistratura". 25 aprile 2010 2010-04-25 25 aprile, contestata la Polverini a Roma. Berlusconi parla in tv "La sfida è ora, nei fatti. Scrivere insieme una nuova condivisa pagina della nostra storia democratica, della nostra Italia". È l'appello con il quale il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, conclude il videomessaggio preparato per il 65esimo anniversario della Liberazione. Una "sfida" da realizzare "insieme alle forze politiche che non rifiutano a priori il dialogo e si preoccupano della libertà", aggiunge il premier. Intanto a Roma, la presidente della Regione Lazio Renata Polverini è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta san Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla 'buu, buù e lancio di uova e frutta e alcuni fumogeni. Un frutto ha colpito all'occhio il Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che le era accanto. Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso che non ha svolto lasciando la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele "Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita". Anche Zingaretti, che porta visibile il segno dell'oggetto che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta san Paolo. Sul palco con loro, nei primi istanti, anche il presidente dell'Anpi Massimo Rendina che invitava la folla alla calma. È durissimo Nicola Zingaretti nel commentare le contestazioni subite da Renata Polverini alla manifestazione per il 25 aprile a Roma, di cui ha fatto anche lui le spese. "Ho difeso il diritto a prendere la parola del presidente della Regione Lazio Renata Polverini", ha sottolineato il presidente della provincia di Roma in una nota. "Nessuno proprio in nome dei valori del 25 Aprile si deve permettere anche solo di teorizzare che qualcuno con un'idea diversa dalla propria non abbia il diritto di parola nelle piazze del nostro Paese", ha sottolineato, "la differenza tra il fascismo e la democrazia è proprio questa. Era una bella piazza, rovinata da un gruppo di mascalzoni che nulla hanno a che fare nè con la libertà nè con la democrazia". "Mi dispiace - ha continuato Zingaretti - perchè avremmo dovuto dare a Remo Comanducci il riconoscimento di Provincia Capitale. Remo 65 anni fa a Porta San Paolo ha lottato e rischiato la vita per tutti noi e non si meritava di assistere dopo tanti anni a uno spettacolo del genere. Da parte mia continuerò oggi e sempre a ricordare il suo impegno e quello di molti altri". 25 aprile 2010
Silvio snobba il 25 aprile, poi va a reti unificate di Natalia Lombardotutti gli articoli dell'autore Approfitta della Festa della Liberazione, Silvio Berlusconi, per mandare un messaggio praticamente a reti unificate ai telegiornali, anche per equiparare il peso del consenso ricevuto ieri dal Presidente Napolitano alla Scala, dov’era presente. Già registrato dal "set" di Palazzo Chigi curato dal suo regista personale, all’ora di pranzo il premier "entra" nelle case degli italiani con un discorso che dovrebbe essere teso alla conciliazione nazionale, con un passaggio sulla necessità di fare le riforme condivise e con la "partecipazione ad una fase dialettica e ad una fase di approvazione che ci veda tutti concordi". Berlusconi si prende il 25 aprile mentre ad Arcore aspetta Putin per un’allegra serata. Già alle 11,30 il messaggio si potrà ascoltare in bassa frequenza dalla sala stampa di Palazzo Chigi e dal sito governo.it. [ È solo la seconda volta dal 1994 che Berlusconi celebra il 25 aprile, e il messaggio di oggi sarà, dicono i suoi, sulla falsariga di quello tenuto lo scorso anno ad Onna, sul set ben più drammatico del terremoto e dell’eccidio nazifascista. Solo allora riconobbe il valore della Resistenza (i partigiani della Brigata Maiella gli misero al collo il fazzoletto) ma nell’ottica di superarne la storia "che divide". Così oggi riproporrà l’idea di trasformare la Festa della Resistenza in festa della Libertà (che fa assonanza con il suo Popolo). A margine, in Abruzzo, invitò alla pietà anche per i repubblichini di Salò. Ma è stato proprio Napolitano ieri a citare un passaggio del discorso di Onna, (il premier lo ha ringraziato), sul "profondo significato nazionale" del 25 aprile come "ponte ideale" con i 150 anni dell’Unità d’Italia. Le celebrazioni che Gianfranco Fini gli ha rinfacciato di trascurare. Il Capo dello Stato invita a "uscire dalla spirale delle contrapposizioni", quindi il premier non può che sottolineare la volontà di fare riforme condivise. Per quindici anni Berlusconi ha snobbato il 25 aprile, facendo anche gaffe sulla Resistenza ("sarò lieto di conoscere papà Cervi", disse nel 2000 ignorandone la morte da trent’anni) o riducendo il dramma degli antifascisti in esilio a "una vacanza". Il testo è scritto ma "l’uomo si sa com’è", dicono anche i suoi, e potrebbe rifilare a braccio un colpetto a Fini, uno ai giudici. Si mostrerà col volto bonario di chi non s’infila "nelle burrasche, come ha detto ieri: "Io non litigo mai, per litigare si deve essere in due e l’ho detto anche a chi ha cercato di farlo". Il duello s’è spostato in tv: alle 14,30 Fini è ospite in uno dei programmi invisi al premier e su RaiTre: da Lucia Annunziata a In Mezz’ora in un’intervista registrata giusto poco dopo aver ascoltato Silvio. Forse martedì sarà a Ballarò, e magari anche da Fabio Fazio, nel ruolo "politico e istituzionale" alla Nancy Pelosi che rivendica Fini. 25 aprile 2010
Zingaretti: bella piazza rovinata da mascalzoni "Ho difeso il diritto a prendere la parola del presidente della Regione Lazio Renata Polverini, nessuno proprio in nome dei valori del 25 Aprile si deve permettere anche solo di teorizzare che qualcuno con un'idea diversa dalla propria non abbia il diritto di parola nelle piazze del nostro Paese. La differenza tra il fascismo e la democrazia è proprio questa. Era una bella piazza, rovinata da un gruppo di mascalzoni che nulla hanno a che fare nè con la libertà nè con la democrazia". È quanto afferma in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. "Mi dispiace - continua Zingaretti - perché avremmo dovuto dare a Remo Comanducci il riconoscimento di Provincia Capitale. Remo 65 anni fa a Porta San Paolo ha lottato e rischiato la vita per tutti noi e non si meritava di assistere dopo tanti anni ad uno spettacolo del genere. Da parte mia continuerò oggi e sempre a ricordare il suo impegno e quello di molti altri". 25 aprile 2010
Fini: "Non mi pento di quello che ho detto Elezioni? Da irresponsabili" "Non faccio un nuovo partito nè ci saranno imboscate" "Non mi pento di quanto ho detto a Berlusconi perchè il presidente del Consiglio ha detto una cosa che non corrisponde al vero, cioè che io mi dovrei dimettere perchè ho espresso una opinione in parte dissenziente da quanto espresso dal presidente del Consiglio che è il leader anche da me riconosciuto del Pdl". È quanto ha detto Gianfranco Fini intervenendo alla trasmissione di Lucia Annunziata In mezz'ora. Poi il riferimento allo scontro con Berlusconi. "Nessuno può dire dimettiti per le tue opinioni politiche, semmai pronto a discutere della possibilità di dimettermi se mi dimostrano che vengo meno ai miei doveri di rispettare e far rispettare il regolamento. Il presidente della Camera non deve dimettersi per esprimere delle opinioni all'interno del suo partito, in alcuni casi dissenzienti rispetto a quelle del presidente del Consiglio e leader del partito", ha precisato Fini. Che ha aggiunto: "Io di destra ero e di destra sono" e "nel Pdl penso di rappresentare la sensibilità della destra moderna, che non ha la bava alla bocca e cerca di dialogare con l'avversario" perchè la sua voce "sarà molto più forte di quanto non facciano pensare i numeri in Direzione". E sul capitolo "epurazioni": Il rischio di epurazioni all'interno del Pdl "è stato messo in conto" ma si tratterebbe di una mossa "poco liberale", dice il presidente della Camera che: "dipenderà da Berlusconi". "Chi oggi mi sostiene - dice Fini - non lo fa certo per interesse. Non credo che la maggioranza ampia del Pdl reputi oggi - aggiunge però - intelligente fare la lista degli epurandi perchè c'è poco di liberale. Faremo delle discussioni sulle modalità con cui far funzionare meglio il partito e nulla più di questo in vista del Congresso". Ricordando poi che Italo Bocchino ha messo sul tavolo le proprie dimissioni, Fini aggiunge: "Ma davvero - chiede - oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti - conclude - o di liste di epurazione". Riforme Discutere non vuol dire opporsi alle riforme. Nemmeno nel campo della giustizia. Fini piega così il senso del suo intervento in Direzione Nazionale, uno dei più contestati dal premier Berlusconi. "Quelli che si riconoscono nelle mie parole - ha detto Fini intervenendo a in mezz'ora - chiederanno di discutere cosa significa riforma della giustizia e del Csm. Noi - ha spiegato - siamo favorevoli alla separazione delle carriere ma nessuno ci chieda che i pm siano dipendenti dall'esecutivo". Anche per questo, ha aggiunto, "se c'è la volontà di ascoltare si trova sempre un punto di equilibrio rispettoso degli equilibri costituzionali come, ad esempio, del ruolo della magistratura". 25 aprile 2010
Bossi: "Federalismo o si va al voto". Bocchino: "Verso il congresso del PdL" L'ultimatum di Umberto Bossi agli alleati, federalismo o si torna alle urne, è al centro della scena politica a 24 ore dalla tempestosa direzione del Pdl che ha visto lo scontro frontale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. "Lealtà al governo ma accelerare il percorso verso il congresso del Pdl", risponde in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera. "Occorre recuperare - dice - gli aspetti positivi di quanto accaduto, accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini". "Noi non ce ne andiamo", dice Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera. Restiamo e non faremo nulla di quel che ci viene attribuito. Nessun boicottaggio, per intenderci. Certo, continueremo ad esprimere le nostre idee, anche se dissonanti". Bongiorno sottolinea come le elezioni anticipate "non sembrano nè prevedibili nè auspicabili. E comunque -aggiunge- la decisione spetta al Capo dello Stato". Quanto a Fini, "ovviamente non si dimette. Io -prosegue Bongiorno- farò quello quel che lui mi chiederà di fare. In ogni caso, il problema si risolverà da sé: le presidenze di commissione scadono tra poco. Leggo che circolano liste di proscrizione. Vedremo cosa farà Berlusconi. Per me non fa una gran differenza, visto che resterò al fianco di Fini come consigliere giuridico". Anche i quotidiani di partito e di area, come del resto anche gli altri media, dedicano ampio spazio alla decisa presa di posizione del leader leghista, mantenendo accesi i riflettori anche sul duello tra il premier e il presidente della Camera. Il Giornale parla di "resa dei conti" nel Pdl, titolando "Voglia di elezioni" e sottolineando come il senatur sia "pronto alla crisi per sventare le imboscate del presidente della Camera contro il federalismo". Per il quotidiano diretto da Vittorio Feltri il Cavaliere sarebbe "tentato dal blitz" perché Fini "ora farà il guastatore". Per Libero siamo alla 'vendetta di Silviò: il Cavaliere, scrive il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, "ha fretta: teme che Fini blocchi le riforme e vuol cacciarlo subito dal Pdl. "O me o lui". Intanto manda la Lega a minacciare il voto e stoppa tutti gli uomini del rivale nelle giunte". Emblematica la vignetta che Libero propone in prima pagina, con Bossi nelle vesti di arbirto che sventola il cartellino rosso da espulsione sotto il naso di Fini, reo di essersi tolto la maglietta (quella azzurra del Pdl), rievocando il caso Balotelli, il giocatore dell'Inter che dopo un alterco con i tifosi neroazzurri ha gettato via la maglietta, sommerso dai fischi del pubblico. Anche Il Secolo d'Italia dedica spazio in prima pagina al leader leghista, ma con un taglio ovviamente diverso rispetto a Libero e Il Giornale: "È il turno di Bossi. Preoccupato per il 'suò federalismo irrompe nel dibattito del Pdl", titola il quotidiano diretto da Flavia Perina. "Il day after del confronto in direzione tra Berlusconi e Fini si è consumato -aggiunge- tra aut aut espliciti, garbate richieste di farsi da parte e sottoli minacce di epurazione". In un articolo in prima pagina, rifà i conti della votazione sul documento finale della Direzione Pdl e, di fatto, contesta quel 93,02% di sì (pari a 158 voti) contro il 6,39% di no, diffuso dall'ufficio stampa del partito. Nel testo si sottolinea come non sia stata effettuata la conta dei voti favorevoli, perché altrimenti "si sarebbe arrivati a quaranta, forse cinquanta" mani alzate e "50 a 13, il risultato più probabile, avrebbe significato accreditare a Fini il 25%". Per Il Foglio, Bossi "cavalca il caso Fini", mentre Berlusconi "minaccia guerra ma fa lavorare i pontieri". La Lega, "un po' furba un po' confusa, mette sotto pressione gli alleati. Berlusconiani e finiani negoziano". "Bossi prende il fucile", è il titolo in prima pagina del Riformista: "il senatur -scrive il quotidiano della famiglia Angelucci, la stessa di Libero - pronto a fare il lavoro sporco per far fuori Fini. In Cdm Berlusconi ipotizza lo scioglimento e Letta lo deve fermare". Ma ce n'è anche per le opposizioni che "come le stelle stanno a guardare". E il Quirinale? "Vigile osservazione", scrive il Riformista, secondo il quale il Colle esclude il ricorso ad elezioni anticipate. 24 aprile 2010
Da Bersani appello alle opposizioni: "Uniti contro il rischio di deriva". Patto repubblicano anche con Fini Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani chiama all'unità le forze di opposizione: "Le tensione nella maggioranza in futuro sono certe, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani analizzando la tensione nella maggioranza - ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani spiega il senso di un "patto repubblicano" con personalità come Gianfranco Fini che non vuol dire, precisa, "fare governi insieme". "Bisogna rivolgersi - spiega Bersani - ad altri partiti ma anche forze sociali ed economiche perchè reagire ad una democrazia plebiscitaria, che ha dimostrato di non saper decidere, non è solo questione di opposizioni". Sui problemi economici del paese e sulle riforme serve dunque "un patto largo in parlamento" coinvolgendo però anche personalità e forze esterne. Il banco di prova per il leader Pd, potrà avvenire già in tempi ravvicinati: "martedì alla Camera si metterà ai voti la proposta di dare un reddito a coloro ai quali scadono gli ammortizzatori sociali o non hanno ammortizzatori. Il governo si è messo di traverso. Vediamo se su un tema concreto il paese capisce di che cosa parliamo". Zingaretti, appello al Pd Il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti: "È evidente che lo spettacolo che abbiamo visto noi e qualche milione di italiani non è stato edificante. Ma dico al mio partito e al centrosinistra tutto: occhio a fare spallucce, a fare gli scandalizzati e ad assumere l'aria di sufficienza. Quel che è successo in realtà è assai insidioso: il Pdl in quel modo ha occupato e occupa tutto lo spazio politico, fa al contempo la parte della maggioranza e quella dell'opposizione". "Alla direzione del Pdl abbiamo assistito ad uno scontro tra idee, portato avanti con una schiettezza e una durezza che non turbano la gente, abituata al linguaggio semplificato dell'Isola dei Famosi o dei talk show rissosi- spiega Zingaretti- dobbiamo capire che quella della maggioranza è una forma di comunicazione facilmente decodificabile dai fruitori di televisione. Noi dovremmo avere la stessa forza e la stessa determinazione per imporre la nostra agenda nella vita politica italiana. L'ultima direzione del Pd ha aperto un percorso per la conferenza programmatica che però avrà un senso se ci metteremo l'anima e il cuore. Solo così riusciremo a parlare in modo diretto alla gente e a farci capire". Vendola: servono subito gli Stati Generali della sinistra "Se il centrosinistra pensa di schierarsi esclusivamente secondo il dibattito del Pdl fa un suicidio preventivo - ammonisce Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola - le nostre identità non possono dipendere dal posizionamento sulla scacchiera del Pdl. E il deficit di 'alternatività del centrosinistra manda in corto circuito tutto il sistema". Secondo il leader di Sinistra e Libertà, "la rimozione della sconfitta elettorale operata dal Pd è clamorosa. Tanto clamorosa che sembra perfino che il Pd abbia introiettato la sconfitta come un destino. Ne è un esempio la formazione delle nuove giunte regionali". Quindi, conclude Vendola, "dobbiamo convocare al più presto gli stati generali dell'alternativa. Aperti a movimenti e associazioni perchè ormai è chiaro che i partiti da soli non ce la fanno". Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, commenta su "Il Manifesto" il conflitto apertosi dentro il Pdl: "È evidente che esistono due destre. C'è una destra "americana", liberista ma non liberale in cui Berlusconi è il garante del carisma populista e la Lega del radicamento territoriale. E c'è invece un'altra destra che propone un partito conservatore di tipo europeo. Fini critica da destra il municipalismo della Lega, le pensioni e la privatizzazione dei servizi locali, però è liberale nel senso che almeno rispetta l'Habeas Corpus, vuole l'inclusione, aspira ai diritti civili e alla laicità della politica. Tra queste due destre si è aperta una partita brutale e di lungo periodo". 24 aprile 2010
25 aprile, Napolitano: "ha profondo significato nazionale" Standing ovation alla Scala di Milano per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In sala anche Berlusconi, cha applaude in piedi il Capo dello Stato. "Si può comprendere con quale animo ho accolto l'invito per le celebrazioni della Liberazione". Discorso al paese dal palcoscnico del glorioso teatro La Scala. Fu Milano che assunse la guida politica della Resistenza. "Fu frutto di lunga eroica semina". La rievocazione degli eventi di Milano, citando il nome di Sandro Pertini. "Il suo nome spicca in tutto il percorso della Resistenza, tra quelli che a Milano la guidarono", sottolinea Napolitano. "Fu un combattente senza eguali". "Non si può smarrire il riferimento ai fatti, mai rinunciare a ricostruire e tramadare quelle esperienze reali", è l'appello di Napolitano. IL DISCORSO Il presidente della Repubblica ha confessato la sua "sincera emozione" ad intervenire a Milano alle celebrazioni del 25 aprile. Il capo dello Stato ha spiegato la sua emozione "per quel che Milano ha rappresentato in una stagione drammatica, in una fase cruciale della storia d'Italia. E tanto più forte è l'emozione nel rivolgere questo mio discorso dal palcoscenico del glorioso teatro la Scala, che seppe risollevarsi dai colpi distruttivi della guerra per divenire espressione e simbolo del mondo intero, della grande tradizione musicale e culturale italiana". Dopo il ricordo della resistenza, il capo dello Stato ha sottolineato anche gli ultimi giorni della guerra con riferimento a piazzale Loreto. "Si consumarono a Milano - ha spiegato - anche gli ultimi tentativi di impossibili trattative cui si erano dimostrati ambiguamente disponibili i capi fascisti. E a Milano si compì il tragico epilogo dell'avventura mussoliniana, in uno scenario di orrore che replicò altri orrori nello stesso luogo di piazzale Loreto. La guerra era finita con la vittoria delle forze alleate; e insieme era finita con la sconfitta del fascismo repubblichino anche la guerra civile fatalmente intrecciatasi con la resistenza". LA COMMOZIONE Momenti di commozione durante il suo discorso, quando ha citato Sandro Pertini. Parlando della storia dell'ex presidente della Repubblica, Napolitano si è commosso quando ha ricordato la fotografia che lo ritrae mentre tiene un discorso il 26 aprile del '45 in piazza del Duomo a Milano. "È stato un onore per l'Italia - ha detto - avere tra i suoi presidenti Sandro Pertini". RACCONTARE PER RICORDALE: la Liberazione non è immagine sbiadita. Non si deve ridurre il movimento di Liberazione a un'immagine sbiadita e ad un oggetto di dispute astratte. Questo in sintesi un concetto espresso dal presidente della Repubblica nel suo intervento al teatro della Scala. Dopo aver ricordato i fatti della Resistenza, infatti, Napolitano ha spiegato: "ho voluto partire da un sommario richiamo a drammatici eventi, a memorabili momenti della storia della resistenza. Non si può mai smarrire il riferimento a tutto ciò, rinunciare a ricostruire e tramandare costantemente quelle esperienze reali, e non si vuole ridurre il movimento di Lberazione a immagine sbiadita o ad oggetto di dispute astratte". "USCIRE DA SPIRALE CONTRAPPOSIZIONI""Ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche che segnano il terreno della politica", ha detto Napolitano alla vigilia della la Festa del 25 Aprile. "Le condizioni sono ormai mature per sbarazzare il campo dalle divisioni e incomprensioni a lungo protrattesi sulla scelta e sul valore della Resistenza - ha continuato -, per ritrovarci in una comune consapevolezza storica della sua eredità più condivisa e duratura". "Vedo in ciò - ha proseguito - una premessa importante di quel libero, lungimirante confronto e di quello sforzo di raccoglimento unitario di cui ha bisogno oggi il Paese, di cui ha bisogno oggi l'Italia". In sala ad ascoltare, anche Sivio Berlusconi. Giorgio Napolitano dice che in Italia si sono accumulati "nei decenni" problemi complessi, "talvolta per eredità di un più lontano passato", e per risolverli occorre "un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità". Occorre, sottolinea, "uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate". 24 aprile 2010
2010-04-24 Da Bersani appello alle opposizioni: "Uniti contro il rischio di deriva". Patto repubblicano anche con Fini Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani chiama all'unità le forze di opposizione: "Le tensione nella maggioranza in futuro sono certe, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani analizzando la tensione nella maggioranza - ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani spiega il senso di un "patto repubblicano" con personalità come Gianfranco Fini che non vuol dire, precisa, "fare governi insieme". "Bisogna rivolgersi - spiega Bersani - ad altri partiti ma anche forze sociali ed economiche perchè reagire ad una democrazia plebiscitaria, che ha dimostrato di non saper decidere, non è solo questione di opposizioni". Sui problemi economici del paese e sulle riforme serve dunque "un patto largo in parlamento" coinvolgendo però anche personalità e forze esterne. Il banco di prova per il leader Pd, potrà avvenire già in tempi ravvicinati: "martedì alla Camera si metterà ai voti la proposta di dare un reddito a coloro ai quali scadono gli ammortizzatori sociali o non hanno ammortizzatori. Il governo si è messo di traverso. Vediamo se su un tema concreto il paese capisce di che cosa parliamo". Zingaretti, appello al Pd Il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti: "È evidente che lo spettacolo che abbiamo visto noi e qualche milione di italiani non è stato edificante. Ma dico al mio partito e al centrosinistra tutto: occhio a fare spallucce, a fare gli scandalizzati e ad assumere l'aria di sufficienza. Quel che è successo in realtà è assai insidioso: il Pdl in quel modo ha occupato e occupa tutto lo spazio politico, fa al contempo la parte della maggioranza e quella dell'opposizione". "Alla direzione del Pdl abbiamo assistito ad uno scontro tra idee, portato avanti con una schiettezza e una durezza che non turbano la gente, abituata al linguaggio semplificato dell'Isola dei Famosi o dei talk show rissosi- spiega Zingaretti- dobbiamo capire che quella della maggioranza è una forma di comunicazione facilmente decodificabile dai fruitori di televisione. Noi dovremmo avere la stessa forza e la stessa determinazione per imporre la nostra agenda nella vita politica italiana. L'ultima direzione del Pd ha aperto un percorso per la conferenza programmatica che però avrà un senso se ci metteremo l'anima e il cuore. Solo così riusciremo a parlare in modo diretto alla gente e a farci capire". Vendola: servono subito gli Stati Generali della sinistra "Se il centrosinistra pensa di schierarsi esclusivamente secondo il dibattito del Pdl fa un suicidio preventivo - ammonisce Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola - le nostre identità non possono dipendere dal posizionamento sulla scacchiera del Pdl. E il deficit di 'alternatività del centrosinistra manda in corto circuito tutto il sistema". Secondo il leader di Sinistra e Libertà, "la rimozione della sconfitta elettorale operata dal Pd è clamorosa. Tanto clamorosa che sembra perfino che il Pd abbia introiettato la sconfitta come un destino. Ne è un esempio la formazione delle nuove giunte regionali". Quindi, conclude Vendola, "dobbiamo convocare al più presto gli stati generali dell'alternativa. Aperti a movimenti e associazioni perchè ormai è chiaro che i partiti da soli non ce la fanno". Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, commenta su "Il Manifesto" il conflitto apertosi dentro il Pdl: "È evidente che esistono due destre. C'è una destra "americana", liberista ma non liberale in cui Berlusconi è il garante del carisma populista e la Lega del radicamento territoriale. E c'è invece un'altra destra che propone un partito conservatore di tipo europeo. Fini critica da destra il municipalismo della Lega, le pensioni e la privatizzazione dei servizi locali, però è liberale nel senso che almeno rispetta l'Habeas Corpus, vuole l'inclusione, aspira ai diritti civili e alla laicità della politica. Tra queste due destre si è aperta una partita brutale e di lungo periodo". 24 aprile 2010
Bossi: "Federalismo o si va al voto". Bocchino: "Verso il congresso del PdL" L'ultimatum di Umberto Bossi agli alleati, federalismo o si torna alle urne, è al centro della scena politica a 24 ore dalla tempestosa direzione del Pdl che ha visto lo scontro frontale tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. "Lealtà al governo ma accelerare il percorso verso il congresso del Pdl", risponde in una nota Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera. "Occorre recuperare - dice - gli aspetti positivi di quanto accaduto, accelerando il percorso che porterà al congresso e ribadendo tutti la lealtà alla maggioranza e a Berlusconi dei parlamentari vicini a Fini". "Noi non ce ne andiamo", dice Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera. Restiamo e non faremo nulla di quel che ci viene attribuito. Nessun boicottaggio, per intenderci. Certo, continueremo ad esprimere le nostre idee, anche se dissonanti". Bongiorno sottolinea come le elezioni anticipate "non sembrano nè prevedibili nè auspicabili. E comunque -aggiunge- la decisione spetta al Capo dello Stato". Quanto a Fini, "ovviamente non si dimette. Io -prosegue Bongiorno- farò quello quel che lui mi chiederà di fare. In ogni caso, il problema si risolverà da sé: le presidenze di commissione scadono tra poco. Leggo che circolano liste di proscrizione. Vedremo cosa farà Berlusconi. Per me non fa una gran differenza, visto che resterò al fianco di Fini come consigliere giuridico". Anche i quotidiani di partito e di area, come del resto anche gli altri media, dedicano ampio spazio alla decisa presa di posizione del leader leghista, mantenendo accesi i riflettori anche sul duello tra il premier e il presidente della Camera. Il Giornale parla di "resa dei conti" nel Pdl, titolando "Voglia di elezioni" e sottolineando come il senatur sia "pronto alla crisi per sventare le imboscate del presidente della Camera contro il federalismo". Per il quotidiano diretto da Vittorio Feltri il Cavaliere sarebbe "tentato dal blitz" perché Fini "ora farà il guastatore". Per Libero siamo alla 'vendetta di Silviò: il Cavaliere, scrive il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, "ha fretta: teme che Fini blocchi le riforme e vuol cacciarlo subito dal Pdl. "O me o lui". Intanto manda la Lega a minacciare il voto e stoppa tutti gli uomini del rivale nelle giunte". Emblematica la vignetta che Libero propone in prima pagina, con Bossi nelle vesti di arbirto che sventola il cartellino rosso da espulsione sotto il naso di Fini, reo di essersi tolto la maglietta (quella azzurra del Pdl), rievocando il caso Balotelli, il giocatore dell'Inter che dopo un alterco con i tifosi neroazzurri ha gettato via la maglietta, sommerso dai fischi del pubblico. Anche Il Secolo d'Italia dedica spazio in prima pagina al leader leghista, ma con un taglio ovviamente diverso rispetto a Libero e Il Giornale: "È il turno di Bossi. Preoccupato per il 'suò federalismo irrompe nel dibattito del Pdl", titola il quotidiano diretto da Flavia Perina. "Il day after del confronto in direzione tra Berlusconi e Fini si è consumato -aggiunge- tra aut aut espliciti, garbate richieste di farsi da parte e sottoli minacce di epurazione". In un articolo in prima pagina, rifà i conti della votazione sul documento finale della Direzione Pdl e, di fatto, contesta quel 93,02% di sì (pari a 158 voti) contro il 6,39% di no, diffuso dall'ufficio stampa del partito. Nel testo si sottolinea come non sia stata effettuata la conta dei voti favorevoli, perché altrimenti "si sarebbe arrivati a quaranta, forse cinquanta" mani alzate e "50 a 13, il risultato più probabile, avrebbe significato accreditare a Fini il 25%". Per Il Foglio, Bossi "cavalca il caso Fini", mentre Berlusconi "minaccia guerra ma fa lavorare i pontieri". La Lega, "un po' furba un po' confusa, mette sotto pressione gli alleati. Berlusconiani e finiani negoziano". "Bossi prende il fucile", è il titolo in prima pagina del Riformista: "il senatur -scrive il quotidiano della famiglia Angelucci, la stessa di Libero - pronto a fare il lavoro sporco per far fuori Fini. In Cdm Berlusconi ipotizza lo scioglimento e Letta lo deve fermare". Ma ce n'è anche per le opposizioni che "come le stelle stanno a guardare". E il Quirinale? "Vigile osservazione", scrive il Riformista, secondo il quale il Colle esclude il ricorso ad elezioni anticipate. 24 aprile 2010
Bossi esce allo scoperto: "Fini gattopardo. Da sbatter fuori subito" "Siamo davanti a un crollo verticale del governo e probabilmente di un'alleanza, quella di Pdl e Lega", dice Umberto Bossi in un'intervista sulla Padania. II Senatur ne era stato zitto finora e aveva consigliato cautela a Berlusconi, ma ora non si tiene più: "Fini, invidioso e rancoroso per le nostre ripetute vittorie ha rinnegato il patto iniziale e non ha fatto altro che cercare di erodere in continuazione ciò che avevamo costruito". Bossi definisce Fini "un vecchio gattopardo democristiano" e dice che Berlusconi "avrebbe dovuto sbatterlo fuori subito senza tentennamenti invece di portarlo in tv dandogli voce e rilievo". Poco dopo, "riparla" Berlusconi: "Non ci sarà un'altra svolta del predellino, il Pdl resta", dice ai cronisti il presidente del Consiglio presentando il fuoristrada russo "Uaz". Poi Bossi, in serata, rincara la dose in un'intervista a SkyTg24: "Fini ha esagerato per tanti versi e ha raccontato bugie". E alla giornalista che gli chiede se, secondo lui, dovrebbe dimettersi da presidente della Camera risponde: "E' un problema... Dipende se è un uomo d'onore." La crisi irrompe anche nella formazione della giunta di Renata Polverini: al termine di un incontro a Palazzo Grazioli con Berlusconi, la neo governatrice della Regione Lazio tranquillizza i cronisti sostenendo che c'è accordo sulla composizione della giunta. Ma Lorenzo Cesa ha chiamato la Polverini e ha avanzato le proprie richieste, minacciando l'appoggio esterno. Lapidario il commento della governatrice: "L'Udc è libera di chiedere ciò che vuole. Quando definiremo la giunta ci saranno i nomi, ma la quadra sui partiti c'è".
Bossi in giornata ha parlato a tutto campo e con tutte le testate. Al telefono con l'Ansa, ha aggiunto: "Io sono per la mediazione, certo, ma la gente del nord, i leghisti, sono arrabbiatissimi, è un vero bombardamento di persone che non ne possono più di sceneggiate, rinvii e tentennamenti". In mattinata, nell'analisi sul quotidiano leghista, Bossi aveva detto: "Fini ha lavorato per la sinistra, comportandosi come un vecchio gattopardo democristiano: fingi di costruire per demolire e non muovere nulla". Secondo Bossi, con queste premesse, "sarà proprio la sinistra a vincere le prossime elezioni. Grazie a lui". "Fini - dice ancora i leader della Lega - è palesemente contro il popolo del Nord, a favore di quello meridionale. D'altra parte era troppo spaventato delle possibili conseguenze del federalismo, che comunque avrebbe fatto bene anche al Sud". Il rimprovero a Berlusconi è di non averlo subito "sbattuto fuori". "Quella era la strada da seguire". Bossi traccia la rotta per il futuro: "Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un nuovo cammino del popolo padano. Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare. Una nuova strada ci aspetta e sarà una strada stretta, faticosa, difficile ma che potrebbe regalarci enormi soddisfazioni". "Saremo soli - conclude il leader leghista - senza Berlusconi. La nostra gente non digerirà facilmente la mancata conquista del federalismo e noi Lega, dovremo comportarci di conseguenza. Berlusconi quindi diventerà il vero e unico baluardo anticomunista del paese e prevedo che raccoglierà molti consensi". 23 aprile 2010
Berlusconi-Fini, lo scontro si sposta in tv di n.l.tutti gli articoli dell'autore Dallo scontro quasi fisico nella sala dell’Auditorium della Comiciliazione, al più mediato, è il caso di dirlo, duello in televisione. Silvio Berlusconi sta preparando un messaggio praticamente a reti unificate, registrato nel set allestito dai suoi fedelissimi registi a Palazzo Chigi e inviato ai telegiornali, approfittando della celebrazione del 25 aprile della quale si è sempre disinteressato. Gianfranco Fini, dopo il match con Silvio, abbandona il vestito super partes e lancia la sfida televisiva in prima persona (dopo che il premier aveva additato i suoi, Bocchino, Raisi e Urso per aver messo "il Pdl al pubblico ludibrio in tv"). Così Fini ha segnato sul caldendario una serie di appuntamenti in tv. Per giunta nei programmi più invisi al cavaliere, e su RaiTre: domani sarà ospite di Lucia Annunziata a In mezz’ora, un’intervista già prevista, spiega la giornalista, che chiederà a Fini qual è stato il punto di rottura e quale sarà il suo percorso adesso. Il presidente della Camera potrebbe andare anche a Ballarò martedì e sembra siano in corso trattative anche con Fabio Fazio per Che tempo che fa, sempre Raitre. Per Fini è un modo di spiegare agli italiani le sue ragioni, e, rivolto al presidente del Consiglio, sembra rivendicare il diritto a fare politica anche da presidente della Camera, non volendo dargli la soddisfazione di dimettersi. Del resto il presidente del Senato Schifani aveva concesso una grande intervista propedeutica alla resa dei conti nel Pdl. Berlusconi dal canto userà il 25 aprile per ribadire, con ogni probabilità, la sua indiscussa sovranità incrinata dalle accuse di Fini, e per rilanciare i suoi propositi di stravolgimento della Costtuzione, facendoli apparire bonariamente come una manosanta per la democrazia, magari con un’azione di marketing con qualche promessa fiscale. In quindici anni il premier, anche dall’opposizione, non ha mai celebrato la Festa della Liberazione (anzi, in più occasioni ha sminuito il valore della Resistenza se non dileggiato i partigani o i combattenti "in vacanza" al confino). L’anno scorso si decise a festeggiare il 25 aprile dal set delle rovine di Onna: ghiotta occasione mediatica per lanciare la sua proposta: perché non chiamarla Festa della Libertà? 24 aprile 2010
2010-04-21 Una corrente per Fini: "Silvio accetti il dissenso. An ora è davvero finita" di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore Non piace la parola corrente? Allora si può chiamarlo club degli amici di Paperino, non è questo il punto". "Io pongo questioni politiche, non ho intenzione di stare zitto né di togliere il disturbo. E spero che Berlusconi accetti il dissenso, perché non si può fare l’ennesima apparente riconciliazione. Se giovedì sarò solo pazienza, se ci saranno altri con me si tratterà di una base molto diversa da quella che si è vista fino ad ora"<MD>. Tredici mesi dopo lo scioglimento ufficiale, seduto sul tavolone della Sala Tatarella alla Camera di fronte a 54 ex aennini, Gianfranco Fini celebra il secondo funerale di Alleanza Nazionale, citando Ezra Pound come fece al congresso il 22 marzo di un anno fa. <MD>"Oggi prendo atto che l’esperienza di An si è definitivamente conclusa"</MD>, dice. Ma stavolta lo fa con il sollievo di chi non vuole avere nulla da perdere, in specie se si tratta di qualcosa che si è già lasciato alle spalle: "Comunque vada, non voglio più sentir parlare del 70-30. Magari saremo anche 90 a 10, alla fine, ma di certo oggi si apre una fase nuova", spiega. Mentre lontano dalla riunione i suoi ex colonnelli - l’altra ex An - raccolgono 75 firme sotto un documento che recita "Il Pdl è una scelta irreversibile" per dimostrare a Berlusconi che anche loro sono in grado di muovere le truppe come e più di lui, l’ex leader di An si fa bastare i 52 parlamentari (39 deputati, 13 senatori) che hanno retto a - dice uno - "pressioni inverosimili dei berluscones" e si sono presentati comunque, per sottoscrivere la loro "solidarietà" e il mandato a "porre le sue questioni nella direzione del Pdl". L’obiettivo del giorno, del resto, era dimostrare che, dice Bocchino "con lui non ci sono quattro gatti" - la tesi dei suoi ex colonnelli - bensì una pattuglia tale da creare potenziali seri problemi al Cavaliere, sia alla Camera che al Senato. Il resto, per le prossime 24 ore, son quisquilie. "Questioni da definire, persino nella sua testa" spiega un fedelissimo. Pur di arrivare al numero, Fini ha infatti messo nel cassetto ogni ipotesi di organizzazione concreta avanzata in questi giorni, sconfessando apertamente anche quanti (vedasi Bocchino) "hanno cercato di interpretare il mio pensiero, incendiando il dibattito": no dunque a parlare di scissione, elezioni, gruppi autonomi, spiega nella riunione. L’ultima ipotesi resta tuttavia in circolo, con l’argomentazione che, dice Fini, "in Sicilia convivono da un anno e mezzo Pdl e Pdl-Sicilia, senza che nessuno dica niente, ma se qui si ipotizza di fare i gruppi di Pdl-Italia, scatta l’accusa di tradimento". Per ora, tuttavia, meglio l’opzione minima: il diritto di fare la minoranza, la solidarietà dei fedelissimi. Come l’elastico di una fionda, Fini parte da questa base minima, per tentare l’azzardo massimo ipotizzabile nella direzione Pdl. Poco gli importa che tra i 54 di ieri qualcuno gli abbia spiegato che non lascerà il Pdl, e qualcun altro abbia chiarito che seguirà lui, ma non "nuovi sergenti" come Bocchino. Fuori dalla sala Tatarella lo aspettano i Pisanu, i Martino, i Micciché, i Lombardo. È anche a loro che Fini parlerà, domani. 21 aprile 2010
La Trota si presenta: "No ai culattoni, non tifo per l’Italia" di Marcella Ciarnellitutti gli articoli dell'autore Mostra di avere poche idee, e anche confuse (ricordate Flaiano) il guizzante Renzo Bossi preso all’amo da "Vanity Fair", settimanale patinato, in un’intervista, tra il pubblico e il privato conquistata non perché è il figlio dell’Umberto ma grazie alle tredicimila preferenze raccolte in Lombardia che ne hanno fatto il più giovane consigliere regionale mai eletto nella regione. Il pensiero di Bossi jr. si snoda attraverso alcune padane certezze. A cominciare da quella che nella vita "penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga". Un’affermazione dura e pura nello stile della casa. Senza mediazioni. E va bene. Ma è sul pallone che la trota che studia da delfino va a cadere. A pochi giorni dai Mondiali ecco che ci tiene a precisare che lui non seguirà le gesta degli azzurri in Sudafrica: "Non tifo Italia". Perché non si sente italiano?. "Bisogna intendersi su che cosa significa essere italiano. Il tricolore, per me, identifica un sentimento di cinquant’anni fa". Inutile andare a cercare cosa nel Paese sia successo mezzo secolo fa che abbia qualche cosa a che vedere con la bandiera e la nazione. È che il giovane Bossi, evidentemente, oltre non ci arriva proprio. A rimetterlo in riga ci ha pensato uno gloria della nazionale, Gigi Riva. "Se non sta bene può anche andarsene dall’Italia, nessuno ne farà una malattia" ha detto l’indimenticabile Rombo di tuono aggiungendo che "è un’affermazione stupida e grave, se inizia così in politica non va molto lontano. Forse voleva dire qualcosa di clamoroso per farsi conoscere, ma l’Italia viene prima di lui e resterà anche dopo di lui". "Si fa sempre il tifo per la nazionale e il proprio paese. È assurdo che una persona eletta pronunci queste frasi. Purtroppo non c'è da meravigliarsi visto che viene dall'esponente di un partito che continua ad insultare l'unità italiana e la sua bandiera". Così Walter Veltroni. Per il resto l’intervista fornisce tutta una serie di informazioni sul ragazzo alle prime armi e alle prime dichiarazioni sballate. Dorme poco. Come papà. E beve tanta Coca Cola. Rifiuta l’etichetta di pluribocciato. A far bene i conti solo tre volte. E scusate se è poco. Ma ora, dopo la faticosa conquista del diploma, si è iscritto ad Economia, "ma in un’università straniera perché non voglio trovarmi i giornalisti in aula quando faccio gli esami". Dalla Scuola Radio Elettra di papà, comunque un bel passo avanti. La candidatura. "Papà aveva paura, visto il clima politico, che mi facessero a pezzi poi mi ha detto, ok prova". L’amore. "Da poco. Una bresciana di 20 anni che vota Lega ma non è una militante". Il matrimonio. "In chiesa, non con rito celtico". Presto e presto anche bambini. Il razzismo. "Rimbalza il clandestino non è un videogame razzista. Non l’ho inventato io. C’è la cartina dell’Italia e, quando arriva una barca di clandestini, cliccando compare una rete che la respinge. Non spari mica". La geografia politica. "Non sono mai sceso a Sud di Roma". E il napoletano "di Apicella non lo capisco". Simpatie politiche, la Moratti e Maroni con cui condivide la passione per la musica. La violenza. "Faccio a botte per motivi politici". Insomma "la stupidità ha fatto progressi enormi" per dirla sempre con Flaiano. 21 aprile 2010
2010-04-18 La Lega: marciamo contro la tomba della bimba musulmana, poi si vergogna di Toni Joptutti gli articoli dell'autore Volantino? Quale volantino?". Miracolo a Udine: la Lega si vergogna dei suoi ultimi passi e li infila sotto il tappeto. Doveva essere il giorno dello svelamento, della denuncia contro l'amministrazione comunale di centrosinistra del capoluogo friulano. L'occasione era scabrosa: pochi giorni fa è stata sepolta una neonata, figlia di genitori musulmani, in un fazzoletto di terra del cimitero periferico di Paderno, satellite urbano della città. Prima frattura nella ritualità cristiana, da queste parti. Un voto di ampia maggioranza (giunta di centrosinistra ampio, senza Udc, e Lega modesta in comune) ha stabilito che una zona di quel cimitero frazionale abbia le fosse orientate in un certo modo, verso la Mecca, così se qualcuno ne fa richiesta ecco che ha la possibilità di deporre il corpo del proprio caro in accordo con ciò che prescrive la sua religione. Ma nessun cristiano si è mai chiesto se la sua tomba fosse o no orientata verso la Mecca. E chissà quante sono le lapidi nel nostro paese involontariamente rivolte verso la città santa dei musulmani. Infatti, precisa il sindaco, Furio Honsell, quella non doveva essere una zona riservata per nessuno, chiunque poteva, può chiedere di essere sepolto lì. Invece, fuoco e fiamme leghiste. Il capogruppo in consiglio Luca Dordolo s'è dato da fare con l'accetta: "vogliamo forse che il nostro cimitero si trasformi in un ricettacolo di salme musulmane venute da ogni dove"? "Ricettacolo di salme" è testuale, terribile e insieme denso di una sua notevole comicità. Quindi: "sabato suoneremo le nostre trombe, volantineremo per denunciare, forti dell'appoggio che ci viene dalle 1700 firme di persone, su settemila complessive, del nostro quartiere". Bene: se la Lega "dice e fa", andiamo a vedere. Ieri mattina, sabato, mercato di Paderno, banchetti, profumo di formaggi e di insaccati; in fondo, gazebo della Lega, tesseramento. Ecco, vorrei un volantino sulla storia della bimba musulmana sepolta qui..."Non c'è volantino, solo tesseramento" - rispondono. Scusate, ma che è successo? L'aveva detto Dordolo che avreste volantinato sulla questione..."Sa chi è Dordolo? È quello là" - ah grazie. Allora, Dordolo? "Era tutto pronto, l'avevo scritto io, l'ho anche mandato in giro, niente di speciale, si spiegava cos'era successo attorno a questa vicenda, ma purtroppo...". Dordolo, non mi dica, la sua Lega l'ha insabbiata? "Non so, fatto sta che è sparito il volantino, chieda a quello là, il senatore Pittoni". Senatore si mettono a tacere le voci scomode? "Rispetto per il momento, è morta una bimba, non è proprio il caso di offrire il fianco alla speculazione di chi potrebbe sostenere che siamo senza cuore, ne parleremo più avanti". I volontari offrono altri volantini alla gente con la spesa, programmi di governo, pochi accettano, le donne in particolare rifiutano: no grazie non voglio neppure leggere quella roba lì. Ma il tesseramento va avanti. In mattinata, hanno aderito al bossismo mortuario di Udine nell'ordine: il marito di una signora moldava, un pensionato e un cassintegrato. Senza cuore? E che immagine volete avere se togliete il pane di bocca ai bimbi delle scuole, se li lasciate a terra senza trasporti quando i genitori non pagano le rette, se fate casino quando viene sepolta una bimba musulmana, una bimba una? E lei, Dordolo parla di "ricettacolo di salme", ma cosa pretende? "Effettivamente, ricettacolo è una parola sbagliata" e dai e dai, "e poi penso che chi ha tolto il pane di bocca a dei bimbi, fermo restando che i furbi si devono mettere in regola, ecco penso che chi lo ha fatto sia un gretto". Molto bene, vediamo invece che accade nel "popolo" della Lega, quello che non sarebbe gretto ma firma contro il ricettacolo di salme. Hosteria simpatica e accogliente a pochi passi dal mercato di Paderno e dal discusso cimitero orientato in modo sospetto. "In questo sto con la Lega" - spiega gioviale il paron di casa, "cosa fa? Sta guardando il grembiule?" Effettivamente sto guardando il grembiule: c'è un fascio littorio e sotto l'interessante scritta "boia chi molla". "Sono nero, si vede, no? Ma sono buono, pasta buona". Meno male che la pasta è buona. Il sindaco, fisico, ex rettore universitario, famoso ospite di Fazio in tv è ottimista: "Se hanno nascosto il volantino è già un buon risultato. Vede vincono con la truffa, con l'inganno ma ne sono certo: molto presto tutto sarà chiaro, la gente li abbandonerà in tutto il paese". Speriamo non dopo una guerra. 18 aprile 2010
Borsellino: "L’attacco a Gomorra è un favore alla mafia" di Saverio Lodatotutti gli articoli dell'autore Ci sono malattie tropicali dalle quali non si guarisce mai definitivamente, ma che vanno tenute sotto cura e osservazione, se con esse si vuole tranquillamente convivere. Questa malattia tropicale, se così si può dire, per Silvio Berlusconi è rappresentata dalla lotta alla mafia, e da tutto quello che le ruota attorno. E così, a ondate ricorrenti, Silvio Berlusconi si ricorda che con la mafia deve scendere a patti, come diceva quel Pietro Lunardi, ministro di un suo dei suoi tanti governi, che ammise papale papale: "Con la mafia bisogna convivere". A periodi lo assale la preoccupazione che i suoi personalissimi "eroi", i mafiosi, possano assestare un brutto colpo di coda, magari perché non soddisfatti da quelle promesse elettorali che, come è risaputo, non si negano a nessuno. Non si spiega altrimenti che il premier non perda occasione di tirar fuori l’artiglio, sollevando tempeste mediatiche per mettersi al riparo dalla critica che non sa, non vuole, non riesce a governare. Mai che abbia detto "se trovo quei delinquenti mafiosi che hanno ucciso centinaia di poliziotti, carabinieri e magistrati li strozzo con le mie mani". Ci mancherebbe. Lui vuole strozzare con le sue mani autori di romanzi e fiction tv, scrittori e registi, gente per bene, insomma. Rita Borsellino, oggi europarlamentare, in anni assai lontani, forse qualcuno lo ricorderà, non fece entrare Berlusconi a casa sua, per la semplicissima ragione che, in lui, già si manifestano i primi segni della malattia tropicale. E con eccellente occhio diagnostico, vide molto lontano. Rita, gli anni passano, ma il nostro premier non guarisce. "Il nostro premier non guarisce perché ci sono malattie croniche e che restano sempre latenti. Le sue, purtroppo, non sono frasi occasionali, ma l’ espressione di una convinzione profonda e che viene da lontano. È proprio così: soffre di una malattia cronica. Hai ricordato quando, nel 1994, in occasione del suo primo governo, io non volli avere il piacere di incontrarlo, nella mia casa di via d’Amelio. Non so se la mia decisione fu profetica. So di certo che la sua richiesta di vedermi, giunta all’improvviso, senza nessun rispetto di un minimo di privacy-passò con la sua scorta, scese e citofonò - mi lasciò sconcertata e infastidita". Rita, ma che voleva? "Me lo disse per citofono: "signora, cosa possiamo fare contro la mafia?". E io: "tutto, perché siete al governo"". E lui? ""Grazie, signora. La richiamerò da Roma". Ma non mi ha mai richiamato". Secondo te, come mai Berlusconi sente il bisogno, ancora oggi, di pronunciare parole tanto sconnesse su una questione che sta a cuore alla maggioranza degli italiani, tantissimi dei quali, per altro, lo votano? "Cominciamo col dire che la mafia non si può nascondere sotto il tappeto come la polvere. Non è parlando di mafia che si denigra il Paese. Fiction come "La Piovra", romanzi come "Gomorra", non fanno altro che denunciare una realtà drammaticamente esistente. E’ l’esistenza, la persistenza, la visibilità in tutto il mondo della mafia di casa nostra il vero bubbone da estirpare. Il silenzio è uno strumento che la mafia gradisce. Prova ne sia che per oltre un secolo i mafiosi hanno fatto dell’omertà un totem intangibile. Intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino non è , come ha detto Gianfranco Miccichè, una scelta che allontana i turisti, bensì il riconoscimento di un percorso di liberazione dalla mafia portato avanti spesso da uomini soli e isolati. Vale l’identico discorso per Pio La Torre e Peppino Impastato i cui nomi si pretenderebbe di cancellare da un aeroporto e da una piazza. Mi sembra che la società mostri più maturità nell’affrontare il problema di quanto non abbiano mostrato di saper fare certe istituzioni". Rita, sei proprio su un altro pianeta. Berlusconi e il suo governo, sono convinti di stare conducendo una guerra epocale contro Cosa Nostra. "Mi sembra un miracolo che le forze dell’ ordine e la magistratura riescano ancora a ottenere risultati così importanti nonostante i continui tagli economici e di organico e la delegittimazione, di cui il nostro premier gratifica, un giorno sì e l’altro pure, i magistrati stessi. E poi, un’altra riflessione: se analogo risultato fosse ottenuto per quanto riguarda i mafiosi che fanno politica, o i politici che sono mafiosi, la musica sarebbe tutt’altra". In che senso? "Solo quando il governo deciderà di tagliare i rami delle complicità istituzionali, politiche, economiche, potremo dire che la sconfitta di Cosa Nostra sarà a portata di mano. Sin quando ciò non accadrà, e il nostro premier non saprà resistere alla tentazione di aprire bocca su una materia che, evidentemente, non gli è congeniale, ci ritroveremo sempre al punto di partenza". 18 aprile 2010
Asili in leasing e strade a rate di Adriana Comaschitutti gli articoli dell'autore Non più auto aziendali: oggi è l’asilo che si "compra" in leasing, la manutenzione delle strade è a rate, le forniture si pagano dopo un anno, le opere pubbliche le realizza una società patrimoniale esterna. Suona così il "dizionario" dei Comuni ai tempi del Patto di stabilità. Costretti a inventare ogni giorno nuovi modi di rientrare nei vincoli imposti dal governo, i sindaci sono sempre più acrobati del bilancio. Abilità che però dal prossimo anno non basteranno più. Nemmeno per i più virtuosi. E il caso dei comuni del circondario bolognese, fino a oggi sinonimo di qualità dei servizi. A Pianoro, 17.550 abitanti, il primo addio è stato quello alla manutenzione: di strade, edifici pubblici, impianti sportivi. Quest’ultima è stata recuperata in corner affidandola alle associazioni che li gestiscono, il che però significa che magari le società sportive ritoccheranno all’insù le tariffe per gli utenti. Non che il Comune avesse molta scelta, con 2 milioni congelati in cassa dal Patto. "In base alle ultime disposizioni di marzo – racconta il direttore generale Luca Lenzi – la nostra capacità di spesa sul 2010 passa dai 3 milioni previsti a 1,5 milioni. E dire che avevamo messo in bilancio alienazioni di beni per 2,5 milioni: tutto inutile, non potremo reinvestirli". Il municipio ha deciso di salvare il salvabile, cioè la manutenzione di sette scuole. Anche quest’ultima frontiera però sta per essere superata, "dal prossimo anno avremo un drammatico problema anche sui servizi. Così stiamo pensando di chiudere la scuola materna di una nostra frazione, Botteghino di Zocca". Un colpo, nel quinto comune della provincia per tasso di natalità. "Un’umiliazione", riassume Lenzi, "la nostra autonomia fiscale tra il 2007 e il 2009 è crollata dal 92 al 53%. Dov’è il federalismo fiscale di cui parla la Lega?". Stessa domanda a Sala Bolognese, 8.200 anime. "Mica chiedo di spendere i soldi degli altri, ma quelli dei miei cittadini - quasi grida il sindaco Valerio Toselli - sul 2010 se rispetto i vincoli del Patto ho una capacità di spesa di 450 mila euro, con questi soldi non ci fai niente. E questo mentre ho 3 milioni fermi, di cui 900 mila euro di fatture già emesse: è un dramma per le imprese del territorio che ci hanno fornito materiali o servizi". Non lo consola aver portato a casa l’indispensabile, ovvero la manutenzione ordinaria delle strade e la costruzione di un nuovo nido, per cui il Comune ha fatto ricorso a un leasing "così gli interessi si spalmano nel tempo". Non lo consola perché "gli interessi costano. E tutti i lavori di manutenzione straordinaria annullati oggi ci costeranno il doppio domani": usura e deterioramento non si fermano davanti alle percentuali di miglioramento del saldo dettate dal Patto. Non se la passa meglio Casalecchio, quasi 36 mila residenti alle porte di Bologna. "Come altri abbiamo costituito una società patrimoniale per realizzare una parte dei nostri investimenti", racconta il primo cittadino Simone Gamberini, coordinatore provinciale Anci: l’ampliamento di una scuola elementare per 1,6 milioni, la costruzione di una materna. Così li ha sottratti in parte ai tetti del Patto "ma si tratta di palliativi". Se gli altri piangono per i mancati investimenti, Casalecchio soffre sull'altro fronte su cui batte il Patto, quello della spesa corrente. E allora ecco "la dilazione dei pagamenti, per i grossi fornitori siamo anche sopra i 300 giorni, sui servizi non possiamo andare oltre i due-tre mesi, ci sono stipendi in ballo". Tutti equilibrismi inutili: "Nel 2011 – avverte Gamberini - il 90% dei 60 comuni del Bolognese non riuscirà più a rispettare il Patto, i nuovi obiettivi fissati sono troppo alti". L’altra certezza è che i Comuni "hanno sempre meno risorse mentre affrontano sempre più spese sociali. A Budrio – racconta il sindaco Carlo Castelli – con la crisi sono raddoppiate le persone che si rivolgono al nostro sportello sociale. E dobbiamo sostenere i cassintegrati: 900 su 18 mila residenti". 18 aprile 2010
C'è una Italia divorata dai mostri di Andrea Bonzitutti gli articoli dell'autore "Ci sono momenti in cui il cervello si stacca dal cuore". In uno di quei momenti, Mario Farisano, operaio 44enne in cassa integrazione della Nuova Renopress di Budrio, nel Bolognese, si è tolto la vita. L’ha fatto nel garage della propria casa, una palazzina pietra a vista di tre piani a Marmorta, piccolissima frazione di Molinella, a pochi chilometri dal luogo di lavoro. Si è impiccato con la corda per saltare della più piccola delle sue due figlie, che hanno 6 e 13 anni. E che ora sono senza papà, come Ida è rimasta senza marito. Senza occupazione - Ida lavorava da un artigiano - la donna lo era già da un anno. A trovarlo, è stato il cognato Gerardo, anche lui cassintegrato dell’azienda budriese. Mario, trasferitosi in Emilia-Romagna più di dieci anni fa dalla Basilicata, si è ucciso dopo aver portato la bambina più piccola all’asilo. Ieri, la famiglia si è chiusa al proprio interno. In un bar vicino incrociamo Michele, uno dei nipoti: ha gli occhi lucidi, e ribadisce che questo è il giorno del silenzio. Mentre il cognato fa capire che, quando sei a casa, entri in una spirale in cui non è facile chiedere e ottenere aiuto. "E, alla fin fine, le bollette le devi pagare comunque". Nella tragedia, poi, la beffa: nella mattinata di venerdì, mentre i sanitari constatavano il decesso dell’uomo, un’azienda metalmeccanica avrebbe chiamato a casa Farisano per fissare un colloquio: Mario aveva mandato molti curricula in giro, e la sua specializzazione era alta. Ma il telefono ha squillato troppo tardi. Cosa può aver spinto ad un gesto così estremo? I compagni di lavoro di Mario sono convinti che la situazione della Renopress abbia avuto un ruolo, forse decisivo. L’aria che si respirava in azienda era pesante. E non da ieri: dopo un anno di cassa integrazione, la fonderia aveva ritirato i 106 licenziamenti, ottenendo - grazie alla mediazione della Regione - un altro anno di cassa integrazione straordinaria. Pesante, ma non senza speranza: i 365 giorni potevano essere utilizzati per cercare un nuovo acquirente. Finora Mario, uno dei pochissimi "fornai" (nel senso di addetti ai forni) era riuscito a lavorare una settimana al mese, portando il suo stipendio da 600 a 900 euro. Il 15 marzo, però, la produzione si era fermata. In attesa dell’arrivo dell’assegno di cassa, neanche un euro era stato versato sul suo conto. Lì, ipotizza Donatella Colombelli, sua collega alla Nuova Renopress, forse qualcosa si è rotto. "A quanto so, da allora non usciva più molto di casa. Lunedì, quando il delegato Fiom ci ha spiegato che era stato fissato l’incontro con le banche per l’anticipo della cassa integrazione - racconta Donatella -, io ho guardato Mario e gli ho detto: dai, possiamo dire di avere un piccolo aiuto. Ma lui mi fa, laconico: "Proviamo a vederla così". Non sembrava molto convinto". Eppure, Mario era uno dei più attivi nella lotta per salvare la fonderia: "Interveniva spesso in assemblea - ricorda il sindaco di Budrio, Carlo Castelli - e, se c’era un collega abbacchiato, era il primo a fare una battuta per tirarlo su. Quando mi hanno detto cos’era successo, ho risposto: "Siete sicuri sia proprio quel Mario lì?"". Su Facebook, oltre ai due profili personali - uno dei quali conta 441 amici -, Mario interveniva sovente. E contribuiva alla pagina dei "Noi, 106 licenziati della Nuova Renopress". Il suo hobby, che gli consentiva di tirare su un piccolo extra, era la musica. Mario cantava col karaoke. Tanto che nel garage, luogo scelto per farla finita, c’è ancora la consolle per le basi. "Aveva sempre un sorriso per tutti - chiosa Donatella -. Io non so cosa scatti nella mente di una persona, ma può essere che a un certo punto uno non ce la faccia più. E il cervello si stacchi dal cuore". 18 aprile 2010
2010-04-17 Maxi-rissa tv tra esponenti Pdl "Gli italiani che hanno seguito ieri sera la trasmissione di Gianluigi Paragone, 'L'ultima Parola', su Raidue, ne saranno rimasti schifati. Lo spettacolo indegno che ha visto protagonisti una serie di esponenti del Pdl di vecchio e nuovo conio è stato davvero eloquente e credo che il presidente del Consiglio farebbe bene a prenderne visione. Tra Urso e Bocchino da una parte, Lupi e Santanchè dall'altra, se ne sono date di santa ragione". Tocca al blog di Francesco Storace, segretario de La Destra e alleato Pdl, dare il quadro della rissa tv tra esponenti Pdl andata in onda venerdì sera. "Abbiamo persino assistito all'esilarante 'fascista' e 'squadrista' gettato in faccia da Italo Bocchino (ex An) a Maurizio Lupi. È una crisi irreversibile. Quando i panni sporchi vengono sventolati in quella maniera in pubblico non c'è pace che tenga. Traspariva odio e questo non va bene – continua Storace - Noi non facciamo parte del Pdl; ci siamo alleati con questa importante forza politica alle elezioni regionali, siamo italiani e abbiamo diritto di preoccuparci per chi rappresenta la Nazione. Il Pdl, stando alle immagini trasmesse dalla Rai ieri sera, sembra odiarsi al proprio interno ed è un segnale pessimo per chi inneggia al partito dell'amore. Non è ironia la nostra, ma amara constatazione di uno stato di fatto che fa male anche a noi, che questo Paese lo amiamo davvero e non vogliamo vederlo precipitare a sinistra di qui a qualche tempo. Sembrava un episodio minore quello successo a Latina, dove una faida interna ha portato alla cacciata del sindaco nella città dove il Pdl miete più consensi. Invece no, la spaccatura pare molto più profonda". "Ma così non si va da nessuna parte. Credo che siano vani gli appelli del presidente Berlusconi. Alla direzione di giovedì prossimo - se a questo punto sarà confermata... - Fini potrà solo fingere la pace. Ma il clima, ormai, è quello e se ne deve prendere atto. Meglio, molto meglio staccare la spina. A che serve, a chi serve continuare così, se ascoltando gli esponenti finiani in tv sembrava di ascoltare l'opposizione travagliesca e dipietrista? Berlusconi non indugi più: se vogliono la scissione, questa è già programmata per farla esplodere col massimo di potenzialità e fare più danno possibile. Non vale la pena di rincorrerli: si aggiunge danno a danno. Il Paese ha bisogno di una maggioranza non litigiosa e quanto abbiamo visto è orribile". 17 aprile 2010
Berlusconi ora prova a mediare: "Il governo andrà avanti comunque" In gergo militare si chiama "guerra di posizione". Ma l'espressione sembra appropriata anche per descrivere lo stato dell'arte nel Pdl: Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini restano sulle rispettive posizioni, mentre i colonnelli lavorano ai fianchi e gli ambasciatori lanciano segnali distensivi. Di fatto uno stallo, in attesa della Direzione nazionale di giovedì prossimo in cui si potrebbe arrivare ad un documento condiviso o alla definitiva rottura. "La maggioranza resisterà, il governo continuerà, sono cose superabili", afferma il presidente del Consiglio da Milano, ostentando ottimismo. Per Berlusconi il Pdl si può "ricompattare". Lo dice ricordando di conoscere Fini da "quindici anni". In ogni caso, aggiunge con quello che suona come un monito, "in qualunque direzione si vada non ci saranno problemi, state sereni". Ma nel gioco delle parti, l'ottimismo del premier è mitigato dal pessimismo di uno dei suoi più stretti collaboratori: "Non sono certo" che i contrasti fra Fini e Berlusconi si appianeranno, afferma il ministro della Giustizia Alfano. "Una soluzione va trovata", aggiunge, "purchè sia definitiva". E mentre Fabrizio Cicchitto invita il presidente di Montecitorio a fermarsi prima che sia troppo tardi, la Destra di Francesco Storace consiglia al Cavaliere di "staccare la spina" con Fini. Sul fronte opposto, il presidente della Camera tace. A parlare ci pensano i senatori a lui vicini che si riuniscono in un ristorante romano per fare il punto della situazione. I numeri per fare un gruppo ci sono eccome, dice entrando Pasquale Viespoli che con voluta malizia aggiunge: In Senato "da tempo è attivo un coordinamento non soltanto di ex-An". Come dire: la corte ai senatori non la fa solo Berlusconi. Al termine del pranzo, però, i toni sono decisamente più concilianti: i 14 senatori stilano un documento in cui esprimono sì "solidarietà" a Fini per i "giudizi ingenerosi e i toni astiosi" usati da alcuni, ma allo stesso tempo tirano il freno sull'ipotesi dei gruppi. "Al momento nessuno ne parla e francamente non so chi ne abbia mai parlato", cade dalle nuvole Andrea Augello. Il documento, del resto, è chiaro: "Occorre riportare il confronto su un piano costruttivo, isolando quanti lavorano per destabilizzare i rapporti fra i confondatori del Pdl". Insomma, per i finiani "anche solo parlare di scissioni ed elezioni anticipate" è qualcosa di "incomprensibile". Ed anche se Fabio Granata sostiene che da parte di Fini "non c'è nessuna retromarcia" e che nulla "si è ricomposto", il documento dei 14 viene accolto con soddisfazione dai 'berlusconianì: "Rappresenta un implicito invito all'unità dei gruppi parlamentari", dicono Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Ma anche il finiano Italo Bocchino cerca di allontanare il dibattito dalle polemiche di chi accusa gli ex aennini di puntare unicamente a nuove "poltrone", per cercare di spostarlo su temi concreti come le "politiche per il Sud". Fra i pontieri c'è anche Gianni Alemanno, che tuttavia non nasconde una certa preoccupazione: "Stiamo lavorando a una ricomposizione, ma è difficile fare previsioni", riconosce il sindaco di Roma. Nella "guerra" fra i cofondatori, dunque, nessuno dei due arretra, ma neanche attacca. Si lavora dietro le quinte, in attesa della Direzione Nazionale di giovedì. Gli ottimisti sono convinti che si possa arrivare ad un documento in cui da una parte si conceda qualcosa a Fini e dall'altra si dia soddisfazione al premier sul fatto che nel Pdl si deve decidere a maggioranza. Un punto di caduta su cui puntano i "diplomatici", ma che potrebbe non bastare ai "colonnelli". 17 aprile 2010
Nel bunker di Fini avevano già studiato il "piano B" di Il Congiuratotutti gli articoli dell'autore Che quello di Schifani fosse un bluff è diventato ufficiale ieri sul far della sera, quando il premier ha teso la mano verso Fini, faticosamente e giusto lo stretto necessario per evitare la catastrofe del Pdl. Ma già il calendario l’aveva chiarito. Perché per svolgere le elezioni anticipate a giugno il presidente Napolitano avrebbe dovuto sciogliere le Camere entro le prossime due settimane. Eventualità del tutto impossibile. E così giovedì notte - nel momento più teso dello scontro con Berlusconi - nel quartier generale di Gianfranco Fini si è tirato un sospiro di sollievo. Scavallare giugno significava avere davanti un tempo tecnico di un anno per organizzarsi. E magari - era questa una delle contromosse più gettonate - approvare una legge elettorale di tipo tedesco (come piacerebbe all’Udc e alla stessa Lega) eliminando il premio di maggioranza in modo di togliere dalle mani del Cavaliere le chiavi della vittoria. C’era poi un’altra ragione che tranquillizzava i finiani. Una ragione che derivava direttamente dai guai giudiziari del premier. Alla soddisfazione di obbligare Fini a lasciare il suo scranno a Montecitorio sarebbe seguita per Berlusconi la preoccupazione per la perdita, con le elezioni, dello status di "imputato protetto". Insomma, tutto faceva pensare che, alla fine, come in effetti è avvenuto, una qualche soluzione per evitare la frantumazione del Pdl sarebbe stata trovata. E già si ragionava su possibili compromessi che, dopo quel tirato "andiamo avanti assieme" di ieri, ora tornano all’ordine del giorno. Per esempio la sostituzione nel ruolo di coordinatore del Pdl dell’ormai perduto Ignazio la Russa (d’altra parte già sufficientemente impegnato per via del suo ministero) col finiano d’acciaio Italo Bocchino. Ma, come accade anche nei matrimoni quando sono ormai irrimediabilmente logorati, al momento della pace segue, subito, quello dell’insofferenza. Ed ecco che già sono ricominciati i ragionamenti attorno a quella parola - "schizoide" - precipitata su Palazzo Chigi dall’alto del Colle. C’è chi teme che sul premier l’odore delle urne eserciti ormai un’attrazione irresistibile e che presto, magari usando come tramite un altro Schifani, rilanci la minaccia. 17 aprile 2010
Saviano? Colpevole di far pubblicità alla mafia... di Marcella Ciarnellitutti gli articoli dell'autore La pubblicità alla criminalità organizzata la fanno gli autori che dedicano sceneggiati e libri a questo argomento. Sono gli sponsor. Silvio Berlusconi replica. Per lui "la mafia è la sesta organizzazione criminale al mondo, secondo classifiche non so come compilate, ma è la più conosciuta" proprio per quel "supporto promozionale" che per il Cavaliere sono state prima le serie della Piovra con le avventure del commissario Cattani, e poi quel "Gomorra" di Roberto Saviano che ha dato un contributo determinante a far conoscere il vero volto della camorra. Cinque milioni e mezzo di copie vendute in 43 Paesi. Edizioni Mondadori. Evidentemente innervosito dai guai giudiziari del fido Marcello Dell’Utri, il premier si è lasciato andare a giudizi lapidari contro gli autori di quelle opere che lui non condivide e assolutamente non in linea con gli obbiettivi del suo governo che consistono nell’"avere in giro un numero di latitanti possibilmente vicini allo zero e di avere veramente distrutto le organizzazioni criminali, mafia, camorra, ‘ndrangheta. Vogliamo fare di questa priorità un punto centrale dell’azione di governo". Ma se questa è la priorità allora la mafia è o non è un’invenzione "colta"? Inutile attendersi una risposta dal presidente che la gira e la rigira come più gli fa comodo. Ed ieri aveva voglia di negare l’evidenza. Non è la prima volta che Berlusconi scivola su questi giudizi. "Se trovo chi ha fatto le nove serie della Piovra programmate in 160 Pese e chi scrive libri sulla mafia che non ci fanno fare una bella figura, lo strozzo" disse nel novembre dello scorso anno suscitando reazioni giustamente indignate. Non contento è anche passato all’attacco di Gomorra. D’altra parte questa è un tormentone da cui il premier non riesce a venir fuori. Già nel 1994 per lui la Piovra era "un disastro che abbiamo combinato in giro per il mondo". E poi "cos’è la mafia? Un decimillesimo, un milionesimo. Noi non vogliamo che un centinaio di persone diano un’immagine negativa in tutto il mondo". Sarebbe bene che si mettesse d’accordo con se stesso. La mafia esiste ono? Il suo governo combatte una grande organizzazione o i risultati vantati vanno commisurati alla approssimativa identità che lui ne dà? Le reazioni indignate. "Roberto Saviano è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del Consiglio avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo" ha affermato Walter Veltroni chiedendo che se ne discuta in Commissione antimafia. Anna Finocchiaro: "Nelle parole del premier c’è un riflesso inquietante e pericoloso: ricorda periodi storici e modi di concepire la comunicazione che con la democrazia hanno ben poco a che vedere". Il leader dell’Idv, Di Pietro: "Berlusconi chieda scusa a Saviano". Ancora una volta il commissario Cattani, cioè l’attore Michele Placido, viene tirato in ballo. "il premier sbaglia ed è in contraddizione. Da una parte ci sono scrittori come Saviano che fanno luce su una criminalità così potente e radicata, dall’altra ci sono i meriti che giustamente Berlusconi rivendica della lotta dello Stato alla camorra. C’è stata una grande reazione dello Stato e i cittadini hanno maggiore consapevolezza della camorra proprio grazie a libri come Gomorra. Di cosa si lamenta il premier?". 17 aprile 2010
Pd, Bersani media tra D'Alema e Franceschini: "Ora un progetto per il Paese" di Andrea Carugatitutti gli articoli dell'autore Un Bersani con le mani tese verso la minoranza interna guidata da Veltroni e Franceschini, a partire dalla difesa del bipolarismo e dall'ammissione della "delusione" per l'esito del voto, segna la prima direzione Pd del dopo regionali. Una direzione preceduta da un clima piuttosto teso, con l’area democratica a sottolineare la sconfitta alle urne e venerdì il duello D’Alema-Franceschini sul bipolarismo e soprattutto sul rapporto con Gianfranco Fini. Ma alla fine il segretario riesce a trovare le parole giuste per non scontentare nessuno, per tenere abbastanza unito il partito su una linea attendista nei confronti della crisi nel Pdl, ("Sono questioni loro", sintetizza Franco Marini), ma pronto a firmare un "patto repubblicano" con le forze disponibili a fermare la "deriva plebiscitaria" di Berlusconi, dunque anche con quella destra "normale" incarnata da Fini. Insomma, il dilemma "Fini sì Fini no" sembra sciogliersi alla luce dell’idea, fatta propria anche da Bersani, che i due litiganti del Pdl alla fine troveranno un modo per aggiustarsi tra loro. Sul bipolarismo Bersani è ecumenico: "Noi pensiamo ad una forma di bipolarismo più europeo, più moderno, più in grado di decidere", conclude a metà pomeriggio. "Dobbiamo prendere atto che negli ultimi 15 anni, tranne qualche riforma dei governi di centrosinistra, le riforme non sono state fatte perchè ha prevalso una democrazia plebiscitaria che accumula consenso ma non decide". Bersani, che lancia l’asseblea nazionale per il 22 maggio (obiettivo: discutere del progetto per l’Italia) concede qualcosa alla minoranza anche sul tema della riforma elettorale: "Le soluzioni per una riforma sono diverse ma vanno tenuti fermi tre paletti: il sistema bipolare, la scelta del deputato e la garanzia di una maggioranza stabile". "L'attuale legge elettorale è una vergogna, è l'architrave del meccanismo plebiscitario e populista di Berlusconi", dice il leader Pd. "Dobbiamo combattere per oltrepassarla. Intorno a questi tre criteri possiamo ragionare insieme e arrivare a proposte più precise ma cerchiamo di sdrammatizzare il tema perchè le leggi elettorali vanno e vengono, mentre Berlusconi sta qui dal ‘94...". Messe a posto le questioni che avevano agitato venerdì lo scontro tra D’Alema e Franceschini, Bersani passa all’attacco sul terreno a lui più caro, quello delle proposte per il Paese. "Mettiamoci subito al lavoro sul progetto per l’Italia. Il futuro è una sfida: mettiamoci all’altezza di questa sfida. Serve un progetto per l'Italia, un’agenda che ci porti a fare emergere la nostra visione del Paese". Pochi i punti cardine: "Lavoro inteso come lavoro delle nuove generazioni, fisco, educazione e cioè scuola e università, istituzioni, giustizia e informazione". "Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Dobbiamo trasmettere positività, il partito non può essere il nostro oggetto di discussione col Paese: è lavorando per l’Italia che daremo il profilo al partito, le nostre parole da contrapporre all’ideologia di Berlusconi e della Lega sono uguaglianza, diritti, civismo e merito". Tra i primi passi concreti della nuova agenda Pd, Bersani annuncia una proposta di legge per mettere fuori i partiti dalla Rai e una nuova norma Antitrust per affrontare (e risolvere) il conflitto d'interessi. E sulla giustizia prende le difese del responsabile del settore Andrea Orlando, criticato nei giorni scossi per aver presentato al Foglio una bozza di riforma: "La giustizia non è un tabù, è un servizio che non funziona, le nostre proposte sono contro le leggi ad persona, m si può essere d’accordo o meno ma non esiste che tra di noi si parli di "intelligenza con il nemico"". Veltroni sceglie di non intervenire e se na va senza fare commenti, Franceschini nel suo intervento apprezza la "difesa del bipolarismo" da parte del segretario ma ribadisce la sua linea su Fini: "Non bisogna fare a Fini il torto di considerarlo "di qua" e coinvolgerlo in scenari confusi perché lui sta facendo una battaglia per una destra normale ma è un nostro avversario. Dare l’idea che Fini è un nostro interlocutore sarebbe un grande regalo per Berlusconi". E aggiunge: "La missione del Pd è cambiare il paese rimettendo in discussione tutto, non sommando le singole sigle". "Il partito non è solo di chi ha vinto il congresso ma insieme di chi ha vinto e di chi ha perso. Tra il silenzio e la litigiosità c'è la via di mezzo del confronto chiaro, dobbiamo discutere per contribuire a fare le scelte". L’occasione sarà l’assemblea nazionale convocata per il 22 maggio, e intanto Franceschini risponde anche a quell’ala cattolica, da Fioroni a Castagnetti, che anche oggi ha ribadito il suo disagio in un partito troppo "di sinistra": "Il Pd ha ancora la colla fresca. E se ci sono dei dirigenti che percepiscono con disagio un pd comepartito di sinistra, questo è un segnale che deve essere ascoltato". Non mancano segnali di apertura a Bersani anche da altri esponenti della minoranza. "La direzione è stata utile ed è stata imboccata la strada di un chiarimento", dice Fioroni. "Abbiamo fatto un primo passo verso il rilancio del progetto originario dopo la "sconfitta elettorale", dice il braccio destro di Veltroni Walter Verini. "Si è compiuto un passo in avanti sulla direzione di investire sul progetto del Pd, sul suo rapporto con l’Italia, lasciando molto, ma molto, sullo sfondo quelle cose che ci avevano imbrigliato, tipo la politica delle alleanze". mentre Fassino dà atto al segretario di aver presentato "un'analisi del voto più preoccupata del giudizio iniziale e una griglia per il rilancio". D’Alema, anche a costo di un certo isolamento, ha ribadito le sue tesi sulla crisi del bipolarismo e sulla necessità di "interloquire" con quella destra incarnata da Fini che può dare a una mano per fermare la "spallata plebiscitaria" di Berlusconi. "Dire che vogliamo fare domani un governo insieme a Fini è una scemenza, a me interessano i contenuti, dalle riforme all’immigrazione, e non per fare manovrette politiche", spiega D’Alema. Che ribadisce il suo sostengo per un sisyema dell’alternanza, che va però ripensato, "perchè la tanto vituperata e consociativa prima repubblica è stata in grado di produrre riforme profondissime, mentre la second, quella delle decisione, appare molto debole". Nessuna marcia indietro, dunque. D’Alema ribadisce la sua ricetta sul bipolarismo in crisi e anche sul dialogo con la nuova forza parlamentare che Fini starebbe per lanciare. "Non vorrei che nel nome del bipolarismo lo rimproverassimo di dare fastidio a Berlusconi, sarebbe un eccesso di zelo", conclude l’ex ministro, prima che Rosy Bindi lo inviti al "time out" per aver sforato i tempi. E proprio la presidente Bindi è protagonista di uno scontro con Paola Concia, a cui avrebbe tolto il diritto di intervenire. "Dopo la relazione di Bersani ha detto che c’erano 60 interventi, troppi, e che avrebbero dovuto parlare solo le personalità politicamente rilevanti", accusa Concia. "Io e altri siamo stati "tagliati", evidentemente i temi che rappresento non ionteressano alla Bindi, ma io voglio discutere dentro il mio partito, non sulle pagine dei giornali...". "La prossima volta la facciamo di due giorni così ognuno avrà bei 15 minuti per parlare", replica la Bindi ai colleghi che protestano. Marta Meo, esponente veneta della mozione Marino, esce nel primo pomeriggio con lo sguardo sconsolato: "Mi pare che questo partito sia in preda all’horror vacui: abbiamo davanti tre anni senza elezioni e senza congressi, sarebbe il momento per parlare di cose concrete, e invece ho l’impressione che non si sappia da dove cominciare. Un’altra conferenza di programma a maggio? Ma non c’erano i forum tematici? Perché non vengono convocati?". Un tema su cui è d’accordo anche Marino, che sprona Bersani a "far funzionare i forum". "Deve fare come un rettore con i dipartimenti, farsi dare dei report su quello che è stato deciso, sull’agenda dei prossimi incontri...". 17 aprile 2010
2010-04-16 Bossi dice: la cosa non si aggiusterà. Berlusconi ultimatum a Fini "Io sono un ottimista di natura", ma se Gianfranco Fini decidesse di andare avanti con la costituzione di gruppi autonomi "oggi nell'ufficio politico si è valutato unanimemente che si tratterebbe di una scissione dal Pdl". È il premier Silvio Berlusconi, in una conferenza stampa a palazzo Grazioli al termine della riunione dell'ufficio di presidenza. Ma avverte: non è compatibile l'incarico di presidente della Camera con la nascita di gruppi parlamentari autonomi da lui promossi. Il governo andrebbe avanti anche se si dovessero formare dei gruppi parlamentari dei finiani. Berlusconi ha anche letto un documento approvato all'unanimità, anche dai membri finiani del Pdl, in cui si auspica l'unità del partito e si invita Fini a non formare gruppi autonomi. "Il governo andrebbe avanti, intendiamo scongiurare l'ipotesi di elezioni anticipate", ha risposto Berlusconi alla domanda se ci sarebbe una crisi di governo in caso di formazione di gruppi parlamentari da parte dei finiani. Berlusconi ha però aggiunto che la formazione di tali gruppi renderebbe incompatibile la possibilità che Fini rimanga alla presidenza della Camera ed ha aggiunto che "tutti i presenti hanno espresso la valutazione che la differenziazione in gruppi parlamentari significherebbe scissione". Berlusconi ha letto il documento votato all'unanimità, anche dal finiano Italo Bocchino, nel quale si chiede a Fini di "desistere da iniziative trapelate da agenzie circa la costituzione di propri gruppi per continuare insieme la grande avventura del Pdl in cui si riconoscono tutti gli italiani che non votano a sinistra". Il ministro finiano Andrea Ronchi ha confermato i contenuti del documento, aggiungendo che "si auspica una ricomposizione e un incontro con Fini che avverrà alla direzione del partito giovedì prossimo. A questa direzione Fini dirà che il partito va consolidato, rafforzato e non distrutto". Nel pomeriggio è intervenuto Bossi: "Non ho certezze ma temo che la cosa non si rimetterà a posto...", ha detto. "Quale scenario? Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni". Intanto, nel pomeriggio il premier ha trovato anche il tempo di attaccare Roberto Saviano. La Piovra e Gomorra come enti di promozione della mafia nel mondo, dal momento che l'organizzazione criminale risulta sesta in classifica ma senz'altro prima per notorietà nel mondo. Mescolando i dati degli osservatori istituzionali agli indicatori mediatici, Silvio Berlusconi torna a criticare i programmi basati sul storie di criminalità organizzata. La sua avversione per 'La Piovra' era nota, oggi, dalla sala stampa di Palazzo Chigi, in 'black list' finisce anche Roberto Saviano. Il presidente del Consiglio, con i ministri di Interno e Giustizia al suo fianco, osserva che la mafia ha goduto di "un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un fatto di giudizio molto negativo per il nostro Paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra e tutto il resto". La rottura di ieri Ieri l'atteso colloquio fra Berlusconi e Fini alla Camera è andato male e la terza carica dello Stato ha minacciato di costituire un suo gruppo parlamentare se il Pdl non si smarcherà dalla Lega e se non ci sarà un chiarimento interno al partito. All'ufficio di presidenza di oggi dovrebbe seguire una direzione nazionale fra una settimana. Fini ha accolto positivamente la convocazione degli organi di partito definendola, in una nota, "una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto ieri al presidente Berlusconi". "Mi auguro che a partire dalla riunione, cui parteciperò, possa articolarsi una risposta positiva anche nel merito delle questioni sul tappeto, a cominciare dal rapporto tra il Pdl e la Lega". Il neo ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan ha commentato l'idea di Fini di creare gruppi del Pdl autonomi in Parlamento definendola una "follia". "Ho visto Berlusconi sereno e determinato. Auspico si ricomponga, anzi sono sicuro che si ricomporrà. L'altra soluzione non ha futuro. Quello che sta prospettando Fini mi sembra una follia", ha detto Galan uscendo dal Consiglio dei ministri. Altero Matteoli, ministro ex An dei Trasporti, ha auspicato una soluzione pur senza fare previsioni: "Auspico una soluzione ma non ho la sfera di cristallo". Ieri il presidente del Senato Renato Schifani ha detto che se la maggioranza dovesse dividersi bisognerebbe tornare alle urne mentre i coordinatori nazionali del Pdl, fra i quali l'ex colonnello di An Ignazio La Russa, hanno espresso "profonda amarezza" per l'atteggiamento di Fini, definito "sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni". Quello di ieri è stato il primo incontro fra i due cofondatori del Pdl dopo le elezioni regionali, dopo che negli ultimi giorni sono riaffiorate divergenze sui contenuti ed i modi delle riforme istituzionali che la maggioranza vorrebbe affrontare negli ultimi tre anni della legislatura. 16 aprile 2010
"Pdl Italia", la conta è partita: 68 parlamentari pronti allo strappo di Susanna Turcotutti gli articoli dell'autore Berlusconi sappia che se io devo lasciare la presidenza della Camera, lui dovrà lasciare la presidenza del Consiglio. Ma non è questo che voglio, non voglio la crisi di governo né di maggioranza. E infatti, Gianni, Silvio a me non ha chiesto dimissioni e tu non puoi dire il contrario, perché sei stato testimone del nostro colloquio". Quando volge al termine la giornata più difficile nel pluridecennale rapporto con Berlusconi, al telefono con Gianni Letta Gianfranco Fini non chiede solo che si smentisca la voce che circola, ma prova ancora a spiegare le sue ragioni. Quelle stesse che ha spiegato a ora di pranzo a Berlusconi. Lo fa anche, subito dopo con La Russa e Matteoli, i suoi ex colonnelli passati di là: "Guardate che io faccio il presidente della Camera, non voglio posti e non faccio richieste per me. Mi faccio carico di una responsabilità: ho messo il mio partito nel Pdl, ma quella gente, quelle istanze, quella destra nel Pdl non c’è. E non posso permettere che siano buttati a mare cinquant’anni di storia. Possibile che Berlusconi non lo capisca?". Parla al telefono, Fini, di fronte ai molti suoi fedelissimi autoconvocati nel suo studio quando, dopo aver covato per mesi sotto la cenere, ieri a pranzo lo scontro tra i due fondatori del Pdl è esploso in tutta la sua violenza finale. Fini il freddo, Fini il prudente, a tavola si è ritrovato infatti a minacciare a Berlusconi quel che fino a poche ore prima negava di voler fare nell’immediato: "O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io possa contare realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi", è stata la sua conclusione del pasto. Uno spettro scissionista che sempre è aleggiato in questi mesi, ma che soprattutto dopo le elezioni, è parso all’ex leader di An "fuori luogo, perché gli spazi si sono ristretti". A fargli cambiare idea, ieri, l’atteggiamento di Berlusconi. "Mi è venuto a fare il comizio, capite?" ha spiegato poi ai suoi. "Il comizio, lui, a me, che faccio comizi da una vita". A Berlusconi, infatti, come altre volte, l’ex leader di An aveva spiegato che "non possiamo andare avanti così, a colpi di slogan, mentre tu ti occupi soltanto del governo e porti il Pdl ad appiattirsi sulle richieste della Lega. Non possiamo andare avanti così, con Calderoli che tra una canzone e una barzelletta mette sul piatto la riforma presidenziale di cui parliamo da anni. Con un partito nel quale il dibattito non esiste oppure viene criminalizzato, senza che si mettano a tema questioni fondamentali come quella della Sicilia, dove da un anno esistono due Pdl senza che il partito se ne occupi. Per non parlare del tuo Giornale, che mi dipinge come un traditore ogni giorno, e di tutte le decisioni che non hai condiviso". La questione, a sentire coloro che con Fini hanno parlato prima dell’incontro, doveva aprire la strada anche a una ridiscussione dei pesi interni al Pdl, nel quale il teorico 70-30 da spartirsi tra ex Fi ed ex An si è di fatto trasformato, complici le defezioni dei La Russa, dei Gasparri e dei Matteoli, "in un 90 a 10 per Berlusconi". Ma non si è arrivati nemmeno a discutere di questo. Il Cavaliere, infatti, ha minimizzato ("la Lega la tengo sotto controllo io, e tu sarai il grande riformatore"), provocando la reazione di Fini. "Mi ha fatto la solita cantilena, come se nemmeno mi ascoltasse", ha spiegato poi. Ma non è più epoca di cantilene. Soprattutto per via del fantasma che il presidente della Camera ha visto alzarsi dietro la nenia berlusconiana: quello della marginalizzazione senza ritorno. Da qui al concretizzarsi dei gruppi autonomi (Pdl-Italia, il nome) il passo è diventato improvvisamente brevissimo. Molti finiani si sono materializzati nello studio del presidente (tra i ministri, solo Ronchi). Ed è partita subito la conta. Alla Camera 50 e 18 al Senato, secondo la voce più accreditata (e più ottimistica, perché c’è chi cala a 45 e 8). Insieme a qualche defezione di presunti fedelissimi (Berselli, Gamba, Caruso e Gramazio), proprio da Palazzo Madama, dove per ammissione dei finiani "abbiamo problemi di numeri". Una strada che a prenderla sul serio non esclude nessuno scenario: perché, come ha detto Fini ai suoi "ho fondato un partito, sono pronto a fondarne un altro". Una strada che però è in stand by fino a lunedì. Nella speranza di una ricomposizione finale, che Fini coltiva, nonostante tutto. 16 aprile 2010
Bocchino-spiato sentito dal Copasir: "Servono accertamenti" di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore Un pasticciaccio. O meglio, dice un parlamentare "un pasticcino su cui tocca andare fino in fondo per chiarirne gli ingredienti". Ingredienti a dir la verità tutti dannatamente seri: sms di minacce, pedinamenti, denunce alla procura della Repubblica, richiesta di autorizzazioni alla Giunta della Camera e, ultima di ieri, la convocazione davanti ai membri del Copasir. Perché destinatari del pasticciaccio-pasticcino sono un parlamentare del calibro di Italo Bocchino, vicecapogruppo di maggioranza alla Camera, e addirittura - circostanza questa ancora meno chiara - il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il primo, Bocchino, destinatario di un sms ("bastardo agente segreto") ricevuto la sera del 31 gennaio alle 20.44 mentre era a Reggio Calabria. Minacce che avrebbero riguardato altri due agenti dell’ex Sismi e a cui, secondo Bocchino, vanno sommati episodi di "pedinamento" che avrebbero riguardato anche il ministro Maroni (seguito da una macchina intestata all’Aise, l’ex Sismi). Dopo qualche giorno di galleggiamento della notizia tra le cose risibili e quelle serie, ieri il fatto ha trovato posto tra le cose possibili. E quindi da verificare come hanno cominciato a fare la procura della Repubblica di Reggio Calabria e il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copasir) presieduto da Massimo D’Alema. Il procuratore Pignatone ha chiesto e ottenuto dalla Camera il via libera per avere i tabulati del cellulare dell’onorevole Bocchino "limitatamente al periodo compreso tra le ore 20 e le ore 21 del 31 gennaio" per identificare "la cabina telefonica da cui è partito il messaggio, mezzo di pagamento e utilizzatore". Il Copasir ieri ha sentito per un’ora e mezza l’onorevole Bocchino. Audizione al termine della quale è stato deciso, come ha detto Gaetano Quagliarello (Pdl), che ci saranno "ulteriori e necessari approfondimenti". Anche perché, ha aggiunto Ettore Rosato (Pd) "compito del Copasir è vigilare affinché non ci siano deviazioni nei servizi". Eccola qua la parola proibita: schegge di apparati che obbediscono a fini non leciti. Pronunciata dallo stesso Bocchino: "Esistono elementi che possono far pensare che tra gli 007 ci sia qualcuno sconfina in un’attività di controllo di soggetti istituzionali". Lo dice un parlamentare che è stato membro del Copasir. Lo ripete Briguglio, ex di An come Bocchino, e membro attuale del Comitato: "Bocchino è stato è stato vittima di attenzione illegale da parte di un pezzo dei servizi". Il Dis di Gianni De Gennaro, che controlla tutta l’intelligence, scrive comunicati per dire che "non risulta nulla". E che comunque "assumerà informazioni". Il sospetto è anche questo sia il prodotto dell’aria mefitica tra ex Fi e ex An. Per di più con un finiano come Bocchino. 16 aprile 2010
E al Cdm debutta il neoministro dell'agricoltura Galan Stamattina al Quirinale ha prestato giuramento l'ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, neo ministro dell'agricoltura e delle politiche forestali. Galan prende il posto del leghista Luca zaia, eletto alla presidenza della Regione Veneto. Dopo la cerimonia, Berlusconi e Galan sono andati a Palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri. La prima uscita europea per il neoministro sarà lunedi' 19 aprile a Lussemburgo per la riunione del Consiglio dei ministri agricoli dell'Ue. 16 aprile 2010
pertura a Fini, scontro D'Alema-Franceschini A Valmontone, al seminario dei Liberal Pd di Enzo Bianco, Massimo D'Alema parla per la prima volta dopo le regionali ma, al di là del giudizio sul risultato elettorale, a tenere banco e ad evidenziare le differenze di vedute dentro il partito è il botta e risposta con Dario Franceschini sul tema delle riforme e sull'evoluzione dello scenario politico, alla luce dello scontro dentro il Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Entrambi giudicano per ora imprevedibile il percorso che potrà prendere a livello istituzionale, ma sia il presidente del Copasir che il leader di area democratica vedono i rischi di una rottura nella maggioranza di governo, sul da farsi però hanno opinioni decisamente diverse: D'Alema, infatti, pensa che il bipolarismo sia fallito e di fronte al pericolo che "Berlusconi tenti di uscirne con una spallata plebiscitaria il Pd abbia il compito di aprire una fase nuova" che attragga chi oggi si sente "prigioniero nel Pdl". Quindi D'Alema suggerisce una "costituente democratica" che produca un sistema in grado di rappresentare realmente il paese e che perciò superi questo bipolarismo. Franceschini, invece, pur giudicando vicina una rottura tra il premier e il presidente della Camera, sottolinea come anche con Casini accadde qualcosa di simile, ossia che Berlusconi non tollera le critiche ma osserva: "Ora c'è di mezzo la credibilità delle persone. Se Fini si piega anche questa volta sarà difficile dargli credito in futuro". Il capogruppo democratico non crede poi che il bipolarismo debba essere messo in discussione: "L'alternanza di governo va difesa, non è una cosa solo italiana, ma un sistema su cui tutte le democrazie si stanno assestando, lo abbiamo costruito con fatica in questi quindici anni e non va messo in discussione". Quanto al rapporto con il co-fondatore del Pdl, precisa: "Fini è un avversario, di una destra nazionale ma è e resterà un avversario, ci sono delle strade per superare i limiti di questo bipolarismo ma non possiamo tornare indietro per tattica o necessità". D'Alema ha premesso, parlando della crisi nel Pdl, che "è imprevedibile" il suo esito ma poi ha aggiunto: "Sicuramente quello che accade tra Berlusconi e Fini è una rottura nettissima se si tradurrà in una rottura parlamentare a breve io credo di no, ma è un rischio che esiste di fronte al quale dobbiamo sviluppare un'azione politica all'altezza non solo della crisi di una formula di governo della destra, ma dell'esaurirsi di un certo tipo di bipolarismo e di una cultura della governabilità di cui anche noi ci dobbiamo liberare". L'ex premier nel suo ragionamento ha ricordato che anche nel centrosinistra spesso si è pensato che la maggiore governabilità e stabilità dei governi si traducesse in un maggior decisionismo, ma questo governo ha dimostrato il contrario: "La decisione non dipende solo dal grado di potere di un governo, soprattutto se si tratta di fare le riforme che cambiano il paese, che richiedono coinvolgimento e condivisione". D'Alema vede una crisi della politica attraverso la quale "rileggere anche il dato elettorale. Un grande partito non può sempre e soltanto parlare di se stesso - osserva - aiutato dai media Berlusconi ha potuto dire che aveva vinto ma non era vero e vorrei che Fini ci aiutasse a dire la verità, il partito di governo ha perso 2 milioni e 600mila voti". Ma D'Alema non nasconde il fatto che gli elettori non vedano ancora nel Pd un'alternativa, di qui l'aumento dell'astensionismo e il rafforzamento della Lega. Ma il problema del bipolarismo riguarda anche il centrodestra e, avverte l'ex premier, "Berlusconi può essere tentato di uscire da questa crisi con una spallata plebiscitaria" perciò "bisogna rompere questa gabbia, se noi abbiamo una proposta di rinnovamento sistemica daremo aria a chi è prigioniero del Pdl incoraggiando un processo politico nuovo, se invece da questa parte non facciamo che ributtarli indietro la crisi resterà sotto l'egida di Berlusconi". D'Alema non parla di sistemi elettorali o di riforme costituzionali nel merito ma osserva, interrogato dal moderatore, che "il sistema francese applicato in Italia rischia di cancellare l'unica istituzione al di sopra delle parti, il presidente della Repubblica, e di farlo diventare parte della contesa indebolendo la coesione nazionale". Quello che però ci tiene ad evidenziare è che il Pd deve avere "una capacità di iniziativa, deve stare in campo, solo così Fini e Casini discuteranno con noi, perciò - aggiunge riferendosi al dibattito interno - usciamo dalla discussione falsa di progetto e alleanze sennò ci porteranno alla neuro. È evidente che se non hai il progetto non hai neanche le alleanze e che se hai le alleanze hai anche il progetto, sono due facce dello stesso problema". Franceschini ritiene invece che "alleanze e progetto stanno insieme ma non sempre è vero che se hai il progetto vengono da sole perché in passato abbiamo fatto le alleanze e poi chiesto a tutti di scrivere il programma evidenziando così l'eterogeneità dei punti di vista. Questo non significa pensare di vincere da soli ma che il Pd deve avere un suo disegno di cambiamento del paese attorno a cui costruire le alleanze". Il capogruppo democratico non pensa infatti che si possa recuperare gli astensionisti proponendo delle alleanze e aggiunge che "gli italiani non si aspettano da noi risposte di ingegneria elettorale ma che riprendiamo le ragioni per cui questo partito è nato". Quanto alla crisi nella maggioranza, Franceschini pensa che "se ci fossero elezioni anticipate per imporre il modello presidenziale allora scatterebbe un'emergenza democratica in cui coinvolgere tutte le forze politiche per una battaglia a difesa della democrazia". È su questo punto che D'Alema ha replicato giudicandolo "contraddittorio: l'emergenza democratica c'è già, serve oggi una risposta, non credo che arriveremo normalmente alle elezioni, è in campo una riforma costituzionale e l'ipotesi di un referendum, questo è il tema, dobbiamo stare attenti, io non sono mai stato favorevole ad enfatizzare la minaccia per la democrazia ma il rischio c'è". Quindi il presidente del Copasir ha ricordato che "Fini è un attento interlocutore non solo per quanto riguarda le formule e il rapporto con Berlusconi, su diverse questioni delicate come l'immigrazione e la bioetica abbiamo una dialettica di contenuto". Infine, D'Alema ha voluto puntualizzare a Franceschini che "non c'è nel partito chi si occupa di contenuti e chi di alleanze e alchimie, dal lavoro della mia fondazione è arrivato il contributo più imponente sulle proposte programmatiche ma spesso abbiamo difficoltà ad avere posizioni innovative a causa del dibattito interno e della libertà di coscienza". E sul sistema elettorale, D'Alema ha ricordato che "questo tipo di maggioritario che premia il massimo assemblaggio dà un potere di ricatto alle forze minori che non c'era nella prima Repubblica". 16 aprile 2010
2010-04-15 Fini, aria di rottura con Berlusconi: "Pronto a fare gruppi autonomi". "Se lo fai lasci la guida della Camera" Aria pesantissima, a un passo dalla rottura nel vertice tra il premier Silvio Berlusconi ed il presidente della Camera Gianfranco Fini. Quest'ultimo - riferiscono fonti di maggioranza - ha esplicitamente detto che è pronto a costituire suoi gruppi autonomi in Parlamento, accusando governo e Pdl di andare a traino della Lega. Il premier Berlusconi - riferiscono le stesse fonti - avrebbe chiesto 48 ore di riflessione. L'incontro tra i due leader si è svolto oggi a pranzo a Montecitorio, dopo essere stato più volte rinviato e soprattutto dopo che il premier aveva già visto Umberto Bossi 8che ha commentato: "Il vertice? L'abbiamo già fatto a palazzo Chigi"). Il faccia a faccia è durato due ore e al termine nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni, segnale chiaro che le cose erano andate male. "Ho mangiato benissimo", si è limitato a commentare sorridente Berlusconi lasciando lo studio di Fini al termine del pranzo. Ai cronisti che insistevano per sapere come fosse andato l'atteso incontro, il premier ha detto senza perdere il sorriso: "Non mi pronuncio". Il Cavaliere era accompagnato dal sottosegretario alla presidenza Gianni Letta e dal consigliere Sistino Giacomoni. L'ultimatum di Fini "Fini chiede a Berlusconi di scegliere in modo chiaro se continuare a costruire il Pdl con lui o se preferirgli invece il rapporto con Umberto Bossi", ha raccontato una fonte vicina alla componente di An nel Pdl. Secondo la fonte "non siamo alla rottura, ma dipenderà da cosa succederà nelle prossime ore". In queste ore Fini ha riunito gli uomini a lui più vicini. Nello studio della terza carica dello Stato sono giunti il presidente vicario del Pdl a Montecitorio Italo Bocchino, il vicecapogruppo Carmelo Briguglio, il viceministro e segretario generale di FareFuturo Adolfo Urso e il sottosegretario all'Ambiente Roberto Menia. Alla riunione in corso nello studio del presidente della Camera sono successivamente arrrivate anche la presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno e il direttore del 'Secolo d'Italià anch'essa parlamentare Pdl vicina a Gianfranco Fini, Flavia Perina. "Ho fondato un partito, sono pronto a rifondarne un altro". Per ora l'intenzione di Gianfranco Fini è quella di dar vita ad un gruppo (si contano 50 deputati e 18 senatori), ma il presidente della Camera con i suoi fedelissimi non ha escluso nessuna ipotesi in futuro. "Se l'unico modo di ottenere le cose è fare come la Lega allora anche noi ci travestiamo da lupi, saremo una forza di lotta e di governo", ha spiegato durante la riunione con i suoi. Il primo passo è 'Pdl Italià, ma messo alle strette ogni scenario è possibile, anche quello esposto da diversi finiani della creazione di un partito delle riforme, un 'partito della nazionè che coinvolga i delusi del Pdl, i rappresentanti del centro e una parte della sinistra. "Noi - riferisce per esempio una fonte parlamentare dell'Udc - siamo pronti a considerare l'eventualità di sancire un patto per il Paese". Tuttavia anche dopo il braccio di ferro con Berlusconi dalla presidenza della Camera filtra ancora la speranza che il Cavaliere possa riconsiderare le proprie posizioni e si ribadisce la lealtà verso l'esecutivo. E soprattutto non si crede affatto nella eventualità di un voto anticipato, anche perchè - fanno notare fonti parlamentari - Napolitano non scioglierebbe mai le Camere. "Certamente - ha spiegato Fini ai suoi - non siamo noi i traditori del patto. Ma sono stanco di essere preso in giro, Berlusconi è venuto da me solo per fare retorica...". La terza carica dello Stato ha meditato a lungo se fare o meno lo strappo. È consapevole della posizione delicata che occupa: "Ma - ha osservato secondo quanto viene riferito - questa volta non è in gioco il futuro di Gianfranco Fini, è in gioco il futuro del Paese". Di questo passo - è il ragionamento - avremo l'avanzata degli unni in tutta l'Italia... Tante le richieste dell'ex leader di An. Lo scoglio più grande è appunto il rapporto con il Carroccio, l'appiattimento del Pdl a Bossi. Poi il partito: Fini chiede un azzeramento dei vertici di via dell'Umiltà e la convocazione degli organi. "Questa situazione va avanti da troppo tempo, non ci sto più", è sbottato il presidente della Camera con il premier, "non è possibile che tu mi faccia vedere la bozza delle riforme come se fossi l'ultimo dei deputati". Fini, dunque, ha chiesto una discontinuità suil metodo e sui contenuti della politica del Pdl, Berlusconi ha preso tempo. "Vedremo cosa risponde, ma dobbiamo essere pronti a tutto", ha sostenuto l'ex leader di An.
Schifani: se divisi si va al voto Sulla crisi nel Pdl interviene il presidente del Senato Schifani: "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori e ripresentarsi a questi con nuovi progetti ed eventualmente con nuove alleanze ove necessarie". Schifani sottolinea che questo "è un concetto che già ho ribadito in epoca non sospetta" e lo ripeto perchè "leggo in queste ore della costituzione di eventuali gruppi diversi da quelli del Pdl". Replica il finiano Bocchino: "Il presidente del Senato Schifani sa bene che ai sensi della Costituzione attualmente vigente in Italia si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza e non quando emergono divisioni interne alla maggioranza. Val la pena ribadire che nessun parlamentare vicino al Presidente Fini farà mai mancare la fiducia al governo Berlusconi in base al mandato ricevuto dagli elettori".
La replica del Cavaliere "Rifletti bene su questa decisione di dar vita a gruppi autonomi perchè se lo farai l'inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza della Camera". Silvio Berlusconi, a quanto riferiscono fonti della maggioranza, avrebbe replicato così al presidente della Camera, Gianfranco Fini, che nel corso del pranzo a Montecitorio avrebbe ventilato l'ipotesi di dar vita a gruppi autonomi. All'avvertimento del cavaliere, stando alle stesse fonti, Fini si sarebbe riservato di comunicare una decisione entro la prossima settimana. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perchè così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito. Ciò significa scelte organizzative ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al Presidente Berlusconi". È quanto afferma Gianfranco Fini in una nota dopo il colloquio con Silvio Berlusconi. Ora Berlusconi "ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". Fonti del Pdl spiegano poi che "non c'è stato alcun ultimatum del presidente Fini al premier Berlusconi. Fini è ovviamente libero di prendere tutte le decisioni che ritiene più opportune e che, su invito del presidente Berlusconi, si è riservato di comunicare la prossima settimana. Sempre fonti della maggioranza riferiscono che il presidente Berlusconi non ha mai invitato il presidente Fini a lasciare la presidenza della Camera. Ma Bocchino conferma la sostanza dell'incontro: "I gruppi autonomi possono esserci nel caso dovessero arrivare risposte negative ai problemi che sono stati posti", ha detto. Il vicecapogruppo del pdl, rispondendo ad una domanda, ha poi detto che l'ipotesi di una eventuale crisi di governo "è da escludere categoricamente". La reazione dei coordinatori Pdl "Le recenti elezioni regionali e amministrative hanno riconfermato la validità politica della decisione di dar vita al Pdl, un traguardo storico irreversibile. Gli italiani, dimostrando anche in questa occasione maturità ed intelligenza, hanno premiato l'azione del governo e creato le migliori condizioni per proseguire sulla strada delle riforme che abbiamo intrapreso e dell'ulteriore rafforzamento del nostro partito. Da queste inoppugnabili considerazioni nasce la nostra profonda amarezza per l'atteggiamento di Gianfranco Fini che appare sempre più incomprensibile rispetto ad un progetto politico comune per il quale abbiamo lavorato concordemente in questi ultimi anni, un progetto di importanza storica che gode di un consenso maggioritario nel popolo italiano". È quanto si legge in una dichiarazione congiunta dei coordinatori del Pdl, Sandro Bondi, Ignazio La Russa e Denis Verdini, al termine del vertice a Palazzo Grazioli con il premier Silvio Berlusconi.
Le opposizioni "Sotto queste tensioni ci sono problemi molto seri. Innanzitutto il distacco profondo tra le politiche del governo e i problemi economici e sociali e le confuse prospettive di riforma evidentemente non condivise". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a proposito delle tensioni interne al Pdl tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. "La verità è che su temi di fondo del Paese, questo è sempre stato un governo senza decisioni e che a furia di decreti e voti di fiducia i problemi politici non si risolvono", conclude Bersani. "Per il bene del Paese prima ci liberiamo del sistema piduista, che sta portando avanti Berlusconi nel governare non solo il Paese, ma anche nel guidare il Parlamento, meglio è. Mi fa piacere che lo abbia capito anche Fini e mi auguro che la prossima volta lo capiscano anche gli italiani". È il commento alla notizia sulla possibile formazione di gruppi autonomi da parte dei deputati finiani rilasciato dal leader Idv Antonio Di Pietro ai microfoni del Tg3. 15 aprile 2010
Berlusconi vuole tutto per sé. Ma la Lega ipoteca il 2013 di Ninni Andriolotutti gli articoli dell'autore Prima Bossi poi Fini. Ieri il Senatur e solo oggi il Presidente della Camera. Spiegano dal Pdl che il pranzo a due "tra Silvio e Gianfranco era fissato da tempo", peccato che lo staff finiano non ne fosse così sicuro e abbia atteso per ore un appuntamento certo. Berlusconi mette in attesa il cofondatore e dà precedenza la leader del Carroccio. E al di là del gran darsi da fare per far coincidere le agende, quel prima Bossi e poi Fini la dice lunga sulle precedenze politiche che vuol marcare il Cavaliere appena rientrato da Washington. Il sospirato vertice - il primo dopo il voto e a molti giorni dal 28 marzo - alla fine si farà. Parlare di disgelo, però, a meno di colpi di scena, sarà arduo facendo l’elenco dei conti in sospeso del premier nei confronti di "Gianfranco" che gli "fa il controcanto". Ultimo in ordine di tempo il battibecco sul semipresidenzialismo alla francese che il Presidente della Camera vorrebbe doppio e Silvio vedrebbe "a turno unico" con "porcellum" immutato. BOSSI: NIENTE FED CON IL PDL "La legge elettorale non si tocca, mica si può cambiare sempre...", spiega Bossi dando un’altra mano d’aiuto al Cavaliere, mentre l’ex leader di An incita il Pdl a "non appiattirsi sulla Lega". Prima di giungere a Palazzo Grazioli, ieri, il numero uno del Carroccio si è fatto precedere, ieri, da un annuncio niente male. Perché ha chiesto, nell’ordine: "le banche più grosse del Nord", "assessori in Lombardia e Veneto", un premier leghista nel 2013 "perché tutto è possibile" e un sottosegretario "forte" per risarcire la Lega dell’avvicendamento all’Agricoltura tra il Pdl Galan e il leghista Zaia (che si erano già avvicendati alla Regione Veneto). Vista l’aria che tirava tra Calderoli e il Pdl dopo la visita al Quirinale benedetta a metà dal Cavaliere, Bossi è sceso in campo di persona per fare "il garante" delle riforme leghiste, come aveva promesso dopo l’avanzata al nord, mentre annunciava un sindaco padano a Milano dando il preavviso di sfratto alla Moratti. E il pressing del Carroccio per far passare la sua "bozza" di riforme in casa Pdl si è concretizzato ieri in un incontro tra Calderoli, Verdini, Bondi e La Russa. Non perché siamo alla vigilia della federazione Pdl-Lega vagheggiata da qualche esponente azzurro per stuzzicare Fini. Il Carroccio "sta da solo", taglia corto Bossi. SILVIO PENSA AL PREMIERATO Il fatto è che indeciso per settimane tra elezione popolare del premier o del presidente della Repubblica, Berlusconi sembra propendere in queste ore - ma senza fretta - più per la prima che per la seconda. Per una sorta di "premierato forte" a legge elettorale invariata, cioè, che potrebbe riecheggiare alla lontana quella bozza Violante che piacerebbe al Pd e ad altre parti dell’opposizione. Bersani, però, ieri è tornato a definire "impotabile" la Calderoli, mettendo l’accento sulla distanza che divide i poli sulle riforme. Bossi, da parte sua - accompagnato ieri a Palazzo Grazioli dal figlio Renzo - cerca di superare le ritrosie del Cavaliere, propenso a dare la precedenza alla giustizia e al fisco per spostare più in là una riforma costituzionale che fa poca audience nell’opinione pubblica. Il Senatur, in realtà, si sta spendendo di persona per spingere "l’alleato" sul sentiero di modifiche istituzionali che ruoti attorno al federalismo. Ipotizza bandierine leghiste un po’ dappertutto - perfino a Palazzo Chigi - pronto, domani, a una trattativa "ragionevole" che - senza intralciare i disegni del Cavaliere alleato - possa avvantaggiare il Carroccio in un modo o nell’altro. RIMPASTO DI GOVERNO Ma a cena da Berlusconi, approfittando della presenza di Zaia e Galan, con Bossi si è discusso ieri sera anche di rimpasto di governo. Fabrizio Cicchitto al governo e Sandro Bondi coordinatore unico del Pdl? Le voci che si susseguono sul balletto ministeriale in calendario sono molte, anche quella - ormai consueta - di Letta vie premier. "Meglio si tocca e meglio si va", mette in guardia però il Cavaliere. 15 aprile 2010
"Finiani" verso nuovo gruppo: "Potremmo essere in 70" "Allora sei pronto?", "Per che cosa?", "Tu dimmi solo se sei pronto". Con questo scambio di battute, pronunciate col sorriso sulle labbra, il presidente della Camera, si è rivolto a uno dei parlamentari che hanno partecipato al vertice dei "finiani" che ha sancito l'ipotesi di dar vita ad un gruppo parlamentare autonomo rispetto al Pdl. Le cifre fornite dai partecipanti riguardo alle adesioni al nuovo gruppo sono le più diverse: di certo, assicurano, ci sono ampiamente i numeri per formare un gruppo sia alla Camera che al Senato, quindi 20 deputati e 10 senatori. Ma c'è chi si spinge ad assicurare che la truppa "finiana" sarà molto più nutrita, addirittura composta da una settantina di parlamentari, tra Camera e Senato, che saranno contattati direttamente in queste ore, prima dello scadere delle 48 ore di tempo che Fini e Berlusconi si sarebbero dati per risolvere le tensioni. Tensioni, ribadiscono parlamentari vicini all'inquilino di Montecitorio, che sarebbero in gestazione da tempo. E che riguardano principalmente due punti: la gestione del partito "che di fatto non esiste" e un governo sempre più a "trazione leghista". Punto, quest'ultimo, accentuato dalla netta affermazione del Carroccio alle ultime regionali. Nel partito non si discute - accusano i deputati - non esistono gli organi dirigenti, alcuni dei quali non sono mai stati neppure convocati. Durante l'incontro tra Fini e Berlusconi, secondo quanto riferito, il premier avrebbe rassicurato il presidente della Camera sulla sua capacità di mediazione e sul fatto che "non è vero che la Lega conta più del Pdl, perchè sono a io a guidare l'esecutivo". Ma la diffidenza dell'inquilino di Montecitorio sarebbe emersa tutta. Dunque l'esito dello scontro sembrerebbe inevitabile: scadute le 48 ore di "cessate il fuoco", un nuovo gruppo parlamentare di estrazione finiana vedrà la luce. Il nome che dovrebbe essere imposto al nuovo gruppo dovrebbe essere quello di "Pdl-Italia". Nessuna conseguenza sulla tenuta del governo, assicurano infine i deputati finiani, ma di certo sarà un duro colpo per la tenuta del partito. Anche, spiega a sera un parlamentare ex An, a costo di tornare a rifare Alleanza Nazionale. Operazione, assicura, che "susciterebbe un grande entusiasmo". 15 aprile 2010
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il SOLE 24 ORE per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.ilsole24ore.com2010-07-26 2010-07-25 Tronchetti Provera e Buora indagati a Milano. Il legale: "Estranei ai fatti" Cronologia articolo24 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2010 alle ore 11:01. Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora, rispettivamente ex presidente e vicepresidente di Telecom, sono indagati dalla procura di Milano nell'ambito dell'inchiesta sul dossier illegale praticato dalla security aziendale negli anni in cui a guidarla era Giuliano Tavaroli. L'indagine su Tronchetti e Buora, come ha scritto oggi il Corriere della Sera, è stata "blindata per alemeno sei mesi, a cavallo degli uffici giudiziari di Roma e Milano". I reati contestati sono associazione per delinquere finalizzata all'accesso abusivo a sistema informatico e alla corruzione di pubblico ufficiale. La vicenda riguarda un presunto "mercimonio di tabulati telefonici" che sarebbe stato commesso in Telecom grazie al cosiddetto sistema Radar, un software usato dalla Tim per proteggere dal rischio-frodi il traffico sulla telefonia mobile ma che per una sua 'fallà poteva anche essere utilizzato per estrapolare i dati senza lasciare traccia. Quattro anni fa il fascicolo venne aperto contro ignoti e venne chiesta anche l'archiviazione. Istanza che il gip romano respinse in quanto - anche alla luce dell'inchiesta milanese che già aveva portato a una serie di arresti - riteneva la possibilità di poter estrapolare i tabulati da sistema Radar senza lasciare traccia erano da addebitare a una responsabilità dei vertici dell'azienda. Questo filone di indagine non ha nulla a che vedere con quello già trattato dal gup Mariolina Panasiti. Il giudice lo scorso 28 maggio, trasmettendo gli atti al Procuratore della Repubblica, ha sollecitato un supplemento istruttorio.
La replica-L'avvocato di Pirelli Roberto Rampioni sostiene che "Tronchetti Provera e Buora sono estranei ai fatti". "È estremamente difficile - afferma Rampioni - commentare qualcosa di cui non si ha alcuna evidenza, al di là della sommaria ricostruzione riportata dal Corriere della Sera. Ricostruzioni, interpretazioni e sottolineature non possono tuttavia modificare i fatti, che sono molto lineari: la vicenda riguarda un sistema informatico (Radar) presente in Tim dal 1999 (ben prima dunque dell'arrivo di Tronchetti Provera e Buora: 2001). Tale sistema fu scoperto e segnalato nel giugno 2006 sia all'Autorità Giudiziaria di Milano sia al Garante della Privacy dalla Telecom di Tronchetti Provera: su espressa indicazione di Tronchetti Provera. Per questi fatti, che, si badi bene, nulla hanno a che vedere con la vicenda dei dossier, i Pubblici Ministeri di Milano non hanno mosso alcuna contestazione nè a Tronchetti Provera nè a Buora all'esito delle indagini nel luglio 2008 (e, per vero, a identiche conclusioni sembra esser giunto il pm di Roma, avendo anch'egli chiesto l'archiviazione)". "Anche per questo - aggiunge il legale -, seppur attualmente, stando alle notizie di stampa, fosse pendente presso la Procura di Milano un fascicolo in indagini preliminari derivante dalla trasmissione da parte del Gip di Roma, tale circostanza non preoccuperebbe perchè a tali fatti Tronchetti Provera e Buora sono estranei. Salvo pensare che, ma è oltre il paradosso, denunciando loro Radar, volessero autodenunciarsi".
2010-07-22 La Gdf smantella il braccio imprenditoriale dei Casalesi Cronologia articolo22 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 13:18. La Guardia di finanza ha smantellato il braccio imprenditoriale dei Casalesi. Dalle prime ore di questa mattina, circa 500 militari delle Fiamme gialle sono in azione per dare esecuzione a una imponente operazione di polizia, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Arrestate 6 persone con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso e sequestrate 21 società, tra le quali una aquilana operante nella risoctruzione post-sisma, e altri ingenti patrimoni connessi, per un ammontare complessivo di 100 milioni di euro. nel lungo elenco ci sono anche due lussuose ville a Casal di Principe e 33 auto, fra cui Ferrari e Chrysler. Gli arrestati, spiega la Gdf, sono titolari delle attività imprenditoriali, ritenuti "espressioni economiche" del clan dei casalesi, operanti nel casertano, ma con propaggini anche in altre regioni d'Italia e in particolare nel Lazio, in Abruzzo e in Toscana, ove avevano esteso, nel tempo, la propria sfera d'influenza e di controllo, divenendo, in assoluto, una delle organizzazioni delinquenziali di maggiore potenza economica ed imprenditoriale. L'operazione, denominata "Untouchable", trae origine da dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, circa l'esistenza di una lista di imprenditori, stilata dai vertici dell'organizzazione camorristica campana e di diretta promanazione del clan, i quali dovevano essere considerati, per l'appunto, "intoccabili", poiché asserviti completamente agli scopi dell'organizzazione criminale.
2010-07-19 Napolitano scrive a Mancino: competenza su P3 spetterà al nuovo Csm di Celestina DominelliCronologia articolo19 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2010 alle ore 15:23. Sarà il nuovo Csm a occuparsi dei presunti condizionamenti esercitati su alcuni consiglieri per favorire la nomina del presidente della Corte d'appello di Milano, Alfonso Marra, come emerge dall'inchiesta sulla nuova P3. Il monito arriva dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che risponde così, in una lettera inviata oggi al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, alla richiesta avanzata la scorsa settimana da alcuni componenti dell'organo di autogoverno della magistratura. Mercoledì scorso, in occasione dell'assemblea plenaria del Csm, alcuni consiglieri togati avevano infatti chiesto l'apertura di un dibattito sulla questione morale. Ma il vicepresidente aveva negato l'autorizzazione e inoltrato la richiesta al capo dello Stato che presiede di diritto il Csm e ne fissa l'odg."A parte la seria preoccupazione, che é lecito mantenere, di non interferire in tali indagini - scrive Napolitano -ritengo da un lato che il tema non possa essere affrontato in termini "generali e propositivi" con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa consiliatura - mentre é corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito". Il presidente della Repubblica ha poi sottolineato che "si deve essere bene attenti a non gettare in alcun modo ombre sui comportamenti di quei consiglieri che ebbero a pronunciarsi liberamente, al di fuori di ogni condizionamento, su quella proposta di nomina concorrendo alla sua approvazione". Napolitano è poi tornato sul nodo caldo del rinnovo del Csm e sull'impasse che sta caratterizzando la designazione dei membri laici. "Nell'imminenza di una nuova seduta del parlamento a Camere riunite per l'elezione dei membri laici del Csm, rinnovo un vivo appello a tutti i gruppi parlamentari a definire senza ulteriore indugio le intese necessarie perchè le prossime votazioni vadano a buon fine". La situazione è in stallo e la scorsa settimana il Parlamento in seduta comune non ha raggiunto il numero legale richiesto per eleggere i componenti non togati del Consiglio, che scadrà alla fine di luglio. Decorsa la scadenza, sarà necessaria una prorogatio del Csm e ciò malgrado i magistrati abbiano già eletto i loro 16 rappresentanti. E nonostante un primo appello, consegnato con una lettera ai presidenti delle Camere, del capo dello Stato. Alla vigilia della terza fumata nera, la scorsa settimana, Giorgio Napolitano aveva infatti ritenuto "indispensabile investire i gruppi parlamentari della responsabilità di una rapida ricerca di soluzioni concordate che rendano concreta la prospettiva di un risultato utile" per l'elezione. Per i primi due scrutini la Costituzione richiede infatti la maggioranza dei 3/5 del collegio, quorum che si abbassa ai 3/5 dei votanti dal terzo scrutinio in poi. Un'asticella alta, rispetto alla quale non si registra ancora un accordo. È dunque prevedibile che anche la votazione, la quarta, prevista per giovedì prossimo (la convocazione è per le 12:30), non vada a buon fine.
2010-07-18 Ghedini: Berlusconi non è "Cesare". Cosentino: penso di aver chiarito. La versione dell'ex giudice Lombardi Cronologia articolo17 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2010 alle ore 14:08. "Penso di avere chiarito tutto quello che c'era da chiarire. I magistrati sono stati gentili e disponibili". Lo ha detto l'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino al termine dell'interrogatorio al quale e stato sottoposto per circa quattro ore alla Procura di Roma nel'ambito delle indagini sulla cosiddetta P3. Cosentino è sotto inchiesta per associazione per delinquere finalizzata alla violazione della legge Anselmi sulla costituzione di società segrete. Gli episodi nei quali è coinvolto - ha sottolineato lo stesso Cosentino - "sono l'accelerazione dell'iter del ricorso in Cassazione presentato contro la richiesta di arresto fatta dai pm di Napoli e il tentativo di discredito dell'attuale governatore della Campania Stefano Caldoro". "Penso - ha concluso - di aver dato risposte a tutte le domande". Il parlamentare, interrogato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli, non è voluto entrare nel merito degli aspetti toccati durante l'interrogatorio. Capaldo ha solo chiarito che nel corso dell'atto istruttorio a Cosentino non sono state fatte ascoltare intercettazioni perché "queste non sono utilizzabili quando coinvolgono parlamentari". Intanto in giornata gli esponenti del Pdl hanno spiegato la loro versione del caso Cesare. "Come era facile intuire il nome Cesare non si riferisce affatto al presidente Berlusconi. Dall'esame degli atti - così come riportato anche da alcuni quotidiani - in una intercettazione fra Carboni e Martino del 16 settembre 2009 (è un mercoledì) si legge testualmente che Cesare è a Catania e rientra sabato". Lo sottolinea in una nota Niccolò Ghedini, parlamentare del Pdl e avvocato del premier. "Si indica poi - fa osservare ancora Ghedini - che Cesare possa rientrare venerdì sera e che non sarebbe andato al congresso. Il Martino ipotizzava altresì di fare andare da lui il Cesare. Da tali indicazioni del tutto sconnesse dagli impegni del presidente Berlusconi, e da un controllo degli impegni dei suoi spostamenti tutti documentati, si è potuto acclarare che pacificamente mai Berlusconi si è recato in Catania in quella settimana. È quindi del tutto evidente - conclude - che Cesare è da individuarsi in altro soggetto e ciò fa irrimediabilmente venir meno tutte le illazioni prospettate in questi giorni" "Con riferimento alla vicenda del giudizio di costituzionalità relativo al cosiddetto Lodo Alfano ho tentato di interessarmi per acquisire meriti con il capo del mio partito, onorevole Silvio Berlusconi, affinché potesse ritenersi che ero in grado di arrivare anche ai giudici della Corte Costituzionale". È uno dei passi dell'interrogatorio di garanzia al quale, il 10 luglio scorso, è stato sottoposto Pasquale Lombardi, uno dei principali indagati nell'inchiesta sulla cosiddetta P3. Ammetto - si legge nel verbale redatto davanti al gip - di aver contattato "il presidente emerito Cesare Mirabelli, ma lui oramai non conta più nulla. Il giudice donna al quale si fa riferimento nella conversazione del 30 settembre 2009 è stata segnalata dal partito Pdl, ma non ne ricordo il nome". "Confermo - dichiarava l'ex giudice tributario - gli incontri svoltisi in casa dell'onorevole Verdini ai quali hanno partecipato anche l'onorevole Dell'Utri, l'onorevole Caliendo ed il giudice Miller. Non ricordo della presenza di Martone (ex avvocato generale della Cassazione ndr). In quelle occasioni non abbiamo parlato dell' imminente giudizio di costituzionalità del cosiddetto Lodo Alfano, ma soltanto della candidatura per la presidenza della Regione Campania". "Nego - precisava Lombardi - che l'interessamento al giudizio di costituzionalità del Lodo Alfano sia stato posto in corrispettivo con i vertici del partito della candidatura dell'onorevole Cosentino".
"Dopo l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare (da parte dei pm di Napoli ndr) Cosentino mi ha chiesto se conoscessi qualcuno in Cassazione perché, per il 28 gennaio 2010, data fissata per la discussione del ricorso era previsto uno sciopero degli avvocati; io ho chiamato il presidente Carbone per sapere se il ricorso sarebbe stato comunque trattato". È un altro passo dell'interrogatorio di garanzia di Pasquale Lombardi del 10 luglio scorso. Rispondendo alle domane del gip, l'ex giudice tributario precisa, inoltre di non essere in grado di dire a "chi facessi riferimento quando dicevo 'lui è rimasto contento per quello che stiamo facendo per il 6. Nego tuttavia che si tratti dell'onorevole Verdini".
Alcuni magistrati chiesero a Pasquale Lombardi di interessarsi "ottenere o agevolare le rispettive nomine o incarichi direttivi". A parlarne al gip, in sede di interrogatorio di garanzia, è stato lo stesso ex giudice tributario, nella ricostruzione dell'Ansa. "Sono persone - aggiunge - con le quali ho rapporti di amicizia ultraventennale" e che "lo hanno chiesto proprio a lui perchè ho molte conoscenze e amicizie nell'ambiente politico e giudiziario. Si sa come queste nomine siano influenzate in maniera determinante dalle quattro correnti in seno all'Anm ed alla politica, che può fare tutto". "Preciso - dichiara Lombardi - che i contatti che ho avuto per sollecitare le nomine agli incarichi di cui si parla nell'ordinanza di custodia cautelare li ho intrattenuti con due consiglieri togati del Csm e con due componenti laici". Nel corso dello stesso interrogatorio l'indagato nega di essere a conoscenza dell'attività di "dossieraggio relativa alle presunte inclinazioni sessuali dell'onorevole Caldoro"; ammette che il "Giacomino" citato in una conversazione con Alfonso Marra è Caliendo e nega di aver avuto contatti con il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino. "Ancora oggi ci sono poteri più o meno occulti che occupano posti molto in alto nelle istituzioni e nella politica. Anche nella magistratura non sono assenti certi meccanismi. Si parla di logge massoniche, di P3, a dimostrazione che il nostro Paese non si è ancora vaccinato dalla presenza di poteri occulti". Ha detto invece il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, oggi pomeriggio a Palermo, nell'ambito di una iniziativa per ricordare Paolo Borsellino, dopo avere parlato del ruolo avuto da certi apparati nella strage di via d'Amelio.
2010-07-17 Cosentino interrogato dai magistrati: "Penso di avere risposto a tutte le domande" Cronologia articolo17 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2010 alle ore 14:08. "Penso di avere chiarito tutto quello che c'era da chiarire. I magistrati sono stati gentili e disponibili". Lo ha detto l'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino al termine dell'interrogatorio al quale e stato sottoposto per circa quattro ore alla Procura di Roma nel'ambito delle indagini sulla cosiddetta P3. Cosentino è sotto inchiesta per associazione per delinquere finalizzata alla violazione della legge Anselmi sulla costituzione di società segrete. Gli episodi nei quali è coinvolto - ha sottolineato lo stesso Cosentino - "sono l'accelerazione dell'iter del ricorso in Cassazione presentato contro la richiesta di arresto fatta dai pm di Napoli e il tentativo di discredito dell'attuale governatore della Campania Stefano Caldoro". "Penso - ha concluso - di aver dato risposte a tutte le domande". Il parlamentare, interrogato dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli, non è voluto entrare nel merito degli aspetti toccati durante l'interrogatorio. Capaldo ha solo chiarito che nel corso dell'atto istruttorio a Cosentino non sono state fatte ascoltare intercettazioni perché "queste non sono utilizzabili quando coinvolgono parlamentari"
2010-07-15 Un Pdl formato polveriera. P3, Marra verso il trasferimento di Celestina Dominelli Cronologia articolo15 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 18:54. È ancora troppo presto per conoscere il menù del summit agostano voluto dal Cavaliere. Il suo alleato più fedele, Umberto Bossi, si dice però certo di una cosa. "Berlusconi se la caverà. Una mattina si alzerà e scoprirà di avere la spada ancora affilata e la utilizzerà". Di teste da tagliare il premier ne avrebbe tante. A cominciare da quella del presidente della Camera, Gianfranco Fini, verso cui Berlusconi è sempre più adirato. Ma quella del co-fondatore del Pdl non è l'unica casella che Berlusconi vorrebbe liberare.Le inchieste giudiziarie sulla nuova P3 e il tam tam mediatico hanno fatto emergere d'un colpo le lacerazioni profonde rimaste finora sotto il tappeto. E che vedono contrapposte vere e proprie fazioni alla ricerca di potere e poltrone. Da un lato, c'è la vecchia guardia forzista, quella, per intenderci, che fa capo ai fedelissimi della prima ora: dal ministro-poeta Sandro Bondi, al capogruppo della Camera Fabrizio Cicchitto, a Maurizio Lupi, a Gaetano Quagliariello. Fino a Denis Verdini, di nuovo nell'occhio del ciclone. Poi ci sono i vecchi colonnelli di Alleanza nazionale che hanno scelto di stare con Berlusconi sconfessando pubblicamente il loro vecchio leader: da Ignazio La Russa, a Maurizio Gasparri, ad Altero Matteoli. Quindi, più defilati, ma decisi a farsi spazio nel partito e nei posti che contano, la nuova ala di giovani ex forzisti riuniti sotto le insegne di Liberamente: Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Stefania Prestigiacomo, Franco Frattini. E ancora Mario Valducci e il sottosegretario Gianfranco Miccichè. Un gruppo che maldigerisce l'attuale assetto del triumvirato e che vorrebbe un colpo di spugna netto con un unico coordinatore. L'idea, in verità, era stata partorita inizialmente proprio da Silvio Berlusconi. Che, dopo i primi assalti giudiziari ai vertici del Pdl, aveva cominciato ad accarezzare il progetto di azzerare tutto e assegnare il partito al fido Sandro Bondi. Ora quell'ipotesi è rispuntata e sulla genesi circolano più versioni. C'è chi dice che sia stato lo stesso Cavaliere a ritirarlo fuori per superare l'empasse del momento. Chi, al contrario, sostiene che l'idea sia stata recuperata dai "berluscones" più giovani per provare ad affondare la vecchia guardia approfittando delle debolezze giudiziarie. Sia come sia, Berlusconi ad agosto dovrà trovare una soluzione. Con il rischio, assai concreto, di scontentare i suoi pretoriani che premono per mantenere lo status quo. Il Cavaliere, però, vuole imprimere una svolta e sembra intenzionato ad azzerare sia vertici nazionali che quelli regionali. Perché il Pdl non si sta logorando solo all'ombra dei palazzi romani, ma anche nelle periferie. La Campania è il caso più eclatante. Per ora l'ex sottosegretario Nicola Cosentino è stato confermato alla guida del partito dopo il ciclone sul presunto complotto ai danni di Stefano Caldoro. Ma i suoi nemici lo attendono al varco e il rischio è che il partito esploda a causa delle profonde lacerazioni che dividono l'ala di Cosentino e Mario Landolfi da quella di Mara Carfagna e di Italo Bocchino. Il Cavaliere sa bene che il Pdl campano è una polveriera e non può permettersi di tirarla per le lunghe anche perché in ballo c'è la poltrona di sindaco di Napoli nelle amministrative 2011. Tra i casi cui il Cavaliere vorrebbe mettere mano c'è poi quello del Lazio dove il partito ha vissuto lo psicodramma dell'esclusione della lista del Pdl nelle ultime elezioni. Lì, dopo la vittoria della Polverini, si era fatta strada l'ipotesi di un commissariamento del partito con Maurizio Gasparri chiamato alla difficile missione. L'annuncio, però, provocò la sollevazione dei coordinatori regionali e provinciali e non se ne fece nulla. Le divisioni tra ex forzisti ed ex aennini sono però rimaste e urge trovare una soluzione. Anche nella sua Lombardia, poi, i problemi non mancano. La Lega sta erodendo sempre più spazi e il rischio è che il Carroccio arrivi a rivendicare per sé la poltrona di sindaco di Milano. La Moratti si è detta certa della ricandidatura, ma il Pdl si sta sfilacciando a causa delle lotte intestine tra i vari potentati. Insomma, il partito è ovunque logorato da personalismi e correnti, malgrado i richiami di Berlusconi. Che, per spazzarli via, dovrà usare ad agosto una spada davvero ben affilata. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Cosa c'è nel macintosh di falciani Cronologia articolo15 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 17:26. Dai trust ai depositi fiduciari tutti i dati nella memoria Sistemi di gestione dei clienti. Contengono le informazioni sulla struttura delle società che fanno capo all'intestatario del conto Sistemi di gestione degli estratti conto. Contengono le informazioni sui depositi e i prelievi effettuati e le operazioni quotidiane Sistemi di gestioni degli ordini. Registrano gli ordini impartiti dal cliente o dalla banca Sistemi di gestione dei fondi. Contengono le informazioni sulla gestione dei fondi del cliente Sistemi di gestione delle operazioni forex. Registrano gli scambi in valute straniere.
Depositi fiduciari. Racchiudono le informazioni su questi particolari tipi di conti. Il cliente stipula un contratto con la banca che amministra i suoi soldi e così non risulta proprietario dei fondi Llc (Limited liability company). Nominativi delle Llc controllate dai correntisti. Le Llc sono società i cui soci rispondono soltanto dei capitali che hanno versato per la sua costituzione Ibc (International business company). Nomi di società offshore domiciliate nei paradisi fiscali e dotate di flessibilità Prodotti strutturati. Sono registrate le operazioni su prodotti come i credit default swaps (Cds), strumenti per coprirsi dai rischi di fallimento di un creditore Intermediary banking. Sono presenti le operazioni che vedono la banca come intermediario. Il cliente, ad esempio, deposita 10 milioni di euro in Italia e altri 10 in un conto della banca in un altro paese. Da nessuna parte in Italia risulterà il possesso degli ulteriori 10 milioni Crediti back to back. Consentono di accedere al credito in Italia a fronte di un deposito in Svizzera. Il cliente non risulta titolare di un conto in Italia Trust. La proprietà dei beni viene trasferita dal proprietario (il grantor) a un fiduciario (il trustee) che li gestisce. I proventi andranno ai beneficiari stabiliti dal grantor. I patrimoni non sono più del grantor, che non risulta possessore dei beni. Il trustee non deve giustificare l'origine dei fondi Fondazioni e fondazioni familiari. Ci sono i nominativi delle fondazioni collegate ai clienti. Poiché non hanno scopo di lucro, le fondazioni non sono obbligate a redigere un bilancio né a rendere noti i nomi dei soci e degli amministratori
Inchiesta sui conti all'estero, i file di Falciani moltiplicano le liste degli evasori di Angelo MincuzziCronologia articolo15 luglio 2010 Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 17:25. L'uomo senza nome sorseggia una birra ghiacciata. È quasi mezzanotte, l'aria è afosa e il bar è affollato come mai. L'uomo sorride enigmatico e mormora soltanto, con un filo di voce: "Sono due, gli elenchi. Ci sono due liste Falciani, in Italia. E non sono uguali". Una pausa. L'ennesimo sorriso. La sfinge ora parla e rivela ciò che a pensarci bene ha in sé una logica disarmante. Gli elenchi sono quelli dei presunti evasori fiscali finiti nel computer di Hervé Falciani, ex dipendente della banca Hsbc di Ginevra, sequestrato dalle autorità francesi: il primo è nelle mani degli uomini del Comando generale della Guardia di Finanza di Roma, l'altro è in possesso dei magistrati della Procura di Torino che indagano per riciclaggio. Fin qui nulla di nuovo. Che la lista sia a Roma e a Torino è cosa nota. Ma che gli elenchi siano differenti tra loro, e che non contengano gli stessi nomi, questo è un enigma. L'uomo senza nome parla sapendo che la sua identità non verrà mai rivelata. Conosce bene il caso Falciani e conosce il contenuto di quel computer. Appoggia il bicchiere sul tavolino: "Bisogna chiedersi chi ha estratto quei dati, cioé chi ha deciso quali nomi dovessero finire in quelle liste", aggiunge adesso. Già, è proprio questo il punto. E la domanda è: chi ha stabilito quali identità consegnare alla Guardia di Finanza e poi ai magistrati di Torino? Due mani diverse. Alle Fiamme gialle l'elenco è arrivato attraverso il governo di Parigi. Ai pm piemontesi tramite una rogatoria internazionale inviata al Tribunale di Nizza, dove il procuratore capo Eric de Montgolfier indaga per riciclaggio. Origini diverse potrebbero aver prodotto elenchi che non coincidono tra loro. Ciò che si conosce finora di quelle liste sono 25 nomi pubblicati dal Corriere della Sera e dal Messaggero, nomi provenienti dall'elenco della Guardia di Finanza di Roma. E nient'altro. Venticinque sconosciuti che hanno depositato sui conti della Hsbc di Ginevra cifre variabili tra i 22mila e un milione di euro. Noccioline. Perché questi sono i pesci piccoli, come li aveva definiti anche Hervé Falciani. Solo 132 depositi della "lista romana" superano i dieci milioni di euro. Ma allora perché nella rete degli investigatori italiani sono finiti solo i conti di minore entità? Perché chi ha nascosto al fisco cifre ben più alte è riuscito probabilmente a farla franca? Per comprenderlo occorre parlare con chi ha sbirciato nei programmi sequestrati dal pc di Falciani. Chi ha avuto modo di studiarli parla di una grande quantità di informazioni imprigionate in quella memoria, l'archivio di un banalissimo Macintosh. Sembra impossibile che in un comune Mac possa essere immagazzinata una tale mole di dati, eppure è così. Il 60% dei codici utilizzati dalle banche internazionali gira ancora su sistemi informatici vecchi più di trent'anni. Sui loro terminali compaiono graziose schermate colorate impreziosite da una grafica moderna, ma se potessimo eliminare quella facciata vedremmo schermi dell'era pre-internet: video neri con scritte verdi. E allora è sufficiente una memoria di 20 mega per archiviare un intero anno di movimentazioni di conti bancari. Comprimendo i file, poi, in un Macintosh può starci una quantità inimmaginabile di dati. Per usare una metafora, è come se l'ex dipendente della Hsbc avesse copiato nel suo computer decine di barattoli di marmellata. Ogni barattolo è un software diverso, attraverso il quale vengono realizzate singole tipologie di operazioni bancarie e finanziarie. Replicando il contenitore, nel computer di Falciani è stata trascinata anche la marmellata, cioé il contenuto di quei barattoli. In pratica, dati e informazioni sui clienti della Hsbc di Ginevra che dovevano rimanere rigorosamente segreti. I dati di uno stesso cliente, così, sono spezzettati a seconda dell'operazione realizzata: se ne trova un pezzo qui e un altro pezzo là. Soltanto mettendo insieme i barattoli e analizzandone in serie il contenuto è possibile ricostruire l'identikit di tutte le operazioni. Un lavoro che ha richiesto mesi di attività, perché i sistemi informatici copiati da Falciani sono enormi e gestiscono le più importanti operazioni della banca. La Hsbc (Hong Kong & Shanghai Banking Corporation) è un colosso del credito mondiale che in borsa vale 178 miliardi di dollari, possiede asset per oltre 2.300 miliardi di dollari e impiega più di 300mila dipendenti. La rivista americana Forbes la colloca all'ottavo posto tra le più grandi società del globo. Falciani lavorava alla Hsbc Private Bank in Svizzera, il ramo dell'istituto che si occupa della gestione dei patrimoni privati e che ha ammesso la gravità del trafugamento dei dati. Nel Macintosh di Falciani sono stati risucchiati i sistemi di gestione dei titolari di conti correnti, con le informazioni sulle strutture societarie nei paradisi fiscali utilizzati per far perdere le tracce del denaro o semplicemente per pagare meno tasse. Ma ci sono anche i sistemi di gestione degli estratti conto, quelli delle operazioni quotidiane, degli ordini, della gestione dei fondi. E ancora, i depositi fiduciari, le operazioni di intermediary banking e di back to back, quelle sui prodotti strutturati. E poi i nomi delle società più varie, dalle Llc (le Limited liability company) alle Ibc (le International business company), usate sempre nei soliti paradisi esotici. Ci sono i nominativi dei trust creati per gestire patrimoni milionari, e quelli delle fondazioni e delle fondazioni familiari. Le tracce di queste società portano in più di 40 paradisi fiscali in tutto il mondo, compreso uno in territorio italiano: Campione d'Italia. Nella lista della Guardia di Finanza di Roma sono elencate quasi settemila posizioni, per un valore di oltre otto miliardi di euro: nominativi di persone e società italiane. Ma i pezzi grossi si nascondono dietro società scudo, oppure dietro i trust, tutti domiciliati all'estero. Usano prestanome per evitare qualsiasi collegamento con l'Italia. Sistemi che impediscono la tracciabilità del denaro. Ed è questo il vero punto: la tracciabilità, cioé la possibilità di seguire i soldi nel loro tragitto tortuoso verso le mete esotiche di mezzo mondo. I flussi che conducono ai nomi dei reali proprietari delle ricchezza sottratte al fisco sono come un fiume carsico. Scompaiono nel sottosuolo, riappaiono sotto altri nomi e sotto altre forme a migliaia di chilometri di distanza. Poi si nascondono ancora, mutano di nuovo aspetto, si spostano rapidi, in un gioco continuo, su e giù, come montagne russe cariche di soldi. E poi, magari, tornano al punto di partenza, nelle stesse tasche di chi li ha lasciati fuggire. Intonsi, come lavati in candeggina. Ecco perché i pesci grossi nelle liste Falciani non ci sono. I sistemi per evitare la tracciabilità del denaro sono tanti e sofisticati. E soprattutto sono leciti. Una cassetta degli attrezzi dalla quale si estrae di volta in volta lo strumento più adatto alle esigenze del cliente. Tutto legale, il più delle volte. Eppure anche i pesci piccoli possono essere preziosi. L'uomo senza nome si appoggia allo schienale: "Questo è un gioco di segni, di piste. E i pesci piccoli possono essere la traccia che conduce ai big". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Cosentino, e tre… le dimissioni a Roma si moltiplicano (Les Echos) di Elysa FazzinoCronologia articolo15 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 14:55. "E tre!", esordisce Les Echos sotto il titolo "Le dimissioni si moltiplicano a Roma". Nicola Cosentino è "l'ultima vittima del fuoco incrociato di veleni e accuse" nel centro-destra, scrive El Pais. "Ha preferito dimettersi invece di affrontare un voto di sfiducia in Parlamento", chiesto dall'opposizione e dai dissidenti della coalizione di Berlusconi, nota il Financial Times. L'intricata situazione politica italiana torna a fare notizia sui media esteri. E' il terzo esponente del governo che lascia, dopo le dimissioni di Claudio Scajola e Aldo Brancher. I l quotidiano francese Les Echos, nella corrispondenza di Guillaume Delacroix, parla di "affaire imbarazzante" per Silvio Berlusconi, tanto più che nella vicenda sono sospettate altre due persone vicine al premier, Denis Verdini e Marcello Dell'Utri. La situazione – spiega - diventava "insostenibile" per il Cavaliere, all'indomani della retata della polizia italiana contro la ‘Ndrangheta. Una cosa è certa, per Les Echos: Gianfranco Fini "approfitta della situazione" per porsi come ultima risorsa. Le tensioni tra i due uomini sono "estreme" e Berlusconi evoca elezioni anticipate. La sua azione – secondo L'Ispo - è ormai giudicata negativa dal 57% della popolazione. Le dimissioni di Cosentino arrivano con un lancio Reuters sui siti di Le Figaro e Le Nouvel Observateur. L'agenzia riassume in poche righe: è' sospettato di avere cercato di fare pressione sulla giustizia e di avere danneggiato la reputazione di avversari politici. Lui nega e si dice vittima di "persecuzioni" orchestrate dall'opposizione e dai seguaci di Fini. El Pais mette in risalto, ricordandolo nel titolo, che il sottosegretario è accusato di avere legami con la Camorra. E nel sommario attira l'attenzione sulla lotta tra leader: Cosentino afferma che Fini "vuole prendere il potere". "Con l'opposizione scomparsa, il centrodestra prosegue con l'aggiustamento di conti, la successione di scandali giudiziari e l'immersione in territori pericolosi", scrive Miguel Mora, definendo Cosentino come "ultima vittima" delle lotte intestine nel Pdl. "Censurato dal suo proprio partito", sottolinea il sito di El Mundo nel pubblicare un'Afp. Il quotidiano spagnolo ricorda nel titolo l'accusa rivolta a Cosentino di avere tentato di influenzare la magistratura. Una notizia dell'Ap informa i lettori del sito del Chicago Tribune e di altri giornali Usa. La Bloomberg (ripresa tra gli altri dal Washington Post) sottolinea che Berlusconi affronta crescente opposizione pubblica da parte di Fini e che ha perso tre membri del governo in due mesi di scandali per corruzione. Alcuni di questi scandali – osserva l'agenzia - forse non sarebbero mai venuti alla luce con la nuova legge sulle intercettazioni. Il servizio parla del dissenso in aumento e dello scontento per la leadership di Berlusconi, arrivato nelle strade con la protesta dei terremotati dell'Abruzzo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il gruppo della P3 si riferiva a Berlusconi usando lo pseudonimo "Cesare". Ghedini: "Ridicolo" Cronologia articolo14 luglio 2010Commenti (2) Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2010 alle ore 22:03. "Cesare è lo pseudonimo utilizzato dai soggetti per riferirsi al presidente del Consiglio". È quanto scrivono i carabinieri in una nota dell'informativa del 18 giugno scorso, stilata nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3. I militari dell'Arma si riferiscono in particolare ad un'intercettazione telefonica del 2 ottobre del 2009 tra l'ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino e il giudice tributario Pasquale Lombardi a proposito del Lodo Alfano. Nell'intercettazione Cosentino dice a Lombardi che ""Cesare" è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6", ovvero il giorno dell'udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano. Il contenuto della telefonata intercettata dagli uomini dell'Arma, nella quale è Lombardi a riferire a Cosentino della soddisfazione di "Cesare" (e non viceversa), fa riferimento all'attività esercitata dal gruppo del quale fa parte, secondo l'accusa, l'uomo d'affari Flavio Carboni, per condizionare i giudici della Consulta sul provvedimento del Guardasigilli, poi bocciato dalla stessa Corte Costituzionale nell'ottobre scorso. Nel corso della telefonata Lombardi dice a Cosentino: "Lui è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6, allora giustamente che diceva Arcangelo lui ci deve dare qualche cosa e ci deve dare te e non adda scassà o cazz". Nell'informativa i carabinieri scrivono che "appare evidente che con queste parole il Lombardi vorrebbe far intendere al Cosentino che la sua candidatura a presidente della Regione Campania è stata da loro richiesta nel corso della riunione quale contropartita per l'operazione Lodo Alfano". "L'interpretazione data negli atti di indagine (che "Cesare" sarebbe riferibile alla persona del presidente Berlusconi, ndr) oltre che inveritiera è ridicola". Lo afferma l'avvocato del premier Niccolò Ghedini. Che aggiunge: "Come risulta proprio dagli stessi atti, mai per queste vicende nessun contatto, diretto o indiretto, vi è stato fra il presidente Berlusconi e i soggetti indicati".
Inchiesta su eolico e P3 , Nicola Cosentino si dimette da sottosegretario all'Economia Cronologia articolo14 luglio 2010Commenti (10) Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2010 alle ore 13:15. Il sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino ha rassegnato le sue dimissioni. L'esponente del Pdl è stato ricevuto nel pomeriggio dal premier Silvio Berlusconi. Cosentino manterrà l'incarico di coordinatore campano del Pdl. "Ho condiviso la decisione di Nicola Cosentino di dimettersi da sottosegretario", ha affermato, in una nota, il presidente del Consiglio e del Pdl. Cosentino è indagato con il senatore Dell'Utri nell'inchiesta sull'eolico in Sardegna e sulla cosidetta P3. "Ho altresì avuto modo di approfondire personalmente e tramite i miei collaboratori la sua totale estraneità alle vicende che gli sono contestate. Sono quindi certo - ha aggiunto Berlusconi - che la sua condotta durante la campagna elettorale per la Regione Campania è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro". Dal canto suo Cosentino ha fatto sapere di avere deciso "di concerto con il presidente Berlusconidi rassegnare le mie dimissioni da sottosegretario - ha scritto l'esponente del Pdl in una nota - per potermi completamente dedicare alla vita del partito, particolarmente in Campania, anche al fine di contrastare tutte quelle manovre interne ed esterne poste in essere per fermare il cambiamento". Il 18 febbraio Berlusconi aveva invece respinto le dimissioni di Cosentino da coordinatore regionale del Pdl e da sottosegretario all'Economia, mentre era coinvolto in un'inchiesta che lo vedeva accusato di concorso esterno in associazione camorristica. L'ormai ex sottosegretario all'Economia ha poi mandato un messaggio all'indirizzo di Gianfranco Fini. "Il presidente della Camera con solerzia degna di miglior causa, dopo che già per due volte proprio alla Camera dei Deputati analoghe mozioni erano state votate e respinte con larga maggioranza, così come anche una al Senato, ha ritenuto di volerle calendarizzare in tempi brevissimi (per mercoledì 21 luglio, ndr) basandosi soltanto su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa". Secondo Cosentino "è risibile che Fini voglia far passare le sue decisioni" sulla calendarizzazione del voto sulle mozioni di sfiducia "come se derivassero da una sorta di tensione morale verso la legalità quando si tratta soltanto di un tentativo, anche assai scoperto, di ottenere il potere nel partito tramite Bocchino". Ma proprio il finiano Italo Bocchino, che da tempo chiedeva le dimissioni del sottosegretario all'Economia indagato nell'inchiesta P3, ha ringraziato "Berlusconi per aver ascoltato il nostro grido d'allarme rispetto al danno elettorale che la permanenza al governo di Nicola Cosentino stava provocando al Pdl". Con il passo indietro del sottosegretario, viene così disinnescata la mina della mozione di sfiducia su cui oggi si erano registrate nuove frizioni nella maggioranza dopo la decisione di Fini di calendarizzare per mercoledì prossimo il voto sul provvedimento contro Cosentino, insieme al coordinatore del Pdl, Denis Verdini, era stato convocato nel pomeriggio a palazzo Grazioli dal premier Silvio Berlusconi. Nella residenza romana del Cavaliere erano poi arrivati anche il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, e il suo vice Gaetano Quagliariello. Intanto, dall'Algeria, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha spiegato che Berlusconi convocherà alcuni esponenti del Pdl ad agosto per riflettere sul riassetto del partito, colpito da una raffica di dimissioni (il ministro per lo Sviluppo economico, Scajola, dicastero tuttore affidato ad interim al premier; il ministro Aldo Brancher, Cosentino) in seno al governo nel breve volgere di due mesi e mezzo. "Il presidente Berlusconi - ha affermato Frattini- ha detto ad alcuni di noi di tenersi liberi ad agosto per fare una riflessione sull'organizzazione del partito". Il titolare della Farnesina, che ieri era intervenuto nel dibattito sostenendo la necessità di un cambio di passo nella gestione del Pdl, si è detto disponibile a prendere parte "a questi tavoli di riflessione". La giornata del Pdl si era aperta però con la bagarre scoppiata dopo la decisione presa da Gianfranco Fini. ll primo a contestarla è il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, che ha espresso "netto dissenso". E anche il Carroccio, per bocca del presidente dei deputati leghisti, Marco Reguzzoni, parla di "decisione contraria alla maggioranza". Intanto, però, dal leader della Lega arriva una chiara indicazione sul sottosegretario. "Cosentino dovrebbe dimettersi? Può essere...chiedetelo a lui", taglia corto Umberto Bossi interpellato a Montecitorio. Che, però, poco dopo ha corretto il tiro smentendo di aver ipotizzato il passo indietro del sottosegretario. "Su Cosentino non ho mai rilasciato dichiarazioni. Quanto riportato è farina del sacco di chi lo ha riportato". Nel Pdl, dunque, la tensione va crescendo di ora in ora e la decisione di Fini ha riscaldato ancor di più il clima. Dal canto suo, però, il presidente della Camera respinge però ogni addebito e affida al suo portavoce una replica immediata."Fino a quando le regole attribuiranno al presidente della Camera la facoltà di decidere la calendarizzazione di un provvedimento - spiega il portavoce Fabrizio Alfano - quando non c'è l'accordo tra i capigruppo, Fini continuerà ad assumersi la responsabilità di calendarizzare i provvedimenti in assoluta libertà di coscienza". La richiesta di calendarizzare al più presto la mozione di sfiducia su Cosentino era stata avanzata dall'opposizione. Ma Pdl e Lega erano contrarie all'esame della mozione nel mese di luglio. In mancanza di un accordo la decisione finale è toccata, come prevede in questi casi sulla fissazione del calendario il regolamento di Montecitorio, al presidente della Camera, Gianfranco Fini. Sulla decisione, però, Pdl e Lega sono andate all'attacco. "Contestiamo questo metodo di lotta politica che sta usando l'opposizione - spiega Cicchitto - per cui ogni giorno, magari chiedendo la diretta televisiva in pieno stile Samarcanda o Annozero, si fanno processi alla Camera. Si era detto poi - conclude - di concentrare tutte le energie sulla manovra economica". Mentre Reguzzoni (Lega) ha contestato la scelta di "privilegiare questioni di palazzo rispetto alle esigenze del paese come la manovra economica". La mozione di sfiducia al sottosegretario rischia di trasformarsi in un nuovo cul de sac per la maggioranza, come nel caso Brancher costretto a un passo indietro prima del voto. Oggi, poi, Udc e finiani hanno confermato l'indicazione emersa nei giorni scorsi: se la mozione arriverà in aula, centristi e fedelissimi di Fini voteranno a favore. (Ce.Do.) ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-07-11 Verdini (Pdl) respinge le accuse per l'inchiesta eolico: "Su di me fango e menzogne" Cronologia articolo10 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 18:17. Il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, smentisce la notizia riportata dal Corriere della sera secondo la quale sarebbe indagato per "associazione segreta" e si dice pronto a chiarire la sua posizione davanti ai magistrati definendo solo "fango e menzogne" le accuse che gli vengono attribuite. Le polemiche riguardano l'inchiesta sugli appalti per l'eolico in Sardegna e in altre regioni italiane condotta dalla Procura di Roma. La nota. "Mi trovo mio malgrado trascinato in mezzo a uno tsunami mediatico-giudiziario di violenza inaudita, senza nessuna possibilità di potermi difendere compiutamente da una serie di ricostruzioni che definire fantasiose costituisce un eufemismo - scrive Verdini in una nota -. Ho perfino appreso da un quotidiano di essere indagato come membro di un'associazione segreta di cui non sono mai stato a conoscenza e di cui, conseguentemente, non ho mai fatto, né faccio, parte. Mi sono state portate una o due volte a casa mia (e non otto come scrive un altro quotidiano) tutte insieme le tre persone arrestate ai sensi della legge Anselmi, e in quelle occasioni non si è mai parlato né del lodo Alfano, né di pressioni sul Csm o sulla Cassazione, né di candidature alla presidenza della Campania, né di qualsiasi fatto che abbia rilevanza penale, a cominciare proprio da questa fantomatica organizzazione segreta". "Ancora oggi, poi, alcuni quotidiani continuano a parlare della banca che presiedo e di un fiume illecito di denaro (chi 8 milioni di euro, chi 4) depositati, transitati o negoziati presso il Credito cooperativo fiorentino. Notizia smentita più volte da me e dalla banca stessa, in quanto completamente falsa - puntualizza il coordinatore del Pdl -. Peraltro, la stessa ordinanza del gip di Roma conferma, come da indagini svolte presso il Ccf e il Giornale della Toscana, che sono stati fatti regolari versamenti con assegni circolari in più rate per complessivi 800mila euro, che servivano alla ricapitalizzazione della società che edita il quotidiano. Un'operazione del tutto trasparente, che nulla ha a che vedere con le calunniose illazioni riportate dalla stampa. Sono pronto a chiarire tutto davanti ai magistrati, quando riterranno opportuno convocarmi, nella speranza, probabilmente vana, che questo stillicidio di notizie in aperta violazione del segreto istruttorio cessi, che la verità venga finalmente acclarata, e che s'interrompa questo incredibile fiume di fango e di menzogne che viene quotidianamente riversato sulla mia onorabilità di uomo e di politico". Dialettica di partito. "Se poniamo un problema di classe dirigente del Popolo delle libertà, quelli che li hanno in questi giorni si chiamano Brancher, Verdini e Cosentino: uno è del sud ma gli altri due, fino a prova contraria, sono del nord. Un tempo eravamo noi i farabutti, oggi da queste parti non ce ne sono più". Lo ha affermato il sottosegretario Gianfranco Miccichè intervenendo a Siracusa al convegno su Sud e Federalismo promosso dalla fondazione Liberamente
2010-07-08 Per il Gip, la loggia di Carboni voleva influenzare la Consulta sul Lodo Alfano Cronologia articolo8 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 11:42. Una superloggia segreta guidata dall'imprenditore Flavio Carboni, tra settembre e ottobre 2009, tentò di avvicinare giudici della Corte costituzionale allo scopo di influire sull'esito del giudizio sul cosiddetto Lodo Alfano, la legge che prevedeva la sospensione del processo penale per le alte cariche dello stato. Lo afferma il gip Giovanni De Donato, nell'ordinanza con cui ha disposto l'arresto per Carboni, per Pasquale Lombardi, ex esponente della Dc e l'imprenditore napoletano, e per Arcangelo Martino nell'ambito dell'inchiesta sull'eolico in Sardegna. Ai tre arrestati viene contestata l'accusa di associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. "Una associazione per delinquere - scrive il gip - diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti" caratterizzata "dalla segretezza degli scopi" e volta "a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali nonché degli apparati della pubblica amministrazione". Il 23 settembre dello scorso anno, a pochi giorni dal giudizio della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, secondo il gip avvenne una riunione nell'abitazione romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, per stabilire un tentativo di avvicinamento ai giudici della consulta. All'incontro era invitato anche lo stesso Carboni, il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, oltre ad Arcangelo Martino e Raffaele Lombardi. La contropartita chiesta per tale attività di lobby è la candidatura di Nicola Consentino alla Regione Campania, come esplicitato in una telefonata di Lombardi allo stesso sottosegretario. Il tentativo di influire sul giudizio di costituzionalità del lodo Alfano non va però a buon fine. Il 7 ottobre 2009 la Corte boccia il provvedimento, suscitando le ire di Carboni e Martino, che accusano Lombardi del fallimento e della figuraccia fatta con i propri referenti politici, a partire da Verdini. Il Gip inoltre afferma che tra la fine del 2009 e febbraio del 2010, in vista delle elezioni regionali, i tre arrestati si impegnarono al fine di ottenere la candidatura dell'attuale sottosegretario all'Economia. Questi però fu raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere perché accusato di concorso esterno in associazione mafiosa dal gip Raffaele Piccirillo. I tre allora cercarono di favorire un rapido accoglimento del ricorso proposto contro tale misura, grazie al rapporto esistente fra Lombardi e il presidente di Corte di Cassazione, nel tentativo di recuperare la sua candidatura di Cosentino. Il ricorso fu tuttavia rigettato. A questo punto il gruppo guidato da Carboni avviò, secondo il Gip, un'intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato del Pdl alla presidenza della regione Campania, Stefano Caldoro, nel tentativo di escluderlo dalla competizione elettorale, anche diffondendo all'interno del partito e su Internet, notizie diffamatorie sul suo conto. Per il gip i tre hanno "sviluppato una fitta rete di conoscenze nei settori della magistratura e della politica da sfruttare per i fini segreti del sodalizio e ciò anche grazie alle attività di promozione di convegni e incontri di studio realizzate tramite una associazione denominata "Centro studi giuridici per l'integrazione europea Diritti e Libertà"". L'associazione era gestita da Lombardi in qualità di segretario e da Martino quale responsabile dell'organizzazione. La struttura, scrive il gip, era "di fatto finanziata e gestita in modo occulto da Carboni". Per il magistrato i tre "approfittavano delle conoscenze per acquisire informazioni riservate e influire sull'esercizio delle funzioni pubbliche rivestite dalle personalità avvicinate dai membri dell'associazione" Gli altri episodi contestati sono: il tentativo, a partire da luglio del 2009, di accaparrarsi appalti per la produzione di energia eolica in Sardegna; le attività di interferenza nei confronti di componenti del Consiglio superiore della magistratura per la nomina, ad alcune cariche direttive, di magistrati graditi al sodalizio, tra cui Alfonso Marra, aspirante alla carica di presidente della Corte di Appello di Milano; le attività per influire sull'esito del ricorso presentato dalla lista "Per la Lombardia" del presidente Roberto Formigoni contro l'esclusione dalle regionali (intervento operato tramite l'intervento di Lombardi sul magistrato Alfonso Marra, appena insediato alla Corte d'Appello di Milano, ma senza esito); l'intervento su rappresentanti del ministero della Giustizia, dopo il respingimento del ricorso della "Lista per la Lombardia", per sollecitare una ispezione straordinaria nei confronti dei magistrati del collegio che aveva esaminato il ricorso (tentativo fallito a causa dell'opposizione dei vertici del ministero). La difesa di Carboni: arresto assurdo e ingiustificato. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
La difesa di Carboni: arresto assurdo e ingiustificato Cronologia articolo8 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 20:20. "Dopo averlo solo sospettato, la lettura dell'ordinanza di sociologia giudiziaria della autorità giudiziaria di Roma dà conferma che il nulla probatorio emerso da mesi di indagine è sfociato in un arresto assurdo e ingiustificato, tra l'altro nei confronti di un quasi ottantenne con esiti di patologie cardiache e infartuali, per un reato associativo (la cosiddetta legge Anselmi) che è la metafora della deriva delle inchieste giudiziarie di questo Paese". Lo afferma Renato Borzone, legale di Flavio Carboni, commentando l'arresto del suo assistito nell'ambito dell'inchiesta della procura di Roma sull'eolico in Sardegna.
"Non c'è - prosegue Borzone - nessuna prova di reati specifici e allora si va alla ricerca di fattispecie associative addirittura risibili. Se, come sempre è finora accaduto, Carboni troverà un giudice a Berlino sarà prima o poi scagionato da questi addebiti. Diversamente, bisognerà ancora combattere per fare riconoscere la differenza tra addebiti penali e addebiti moralistici. Nel frattempo, la difesa cercherà di capire quali sono i meccanismi di assegnazione dei processi negli uffici giudiziari romani". (Il Sole 24 Ore - Radiocor)
Inchiesta sul riciclaggio, arrestato ex consulente di Finmeccanica Cronologia articolo8 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 19:23. Lorenzo Cola, già consulente del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, è stato arrestato questo pomeriggio dai carabinieri del Ros su ordine dei pm di Roma che indagano sul maxi riciclaggio di 2 miliardi di euro che ha coinvolto gli ex vertici di Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Cola, che è accusato di concorso in riciclaggio, è stato fermato - mentre lasciava l'Italia per andare gli Stati Uniti - in relazione al filone di indagine che si riferisce all'affare Digint, vale a dire l'acquisto del controllo della società partecipata al 49% da Finmeccanica da parte del gruppo di affari che faceva capo all'imprenditore campano Gennaro Mokbel, indagato per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio. Indagati per il concorso in riciclaggio anche l'ex senatore Nicola Di Girolamo, e altre due persone coinvolte nell'inchiesta, Marco Iannilli e Marco Toseroni. Secondo l'accusa Mokbel avrebbe versato il denaro su conti esteri a Iannilli e Cola, attraverso bonifici fatti da Toseroni, acquisendo il 51% della Digint (il restante 49% è invece riconducibile a Finmeccanica). I carabinieri sono riusciti a ricostruire il flusso del denaro, partito da Singapore, transitato per San Marino su un conto di Iannilli e finito in Svizzera.
La storia di Flavio Carboni e gli intrecci coi misteri italiani Cronologia articolo8 luglio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 17:17. Una condanna definitiva a 8 anni e 6 mesi per la vicenda del fallimento del Banco Ambrosiano, e una serie di assoluzioni: dall'accusa di concorso nell'omicidio di Roberto Calvi, dopo che il pm aveva chiesto la condanna all'ergastolo; dall'accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, vice di Calvi all' Ambrosiano, a quella di falso e truffa ai danni del Banco di Napoli. Queste sono solo alcune delle vicende che hanno visto coinvolto Flavio Carboni, arrestato con l'accusa di associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Dal suo primo arresto, avvenuto in Svizzera nell' estate del 1982, la vita di Carboni è stato un continuo andirivieni tra aule di tribunale e arresti, quasi sempre annullati rapidamente. L' improvviso successo economico di Carboni comincia negli anni '70 con una serie di società immobiliari e finanziarie. Carboni si muove anche nel mondo dell'editoria. Diventa proprietario del 35% del pacchetto azionario della "Nuova Sardegna" ed editore di "Tuttoquotidiano", per il fallimento del quale era stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma. Legato soprattutto alla storia del Banco Ambrosiano e della morte di Calvi, per la quale, oltre alla recente assoluzione dall'accusa di concorso in omicidio, era stato già chiamato in causa per la falsificazione del passaporto e l' espatrio clandestino del banchiere e per concorso in esportazione di capitali, il nome di Carboni emerge anche in altre vicende. Durante il sequestro Moro, per esempio, Carboni avvicinò esponenti Dc offrendosi di sollecitare l'intervento della mafia per la sua liberazione. Qualche giorno dopo Carboni riferì però che la mafia non voleva aiutare Moro perché troppo legato ai comunisti. Carboni ha avuto rapporti anche con Francesco Pazienza, con Licio Gelli e con l' ex gran maestro della Massoneria Armando Corona. Il nome di Carboni compare anche nel falso dossier di Demarcus pubblicato sull'Avanti, (per il quale recentemente è stato indagato anche Cesare Previti) che sosteneva un legame tra Stefania Ariosto e i servizi segreti. Il dossier parlava anche di un incontro tra Ariosto e Carboni. Infine, il nome di Flavio Carboni entra anche nell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: è stato ascoltato in Procura a Roma, come testimone, il 4 febbraio scorso. Secondo quanto si è appreso, i magistrati gli hanno chiesto se fosse a conoscenza di particolari sulla vicenda, soprattutto alla luce dei rapporti che Carboni ha avuto con esponenti del Vaticano e, nell'ambito della sua attività di uomo d'affari, con riferimento a soggetti legati in qualche modo alla Banda della Magliana. Rapporti con il gruppo criminale capitolino che, comunque, l'uomo d'affari ha sempre negato, affermando che si trattava di rapporti con persone di cui ignorava l'appartenenza alla banda. (fonte: Ansa)
2010-06-27 I meridionali sono spreconi? I leghisti non sono da meno. di Stefano NatoliCronologia articolo26 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2010 alle ore 15:10. Sud sprecone, nord virtuoso? Nient'affatto. Almeno secondo un dossier sugli sprechi compiuti da alcune amministrazioni del Nord governate dalla Lega presentato questa mattina da alcuni movimenti meridionalisti, da rappresentanti dell'artigianato e del commercio locale e dal commissario regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli. "Un appalto per il Palazzo della Provincia di Treviso che doveva costare 35 milioni di euro, alla fine ne è costato 80 - si legge nel documento - e solo per le sedie sono stati spesi circa 530mila euro". "I leghisti ci hanno fatto tanti discorsi di moralizzazione, ma anche al Nord alcuni amministratori portano avanti la politica del "magna magna". Secondo gli estensori del dossier "ci sono amministratori leghisti che non badano a spese per promuovere la cultura padana: è il caso del film sul barbarossa costato 30 milioni" o dell'Orchestra di Brescia "che costa 200mila euro all'anno". "Come si può vedere - affermano i meridionalisti - ci sono buoni e cattivi amministratori al Nord come al Sud e, pertanto, i napoletani chiedono rispetto e la fine delle lezioni di morale". La Tua spesa a Mezzogiorno. La presentazione del dossier sugli "sprechi leghisti" è servita da spunto all'associazione Insieme per la rinascita per lanciare l'iniziativa La tua spesa a mezzogiorno. I promotori invitano tutti i residenti delle regioni del Sud Italia a "difendere l'economia locale" attraverso una spesa "consapevole". "Con un gesto semplice, concreto e quotidiano - ha spiegato oggi il segretario dell'associazione Luca Pepe - possiamo difendere le nostre attività e tentare di contenere gli effetti che produrrà al Sud l'attuazione del federalismo fiscale". Ai cittadini viene chiesto di acquistare i cibi per i loro pasti, e dunque, pasta, latte, caffè, vino, pomodori, legumi e quanto altro, che siano prodotti, lavorati e distribuiti da imprese che lavorano esclusivamente, in ogni fase del ciclo produttivo, al Sud. Tra le ragioni che muovono la proposta, la necessità di produrre lavoro nei territori meridionali per evitare che i giovani siano costretti ad emigrare. Un'iniziativa "semplice" da mettere in pratica perchè, come spiegato, è sufficiente leggere l'etichetta presente sulla confezione individuando l'indirizzo dell'azienda e dello stabilimento. Contestato il ministro Maroni. Cresce, intanto, a Napoli il "sentimento anti Lega" suscitato dai cori leghisti durante il raduno a Pontida e dalle recenti dichiarazioni di alcuni esponenti politici del Carroccio quali il sindaco di Verona Tosi e il governatore del Veneto Zaia. A farne le spese è stato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, in città per assistere - al teatro San Carlo - al concerto della banda della Polizia di Stato. "Il ministro Maroni - ha affermato Borrelli - che cosa dice quando il sindaco di Verona dichiara di non voler scendere in piazza a manifestare, seppur per giuste ragioni, con i sindaci del Sud o quando Zaia chiede che i napoletani non siano più ospitati in televisione? Il ministro dovrebbe chiedere scusa per le affermazioni dei suoi compagni di partito, dovrebbe garantire - aggiunge Borrelli - rispetto per tutte le realtà del territorio italiano e invece viene qui a fare la passerella e sta zitto".
Gli schemi Falciani che hanno nascosto i soldi all'estero di Angelo MincuzziCronologia articolo27 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2010 alle ore 15:25. Se gli investigatori della Guardia di Finanza e della Procura di Torino vorranno mettere le mani sulle vere ricchezze degli evasori, dovranno puntare sulle società scudo costruite nei paradisi fiscali. "I nomi delle persone fisiche – sospira Hervé Falciani – nascondono soltanto le briciole. La vera polpa è lì, nelle società". Al tavolo di una brasserie in un paesino della Costa Azzurra, l'ex dipendente della Hsbc che ha sottratto dalla più grande banca privata del mondo informazioni su 80mila persone e società che dovevano rimanere rigorosamente segrete, parla per ore e ore. E traccia schemi e grafici per spiegare come i grandi istituti di credito privati aiutino le società a evadere il fisco.
"Non c'è nessun controllo sulle grandi banche private internazionali – sostiene Falciani – nei loro sistemi informatici si nascondono informazioni che gli investigatori non potranno mai scovare".
Anche a San Marino spunta Mokbel di Domenico LusiCronologia articolo27 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2010 alle ore 15:25. Non solo imprenditori, sportivi e personaggi dello spettacolo. Tra i clienti occulti che si sono avvalsi dei servizi della San Marino Investimenti (Smi), la più importante holding finanziaria del Titano, c'è anche Gennaro Mokbel, il faccendiere finito nel mirino della Procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sul maxi-riciclaggio di 2 miliardi di euro condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, è proprio attraverso la Smi che sarebbe transitata parte degli 8 milioni investiti nel 2007 da Mokbel nella Digint, società partecipata al 49% da Finmeccanica. Soldi su cui i pm coordinati da Capaldo hanno avviato accertamenti per verificarne la reale provenienza e la destinazione. Ed è qui che l'inchiesta sull'affare Digint si intreccia con quella del pm di Roma Perla Lori sul riciclaggio di oltre un miliardo di euro realizzato tramite la Smi, la finanziaria del conte Enrico Maria Pasquini, ex ambasciatore di San Marino in Spagna e proprietario anche della ex Banca del Titano, oggi Smi Bank. Tra i 1.200 nominativi di clienti della finanziaria in possesso del pm Lori c'è anche quello di un piccolo professionista sulla cui identità gli investigatori osservano il massimo riserbo e sul quale sono in corso verifiche. Sarebbe lui il prestanome a cui Mokbel avrebbe fatto riferimento per fare transitare nella Smi, tramite alcune società, parte egli 8 milioni di euro.
Al fine di costituire fondi neri, sospettano i pm. Ipotesi sempre smentita da Finmeccanica. Quanto all'indagine del pm Lori, in Procura c'è irritazione per l'atteggiamento di San Marino, che non ha ancora accolto la rogatoria inoltrata lo scorso novembre per avere la documentazione bancaria relativa a tutti i clienti italiani della Smi. "La lista dei 1.200 clienti – spiega una fonte investigativa – ci è stata fornita solo a fini burocratici, per notificare loro la rogatoria, presupposto che i giudici sanmarinesi ritengono indispensabile per fornirci la documentazione. Per noi questo è inaccettabile. Al momento la lista non è utilizzabile né ai fini penali, né delle verifiche fiscali. A noi interessa capire la disponibilità dei conti e la provenienza dei fondi. Finora le uniche informazioni fornite sono quelle su Pasquini, principale indagato". Quanto agli altri clienti, non mancano i nomi eccellenti. Dal cantante Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, agli imprenditori Antonio e Marcello Berloni che controllano la holding delle cucine. Nella lista anche nomi del calcio, come Igor Campedelli, presidente del Cesena. Tra gli imprenditori figurano Adolfo Guzzini, presidente e a.d. della Guzzini, Mauro Guzzini, a.d. della Teuco, Giancarlo Morbidelli, fondatore della omonima casa motociclistica, il re dei salumi Sante Levoni, presidente della Alcar Uno. Nell'elenco anche Emer Borsari, titolare della Borsari Group, l'immobiliarista Walter Mainetti, proprietario della Sorgente Spa e del Flatiron, Massimo Pessina, presidente della omonima impresa di costruzioni, Matteo Melley, presidente della fondazione Carispe. "Persone - precisa una fonte vicina alle indagini – che allo stato non sono evasori. Su loro non sono in corso accertamenti fiscali, né penali". Il riciclaggio su cui indaga il pm Lori riguarda proventi che sarebbero stati nascosti al fisco negli ultimi dieci anni da una cinquantina di piccoli imprenditori, tutti indagati per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, all'appropriazione indebita aggravata, al trasferimento fraudolento di valori, al falso in bilancio. L'inchiesta, avviata nel 2007, finora ha portato al sequestro di beni per oltre 14 milioni.
Falciani e il grand prix degli evasori di Angelo MincuzziCronologia articolo27 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2010 alle ore 15:21. Sul piccolo tavolo ingombro di tazzine di caffè non c'è più spazio per scrivere. Sono già otto ore che Hervé Falciani traccia su fogli formato A4 schemi di flussi finanziari, architetture societarie nei paradisi fiscali, numeri, percentuali, sigle di sistemi informatici. Muove la penna con sicurezza e ogni tanto alza lo sguardo come per sincerarsi che le sue parole siano giunte a destinazione. "Capisce?", chiede. Sì, capiamo. È quasi sera nella piazza del paesino di mare tra Nizza e Montecarlo e i tavolini all'aperto della brasserie cominciano a svuotarsi. Falciani chiede altra carta: ancora schemi, sigle, percentuali. Sembra un professore. Dimostra meno dei suoi 38 anni e con i suoi capelli bruni, gli occhi scuri e il volto abbronzato, non diresti mai che è lui l'uomo che ha sfidato la più grande banca privata del mondo, la Hsbc. Mentre lavorava nella filiale di Ginevra, sul suo computer ha copiato i sistemi informatici del colosso bancario risucchiandone anche il contenuto: 80mila nomi di società e persone fisiche che dovevano rimanere nell'ombra ma che sono oggi nelle mani dei servizi segreti francesi e dei magistrati di Nizza. Settemila di questi, italiani, sono al setaccio della Guardia di Finanza e della Procura di Torino. Il Falciani-pensiero è ora cristallizzato in quelle linee scritte con inchiostro blu tra un riverbero di sole e un colpo di vento, mentre le nuvole cariche di pioggia si addensano sul mare. È la sua versione dei fatti, naturalmente, ma non si può trascurare che è anche il racconto di un uomo che per nove anni ha scrutato dal di dentro i segreti della Hsbc. Nei conti bancari, rivela Falciani, "i nomi delle persone fisiche sono meno del 10% del totale e sono i pesci piccoli. Quelli che contano davvero sono i nomi delle società. È lì che si annidano le vere ricchezze. Ma i punti fondamentali - aggiunge scandendo le parole - sono altri: le banche private non sono soggette a nessun controllo e violano le leggi internazionali, non esiste la tracciabilità dei flussi finanziari e la segretezza non è garantita. Non solo. C'è un sistema su scala industriale che utilizza le società scudo per nascondere al fisco le ricchezze accumulate e creare fondi neri nei paradisi fiscali". Guarda lontano e racconta: "Quando nel 2000 arrivo a Ginevra, mi chiedono di sviluppare i sistemi informatici della banca e mi metto subito al lavoro". L'operazione non è per nulla semplice. Falciani prende l'ennesimo foglio e disegna le tessere di un puzzle. "Esiste un sistema informatico diverso per ogni operazione bancaria e i pezzi di questo puzzle sono dislocati in diversi paesi, collegati tra loro dalla rete. Ho lavorato al sistema Hexagon, che permette di fare spostamenti interni da un conto all'altro senza passare da una stanza di compensazione, e su quello per gestire le transazioni Forex tra valute straniere. Solo due esempi. Più andavo avanti e più mi rendevo conto che gli standard di sicurezza non erano rispettati". Cosa scopre, dunque, Falciani? Scopre che le informazioni sensibili sui titolari dei conti sono vulnerabili e sono spesso duplicate nei data base sparsi in diverse parti del mondo. "Senza chiavi né codici di accesso ho appreso informazioni top secret. Il punto è che i meccanismi di sicurezza sono statici mentre i sistemi informatici sono fluidi e si evolvono di giorno in giorno. Nessuna banca è obbligata a seguire una regolamentazione e ognuna decide per sé". Falciani prende ancora la penna, perché questo è soltanto l'inizio. Traccia una serie di zero e di uno, uno e zero: il codice binario all'origine del linguaggio informatico. Ogni programma contiene istruzioni e informazioni e anche in quelli copiati nel suo computer ci sono istruzioni e informazioni. Non solo nomi, dunque, ma probabilmente anche operazioni finanziarie legate a quei nomi. Potenzialmente si tratta di dati delicatissimi, anche se la Hsbc ha sempre sostenuto che sono soltanto spezzoni inutilizzabili. Incrociando queste informazioni Falciani si accorge anche di qualcos'altro: e cioé che la tracciabilità dei dati bancari è soltanto un'illusione e che la lotta ai reati finanziari viene combattuta ad armi impari. Nel mondo fluido dei sistemi informatici i dati possono scomparire in una frazione di secondo per ricomparire immediatamente dall'altra parte della terra: se non si sa dove andarli a cercare, ritrovarli è impossibile. "Se si cancella un ordine – spiega – nessuno può verificare che sia stato effettivamente dato. Se c'è un'informazione in Italia e il giorno dopo viene spostata in Svizzera, se i magistrati la cercano in Italia, quella informazione non la trovano". E poi, dove cercare? Falciani va avanti: "Se eliminiamo delle cifre da un documento contenuto nel server X e poi duplichiamo il nuovo file nel server Y, qui dentro di quei dati non c'è più traccia. E dunque per rintracciare quelle informazioni bisogna sapere che si deve analizzare il server X e non l'Y. E magari uno è in Svizzera, l'altro a Hong Kong: un labirinto. Occorre che all'interno della banca ci sia qualcuno disposto a dare il suo aiuto, altrimenti ogni indagine è destinata e bloccarsi". Mentre è alla Hsbc, dunque, attraverso i sistemi informatici, Falciani osserva silenziosamente movimenti e operazioni finanziarie, ma soprattutto si accorge che tutto passa attraverso società domiciliate nei paradisi fiscali. Si accorge, anche, che non si tratta di casi sporadici, ma che il sistema ha assunto dimensioni industriali, è una catena di montaggio: una sorta di neofordismo finanziario realizzato attraverso lo strumento delle società scudo. Si aiuta ancora una volta con uno schema. "Diciamo che sono un imprenditore che vende banane in Italia a quattro euro al chilo. Le compro in Costa Rica a un euro, ma lo faccio attraverso una mia società in Svizzera, che chiamiamo Scudo 1. Scudo 1 le rivende a 2 euro a un'altra società, sempre mia, che ho costituito nell'isola di Jersey, un paradiso fiscale, e che chiamiamo Scudo 2. Dentro Scudo 1 resta dunque un euro di guadagno. La società di Jersey rivende le banane a tre euro al chilo alla mia impresa in Italia, guadagnando un altro euro che resta a Jersey. In Italia al fisco risulta che ho acquistato le banane a tre euro per rivenderle a quattro: il guadagno ufficiale è così di un euro al chilo e su questa cifra io pago le tasse. Ma intanto, e questo il fisco non lo sa, ho messo al sicuro un euro di utile in Svizzera e un altro a Jersey, che sono guadagni netti e occulti. A proposito – sorride – sa che Jersey è il più grande importatore di banane al mondo?". Dunque, agli investigatori non sarà sufficiente l'elenco dei nomi italiani. Perché altri connazionali potrebbero nascondersi dietro società scudo domiciliate all'estero e intestate a prestanome o professionisti stranieri. È quasi sera. Sul sentiero che costeggia la scogliera, Falciani continua a parlare mentre le raffiche di vento attenuano il suono delle sue parole. "In banca si parlava del triangolo delle Bermuda. Isole Vergini, Panama e Bahamas: bastava creare tre società scudo in questi paradisi fiscali per far sparire ogni traccia. I magistrati ci mettono dieci anni per le rogatorie e nel frattempo si possono chiudere le società e riaprirle altrove nel giro di un mese. Le Virgin Islands sono il paradiso più difficile per la giustizia: per avere collaborazione bisogna portare le prove che esiste un reato". Ma è l'Asia il grande buco nero. "Miliardi e miliardi di dollari si spostano verso Hong Kong, Singapore e Kuala Lumpur. Soldi che non tornano indietro ma che vengono reinvestiti in Asia e sottratti all'economia reale. Ho verificato che per ogni miliardo a Ginevra ce ne sono tre che prendono la via di Hong Kong e questo contribuisce alla crisi di liquidità. Stiamo svuotando l'Europa dalle sue ricchezze". Chissà se Falciani ha davvero ragione, ma è un fatto che ciò che ha visto lo sta raccontando agli organismi internazionali che lottano contro l'evasione fiscale: "Se gli stati aiutassero le persone che vogliono spiegare e testimoniare, come ho fatto io, in meno di un anno i paradisi fiscali chiuderebbero", premonizza fissandoti negli occhi. Le ombre ora si allungano sulla scogliera. Il colloquio è finito. Toccherà ai magistrati appurare la verità. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
2010-06-23 L'impero immobiliare di Propaganda Fide vale più di un miliardo Cronologia articolo23 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 13:46. Un totale di 761 fabbricati, di 445 terreni e 2.325 alloggi. Un valore catastale di 575 milioni. Un valore di mercato di circa un miliardo e 300 milioni. A tanto ammonta l'impero immobiliare della Sacra congregazione di Propaganda Fide, un tempo guidata dal cardinale Crescenzo Sepe. Lo rende noto un'inchiesta di Franco Bechis pubblicata dal quotidiano "Libero". L'impero è concentrato quasi tutto a Roma e provincia (725 fabbricati, 325 terreni e 2.211 vani, per un valore di mercato di un miliardo e 267 milioni). La stima del valore di mercato è stata effettuata consultando il sistema Cerved. Nel numero sono compresi box auto, ma anche collegi e conventi da decine di migliaia di metri quadrati. Fra immobili e terreni, spesso lasciati in eredità da fedeli più o meno facoltosi, Propaganda Fide è diventata una delle principali immobiliari italiane. I pezzi più pregiati, quelli che fanno gola ai vip che da anni bussano alla porta per avere affitti di favore o comunque appartamenti di prestigio, si trovano nel cuore della capitale, in particolare nella zona di piazza di Spagna e dintorni. A rendere possibile la valorizzazione del patrimonio di Propaganda Fide sono soprattutto i commercianti, inquilini al piano terra in palazzi di prestigio di via del Corso e intorno alle vie della moda romana, quella dei Condotti e via Frattina. Il Vaticano controlla molti beni, tra edifici e terreni, anche a Rovigo (valore di mercato 7,3 milioni) e a Napoli (quattro milioni). A Mantova possiede, invece, solo terreni per un valore di mercato di 2,7 milioni. Solo terreni anche a Brescia, Caserta, Sassari, Venezia, Verbania, Viterbo.
2010-06-22
Storia dell'articolo Chiudi Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 13:41. La corruzione e l'illegalità sono fenomeni che si sono insinuati "negli ordinari ingranaggi degli appalti pubblici", un settore che è stato investito "ancora una volta e con ciclicità preoccupante" da "gravi episodi". È l'allarme lanciato dal presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Luigi Giampaolino, nella relazione annuale al Parlamento sul 2009 letta stamattina alla Camera dei deputati. Un allarme che va oltre gli aspetti patologici all'attenzione della magistratura: il fenomeno corruttivo rischia infatti di devastare il funzionamento fisiologico dei contratti pubblici e il settore delle imprese che lavora per la pubblica amministrazione. "Il mancato rispetto delle regole e la presenza radicata e diffusa della corruzione – dice Giampaolino - è causa di una profonda e sleale alterazione delle condizioni concorrenziali che può contribuire ad annientare le imprese oneste, costringendole ad uscire dal mercato". La corruzione non è l'unica patologia del settore che soffre anche di un eccesso di polverizzazione del mercato con 13mila stazioni appaltanti, di una regolamentazione di "mastodontiche dimensioni" di 615 articoli e 58 allegati (contro i 150 articoli delle direttive Ue), di una diffusione crescente delle trattative private con numeri "superiori alla media europea", di un contenzioso eccessivo. I rimedi finora attuati, con il ricorso alle procedure in deroga alle leggi ordinarie (come nel caso della Protezione civile) e allo strumento dell'arbitrato, hanno peggiorato la situazione. La ricetta proposta da Giampaolino parte dal superamento della frammentazione del mercato sul lato della domanda e su quello dell'offerta, con l'introduzione di ujn sistema di qualificazione anche per le amminitstrazioni pubbliche e un sistema più rigoroso di qualificazione per le imprese. "Nel mercato lavorano 36.600 imprese di costruzione qualificate per la partecipazione alle gare di lavori di importo superiore a 150mila euro, un numero molto elevato (circa 30mila) di imprese di costruzione non qualificate che eseguono lavori di importo inferiore a 150mila euro e decine di migliaia di operatori economici che partecipano alle gare per l'affidamento di contratti di servizi e forniture. Questo enorme numero di stazioni appaltanti - ha continuato Giampaolino - spesso di minime dimensioni e prive di competenze specialistiche, costituisce uno dei massimi problemi del settore, posto che la preparazione tecnica dell'amministrazione rappresenta la prima barriera che si frappone al manifestarsi di episodi di malcostume". Nella "ricetta Giampaolino" contro le patologie del settore ci sono anche il rafforzamento degli strumenti di trasparenza come le banche dati gestite dalla stessa Autorità e maggiori poteri dell'autorità di vigilanza soprattutto nella sua attività di "regolazione interpretativa".
Inchiesta G 8: rogatoria su Propaganda Fide. Tre anni di Sepe al vaglio dei pm di Marco LudovicoCronologia articolo22 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 09:43. Oltre 5 milioni di finanziamenti erogati per il restauro della palazzina della Congregazione a piazza di Spagna. Ma, hanno accertato gli inquirenti, solo 180mila euro sono stati spesi davvero. Come? Semplice: facendo alzare i ponteggi attorno alla costruzione, proprio per dare un segno evidente di lavori invece mai fatti. Le impalcature sono state lì, nel cuore di una delle piazze più belle del mondo, a fare mostra di sé per circa 50 giorni. E poi sono state levate. I sospetti degli inquirenti sull'ipotesi di reato di corruzione per il cardinale Crescenzio Sepe, insomma, si rafforzano. Così come non convince proprio i pm di Perugia, Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, la posizione dell'ex ministro Pietro Lunardi, indagato anche lui per corruzione, che ha comprato da Propaganda Fide – guidata allora da Sepe, oggi arcivescovo di Napoli – un complesso immobiliare in via dei Prefetti per 3,4 milioni di euro, somma considerata dagli investigatori molto al di sotto del valore di mercato. Di certo c'è, per ora, che la procura di Perugia vuole presentare una rogatoria in Vaticano per passare al setaccio tutte le attività di Propaganda Fide degli ultimi due anni a guida del cardinale. I 5 milioni di somme erogate, peraltro, provengono da Arcus (arte, cultura e spettacolo), società per azioni istituita dalla legge Finanziaria 2003 con l'obiettivo di finanziare progetti culturali con il 3% (poi salito al 5%) degli investimenti per le Grandi Opere. Ieri il direttore generale di Arcus, Ettore Pietrabissa, ha assicurato che sui finanziamenti al palazzo di piazza di Spagna è "tutto regolare e rendicontato" così come l'importo stanziato dalla spa "copre solo una parte del costo dei lavori, che sono cominciati nel 2003 e costati circa 15 milioni di euro, 10 pagati dalla Congregazione, 5 dallo stato italiano attraverso Arcus". Quanto all'impresa che ha fatto i lavori nel palazzo di piazza di Spagna "è la Italiana costruzioni spa, che non c'entra nulla con Anemone" dice. I lavori sono cominciati nel 2003. "Arcus è intervenuta nel 2005, da allora abbiamo tutte le fatture e tutti i "sal", che sta per "stato avanzamento lavori"". I primi 2,5 milioni, ricorda, sono stati erogati entro il 2007, per i secondi mancano solo gli ultimi 500mila euro. Sepe, ieri, in una conferenza stampa si è difeso: "Ho fatto tutto nella massima trasparenza, ho sempre agito avendo come unico obiettivo il bene della Chiesa". E poi precisa: "Ho avuto i bilanci puntualmente approvati dalla Prefettura per gli affari economici e dalla Segreteria di Stato" della Santa Sede. Secondo il suo legale, Bruno Von Arx, l'ipotesi di corruzione lascia "molto perplessi" e il costo del palazzo di via dei Prefetti, aggiunge, era così basso perché in condizioni "fatiscenti". Sepe ha poi confermato che fu il manager Francesco Silvano a chiedergli la disponibililtà di un appartamento – fu poi quello in via Giulia – per il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, che aveva fornito una versione analoga ai pm. Intanto toccherà al tribunale dei ministri vagliare la posizione di Pietro Lunardi anche se il suo legale, Gaetano Pecorella, non ha escluso che l'ex titolare delle Infrastrutture possa comunque presentarsi a Perugia spontaneamente.
2010-06-19 Il cardinale Sepe e l'ex ministro Lunardi indagati per corruzione Cronologia articolo19 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2010 alle ore 21:50. Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, e l'ex ministro Pietro Lunardi sono indagati dalla procura di Perugia nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta "cricca" per i Grandi eventi. Corruzione il reato contestato a entrambi. L'arcivescovo di Napoli e l'ex ministro sono indagati in due diversi tronconi dell'inchiesta. Al cardinale e all'ex ministro sono stati notificati oggi gli avvisi di garanzia emessi dai pubblici ministeri di Perugia Alessia Tavarnesi e Sergio Sottani. (Ansa)
Inchiesta G8. Cassazione: "Sistema spregiudicato" Cronologia articolo18 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 13:41. Il "corrispettivo" pattuito dagli accordi della "cricca", tra i quali l'appalto per la scuola dei marescialli dei carabinieri a Firenze rappresenta solo uno degli obiettivi cui mirare, è stato versato a Roma, in momenti diversi. Per questo l'inchiesta fiorentina sul G8, legata alla scuola dei marescialli dei carabinieri di Firenze, deve essere trasferita a Roma. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni della sentenza 23427, appena depositate, e riferite all'udienza dello scorso 10 giugno che ha deciso il trasloco dell'inchiesta confermando le misure cautelari per Fabio De Santis, Guido Cerruti, e Francesco De Vito Piscicelli. La Suprema Corte affronta il tema della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per l'emissione delle misure cautelari nei confronti degli indagati. Ad avviso della Cassazione, i giudici fiorentini hanno fornito motivazioni "indicative di una situazione in atto e in divenire anche con specifico riferimento ai fatti soppesi alle imputazioni allo stato formulato, idonee a configurare l'urgenza del provvedere provvisoriamente". In sostanza, secondo i giudici di piazza Cavour, l'emissione delle misure cautelari, sebbene firmate da un giudice territorialmente incompetente, sono motivate dalla gravità degli indizi di corruzione dei quali viene "dato conto". Il "perseguimento" degli interessi della cricca "si giova di un'azione dei pubblici ufficiali che - scrive la Cassazione - non è quella del funzionario che si attiva per esercitare anche i suoi poteri discrezionali ma solo per perseguire obiettivi legittimi". In particolare, gli indagati facevano parte "di un sistema di potere in cui appare normale accettare e sollecitare utilità di ogni genere e natura da parte di imprenditori del settore delle opere pubbliche, settore nel quale quei pubblici ufficiali hanno potere di decisione e notevole potere di influenza, e gli imprenditori hanno aspettative di favori".
2010-06-15 Bertolaso rivela che il cardinale Sepe lo aiutò a trovare casa Cronologia articolo16 giugno 2010Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2010 alle ore 21:54. Fu il cardinale Crescenzio Sepe, a lungo al vertice di Propaganda Fide, a indirizzare Guido Bertolaso al professor Francesco Silvano, collaboratore dell'organizzazione religiosa, che poi gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia a Roma. Emergono nuovi particolari dall'interrogatorio del capo della Protezione Civile di martedì davanti ai magistrati di Perugia, Sergio Sottani ed Alessia Tavarnesi che chiamano in causa l'attuale arcivescovo di Napoli, all'epoca responsabile dell' 'immobiliare' del Vaticano. Agli inquirenti che indagano Bertolaso ha spiegato di avere contattato "personalmente" il cardinale Sepe, che conosceva da tempo. Nella primavera-estate del 2003 il sottosegretario aveva infatti chiesto e ottenuto, per vicende personali, di soggiornare presso il collegio universitario di Propaganda Fide, sempre a Roma. L'attività lavorativa del Capo del dipartimento della protezione civile - ha sostenuto lui stesso nella nota diffusa subito dopo l'interrogatorio - si era però "mostrata incompatibile con il regime di vita degli studenti dell'ateneo a causa degli orari imposti dalla sua attività istituzionale". Fu quindi il cardinale Sepe a indirizzare Bertolaso - secondo quanto avrebbe riferito lui stesso ai pubblici ministeri - al professor Silvano, che gli mise a disposizione l'appartamento di via Giulia.
Il sottosegretario ha anche spiegato di avere soggiornato nella casa fino alla fine del 2003 quando tornò a vivere nella sua abitazione. Ma ai magistrati ha anche rivelato di avere mantenuto la disponibilità dell'appartamento, senza comunque soggiornarvi, per un altro anno, quando restituì le chiavi. Nel corso dell'interrogatorio, i pm hanno poi contestato a Bertolaso le dichiarazioni rese dall'architetto Angelo Zampolini, che gli inquirenti sospettano abbia riciclato denaro per Diego Anemone. È stato lui ad aver detto di aver pagato l'affitto della casa di via Giulia (per conto del costruttore, è il sospetto di chi indaga) senza però fornire date, almeno a quanto sarebbe emerso nell'interrogatorio di Bertolaso. Il capo della protezione civile ha comunque negato che ciò sia avvenuto quando soggiornava nell'abitazione. Di questa Bertolaso ha ribadito di avere pagato le bollette ma non l'affitto. Ai pubblici ministeri di Perugia il sottosegretario ha consegnato anche alcune foto di un immobile nella zona di Positano, anche questo finito all'attenzione degli inquirent"Un rudere che apparteneva a mia madre" ha sottolineato Bertolaso ai magistrati.
Nel corso dell'interrogatorio di martedì, infine, si è parlato anche di appalti. "Non mi sono mai occupato della gestione degli appalti, con la sola eccezione di quelli per il G8 che doveva tenersi alla Maddalena" ha messo a verbale il capo della Protezione Civile. Per quanto riguarda il vertice poi spostato all'Aquila, Bertolaso ha riferito che si accorse che i costi stavano lievitando e per questo "intervenni, sostituendo come soggetto attuatore Fabio De Santis (che a sua volta aveva preso il posto di Angelo Balducci, ndr) con Gian Michele Calvi, nel novembre del 2008". Per il restoBertolaso ha riferito ai pm perugini che a occuparsi degli appalti era l'allora presidente del consiglio superiore pubblici Angelo Balducci.
Per gli appalti G-8 indagati a Roma Balducci e Verdini, ma gli atti non sono arrivati Cronologia articolo15 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2010 alle ore 13:56. Sono sette gli indagati nel fascicolo aperto dalla Procura di Roma riguardo l'inchiesta sull'appalto della scuola marescialli di Firenze dopo che la Cassazione, cinque giorni fa, ha disposto la trasmissione degli atti da Firenze a Roma. Tra gli indagati l'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci e il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Al momento, però, l'unico documento presente nel fascicolo è proprio l'estratto della pronuncia della Cassazione. "Se gli atti non arriveranno a Roma entro la fine del mese di giugno, le misure cautelari in atto decadranno". In Procura, a Roma, c'è quindi molta attesa per l'evolversi della situazione per quanto riguarda l'inchiesta sulla scuola marescialli, dopo la decisione della Cassazione sul trasferimento del processo da Firenze alla Capitale. Gli inquirenti, secondo la legge, hanno 20 giorni di tempo per la valutazione dei documenti all'interno del fascicolo e per chiedere la rinnovazione, o meno, di arresti, obblighi di dimora o quant'altro sia stato disposto sinora dai giudici del capoluogo toscano, nei confronti di alcuni degli indagati. "E più giorni passano e più si rischia", si spiega a piazzale Clodio, dove - si sottolinea - ancora non è arrivata alcuna carta o intercettazione. E siccome, presumibilmente si tratterà di studiare decine di faldoni, il lavoro deve essere programmato con la giusta attenzione. Balducci e De Santis restano in carcere. Intanto restano in carcere Angelo Balducci e Fabio De Santis. Lo ha deciso il tribunale di Firenze, discutendo le istanze presentate dai due imputati che, sulla base della sentenza della Corte di cassazione di giugno chiedevano l'inefficacia della misura cautelare. È attesa la decisione del tribunale del riesame di Firenze, che ieri si è riunito per discutere i ricorsi di Balducci e De Santis contro il no pronunciato dal gip di Firenze il 5 marzo scorso alle richieste di scarcerazioni. La decisione del giudice del riesame non dovrebbe arrivare prima di domani. Le complicazioni nella procedura. In ogni caso il quadro procedurale si è complicato. A Firenze dopo l'astensione dei giudici di stamani e il rinvio del processo al 17 giugno, quando in aula si presenterà un nuovo collegio giudicante, restano almeno due nodi ancora da sciogliere riguardo tempi e luogo del processo. Nell'udienza del 17 giugno, con ogni probabilità, i giudici saranno chiamati a esprimersi sulla competenza territoriale, alla luce della decisione della Cassazione sul trasferimento degli atti dai pm fiorentini a quelli romani. Anche questo dibattito potrebbe però essere rinviato: uno dei legali di Angelo Balducci, l'avvocato Gabriele Zanobini, stamani in aula ha fatto sapere che per la prossima udienza non potranno essere presenti i suoi colleghi del collegio difensivo, Roberto Borgogno e Franco Coppi, impegnati in processi in altre città. I giudici fiorentini potrebbero così decidere di rinviare di nuovo l'udienza: stamani il presidente del collegio ha detto che la prima data utile sarebbe però a luglio. Sia le difese, sia la procura, sia i giudici, sono in attesa delle motivazioni della Cassazione, utili per ogni decisione che riguardi la competenza territoriale. Il rinvio del processo, sotto questo aspetto potrebbe essere utile, ma c'è da considerare il fatto che due imputati - Balducci e De Santis - sono ancora in carcere. L'altro, l'avvocato Guido Cerruti, ha invece l'obbligo di dimora. Processo "illegittimo". Per i difensori degli imputati il processo per corruzione sull'appalto della scuola carabinieri di Firenze - filone dell'inchiesta sui Grandi eventi - è illegittimo e dunque i loro assistiti, ora in carcere, vanno rimessi in libertà. È quanto spiegano gli avvocati Alfredo Gaito, per Fabio De Santis, e Gabriele Zanobini, per Angelo Balducci, dopo aver appreso nell'udienza di stamani che lo stesso tribunale di Firenze ha respinto le loro istanze di scarcerazione. L'avvocato Gaito ha spiegato che "i termini di carcerazione legati alla fase delle indagini preliminari sono alle spalle; partono quelli legati al dibattimento, quindi in teoria De Santis dovrebbe restare in carcere ancora qualche mese. Ma le cose sono destinate a cambiare se i seguenti presupposti non risultano corretti, ovvero la competenza territoriale della magistratura di Firenze e il giudizio immediato". In particolare, "se viene meno la competenza di Firenze per la sentenza della Corte di Cassazione di pochi giorni fa, non esiste che possa essere un giudice non compatibile a giudicare", ha proseguito Gaito. Pertanto, prosegue sempre il difensore di De Santis, "non appena gli atti vanno a Roma, io credo che di giudizio immediato non si abbia più a parlarsi e, anzi, non se ne è mai parlato legittimamente, quindi si ritornerebbe alle indagini preliminari i cui termini di fase (tre mesi, ndr) sono ampiamente scaduti". Anche il difensore di Angelo Balducci, l'avvocato Gabriele Zanobini, ritiene che la decisione della Cassazione del 10 giugno implichi lo spostamento degli atti a Roma: "La competenza territoriale è una soltanto; il provvedimento della Cassazione è vincolante. La competenza territoriale riguarda tutti gli imputati", quindi anche Balducci che non aveva fatto ricorso sulla competenza. Zanobini ha poi aggiunto che giovedi prossimo - data di aggiornamento dell'udienza - gli altri difensori di Balducci, Franco Coppi e Roberto Borgogno, sono impegnati in udienze in altre città. Queste circostanze impediranno loro di partecipare all'udienza di Firenze, tanto che viene ipotizzato un nuovo slittamento.
2010-06-03 Zampolini chiama in causa Bertolaso e Di Pietro Cronologia articolo2 giugno 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 12:14. Una casa della moglie di Guido Bertolaso e due appartamenti di Propaganda Fide presi in affitto da Antonio Di Pietro: su questo si sarebbe soffermato l'architetto Angelo Zampolini in un nuovo interrogatorio davanti ai pm di Perugia titolari dell'inchiesta sugli appalti per i grandi eventi. Zampolini è accusato dai magistrati del capoluogo umbro di aver riciclato denaro che gli inquirenti sospettano provenire dall'imprenditore Diego Anemone. Nel nuovo interrogatorio all'architetto, i magistrati avrebbero mostrato la cosiddetta "lista Anemone" e chiesto chiarimenti sugli oltre 350 nomi che vi compaiono. Ed è in questo quadro che Zampolini avrebbe fatto riferimento al capo della protezione civile e al leader dell'Italia dei valori. Gli aspetti che riguardano Di Pietro non verrebbero ritenuti di particolare interesse dagli inquirenti, mentre più importante dal punto di vista delle indagini sarebbe considerato quanto detto da Zampolini in merito all'appartamento della moglie di Bertolaso. Nella lista Anemone, Bertolaso viene associato a due appartamenti, uno ai Parioli e l'altro in via Giulia, a Roma. Per quanto riguarda quello ai Parioli, comprato all'inizio del 2000, il capo della Protezione civile, a palazzo Chigi aveva detto di avere usufruito di lavori di ditte del gruppo Anemone saldando il conto di 20 mila euro con un assegno, la cui copia è stata anche pubblicata sul sito del dipartimento. Per la casa di via Giulia, Bertolaso ha sempre detto di avere usufruito per un periodo di un appartamento prestato da un amico. Zampolini è considerato una delle figure centrali dell'inchiesta in corso a Perugia. Dagli accertamenti è infatti emerso che da lui provenivano gli assegni circolari utilizzati per coprire in parte il costo degli acquisti di case per l'ex ministro Claudio Scajola, per il generale della guardia di finanza Francesco Pittorru e per il genero di Ercole Incalza, funzionario del ministero delle Infrastrutture. Bertolaso, anche oggi, ha ribadito la sua versione sostenendo di non voler rendere pubblico il nome dell'amico che gli avrebbe prestato l'appartamento per non esporlo "alla macelleria mediatica", ma di essere pronto a chiarire tutto davanti ai magistrati di Perugia. Da parte sua il leader dell'Idv Di Pietro smentisce invece "in modo categorico di aver preso appartamenti in affitto da Propaganda Fide".
2010-05-23 Dalla lista Falciani spuntano stilisti, diplomatici, professionisti e 400 società Cronologia articolo23 maggio 2010 Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2010 alle ore 20:04. Prime indiscrezioni sul profilo dei soggetti, sospettati di evasione fiscale e riciclaggio, inseriti nella lista Falciani. Nell'elenco - secondo l'agenzia Adnkronos - ci sarebbero avvocati, commercialisti ma anche operatori nel mondo delle confezioni e della moda. Ma vi troverebbero posto anche nomi di alcuni diplomatici che lavorano per Paesi stranieri e circa 400 società. L'attività di controlli e verifiche, sui nomi contenuti nel file che sono corredati da informazioni dettagliate, si sta svolgendo nel massimo riserbo: la Guardia di Finanza è anche impegnata a verificare nomi di moglie o parenti che potrebbero aver fatto da prestanome.
Procura di Torino al lavoro Interessata all'acquisizione dei dati è soprattutto la Procura di Torino guidata da Giancarlo Caselli che, all'inizio di aprile, quando si sono diffuse le prime notizie sull'esistenza della lista ne aveva chiesto l'acquisizione alla magistratura francese. Hervè Flaciani, esperto informatico nato nel Principato di Monaco con doppia nazionalità francese e italiana, ha sottratto alla filiale di Ginevra della Hsbc, il più grande istituto di credito del mondo occidentale, informazioni segrete su 127mila conti correnti appartenenti a 80mila persone di mezzo mondo: francesi, tedeschi, colombiani, cinesi. Anche italiani: sono 7.094 i file ora al setaccio della Guardia di Finanza. Alla fine del 2008 Falciani è indagato dalla polizia elvetica, ma il giorno prima dell'arresto scappa in Francia, dove oggi vive con un altro nome e sotto protezione. Dall'elenco dei potenziali evasori o presunti riciclatori dovranno essere stralciati, anzitutto, coloro che saranno in grado di fornire giustificazione dei depositi in Svizzera, che, dopo le prime verifiche, appaiono molto differenziati quanto a consistenza: da conti con poche migliaia di euro si arriverebbe a decine di milioni. Inoltre, dovranno essere esaminate a parte le situazioni dei contribuenti che entro lo scorso 30 aprile hanno aderito allo scudo fiscale.
2010-05-21 Aria di Mani pulite sull'inchiesta G-8 di Marco Ludovico e Domenico Lusi 21 Maggio 2010 I pm di Perugia da mercoledì sono a Milano. E non è escluso che nuove rivelazioni sugli affari della "cricca", nell'inchiesta G-8, arrivino con un salto indietro nel tempo di molti anni: quelli di Mani Pulite. Tutto nasce la settimana scorsa dall'interrogatorio in procura a Firenze, presenti i pubblici ministeri perugini Alessia Tavarnesi e Sergio Sottani, con il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. Al suo arrivo, prima di parlare con gli inquirenti, Di Pietro annuncia che riferirà "come esponente di opposizione, come ex ministro dei Lavori pubblici e come ex pm" di Tangentopoli. A Milano, i pm vogliono accertare se già ai tempi di Mani Pulite è emerso il sistema degli appalti ora sotto indagine. Intanto i carabinieri del Ros e la Guardia di Finanza lavorano su conti correnti dei soggetti indagati o comunque coinvolti nell'inchiesta. Non è escluso che nei prossimi giorni possano finire nel registro degli indagati altri ministri o lo stesso Scajola, al momento non ancora iscritto al registro. Ieri poi i pm perugini hanno ascoltato Armando Coppi, il fidato autista dell'ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici. "Non so nulla degli affari di Balducci né ho mai partecipato ai suoi incontri riservati", è stata la difesa di Coppi. Non molto diversa da quella di Giuseppe Macchia, il dipendente del Salaria Sport Village sentito nei giorni scorsi. Le due deposizioni, però, non avrebbero convinto i pm. Che probabilmente risentiranno Coppi nei prossimi giorni e hanno già inoltrato diverse rogatorie all'estero. Non si placano poi le polemiche legate all'inchiesta. L'ultima riguarda il sindaco di Bari e presidente della Fondazione lirica Petruzzelli, Michele Emiliano (Pd), tirato in ballo da un articolo del Giornale secondo cui lo stesso sindaco di Bari avrebbe consegnato la ricostruzione del teatro barese ad Angelo Balducci e Fabio De Santis, due dei membri della "cricca" degli appalti. "È una intimidazione della famiglia Berlusconi – ribatte Emiliano - la gara per la ricostruzione del Petruzzelli fu gestita dalla struttura commissariale nominata da Palazzo Chigi, non certo dal comune". Per il sindaco "chi può dare tutte le risposte è l'allora direttore generale dello Spettacolo dal vivo, e attuale capo di gabinetto del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, Salvatore Nastasi, con cui fu concordata la procedura di commissariamento per la ricostruzione del teatro". Immediata la replica del ministero: "Nastasi non ha mai gestito alcuna procedura di gara relativa alla ricostruzione del Teatro Petruzzelli né direttamente, né indirettamente". Va avanti l'inchiesta su appalti e tangenti legati all'eolico che coinvolge, tra gli altri, il governatore sardo Ugo Cappellacci. Oggi è in programma a Roma un vertice tra tutte le procure coinvolte: oltre a quella della capitale, Cagliari, Napoli, Avellino, Paola, Palermo, Messina e Trapani. A coordinare le indagini è la direzione nazionale antimafia, che nei giorni scorsi ha chiesto gli atti di tutte le inchieste. La riunione servirà a fare chiarezza sulla competenza a indagare. Il filo rosso che collega l'indagine romana a quelle siciliane e campane è Luigi Franzinelli, imprenditore attivo nell'eolico nato a Molina di Ledro (Trento). Franzinelli è stato condannato a Palermo a due anni con rito abbreviato, con l'aggravante di avere favorito Cosa Nostra, in un processo sulla costruzione di un parco eolico a Mazara del Vallo. Ad avere ottenuto i permessi per il principale parco eolico sardo, a Ulassai, è proprio un'azienda riconducibile a Franzinelli. í 21 Maggio 2010
2010-05-14 Il premier sul caso Anemone: fuori i ministri che hanno sbagliato 13 maggio 2010 Il Palazzo prende le distanze dalla lista segreta di Anemone (Nella foto Diego Anemone - Ansa) "Dai nostri archivi" Berlusconi: chi ha sbagliato è fuori Scajola non deporrà a Perugia All'esame dei pm la "lista Anemone" Anemone comincia a parlare Nella lunga lista dei lavori pochi coinvolti nell'indagine Scarcerato Anemone: "Ho agito sempre onestamente" Costretto al riposo forzato a causa di una laringite che gli ha impedito questa mattina di presiedere il Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi trascorre la giornata in riunioni a palazzo Grazioli. A via del Plebiscito arrivano tra gli altri il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il governatore della Campania Stefano Caldoro ed il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Gli argomenti da discutere sono molti: La bufera mediatica intorno all'inchiesta di Perugia sugli appalti domina le conversazioni. Già ieri sera a cena con alcuni imprenditori il premier era tornato più volte sull'argomento: non si tratta di una tangentopoli - è stato il suo ragionamento - si tratta di singole persone che devono chiarire e nel caso fossero colpevoli è giusto che paghino. Sono però questioni, ha aggiunto lo stesso Cavaliere, che non minano la credibilità del governo. Nelle riflessioni con alcuni fedelissimi però Berlusconi non ha nascosto l'amarezza per quello che non esita a definire un "killeraggio mediatico". Ancora una volta, sarebbe stato lo sfogo del premier, finiscono sui giornali notizie coperte dal segreto investigativo. Si tratta di una cosa assurda. Soprattutto con gli imprenditori, il presidente del Consiglio si sarebbe soffermato su un altro risvolto della vicenda: Stento a credere a queste cose, avrebbe osservato nel corso della cena, anche perchè stiamo parlando di persone con una certa disponibilità economica che non hanno bisogno di compiere degli illeciti per acquistare immobili. E soprattutto non è possibile che ad essere lesa sia l'immagine del partito. Ecco perchè, sarebbe stato il monito rivolto anche ai presidenti di Regione ancora alle prese con la composizione della giunta, bisogna stare attenti alle persone che si scelgono. Certo è che la vicenda non convince nemmeno il leader della Lega Nord Umberto Bossi: "Mi sembra un pò strana - dice il Senatur parlando di tutta l'inchiesta - un pò preparata, ho questa impressione...". Con gli imprenditori poi il Cavaliere avrebbe anche accennato alla scelta del successore al ministero Economico. Sulla promozione di Paolo Romani pare non ci siano più molti dubbi anche se il Cavaliere ha spiegato di voler chiudere il capitolo solo quando sarà convinto al cento per cento della scelta. Tant'è che starebbe anche valutando l'ipotesi di un tecnico che rilanci l'immagine del dicastero e che possa rappresentare un valore aggiunto. Un'ipotesi che non sarebbe sgradita nemmeno agli industriali. La giornata è stata comunque tutta all'insegna delle rivelazioni a pioggia sulla stampa sul contenuto di una lista di clienti vip dell'imprenditore Diego Anemone per acquisto, vendita, ristrutturazioni immobiliari da lui eseguite, in mano alla magistratura che indaga sulle sue attività. Notizie che hanno portato alle dimissioni del ministro Claudio Scajola. Quest'ultimo è stato convocato dai pm perugini come persona informata sui fatti ma non si presenterà, avendo giudicato scorretta la convocazione e comunque incompetente la sede giudiziaria perugina con riferimento ad attività svoltesi a Roma. Nella lista sequestrata dai pm ci sono circa 350 nomi di personaggi illustri (e/o loro congiunti) della politica, dell'amministrazione dell'economia, dello spettacolo, della cultura: tutti risultati in rapporto con Anemone ma per tutti da stabilire se con regolari prestazioni di scambio professionali o se collegati invece a favori impropri all'imprenditore. Inevitabile che alla pioggia di nomi, sia seguita altrettanta pioggia di smentite e precisazioni. La più autorevole è quella del Vicepresidente del Csm Nicola Mancino: "Il signor Anemone non mi ha fatto nessun regalo. Non ha avuto alcun tipo di protezione né io ho avuto da lui alcuna "regalia". I lavori di cui si parla gli furono affidati dal Sisde per mettere in sicurezza il mio appartamento da ministro degli Interni". La più netta è quella del giudice costituzionale Gaetano Silvestri: "Non conosco e non ho mai conosciuto Anemone, non possiedo e non ho mai posseduto immobili di qualunque genere a Roma". Sul fronte Governo, Guido Bertolaso limita il rapporto con Anemone a 20 mila euro di prestazioni di falegnameria e smentisce la proprietà di una casa in via Giulia. Con la sottolineatura che sua moglie nel 2006 "non diede seguito ad un progetto a lei richiesto da Anemone proprio per ragioni di opportunità". Il Pd, con il segretario Pierluigi Bersani chiede che "il Governo lasci fare magistratura" e "dica cosa pensa del meccanismo". Insomma. "da parte nostra nessuna cautela, si vada a fondo". Il Premier Silvio Berlusconi, parlando ieri sera a una cena con alcuni imprenditori, non si mostra spaventato dai riflessi di 'appaltopoli' sul suo governo, spiegando di essere convinto che "non siamo di fronte ad una nuova Tangentopoli" e che comunque "se si scoprirà che anche nel Governo c'è chi ha sbagliato dovrà andare via". Ma nella maggioranza la preoccupazione è forte. "Siamo davanti a una situazione gravissima: il segreto istruttorio addirittura viene ormai violato con una lista di proscrizione", denuncia il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto. Più esplicito, il ministro Umberto Bossi, dal fronte Lega, avverte: "Io - aggiunge- so solo che non c'entro. Ma mi pare una cosa un po' strana, un po' preparata. Certo se portano via tutti i ministri il Governo rischia: ma finché ci siamo io, la Lega e Tremonti, non lo buttano giù". Otto pagine con oltre 350 nomi Spunta la lista Anemone. Scajola non depone a Perugia Il dilemma siciliano del Pd su Lombardo (di Andrea Franceschi) Ma non siamo tutti per la sussidiarietà? In Sicilia decida il Pd siciliano (di Daniele Bellasio) 13 maggio 2010
STEFANO FOLLI Per la prima volta la Lega sembra sostenere più Tremonti che Berlusconi 14 maggio 2010 Colpisce l'affermazione di Umberto Bossi, persona che di solito non parla a caso: "Il governo non cadrà perché ci siamo noi a sostenerlo: la Lega e Tremonti". Già il fatto che si evochi una possibile crisi dell'esecutivo, sia pure per negarla, fa riflettere. In tempi normali non ci sarebbe bisogno di sottolineare un fatto ovvio, e cioè che i leghisti sostengono il governo. Ma c'è un secondo punto. Tremonti viene citato non come semplice ministro di Berlusconi, bensì come figura centrale dotata, si direbbe, di una propria autonomia politica rispetto al partito, il Pdl, al quale formalmente aderisce. Anzi, l'accostamento alla Lega sancisce un dato di cui peraltro pochi dubitano: il Carroccio riconosce in Tremonti un punto di riferimento insostituibile. Soprattutto ora che si profila una manovra economica molto pesante. Ciò vuol dire che Bossi ha fatto la sua scelta: appoggerà le misure severe imposte dalla crisi dell'euro. Il partito che fu euroscettico per definizione oggi è pienamente convertito all'austerità e al rigore in chiave europeista. Proprio come Tremonti, anche lui euroscettico in anni lontani. Tutto questo potrà rassicurare Berlusconi? Fino a un certo punto. La centralità del ministro dell'Economia, certificata dalla Lega, è un po' la conseguenza dell'emergenza finanziaria. Ma l'effetto è quello di spostare su via XX settembre il baricentro del governo. Il quale si è sostenuto dall'inizio della legislatura sull'asse tra Berlusconi e Bossi. Oggi tale rapporto sussiste ancora, ma è in qualche misura offuscato (e in prospettiva sovrastato) dall'asse tra Bossi e Tremonti. Si tratta, è evidente, di una verità fastidiosa che Berlusconi non ammette. Ma in cuor suo il premier sa che è così. La congiuntura economica opera come un potente acceleratore in grado di cambiare certi equilibri nella maggioranza. Oltretutto in una chiave di stabilità, cioè dando la priorità alle misure di contenimento del debito e mettendo tra parentesi (almeno per adesso) le ipotesi o le tentazioni di elezioni anticipate. Il presidente del Consiglio si trova perciò ad avere le mani legate. Il suo compito per la prima volta tende a essere di retroguardia: dipanare la rete di Anemone, evitando di farsi soffocare dallo stillicidio di rivelazioni e sospetti su di una serie di personaggi che a vario titolo sono stati o sono a lui vicini. Con il rischio che passi nell'opinione pubblica l'idea di un "sistema" di malaffare: non solo pochi casi isolati, bensì un meccanismo bene oliato operante in condizioni di illegalità. È la tesi che l'opposizione, sia pure con qualche cautela, ha cominciato a sostenere. Ed è un pericolo per il premier. Ecco perché Berlusconi ritiene indispensabile una seria controffensiva. Per limitare i danni e recuperare il centro della scena mediatica. Si tratta di separare il proprio destino da quello di un certo numero di collaboratori prima che sia troppo tardi. Si è cominciato con Scajola, si continuerà con altri nomi. Il presidente del Consiglio non può apparire l'uomo che favorisce l'omertà e protegge le figure chiacchierate. Occorre a Berlusconi una piccola "rivoluzione culturale". Anche per non lasciare a Fini lo spazio della difesa della legalità in stile "legge e ordine". Ma il tempo è poco e il rischio di logoramento sempre più grande. ARCHIVIO Venerdí 14 Maggio 2010
Otto pagine con oltre 350 nomi commenti - 4 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 13 maggio 2010
Otto pagine. ognuna con una quarantina di nomi o indirizzi, con indicato sulla sinistra il numero progressivo e l'anno e sulla destra il nominativo o l'indirizzo: è la 'lista Anemone', il documento sequestrato nel 2009 dalla Guardia di finanza dal computer dell'imprenditore ritenuto al centro della cricca che gestiva gli appalti e sulla quale stanno ora lavorando gli inquirenti perugini. Nel lungo elenco compaiono nomi importanti, lavori eseguiti in ministeri e palazzi del potere romano, e semplici indirizzi. Tra i nomi citati ci sono quello del vicepresidente del Csm Nicola Mancino, del sottosegretario Guido Bertolaso, del direttore del Dis (indicato nella lista come 'capo Ps') Gianni De Gennaro, quello di Giancarlo Leone, del regista Andrea Occhipinti e di diverse persone già coinvolte nell'inchiesta sugli appalti, Claudio Rinaldi, Mauro Della Giovampaola e il generale della Guardia di Finanza Francesco Pittorru. Nella lista vi è anche per tre volte l'indicazione del nome Claps. Vi è poi tutta la parte dei lavori eseguiti dalle imprese di Anemone in palazzi istituzionali e ministeri. Sono indicati un ufficio dei servizi in piazza Zama, il Viminale, le sedi della Protezione civile in via Ulpiano e in Via Vitorchiano, diverse caserme della Guardia di Finanza a Roma e nel Lazio, Palazzo Chigi, il ministero del Tesoro e quello delle Politiche Agricole, la caserma dei Carabinieri di Tor di Quinto, il Palazzo dei Congressi all'Eur, la chiesa di Santa Maria in Trevi, la Galleria Alberto Sordi e la sede di Forza Italia. 13 maggio 2010
Scajola non deporrà a Perugia All'esame dei pm la "lista Anemone" di Marco Ludovico e Domenico Lusi Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva commenti - 26 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 13 Maggio 2010 Scajola non deporrà a Perugia All'esame dei pm la "lista Anemone" Non ci sono le necessarie garanzie. Per questo motivo l'ex ministro Claudio Scajola non andrà a testimoniare davanti ai magistrati di Perugia che indagano sui grandi eventi. Per il suo legale, Giorgio Perroni, è evidente che, dopo le notizie sull'inchiesta apparse sulla stampa, Scajola verrebbe sentito "in una veste che parrebbe ormai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti". Per questo la convocazione viene considerata "scorretta". Non solo. Per Perroni la procura umbra non è competente dal momento che "i fatti sono tutti, pacificamente, avvenuti a Roma" e la competenza a giudicare Scajola è del tribunale dei ministri. I fatti sono quelli noti: l'acquisto, il 6 luglio del 2004, dell'appartamento con vista sul Colosseo. Pagato da Scajola, secondo i pm, per oltre la metà con i soldi del costruttore Diego Anemone. In attesa di sapere quale sarà la decisione del tribunale del riesame, che dovrà stabilire se sarà Roma o Perugia a indagare sulle compravendite di case per politici e alti funzionari, avvenute con soldi di Anemone secondo i pm (ma il costruttore nega), la decisione di Scajola innesca la polemica politica. Per il leader dell'Idv, Antonio di Pietro, l'ex ministro non andrà a testimoniare perché sa di essere indagato, mentre la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, definisce "grave e avvilente" la decisione di Scajola. Nel frattempo l'indagine va avanti. Domani sarà fissata la nuova udienza in cui il gip di Perugia esaminerà la richiesta di commissariamento delle aziende del gruppo di Anemone. Su cui proseguono gli accertamenti. Finora gli inquirenti hanno stabilito che, negli ultimi sette anni, il costruttore ha ottenuto solo a Roma appalti per 100 milioni e che, in almeno cinque circostanze, i soldi dell'imprenditore sono stati utilizzati per acquistare appartamenti destinati a personaggi influenti: Scajola, il generale della GdF Francesco Pittorru, Lorenzo Balducci, figlio dell'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo, Ercole Incalza, capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture con l'attuale ministro, Altero Matteoli, e funzionario con il predecessore, Pietro Lunardi. "È una vicenda che mi lascia assolutamente tranquillo" ha commentato ieri Incalza. Di certo, il giro di denaro movimentato finora da Anemone non è stato ancora quantificato appieno. Sotto la lente degli inquirenti c'è un'altra operazione: quella effettuata il 27 e 28 novembre 2003, quando Zampolini versò in contanti, su un suo conto, 200mila e 100mila euro. Operazione collegata, secondo i pm, con l'emissione, il 26 novembre a Merano, di un assegno da 350mila euro all'ordine di Schlandeserser Bau Gmbh srl. Una caparra per alcuni immobili in Piazza della Pigna, a Roma, ha precisato ieri il rappresentate della società, l'immobiliarista altoatesino Peter Paul Poh. Gli inquirenti indagano poi su una lunga lista di nomi contenuti in un computer sequestrato al costruttore lo scorso anno, circa 300 persone. C'è di tutto: case e appalti di politici, attori, manager, vertici ed esponenti delle forze dell'ordine, ma anche figli e mogli di vip. Ristrutturazioni fatte da Anemone dal 2003 al 2008, che comprendono ristrutturazioni private e lavori pubblici. È un documento inedito dell'inchiesta di Perugia: una lista su cui sta lavorando la Guardia di Finanza per scremare e riscontrare appalti, possibili favori ma anche, com'è probabile – e in alcuni casi già accertato – lavori in regola. Una massa comunque imponente di attività che testimonia l'assoluto strapotere di Anemone negli appalti pubblici. Ma è anche una lista che contiene molti nomi, troppi: col rischio di vanificare il lavoro dei magistrati, per lo strascico di polemiche che potrebbe sollevare coinvolgendo anche persone non solo non indagate, ma con le carte a posto. I nomi, dunque. Guido Bertolaso compare quattro volte nelle commesse, di cui una fattura con due indirizzi privati, uno in centro storico o un altro ai Parioli. C'è poi il generale della GdF Francesco Pittorru, caporeparto logistico all'Aisi, che compare tre volte. Scajola ha dato almeno tre volte commesse ad Anemone secondo la lista scovata dalla Finanza. Claudio Rinaldi, indagato dalla procura di Perugia, si ritrova con tre commesse all'imprenditore romano. Mauro Della Giovampaola, dirigente dei Lavori Pubblici, si ritrova con due fatture relative. Ma le ristrutturazioni riguardano anche nomi della politica e non solo. Come il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, o l'ex sottosegretario alla Giustizia, Michele Vietti (Udc). Si ritrova il nome di Giancarlo Leone, dirigente Rai, e di Marco Zanichelli, presidente di Trenitalia. Va precisato, però, che in questi ultimi casi, a differenza di Bertolaso o Della Giovampaola, non si tratta di indagati. Come non lo sono affatto i numerosi alti esponenti delle forze dell'ordine che ci sarebbero nella lista. Nel documento compare monsignor Camaldo, cerimoniere del Papa, già emerso agli atti dell'inchiesta. Il regista Pupi Avati (che ha subito smentito di aver mai ricevuto regali da Anemone) e l'attore e produttore Andrea Occhipinti, già citato nelle cronache giudiziarie del G-8. Spunta anche il nome di "Elisa Claps, Potenza": tutto farebbe pensare, ma non ci sono ancora riscontri, alla giovane donna morta e scomparsa, di cui è stato ritrovato di recente il cadavere in una chiesa del capoluogo lucano. Un mistero nel mistero. Ci sono poi molti lavori effettuati, come era già emerso, presso diversi ministeri. Ma salta all'occhio, in particolare, la voce "Palazzo Chigi–letto" e "Palazzo Chigi-cucina". E poi: appalti al Viminale, il centro Sisde a Piazza Zama, lavori nelle carceri. 13 Maggio 2010
Il dilemma siciliano del Pd su Lombardo di Andrea Franceschi commenti - 1 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 13 maggio 2010 "In Sicilia il Pd è in profondo imbarazzo". Così Nando Dalla Chiesa, ex parlamentare del partito di Pierluigi Bersani ed esponente del movimento antimafia, definisce la situazione che si è venuta a creare sull'isola. Qui infatti il Pd ha avviato un confronto con la nuova maggioranza delineatasi dopo l'azzeramento della giunta deciso dal presidente della Regione giusto un anno fa. Il sostegno del Partito democratico, seppur limitato alle riforme, ha aiutato la sopravvivenza della nuova maggioranza che per ora comprende l'Mpa, Pdl siciliano (che riunisce i finiani e i consiglieri vicini a Gianfranco Miccichè) e l'Alleanza per l'Italia di Francesco Rutelli. Diversi provvedimenti, tra cui l'importante piano rifiuti, sono passati grazie al voto del Pd. Il partito, comunque, resta formalmente all'opposizione, non essendo stato formalizzato per ora alcun accordo per un sostegno esterno. Ma la collaborazione sulle riforme in Sicilia inizia ad andare stretta a diversi esponenti del partito. Soprattutto dopo che si è saputo che il governatore Raffaele Lombardo, suo fratello Angelo, due deputati regionali, Fausto Fagone (Udc) e Giovanni Cristaudo (Pdl-Sicilia), e l'assessore regionale al Turismo, Nino Strano, sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa dalla procura di Catania. Le ultime indiscrezioni apparse sui giornali, che parlavano di un'imminente richiesta d'arresto per il leader dell'Mpa, hanno surriscaldato il clima, già parecchio teso. Il procuratore capo di Catania, Vincenzo D'Agata, ha smentito Repubblica annunciando, sul tema, il silenzio stampa. Da parte sua il governatore è convinto che dietro gli attacchi nei suoi confronti ci sia la stessa criminalità organizzata. Questo in sostanza il suo ragionamento: gli interessi mafiosi nel business dei rifiuti sono stati duramente intaccati dai provvedimenti recentemente adottati dalla sua giunta. Di qui l'attacco politico, mediatico e giudiziario nei suoi confronti. Per avere maggiori indicazioni occorrerà attendere le richieste dei pm che, ha detto il procuratore capo D'Agata al quotidiano La Sicilia, potrebbero arrivare "prima delle ferie estive". Nel frattempo all'interno del Pd cresce il malcontento di quanti, anche prima che si sapesse dell'inchiesta, avevano mal digerito la collaborazione con Raffaele Lombardo. Tra questi appunto c'è Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel 1982. "Il Pd deve capire che Lombardo non è Orlando", dice l'ex senatore, che fa un parallelo tra l'attuale situazione in Regione con quanto avvenuto alla fine degli anni 80 a Palermo. "Allora il partito comunista decise di sostenere la parte sana della Dc di Leoluca Orlando, per combattere quella collusa con la criminalità organizzata rappresentata da Salvo Lima (ex sindaco del capoluogo ucciso nel 1992) . Ma oggi la situazione è diversa e l'inchiesta che coinvolge Lombardo mette il Pd in imbarazzo con i suoi elettori. Capisco le ragioni di realpolitik, ma forse il gioco non vale la candela". Di diverso avviso il segretario del Pd siciliano Giuseppe Lupo che difende la collaborazione con la giunta Lombardo sul tema delle riforme. "Con Lombardo - dice al Sole24Ore.com - non c'è nessun inciucio ma un confronto chiaro e trasparente. Il partito ha dimostrato un forte senso di responsabilità. In una fase difficilissima, con una crisi economica che ha colpito duramente la nostra regione, non ci possiamo permettere una situazione di ingovernabilità. Per questo abbiamo fatto le nostre proposte e votato le leggi che riteniamo nell'interesse esclusivo della Sicilia e per i siciliani. Detto questo voglio ricordare che il Pd non fa parte della maggioranza e non ha i numeri per sfiduciare la giunta. Per quanto riguarda l'inchiesta, noi aspettiamo che la magistratura si pronunci. Se ci sarà una richiesta di rinvio a giudizio noi saremo i primi a chiederne le dimissioni". 13 maggio 2010
2010-05-12 Scajola non si presenterà dai magistrati di Perugia: "Mancano le garanzie difensive" 12 maggio 2010 Scajola non si presenterà dai magistrati di Perugia: "Mancano le garanzie difensive" L'ex ministro Claudio Scajola non si presenterà all'audizione fissata per il 14 maggio davanti ai pm di Perugia perché, dopo le notizie sull'inchiesta apparse in questi giorni sui giornali verrebbe sentito "in una veste che parrebbe ormai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti". Lo afferma, in una nota, l'avvocato Giorgio Perroni, legale di Scajola. In due cartelle diffuse nel pomeriggio alla stampa, dopo l'incontro di questa mattina con i Pm di Peruguia, è l'avvocato Giorgio Perrone - legale di fiducia dell'ex ministro Claudio Scajola - che si assume la responsabilità in prima persona di impedire che Scajola si presenti dai magistrati che lo hanno convocato come persona informata dai fatti, cosa che fino a qualche giorno fa invece Scajola diceva di essere prontissimo a fare, rinviando al giorno dopo quell'incontro il chiarimento in Parlamento chiesto dalle opposizioni dopo le indiscrezioni di stampa. La nota del legale di Scajola. "Comunico - scrive l'avvocato Perrone- di essermi recato questa mattina presso la Procura di Perugia e di aver avuto un colloquio con i pubblici ministeri titolari dell'indagini. Questo pomeriggio ho deciso di non far presentare il mio assistito, onorevole Claudio Scajola, all'audizione come persona informata sui fatti fissata per il 14 maggio, dandone comunicazione ai magistrati. Le ragioni di questa mia personale scelta vanno rinvenute nella singolare situazione che, a mio avviso, si è venuta a determinare". "Ormai da giorni - denuncia il legale - la stampa nazionale riporta, infatti, quel che viene rappresentato come il contenuto di atti di indagine (testimoniali e documentali) concernenti la compravendita di un immobile sito a Roma, in via del Fagutale numero 2, di proprietà del ministro Scajola e oggetto di investigazione da parte della Procura di Perugia. In particolare secondo quanto riportato dai giornali, le persone sentite hanno riferito che il prezzo dell'immobile fu, per 900mila euro, pagato con assegni circolari consegnati brevi manu alle venditrici dallo st4esso ministro, tratti da un conto corrente intestato all'architetto Zampolini e la cui provvista era riconducibile all'imprenditore Diego Anemone". "Più di recente, poi - prosegue l'avvocato - la stampa ha riferito che la Procura di Perugia sta indicando in ordine a preziosi favori che l'onorevole Scajola avrebbe, precedentemente alla compravendita de qua, elargito a Diego Anemone, facendo esplicito riferimento sia l'appalto concernente il cantiere del centro Sisde di piazza Zama a Roma sia al rilascio del nulla osta di sicurezza, entrambi cronologicamente collegabili in un periodo in cui l'onorevole Scajola era ministro dell'Interno. Alla luce di tali notizie, che si dimostreranno non conformi al vero, non riesco obiettivamente a comprendere come la procura di Perugia possa valutare di sentire l'onorevole Scajola in una veste che parrebbe ormai solo formalmente, ma non già sostanzialmente, quella di persona informata sui fatti". "Tale situazione, a mio avviso, - denuncia e conclude l'avvocato Perrone - non è corretta su un piano tecnico processuale e mi determina un incomprensibile stato di imbarazzo a consentire che la richiesta audizione avvenga secondo le modalità indicate e senza, quindi, il rispetto delle garanzie difensive normativamente previste. E', inoltre, mia convinzione chela procura di Perugia non sia competente a conoscere di questa vicenda sia perchè i fatti sono tutti, pacificamente, avvenuti a Roma, sia perchè, in ogni caso la competenza a giudicare il ministro Scajola sarebbe, eventualmente, di altro organo, ovvero a dire del Tribunale dei ministri. In questa situazione ho deciso di non far presentare il ministro Scajola dinanzi ai pubblici ministeri". Le dimissioni di Scajola. Berlusconi prende l'interim Scajola prima dai pm poi in aula 12 maggio 2010
2010-05-11
2010-05-09 Bertolaso: speravo nell'archiviazione Sabato 08 Maggio 2010 "Dai nostri archivi" Bertolaso sull'inchiesta G-8: "Speravo in un'archiviazione, ma ho fiducia nel magistrati" G8, Bertolaso rimette l'incarico Il premier respinge le dimissioni Letta difende Bertolaso e la gestione degli appalti all'Aquila Non toglieteci Bertolaso, la protezione civile si muove sul web Sviluppi nelle indagini sul G8, arriva una "settimana calda" Domenico Lusi ROMA "Le accuse contro di me non hanno alcun fondamento, sono frutto di equivoci". Guido Bertolaso conclude così la sua lunga arringa difensiva. Poco più di un'ora di conferenza stampa per respingere le accuse di corruzione che gli contestano i magistrati di Perugia: avere favorito le imprese di un imprenditore "amico", Diego Anemone, negli appalti per il G8 della Maddalena in cambio di denaro e prestazioni sessuali. La sede scelta dal capo della Protezione civile è inconsueta: Palazzo Chigi. "Mi ha autorizzato il presidente Berlusconi, devo difendere la mia dignità, l'istituzione che rappresento, questa maglietta" si giustifica Bertolaso, indicando la felpa blu con lo stemma della Protezione civile che indossa. Parole che non convincono l'opposizione. "Dovrebbe sapere che ci sono i tribunali, quella è la sede propria in cui ci si difende" gli risponde Sesa Amici (Pd). "Una conferenza imbarazzante" chiosa il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi. "Speravo di essere qui a commentare l'archiviazione o lo stralcio della mia posizione nell'inchiesta sul G8, ma non è stato così, le indagini si protrarranno a lungo" esordisce il numero uno della Protezione civile. Che esibisce slide, trascrizioni di intercettazioni, documenti, persino l'abbonamento da socio del Salaria Sport Village di Roma. Tutto messo in onda nel circuito interno della sala stampa di Palazzo Chigi. "Non ho ricevuto favori, viaggi, nessun parente è stato assunto, nessuna casa mi è stata affittata o comperata" si difende Bertolaso. Che ribadisce la fiducia nei magistrati di Perugia. E ammette: "Posso avere commesso degli errori, ma non ho mai mentito agli italiani". Il sottosegretario passa alla ricostruzione dei fatti. Durante la gestione dell'allora commissario straordinario Fabio De Santis (indagato) i costi dei lavori per il G8 della Maddalena lievitarono da 300 a circa 600 milioni di euro. "Il 15 ottobre 2008 – prosegue – dopo le prime notizie di irregolarità, nominai nuovo soggetto attuatore dei lavori Gianmichele Calvi". Che riesce a ridurre i costi a 380 milioni, andando quindi contro gli interessi di Anemone, che si era aggiudicato l'appalto per l'ex arsenale della Maddalena. "Il costo finale sarà di 410-415 milioni. La commissione Ue ha riconosciuto che non ci sono state irregolarità" aggiunge. Che ammette i rapporti con Anemone. Fu lui a ristrutturare la casa della moglie, 20mila euro regolarmente fatturati. "Non mi sono mai messo in condizione di potere essere ricattato – sottolinea Bertolaso –. Nessuna delle imprese dei soggetti coinvolti nell'inchiesta ha avuto appalti a l'Aquila. Non ci sono state compensazioni per ciò che avevamo tagliato a La Maddalena". Quanto ad Angelo Balducci, anche lui indagato, lo elogia: "L'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici è sempre stato un gentiluomo". Bertolaso passa poi alle presunte prestazioni sessuali al Salaria Sport Village: "Mia figlia ha fatto rieducazione lì, mia moglie ci ha lavorato. Vi pare che sarei andato a fare sesso a pagamento proprio lì?". Quanto a Monica, la massaggiatrice brasiliana con cui, secondo i pm, avrebbe consumato un rapporto per favorire Anemone negli appalti, Bertolaso scherza: "Lo ammetto, mi ha fatto vedere le stelle, mi ha sconocchiato, ma era solo un massaggio". Quindi svela un retroscena: "L'ultima volta che ho visto Clinton volevo fargli una battuta: io e lei abbiamo in comune un problema che si chiama Monica. Poi ho desistito". © RIPRODUZIONE RISERVATA Sabato 08 Maggio 2010
Battuta di Bertolaso su Clinton. Il governo si dissocia 8 maggio 2010 Battuta di Bertolaso su Clinton. Il governo si dissocia (Olympia) "Dai nostri archivi" Bertolaso: speravo nell'archiviazione Berlusconi: "La libertà di stampa? Fin troppa" Haiti, Frattini si dissocia da Bertolaso sulle critiche ai soccorsi Letta difende Bertolaso e la gestione degli appalti all'Aquila Il mese difficile di Bertolaso: dalla gaffe Haiti alle dimissioni
Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, incappa nuovamente in una battuta che gli procura una presa di distanza da parte del governo, nella persona del ministro degli Esteri Frattini. Ieri il sottosegretario aveva detto di aver avuto in comune con l'ex presidente americano Bill Clinton "un problema che ha lo stesso nome: Monica", e oggi la Farnesina è costretta a puntualizzare che la battuta non voleva essere "offensiva", nè era indirizzata a mettere in dubbio la stima dell'Italia verso Clinton. Frattini ha anche aggiunto, però, che la battuta non riflette il pensiero del governo. Bertolaso, ha spiegato Frattini, ha solo inteso fare "una battuta, certo non offensiva e non indirizzata in alcun modo a mettere in dubbio l'amicizia e la stima profonda del governo e del popolo italiano nei confronti dell'ex presidente americano". Il riferimento alla "signora Monica" di Bertolaso riguarda una delle massaggiatrici con cui aveva avuto a che fare al Salaria Sport Village di Roma. "Mai avuto problemi reali con la signora Monica", ha assicurato Bertolaso: "Non ho mai mentito agli italiani per quello che riguarda il mio comportamento. Credo di avere la coscienza pulita". 8 maggio 2010
2010-05-05 Verdini indagato per corruzione in un'inchiesta sugli appalti in Sardegna 5 maggio 2010 Appalti G8: Denis Verdini indagato per corruzione Il parlamentare del Pdl, Denis Verdini, è indagato per il reato di corruzione nell'ambito dell'inchiesta su un presunto comitato d'affari che coinvolge, tra gli altri l'imprenditore Flavio Carboni. L'iscrizione di Verdini sul registro degli indagati è stata decisa dai responsabili degli accertamenti, i pm Ilaria Calò, Rodolfo Sabelli ed il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Nei giorni scorsi è stata anche perquisita la sede del Credito cooperativo fiorentino, di cui Verdini è presidente. Oltre a Carboni, nelle scorse settimane hanno ricevuto l'avviso proroga dell'inchiesta altre quattro persone: il costruttore Arcangelo Martino; Pinello Cossu, consigliere provinciale di Iglesias; Ignazio Farris, consigliere dell'Arpa Sardegna; e un giudice tributario, Pasquale Lombardo. Molte delle ipotesi accusatorie sarebbero basate su intercettazioni, ma anche su un giro di assegni. Per questo si è proceduto al controllo dell'istituto di credito e di conti lì intestati. Le verifiche dei magistrati e dei carabinieri, sarebbero concentrate su diversi appalti pubblici, tra cui alcuni in Sardegna, connessi allo sviluppo di energie alternative. D'Alema s'infuria a Ballarò VIDEO / D'Alema a Ballarò IL PUNTO / Il caso Scajola lascia un'ombra sul governo. E Berlusconi lo sa (di Stefano Folli) Scajola si dimette. Berlusconi prende l'interim del ministero La seconda sconfitta del ministro di Imperia (di Gerardo Pelosi) REAZIONI / Gasparri: che coraggio. Bersani: difesa che sconcerta SUCCESSORE PROBABILE / Romani cresciuto a pane e tv (di Marco Mele) Nell'indagine sarebbero 30 i politici coinvolti VIDEO / Le dimissioni di Scajola (da C6.tv) 5 maggio 2010
STEFANO FOLLI Il caso Scajola lascia un'ombra sul governo. E Berlusconi lo sa 5 maggio 2010 In una futura antologia delle battute più felici pronunciate da Silvio Berlusconi non troverà posto la frase di ieri: "In Italia di libertà di stampa ce n'è fin troppa". L'argomento è di quelli su cui un politico non dovrebbe scherzare troppo. Soprattutto nelle stesse ore in cui un importante ministro del suo governo si dimette accusando i giornali di averlo sottoposto a "un processo mediatico". Si deve rispettare la sofferenza umana di Claudio Scaloja e il suo gesto dignitoso, da uomo che ha compreso l'inutilità dei rinvii. Specie alla luce della scarsissima solidarietà raccolta nel suo partito, dove tanti lo consideravano già liquidato ormai da un giorno o due. Ma al tempo stesso è opportuno ricordare al presidente del Consiglio e allo stesso ministro dimissionario che non c'è stata alcuna "gogna mediatica". I giornali hanno svolto la loro funzione civile man mano che emergevano particolari inquietanti e paradossi inspiegabili intorno alla strana compravendita dell'appartamento con vista sul Colosseo. Il responsabile dello Sviluppo economico, che tuttora non risulta indagato, avrà ora modo di spiegarsi con i magistrati e di difendersi in ogni sede. Ma dal punto di vista politico la sua permanenza in carica non aveva più senso. E anzi gettava un'ombra obliqua sull'intero governo, nonché sul partito di maggioranza relativa. Con la solita abilità tattica, il premier lo ha compreso prima di altri. Ed è corso ai ripari, facendo capire a Scajola che era giunta l'ora del ritiro. Questo non significa che la vicenda sia chiusa. Al contrario, l'incidente è grave, ma non solo: quel che è peggio, potrebbe essere l'avvisaglia di una valanga che sta rotolando a valle. Se davvero un "sistema" limaccioso operava nell'ombra, con le sue reti di complicità e il tornaconto di tanti, il caso Scajola potrebbe essere il primo episodio di una storia ancora da scrivere. Forse anche per questo Berlusconi ha deciso di tagliare corto, pur sapendo che la credibilità del governo ne sarebbe stata comunque incrinata. Ma sotto il profilo politico la tentazione di minimizzare, o peggio l'omertà, era con tutta evidenza una scelta suicida. Ora si tratta di gestire le conseguenze della vicenda. Non sarà semplice per Palazzo Chigi. In primo luogo, come si è detto, si tratta di capire se le inchieste giudiziarie (e giornalistiche) riserveranno altre sorprese. In secondo luogo c'è da scegliere il nuovo ministro: operazione che rientra nella potestà di Berlusconi e che non dovrebbe dar luogo a problemi irrisolvibili. Molto più difficile sarà affrontare il terzo punto: la questione della legalità e della trasparenza, la lotta alla corruzione. La corrente che fa capo al presidente della Camera sta già sollevando una bandiera su cui campeggia il motto "Legge e Ordine". Lo strumento di questa battaglia insidiosa, da combattere tutta all'interno del Pdl, è proprio il disegno di legge sulla corruzione: annunciato più che altro per ragioni elettorali all'inizio di marzo e poi inabissatosi, anche per difficoltà tecniche. Fini e i suoi hanno deciso di farne un vessillo. Con un messaggio chiaro: da un lato ci sarebbero quelli che vogliono limitare le intercettazioni e ostacolare la magistratura; dall'altro quelli che intendono combattere sul serio i fenomeni di collusione fra politica e affari. E i due "partiti" convivono all'interno del Pdl. L'affare Scajola equivale a benzina gettata sul fuoco. E Berlusconi ne è consapevole
2010-05-04 Il ministro Scajola si è dimesso, la solidarietà del premier di Nicoletta Cottone 4 maggio 2010 Scajola si è dimesso Per il Cavaliere l'ex ministro ha dimostrato lasciando l'incarico di governo il suo "alto senso dello Stato". In una conferenza stampa Scajola ha detto: "Per difendermi non posso continuare a fare il ministro" Si è dimesso il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. "Per difendermi non posso continuare a fare il ministro", ha detto, annunciando le sue dimissioni nel corso di una conferenza stampa convocata questa mattina, alle 11,30, nella sede del ministero di via Veneto. Il ministro dimissionario ha incontrato nel pomeriggio il premier a Palazzo Chigi. "Il ministro Scajola - ha scritto in una nota il premier - ha assunto una decisione sofferta e dolorosa, che conferma la sua sensibilità istituzionale e il suo alto senso dello Stato, per poter dimostrare la sua totale estraneità ai fatti e fare chiarezza su quanto gli viene attribuito". Ha lasciato l'incarico, ha detto Scajola nel corso della conferenza stampa, perché "convinto di essere estraneo a questa vicenda e sicuro che sarà dimostrato, ma poiché considero la politica un'arte nobile, per esercitarla bisogna avere le carte in regola, senza sospetti". Le sue dimissioni, ha precisato, "permetteranno al governo di andare avanti". L'ex ministro ha detto di essere al centro di "una campagna mediatica senza precedenti, su una inchiesta giudiziaria nella quale non sono indagato", di trovarsi "quotidianamente esposto a ricostruzioni giornalistiche di cui non conosco il contenuto e che sono contraddittorie tra di loro. In questa situazione di grande sofferenza e che non auguro a nessuno, io mi devo difendere". Dopo queste dichiarazioni Scajola è andato via dalla sala del Parlamentino, dove si svolgeva la conferenza stampa, senza rispondere alle domande dei giornalisti presenti. Scajola è chiamato a rispondere dell'acquisto di un appartamento con vista sul Colosseo che, secondo le carte in possesso della procura di Perugia, risulterebbe pagato in parte con 900mila euro di fondi in nero girati dall'imprenditore Diego Anemone, coinvolto nell'inchiesta sul G-8 alla Maddalena. Si tratta di un appartamento di 180 metri quadrati, di 9,5 vani, acquistato da Scajola dalle sorelle Barbara e Beatrice Papa il 6 luglio del 2004, dichiarato nell'atto notarile per 610mila euro, che sarebbe invece stato pagato 1,7 milioni di euro. Dagli accertamenti bancari risulterebbe che per l'acquisto della casa sarebbero stati utilizzati anche 80 assegni, secondo la procura di Perugia, ottenuti dall'architetto Angelo Zampolini, progettista del gruppo Anemone, versando 900mila euro in contanti presso una delle agenzie della Deutsche Bank, intestati direttamente alle proprietarie dell'abitazione. L'ex ministro sarà sentito il 14 maggio prossimo dai pubblici ministeri come persona informata dei fatti, cioè in qualità di testimone. La vicenda è stata definita dal ministro "un vero e proprio processo mediatico" che ha come unico scopo quello di "infangarlo". Scajola nel corso della conferenza stampa ha detto che "un ministro non può sospettare di abitare in un'abitazione in parte pagata da altri". Sarebbe questa la "motivazione più forte" che lo avrebbe indotto ad annunciare le sue dimissioni. Scajola ha detto che se dovesse acclarare che l'abitazione "fosse stata in parte pagata da altri senza saperne il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciteranno le azioni necessarie per l'annullamento del contratto di compravendita". L'ex ministro era rientrato ieri sera a Roma da una missione in Tunisia, in anticipo rispetto al programma che prevedeva il suo ritorno per oggi. Stamane avrebbe avuto un colloquio telefonico con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel quale il premier lo avrebbe invitato a non lasciare l'incarico. Il tam tam sulle possibili dimissioni di Scajola circolava da giorni. L'ex ministro aveva anche annunciato di voler riferire sulla vicenda in parlamento solo dopo aver parlato con i magistrati di Perugia "come persona informata dei fatti". 4 maggio 2010
La seconda sconfitta del ministro ligure di Gerardo Pelosi commenti - 4 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 4 maggio 2010 "Dai nostri archivi" Scajola prima dai pm poi in aula Il ministro Scajola si è dimesso, la solidarietà del premier Due settimane di attesa per i chiarimenti sono troppe Scajola: "Colpita la famiglia, ma ho la coscienza pulita" Scajola in bilico. Oggi faccia a faccia con Berlusconi
ROMA- "Mi piacciono le cose che funzionano" avrebbe detto a chi lo interrogava sullo stato di efficienza della collezione di auto e moto d'epoca chiuse nel garage della sua villa, sulle colline di Imperia. Un decisionista nato Claudio Scajola, semplicemente "u ministru" come la chiamano a Imperia o "sciaboletta" come è conosciuto a Roma. Ma sempre e comunque interprete perfetto dello "zeitgeist" dominante. Doppiopetto prima e doppiopetto ora. Con pochissime concessioni al gusto cambiato. Cresciuto all'ombra del ras della dc ligure, Paolo Emilio Taviani, gli anni '80 e '90 lo vedono amministratore pubblico e sindaco di Imperia. Poi coinvolto nella vicenda per l'appalto del Casinò di Sanremo, indagato dal procuratore di Milano Piercamillo Davigo e recluso per 70 giorni a San Vittore, quindi prosciolto. Infine, nel '95, approda a Forza Italia dove Silvio Berlusconi, che apprezza tutto quel decisionismo, lo nomina responsabile dell'organizzazione del partito. Il suo lavoro piace e gli vale la poltrona di ministro dell'Interno dopo le elezioni del 2001. La prova del fuoco è il G8 di Genova. Al consiglio europeo di Goteborg, un mese prima, era rimasto sull'asfalto un dimostrante ferito dalle forze dell'ordine. "Non voglio che accada a Genova una cosa simile" ammonisce il "cavaliere". Il capo della polizia, Gianni De Gennaro, lo rassicura: "Il nostro modus operandi è totalmente diverso da quello della polizia svedese". Sta di fatto che a Genova ci scappa il morto, Carlo Giuliani. Scajola ammette di avere dato l'ordine di sparare se fosse stata sfondata la zona rossa. Poi ritratta. Ma sotto accusa è De Gennaro per il quale si pensa a un ben retribuito esilio in un ufficio Onu contro la droga (ma il segretario Kofi Annan non ci sta a togliere le castagne dal fuoco al governo Berlusconi). Si arriva al 2002 e all'assassinio del giuslavorista Marco Biagi, professore dell'Università di Modena, consulente prima del ministro del Lavoro Bassolino e poi del successore Roberto Maroni. Divampa la polemica sulla scorta negata. Il 29 giugno del 2002 nella stazione della polizia marittima di Limassol appena chiusa la conferenza stampa che annuncia la consegna di nuovi pattugliatori italiani alla marina cipriota in funzione anti-immigrazione, Scajola parla del terrorismo che tornerà a colpire. Ma a Bologna, chiediamo al ministro l'inviato del Corriere Dino Martirano e chi scrive, se ci fosse stata la scorta Biagi non sarebbe stato colpito. Aggiungo: "Si ricorderà, ministro, che nel processo Moro è agli atti che numerosi br pentiti o dissociati ebbero a spiegare che il loro obiettivo iniziale da colpire era Andreotti che già all'epoca si serviva di un'auto blindata mentre il capo scorta di Moro, maresciallo Leonardi usava la Fiat 130 di serie perché riteneva le blindate poco affidabili; di lì la scelta di colpire Moro; quindi le protezioni un risultato di deterrenza ce l'hanno comunque". "Allora dovremmo difendere tutti quanti" risponde indispettito il ministro. E io ribatto: "Ma Biagi non era uno qualunque, aveva scritto il libro bianco, era consulente del ministro del Welfare, della Cisl della Confindustria... era una figura centrale nel dibattito sulle riforme..". Scajola ha un abito leggero color panna. È senza cravatta e ha la giacca appesa a un dito dietro le spalle. Non risponde al momento. Fa per andarsene. Poi ci ripensa e si para nuovamente davanti a noi: "Ma quale figura centrale – ci dice - fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva solo il rinnovo del suo contratto di consulenza". Interviene il suo addetto stampa Roberto Arditti, lo sottrae a qualunque ulteriore spiegazione e ci dice: "Adesso basta, il ministro deve imbarcarsi, lo aspettano sulla motovedetta Odysseus". La navigazione è tranquilla fino all'approdo. Poi colazione al ristorante Zephiros di Limassol. Nessuno torna più su Biagi, tantomeno Scajola che forse avrebbe potuto aggiungere dettagli e spiegare il senso delle sue dichiarazioni. Poi qualche giorno di buriana fino alle dimissioni. Ma nessuno fa quello che Scajola aveva suggerito: chiedere lumi a Maroni che in effetti si era servito dell'opera di Biagi ma dopo molte diffidenze. Curioso che sia stato proprio Maroni, nell'ultima vicenda dell'appartamento pagato in nero, il più impegnato a difendere Scajola. Una cosa è certa: queste seconde dimissioni, così come le prime non coincideranno affatto con la morte politica di Scajola. Lui continuerà a svolgere per il "capo" ossia per Berlusconi il ruolo che gli spetta nel partito pronto a rientrare in una responsabilità di governo se e quando le circostanze lo consentiranno. Per ora si tratta solo di uscire momentaneamente di scena. E consolarsi, magari, lucidando le auto d'epoca nel garage della villa di Imperia. 4 maggio 2010
Le reazioni al caso Scajola Gasparri: "Coraggio da apprezzare" Bersani: "Difesa che sconcerta" commenti - 2 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 4 maggio 2010 "Dai nostri archivi" Il ministro Scajola si è dimesso, la solidarietà del premier Scajola prima dai pm poi in aula Scajola: non mi faccio intimidire La seconda sconfitta del ministro ligure Due settimane di attesa per i chiarimenti sono troppe "Ho appreso delle dimissioni di Scajola dalle agenzie di stampa. Lui le ha motivate con la volontà di difendersi più liberamente svestito dal ruolo istituzionale. Penso sia un gesto che si è determinato per rendere un servizio al Paese". Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano, commenta le dimissioni del ministro Scajola, parlando a Napoli a margine di un appuntamento alla Corte d'appello. A chi gli chiede se questo gesto sia un'assunzione di responsabilità, Alfano risponde che "assolutamente no se si intende il riconoscimento del torto. Se invece si intende un gesto che gli consente di difendersi di fronte all'opinione pubblica, di fronte a un attacco derivato dalle notizie pubblicate dai giornali e di parlare svestito della carica governativa di fronte al giudice, allora sì". Il ministro aggiunge ancora che Scajola "ha compiuto una scelta che lo pone come un cittadino che intende difendersi", conclude. Cicchitto (Pdl): Solidarietà per la sentenza mediatica" "Ribadisco la mia solidarietà al Ministro Scajola e gli esprimo il più forte augurio che le sue dimissioni servano a chiarire tutta la situazione visto che esse avvengono in una situazione singolare perchè le comunicazioni giornalistiche e mediatiche hanno largamente prevalso sul confronto propriamente giudiziario che invece avverrà nel futuro". Lo afferma in una nota il presidente dei deputati del pdl, Fabrizio Cicchitto, sottolineando come "negli anni passati la 'sentenza anticipatà ha rappresentato uno degli elementi pi— inquietanti della vicenda italiana". Gaparri (Pdl): "Apprezziamo il suo coraggio" Il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, "prende atto" della decisione del ministro Pdl Claudio Scajola di rassegnare le dimissioni in seguito al suo coinvolgimento nell'inchiesta di Perugia sul G8. "Decisione sofferta - commenta Gasparri - apprezziamo il suo coraggio di assumersi questa responsabilità prima ancora che la vicenda desse luogo ad accuse". "Ci auguriamo - aggiunge Gasparri, fermato dai cronisti al termine della conferenza dei capigruppo - che possa dimostrare la sua totale estraneità alla vicenda". Quanto all'ipotesi che le dimissioni possano essere respinte, Gasparri ne dubita: "Io credo che se Claudio ha assunto questa decisione ed ha mostrato questa determinazione, non lo ha fatto per compiere un ato solo formale. Poi ovviamente il presidente del Consiglio farà le sue valutazioni, ma Scajola ha voluto distinguere la sua ottima azione di governo da questa vicenda da cui penso che uscirà a testa alta". Bersani: "Sconcertato, forse esistono benefattori sconosciuti" "Tutto questo ci lascia veramente sconcertati: questo mi viene da dire, ascoltato le parole di Scajola". Lo ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, commentando le parole di Scajola a proposito della possibilità che il suo appartamento sia stato pagato da altri a sua insaputa. "Ne abbiamo viste tante - ha aggiunto riferendosi alle parole del ministro in conferenza stampa sull'acquisto del suo appartamento a Roma - forse siamo in presenza di benefattori sconosciuti: così siamo nella tipicità italiana. Mi auguro che Scajola sia in grado di dimostrare le cose che dice". Bersani ha commentato le decisioni del ministro proprio mentre questi stava tenendo la conferenza stampa, che è stata trasmessa da Repubblica Tv durante l'intervento di Bersani. "Le cose dette fin qui per tentare di dare spiegazioni - ha detto il segretario del Pd - non sono convincenti per nessuno. Se non ha altro da aggiungere, mi sembra inevitabile che Scajola rassegni le dimissioni". "Voglio credere - ha poi proseguito - che questo verminaio che è emerso a proposito di meccanismi di appalti con procedure secretate o straordinarie, venga scavato fino in fondo, che la magistratura sia messa in condizioni di fare quello che deve fare. Tutto questo è intollerabile; non possiamo accettare che nel cuore dello Stato ci sia un conto aperto per la corruzione". Finocchiaro (Pd): "I fatti sono di una solarità evidente" "Le dimissioni di Scajola sono un atto corretto. Era difficile sostenere la sua posizione ed ha fatto bene a rassegnare le dimissioni". Lo afferma il capogruppo dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, al termine della Conferenza dei capigruppo. Alla domanda se Berlusconi respingerà le dimissioni di Scajola, Finocchiaro commenta: "In questo caso il ministro vada dai magistrati e subito dopo venga in Parlamento. Ci sono accuse gravi - prosegue Finocchiaro - che vengono riportate dagli organi di stampa di tutte le tendenze politiche. I fatti sono di una solarità evidente". Donadi (Idv): "Dimissioni tardive, ma sono una lezione per la Casta" "Le dimissioni di Scajola sono tardive, ma rappresentano comunque una vittoria delle opposizioni e una lezione per la Casta: nessuno è intoccabile". Lo afferma il capogruppo Idv Massimo Donadi secondo il quale "ora sarà la magistratura ad accertare le responsabilità. La politica deve recuperare l'etica pubblica ed il rispetto della legalità". "Idv è da sempre impegnata in questa battaglia - aggiunge Donadi -. Il governo non può far finta di niente e neanche il parlamento, per questo è indispensabile portare in Aula al più presto il Ddl anticorruzione". 4 maggio 2010
IL SUCCESSORE PROBABILE / Romani cresciuto a pane e tv di Marco Mele commenti - 1 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 4 maggio 2010 IL CANDIDATO PROBABILE / Romani cresciuto a pane e tv "Dai nostri archivi" Digitale pay: Mediaset chiude alla concorrenza Digitale terrestre, a metà novembre lo switch off di Roma Pay Tv, pronto un decreto per abbassare la pubblicità oraria. Fox: "Danni per i concorrenti di Mediaset" "Centro di produzione Rai nel sito Expo" Mediaset in piazza a Roma: il digitale non si rinvia "Da giovane andavo con il phon nei boschi per scongelare i trasmettitori televisivi". Paolo Romani, fino a oggi viceministro delle comunicazioni, "sin da piccolo" si occupa di emittenza radiotelevisiva. Comincia nel 1974 con TeleLivorno, poi passa a lavorare con l'editore Alberto Peruzzo a Rete A. Dall'86 al 90 è amministratore delegato di Telelombardia, poi coinvolta da un fallimento. Dal 1994 viene nominato deputato e dal 1998 al 2005 è coordinatore regionale di Forza Italia per la Lombardia. E stato, tra l'altro, presidente della IX Commissione della Camera su Trasporti, Poste e Telecomunicazioni dal giugno 2001. Dopo essere stato per due volte sottosegretario alle Comunicazioni, è nominato viceministro nel maggio 2009. Ha chiuso ieri la quinta Conferenza Nazionale sul digitale terrestre parlando senza peli sulla lingua: o le televisioni investono sulla capacità assegnata (gratuitamente) agli operatori nazionali e locali, sfruttando tutta la banda, al contrario di quanto avviene nel Lazio, nel Piemonte Occidentale, in Sardegna e nelle altre aree digitali, oppure sarà difficile difendere davanti alla Ue la mancanza di un dividendo digitale costituito da frequenze tv in eccesso da dedicare alla banda larga mobile. Dà invece una sponda alle tv locali contro il nuovo Piano dell'AGCOM. Non ha esitato a precipitarsi a Bruxelles per convincere la direzione alla concorrenza comunitaria a non concedere a Sky una riduzione degli obblighi contratti sino al 31 dicembre 2011. "Ho rappresentato gli interessi dell'intero sistema tv, non quelli di Mediaset" ha detto ieri dal palco del Teatro Dal Verme e può giustamente rivendicare la soluzione del caso Europa 7, per il quale è stata importante la vecchia amicizia con Francesco Di Stefano, da pionieri della tv commerciale. Se sarà il nuovo ministro delle Sviluppo Economico porterà in dote la profonda conoscenza dell'apparato dell'industria elettronica, informatica e delle telecomunicazioni. Senza mai perdere d'oc chio le "sue" televisioni. 4 maggio 2010
La procura chiede giudizio immediato per gli indagati dell'inchiesta Grandi eventi commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 4 maggio 2010
La procura di Firenze ha depositato la richiesta di giudizio immediato per Angelo Balducci, Fabio De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli e Guido Cerruti, arrestati nell'ambito dell'indagine sull'appalto per la scuola marescialli dei carabinieri di Firenze, filone toscano dell'inchiesta sui Grandi eventi. Le posizioni degli altri indagati sono state stralciate. Secondo quanto previsto dal codice di procedura penale il pubblico ministero può richiedere il giudizio immediato, entro centottanta giorni dall'esecuzione della misura, "per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini". La richiesta è stata depositata al gip, che ha cinque giorni per emettere il decreto con il quale dispone il giudizio immediato o rigetta la richiesta, ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero. 4 maggio 2010
Ciarrapico indagato per truffa ai danni dello Stato commenti - 4 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 4 maggio 2010 Ciarrapico indagato per truffa ai danni dello Stato "Dai nostri archivi" San Marino "apre" sulle rogatorie dall'Italia E nell'indagine sarebbero 30 i politici coinvolti Il redditometro guida i controlli del fisco "Prorogare divieto per incroci tra tv e carta stampata" Stefania Prestigiacomo indagata per peculato Il senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico è indagato dalla Procura di Roma per truffa aggravata ai danni dello Stato. Oltre a Ciarrapico sono indagate altre sei persone, tra cui il figlio Tullio. L'indagine si riferisce alla fraudolenta percezione di contributi destinati all'editoria per importi complessivi pari a circa 20 milioni di euro dal 2002 al 2007. I contributi sono stati percepiti dalle società editrici Nuova Editoriale Oggi e Editoriale Ciociaria Oggi. Su richiesta della Procura di Roma, la Guardia di Finanza ha posto sotto sequestro a Roma, Milano e altre località italiane, conti correnti, immobili, quote societarie e un'imbarcazione di lusso per un importo complessivo di circa 20 milioni. Tutti i beni posti sotto sequestro sono riconducibili, attraverso intestazioni fittizie, allo stesso senatore Ciarrapico. Le indagini, condotte dall'aggiunto Pietro Saviotti e dal sostituto Simona Marazza, e affidate al Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza guidato dal colonnello Leandro Cuzzocrea, hanno portato ad accertare, si legge in una nota diramata dalla Procura, "gravi fatti di fraudolente percezioni di contributi all'editoria" erogati dal Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri. I contributi su cui indaga la Procura di Roma vanno dal 2002 al 2010, per importi annuali di circa 5 milioni di euro. I sequestri preventivi posti in essere dalle Fiamme Gialle si riferiscono ai contributi illegittimamente percepiti dal 2002 al 2007. I contributi per il 2008, il 2009 e il 2010 non sono stati invece erogati proprio per effetto dell'inchiesta condotta da Piazzale Clodio. Gli altri indagati, tutti per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono prestanome o amministratori di fatto o di diritto delle società coinvolte. La legge per l'editoria del 201 del 1990 prevede che, per accedere ai contributi, le società editrici debbano possedere determinati requisiti: devono essere scisse tra di loro, vale a dire non devono esserci collegamenti tra le società editrici; in secondo luogo le società devono essere partecipate da una società cooperativa al 51 per cento. Nel caso in questione, secondo gli inquirenti, i contributi sono stati chiesti da due società editrici, la Nuova Editoriale Oggi e la Editoriale Ciociaria Oggi, che fanno parte di uno stesso gruppo societario e che non sono partecipate al 51% da una società cooperativa. I sequestri riguardano conti correnti, fondi, immobili, le quote societarie delle due società coinvolte e di altre aziende che operano nel settore sanitario. Sotto sequestro anche un'imbarcazione di Ciarrapico ormeggiata nel porto di Gaeta. La gestione dei beni sotto sequestro é affidata al custode giudiziale nominato dal gip. I sequestri, fanno presente gli investigatori, non incidono sull'operatività delle società coinvolte. L'inchiesta nasce da una serie di accertamenti a campione sui contributi all'editoria condotti dalla Guardia di Finanza. (Il Sole 24 Ore Radiocor) 4 maggio 2010
2010-05-02 Per Calderoli Fini soffre la "frustrazione di eterno delfino" 2 maggio 2010 Per Calderoli Fini soffre la "frustrazione di eterno delfino" "Dai nostri archivi" Fini: non divorzio ma chiedo rispetto Battaglia nel Pdl sui vertici del gruppo a Montecitorio Il duro botta e risposta tra Fini e il Cavaliere "Bocchino dimissionato senza ragione", dice Fini Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini Roberto Calderoli interpreta lo scontro tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi anche come il frutto della "frustrazione del presidente della Camera rispetto al ruolo perenne di delfino del premier che non spicca mai il volo". In un'intervista alla trasmissione Rai "In mezz'ora" il ministro leghista osserva che Fini ha fatto "una scelta istituzionale che lo ha allontanato dalla partecipazione attiva" ma quel ruolo di delfino "deve conquistarselo sul campo dimostrando di essere in grado di sostituire Berlusconi dentro il Pdl e nel rapporto con la Lega". Calderoli ha detto di non condividere la tesi di chi sostiene che il premier non accetti il confronto interno: "Io nego che Berlusconi rifiuti il confronto perché tantissime volte discutendo con lui è partito da una posizione ed è arrivato a un'altra, quindi io questa mancanza di democrazia non l'ho mai trovata, anzi c'è sempre stata apertura da parte sua". Parlando della presenza di esponenti leghisti alle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, il ministro rivela: "Io non so se ci sarò" ma "Sicuramente sarò al lavoro per realizzare il federalismo"
Poi: "Ho fiducia nell'onestà di Scajola e nel suo non essere imbecille". Questo il commento del ministro alla vicenda che vede come protagonista il collega Claudio Scajola. "Non è nè disonesto nè cretino", ha ribadito, "si è spiegato in consiglio dei ministri, sono portato a credere a lui. Il resto lo verificherà la magistratura". E ancora: "Dico di no alle elezioni anticipate ma i tre anni di legislatura devono essere impiegati per fare le riforme; ora bisogna avere senso di responsabilità rispetto alla crisi e alla necessità di riforme". E se anche il primo a parlare di elezioni anticipate fu il leader della Lega Nord, il ministro risponde: "È stata un'ottima mossa di Bossi perchè subito le turbolenze si sono ridotte". "Sul federalismo fiscale Fini aveva sollevato alcune perplessità, sono stato da lui e l'ho tranquillizzato sul fatto che non ci sarà nessun rischio per la coesione sociale, che comunque al momento nel paese non c'è". Assicura poi che l'incontro avuto con il presidente della Camera sul federalismo fiscale è stato utile a chiarirne alcuni aspetti e poi ha aggiunto: "I relatori del provvedimento sono pugliesi, non credo che il Mezzogiorno non sia rappresentato su questa materia". Commentato la rinuncia di Domenico Siniscalco al ruolo di presidente del Consiglio di gestione di Intesa SanPaolo aggiunge: ""La vicenda è tutta interna alla Compagnia San Paolo, che se la sono cotta e mangiata: un mondo che fa riferimento al centrosinistra". "Le Fondazioni - ha poi aggiunto allargando il discorso - devono avere rapporti sul territorio, per dare un indirizzo che le leghi al territorio". Alla domanda se la Lega punta a dei nomi per quelle Fondazioni che nei prossimi anni rinnoveranno i propri vertici, Calderoli ha risposto: "intendiamo indicare persone che diano un indirizzo diverso. Oggi le Banche sono come supermercati, staccate da territorio e piccole imprese". A giudizio di Calderoli, però, il potere delle banche "oggi è tutto in mano ai poteri forti". Alla domanda su chi siano tali poteri forti, il ministro ha indicato "Unicredit e Intesa SanPaolo". Diverso il discorso sul neo presidente di Bpm, Massimo Ponzellini: "È un amico, amico di Tremonti, parente di Giancarlo Giorgetti. È competente, simpatico, francamente che sia prodiano... Vuol dire che Prodi ci aveva azzeccato. È un interlocutore serio, la sua vicinanza con Tremonti rende lo cose più semplici".
Infine "Io credo che Maroni lo abbia detto dando un significato particolare alla cose visto il suo impegno e quello del governo nella lotta alla criminalità organizzata, compresa quella campana. Si tratta di una proposta di valore ma, io resto dell'idea che moglie buoi dei paesi tuoi. Noi siamo pronti a sostenere una candidatura napoletana del Pdl" dice il ministro per la Semplificazione a proposito della candidatura di un esponente leghista a sindaco di Napoli, proposta dal titolare dell'Interno. Berlusconi: "Mai dato del traditore a Fini" "Bocchino dimissionato senza ragione", dice Fini IL PUNTO / Chi vuole il voto anticipato avrà bisogno della pistola di Sarajevo (di Stefano Folli) Fini: "Non divorzio, ma chiedo rispetto" 2 maggio 2010
2010-04-30 "Bocchino dimissionato senza ragione", dice Fini di Celestina Dominelli 29 aprile 2010 Dimissioni definitive di Bocchino: "Epurato da Berlusconi" "Dai nostri archivi" Bocchino lascia e accusa il premier Le dimissioni di Bocchino agitano il Pdl Fini: non divorzio ma chiedo rispetto Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini Bossi: senza federalismo faremo la fine della Grecia "Ritengo che Italo Bocchino sia stato dimissionato senza che ci fosse una ragione. Per questo ha la mia solidarietà". Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini rispondendo all'università dell'Insubruia alla domanda di uno studente di scienze della comunicazione Il vicecapogruppo vicario del Pdl, Italo Bocchino, ha spiazzato tutti e ha presentato una nuova lettera di dimissioni dal gruppo parlamentare, dimissioni stavolta "definitive". L'assemblea dei deputati di Montecitorio, che avrebbe dovuto discutere del caso Bocchino, è stata perciò sconvocata. "Ritengo che Italo Bocchino sia stato dimissionato senza che ci fosse una ragione. Per questo ha la mia solidarietà", ha detto questa mattina il presidente della Camera Gianfranco Fini rispondendo all'università dell'Insubruia alla domanda di uno studente di scienze della comunicazione. Bocchino aveva accompagnato il suo passo indietro con un affondo durissimo contro il Pdl e il premier Silvio Berlusconi. "È stato lui – ha spiegato Bocchino – a chiedere la mia testa. Non esiste un solo partito democratico dove possa accadere ciò che è accaduto oggi". Il fedelissimo del presidente della Camera ha poi rivelato il retroscena del colloquio avuto con Berlusconi prima della puntata di Ballarò cui ha partecipato la scorsa settimana. "Berlusconi mi ha chiamato la sera che dovevo partecipare a Ballarò. Aveva toni concitati e mi ha detto: "se vai, farai i conti con me. Dopo vedrai..."". Per Bocchino, quindi, il premier ha dato il via a "un'epurazione figlia di un'ossessione" nei suoi confronti. "Berlusconi - rivela Bocchino - mi chiedeva da un anno di limitare le presenze in tv, perché non ero allineato su ogni sua singola parola". Poi l'attacco a muso duro contro il partito. "Chi ha voluto chiamare il partito Popolo della libertà e l'ha addirittura definito il partito dell'amore, non fa oggi una bella figura". Il premier, in ogni caso, non ha fatto mistero di volere l'uscita definitiva di Bocchino dai vertici del gruppo e lo ha confermato anche ieri sera durante una cena con alcuni senatori a Palazzo Grazioli. "Ho chiamato Bocchino l'altra sera quando doveva andare a Ballarò. Con me, devo dire, è stato anche un po' insolente. Gli ho detto che non si può andare in tv a fare sceneggiate coinvolgendo il partito. Tutti nel Pdl devono capire che non si può sputtanare il partito". Il Cavaliere sarebbe poi infastidito dalle beghe interne di partito. "Io ho un Paese da governare e dei problemi da affrontare - è il suo ragionamento – e francamente è deprimente perdere così tanto tempo per certe cose...". Intanto l'ex premier Massimo D'Alema è tornato stamane ad attaccare il Cavaliere. "Il problema non è Gianfranco Fini. La posizione di Berlusconi è l'ostacolo vero a fare un dialogo vero". Il motivo? Secondo il presidente del Copasir, "a Berlusconi piace il monologo, anche per questo gli dà fastidio Fini perchè è una personalità forte che pretende di discutere. Cosa che avviene in tutti i partiti democratici ma non in quel partito perchè lì c'è un capo. La democrazia di un uomo solo al comando non c'è da nessuna parte nel mondo e non funziona e non funziona neanche da noi". IL PUNTO / Chi vuole il voto anticipato avrà bisogno della pistola di Sarajevo (di Stefano Folli) Fini: "Non divorzio, ma chiedo rispetto" Della Vedova (deputato finiano del Pdl): "Le dimissioni di Bocchino vanno respinte" (di Sara Bianchi) 29 aprile 2010
STEFANO FOLLI Chi vuole il voto anticipato avrà bisogno della pistola di Sarajevo 30 aprile 2010 Il caso Bocchino, per quanto surreale e più o meno incomprensibile per l'opinione pubblica, dimostra una cosa: la legislatura è logora e avrebbe bisogno di uno slancio straordinario per trovare una ragion d'essere. Viceversa la realtà è amara. Da un lato il partito di maggioranza vive in un clima di sospetti reciproci. Il contrasto di fondo tra Berlusconi e Fini, obbligati peraltro a convivere nello stesso Pdl, ha generato una situazione senza precedenti. Per cui è evidente che il presidente del Consiglio non ha la minima fiducia nella lealtà del presidente della Camera. E quest'ultimo, ben deciso a non aprire uno scontro frontale sul programma, lascia che il fuoco divampi sugli assetti interni di partito. La polemica sulla supposta "epurazione" del vicecapogruppo Bocchino, al di là delle ragioni e dei torti, ha visto un Fini spettatore silenzioso. E in questo caso il silenzio non suona certo sconfessione del suo collaboratore, che a sua volta non avrebbe potuto agire come ha agito – compresi gli attacchi inusuali a Berlusconi – senza un qualche assenso dietro le quinte da parte del suo punto di riferimento politico. Dall'altro lato, come qualcuno ha osservato, il Partito Democratico è riuscito a dividersi persino sulle liti intestine del Pdl. In altre parole anche il giudizio su Fini, ossia come valutare la frattura nella maggioranza, ha visto pareri diversi, quando non opposti, che determinano un sostanziale immobilismo. Con D'Alema che considera Fini "un interlocutore" e Bersani che non la pensa allo stesso modo. Un gioco a somma zero che si riflette sul nodo cruciale: il centrosinistra è disposto ad aprire qualche discussione con il governo in tema di riforme, a cominciare dai vari aspetti del federalismo, oppure è determinato a tenere la porta chiusa? Nonostante qualche segnale (Violante, Orlando sulla giustizia) gli indizi sono piuttosto negativi. Peraltro il Pd non sembra nemmeno prossimo a scegliere una personalità in grado di presentarsi come futuro candidato a Palazzo Chigi. È il punto sollevato da Di Pietro per dare un senso compiuto alla "strategia dell'alternativa", ma D'Alema ha già detto – non senza sarcasmo – che il problema non è la leadership: non c'è all'orizzonte un Blair italiano o un "Obama bianco". Anche in questo caso il Pd sembra imbrigliato. A questo punto chi può restituire una prospettiva alla legislatura? Non si capisce. Al di là del richiamo generico alle riforme, è abbastanza chiaro che Berlusconi e Bossi non escludono affatto le elezioni anticipate, benché questa ipotesi sia ancora una carta tenuta ben coperta. Di sicuro il progressivo logoramento dei rapporti politici favorirà lo scioglimento. Non subito, naturalmente, ma in un domani non troppo remoto. Magari in un giorno della primavera 2011, se il calendario delle riforme risulterà di qui ad allora impraticabile. Ma l'operazione è complessa. Richiede assai più che un litigio con Bocchino. Si tratterà di dimostrare a Napolitano che le Camere sono paralizzate. E al momento non si sa dove sia la pistola di Sarajevo. Non si sa chi potrebbe impugnarla ed essere così sconsiderato da fornire a Berlusconi e Bossi il pretesto per chiedere al Quirinale le elezioni anticipate. Il fronte di chi non le vuole è ampio e comprende anche Fini. Il problema è che tale fronte non costituisce una maggioranza politica. Difficile che lo possa diventare domani. Venerdí 30 Aprile 2010
STEFANO FOLLI I paradossi della maggioranza e il logoramento quotidiano 29 aprile 2010 Il governo e la legislatura vivono sul filo di un bizzarro paradosso. Da un lato si annunciano, non senza enfasi, tre anni di riforme. Addirittura "condivise", secondo le parole di Berlusconi il 25 aprile. E Bossi, che l'altro giorno aveva confessato la sua delusione alla "Padania", descrivendo la fine delle alleanze e il fallimento del federalismo, si è corretto in fretta: ieri anche lui prometteva un triennio riformatore e cancellava l'ipotesi di elezioni anticipate. A sua volta il presidente della Camera, il reprobo di questa fase, insiste nel garantire lealtà al governo, pur ribadendo il proprio diritto al dissenso su alcuni punti: i problemi ci sono, ma nulla che non si possa risolvere con un "sereno confronto". Anche lui, naturalmente, è favorevole alle riforme, quelle istituzionali non meno di quelle economiche. A questo punto si potrebbe immaginare che la legislatura sia avviata sul giusto binario e che la maggioranza, al netto di qualche dissidio interno, abbia intenzione di fare sul serio. Invece - ecco il paradosso - il centrodestra riesce a farsi battere alla Camera su un emendamento dell'opposizione relativo alla riforma forense. Si dirà che non è nulla di irreparabile, un episodio minore. Eppure ha ragione il capogruppo del Pdl, Cicchitto: è un tipico caso di "sciatteria". Nessuna dietrologia, non c'entra il malessere dei finiani. Solo sciatteria, appunto. Il che è persino più grave. In ultima analisi, nel momento in cui prefigura un programma eccezionalmente ambizioso, l'asse Berlusconi-Bossi dovrebbe mettere in mostra la propria tensione costruttiva, la volontà di evitare qualsiasi passo falso. Una maggioranza che crede in se stessa e nel lavoro dei prossimi tre anni, per di più desiderosa di coinvolgere il centrosinistra, non può essere così distratta in Parlamento. Per certi aspetti, sarebbe stato meglio che l'incidente di ieri fosse figlio del dissenso dei finiani, anziché, come in effetti è, il prodotto di una banale casualità. Ma qui è tutto il paradosso che rende poco credibili le promesse e i proclami delle ultime ore. C'è un distacco troppo grande tra le buone intenzioni annunciate e la realtà di un piccolo cabotaggio parlamentare esposto a ogni raffica di vento. C'è anche dell'altro, s'intende. Ad esempio, il caso Bocchino. Una questione aggrovigliata, forse anche poco interessante. Ma se il Pdl accettasse le dimissioni del vicecapogruppo finiano a Montecitorio, l'impressione sarebbe di un dispetto al presidente della Camera. Che peraltro, come ha ribadito ieri sera a "Porta a Porta", non si dimetterà mai dal suo incarico. Continuerà a "occuparsi di politica" in prima persona, con un'offensiva mediatica che in ultima analisi vale molto di più di una corrente con numerosi affiliati. Insomma, i finiani in Parlamento possono essere anche pochi, ma se Fini riesce a tenere alta l'attenzione dei media intorno alle sue tesi avrà evitato in parte l'isolamento in cui Berlusconi si sforza di confinarlo. Ne deriva un quadro generale di non-rottura e non-accordo. Un quadro in cui l'ottimismo sul futuro della legislatura è un po' di maniera e serve forse a celare altre intenzioni. Di fatto il rischio è il logoramento. Uno stillicidio quotidiano di cui nessuno è veramente responsabile (come l'emendamento bocciato per sciatteria), ma che alla lunga può essere pericoloso per il governo. In quali forme adesso non si può prevedere. Ma il logoramento è sempre pernicioso. Giovedí 29 Aprile 2010
Bossi: senza federalismo faremo la fine della Grecia di Celestina Dominelli commenti - 5 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 28 aprile 2010 Bossi senza federalismo faremo la fine della Grecia "Dai nostri archivi" Fini: non divorzio ma chiedo rispetto Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini Della Vedova sulle dimissioni di Bocchino: "Vanno respinte" Battaglia nel Pdl sui vertici del gruppo a Montecitorio Bossi: riforme o si va a votare E su Fini: "È un problema"
Le tensioni dentro la maggioranza si scaricano già sui lavori parlamentari: il governo è andato sotto alla Camera su un provvedimento importante come il collegato lavoro e al Senato sulla riforma forense. A Montecitorio la responsabilità va cercata fra i 95 deputati del Pdl assenti durante le votazioni: 45 erano in missione (tra cui il capogruppo Fabrizio Cicchitto), 50 invece gli assenti ingiustificati. Tra questi figura il numero due dei deputati pidiellini, Italo Bocchino, le cui dimissioni stanno agitando la maggioranza. A far mancare il loro supporto, però, ci sono anche altri finiani ingiustificati: Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Flavia Perina ed Enzo Raisi. Roberto Menia, Angela Napoli, Silvano Moffa e Andrea Ronchi sono invece assenti perché in missione. Così, il primo test sulla tenuta in aula del Pdl si conclude con una rovinosa caduta causata dalle defezioni dei fedelissimi di Fini. Mancavano all'appello, però, anche undici leghisti: 8 giustificati, tre no. Intanto oggi, dai microfoni di Radio Radicale, Umberto Bossi ha ribadito che le elezioni non si faranno, se la Lega non le vuole. "Serve il federalismo fiscale - dice il Senatur – altrimenti l'Italia farà la fine della Grecia, è assolutamente necessario". E, alla domanda se Fini è d'accordo, Bossi risponde senza troppi giri di parole. "Penso di sì, sotto sotto. Adesso è tutto preso a cercare di tamponare le beghe avvenute con Berlusconi e quindi si lascia andare a ragionamenti ai quali non crede nemmeno lui, sa anche lui – conclude Bossi – che occorre fare il federalismo fiscale". Interpellato poi dai cronisti a Montecitorio, il leader lumbard ha rassicurato i suoi sul futuro delle riforme tanto care al Carroccio. "Sul federalismo con Gianfranco Fini non ci sono problemi, non ci sono storie". Il Senatur ha così chiarito i contenuti dell'incontro, avvenuto ieri a Montecitorio, tra Fini, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli e il neogovernatore del Piemonte, Roberto Cota. "Ho detto ai miei di parlare con lui, e da loro ho saputo che non ci sono problemi per il federalismo". Bossi ha quindi ribadito che il federalismo deve essere portato avanti senza tentennamenti. "Il federalismo o lo fai o l'Italia fa la fine della Grecia o peggio. Il federalismo va fatto". Poi, a riprova che tra lui e l'ex leader di An non ci sono dissidi, Bossi ha offerto la sua solidarietà al presidente della Camera, dopo il nuovo attacco del Giornale di Vittorio Feltri. "Io vengo attaccato quotidianamente anche sul piano personale. Un politico deve far finta di niente, farsi scivolare tutto addosso". Stamane il presidente della Camera Fini è tornato stamane a ribadire la necessità di imboccare la strada delle riforme. Lo ha fatto intervenendo al convegno "Generare classe dirigente" organizzato dall'università Luiss di Roma. Per Fini la sfida per il futuro del paese si gioca essenzialmente "sulla capacità di operare cambiamenti autenticamente strutturali". Per questo serve "più coraggio" nel mettere in campo le riforme. Non può bastare, infatti, la "tendenza a minimizzare" gli effetti della crisi, "con la speranza più o meno segreta che tutto tornerà come prima. Senza interventi incisivi e strutturali questa speranza sarà vana". Anzi, insiste Fini, se ci si lascia catturare dalla "tentazione di aspettare" che "la bufera" passi, questo atteggiamento "può portare, soprattutto in Italia, a fornire un alibi per l'inerzia, inerzia che difficilmente sarà comprensibile e spiegabile in futuro". Il presidente della Camera sottolinea poi che serve "più consapevolezza della necessità di superare gli svantaggi che riducono la competitività nel nostro Paese". Per la classe dirigente italiana è indispensabile raccogliere "la sfida ineludibile di dar vita alle riforme", tra cui la terza carica dello Stato indica la riforma fiscale, il disboscamento burocratico, la qualità della formazione universitaria e della ricerca. Insomma, per Fini la politica "deve sapere indicare progetti non solo di tipo economico ma anche di tipo civile", per tornare a una "etica civile comune" e a un "senso di appartenenza". Il Giornale attacca "la suocera" di Fini Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione 28 aprile 2010
Il Giornale attacca "la suocera" di Fini, ma Berlusconi difende Gianfranco commenti - 8 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 28 aprile 2010 Il Giornale attacca "la suocera" di Fini "Dai nostri archivi" Fini: "Non divorzio ma chiedo rispetto" Fini: non divorzio ma chiedo rispetto Il Giornale in vendita? Feltri cade dalle nuovole Pdl a rischio implosione VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva Il Giornale diretto da Vittorio Feltri, di proprietà del fratello del premier Silvio Berlusconi, nell'edizione in edicola torna ad attaccare il presidente della Camera Gianfranco Fini, cofondatore del Partito delle Libertà. Lo fa dedicandogli l'apertura della prima pagina, prendendo di mira questa volta la madre di Elisabetta Tulliani, attuale compagna dell'ex leader di An, titolare di una società che cura la produzione di un programma televisivo su Rai Uno. Scrive Il Giornale, nella firma di Laura Rio, che tra i produttori della tv di stato "c'è fibrillazione per la rottura tra finiani e berlusconiani". Tra di essi c'è anche "Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini Elisabetta. Al "cognato" Tulliani, attraverso un intricato sistema di società, è riconducibile la realizzazione di una parte di Festa italiana, programma del pomeriggio condotto da Caterina Balivo su Rai Uno, la rete diretta dal finiano doc Mauro Mazza. Lo spazio si chiama, Per capirti una sorta di talk dedicato al rapporto tra genitori e figli (...). Un lavoretto che viene lautamente ricompensato: un milione e mezzo di euro. Precisamente ottomila euro a puntata per 183 puntate (...). Nel complicato sistema di scatole cinesi, la maggioranza della società che produce la trasmissione, denominata Absolute television media, (siglia At media) è detenuta da Francesca Frau (....) la mamma di Elisabetta e Giancarlo Tulliani, dunque la "suocera" di Fini". La vicenda è stata raccontata ieri sul sito Dagospia e ripresa dal Giornale. Secondo il quotidiano diretto da Feltri la società di produzione televisiva sarebbe riconducibile ai fratelli Tulliani. La signora Frau, 63 anni, sarebbe solo la titolare della società, perché a Roma nessuno la conosce nel giro dei produttori tv. Fini incassa, però, la solidarietà del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: "Esprimo la più convinta solidarietà a Gianfranco Fini per gli attacchi personali che quest'oggi il Giornale gli ha mosso", afferma in una nota il premier. "La critica politica, anche più severa, non può trascendere in aggressioni ai familiari e su vicende che nulla hanno a che fare con la politica. Tali metodi, che assai spesso ho dovuto subire personalmente, non vorrei mai vederli applicati, specie su giornali schierati con la nostra parte politica", conclude il presidente del Consiglio. Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione 28 aprile 2010
2010-04-27 Bocchino agita le acque nel Pdl e Bondi attacca Fini di Celestina Dominelli 27 aprile 2010 Il finiano Bocchino sfida il Pdl. "Mi candido a guidare il gruppo" Acque molto agitate in casa del Pdl. Questa volta ad accendere gli animi èdel finiano Italo Bocchino che si è dimesso da vicecapogruppo alla Camera, ma, in una lettera indirizzata a Fabrizio Cicchitto, numero uno del gruppo, ha annunciato la sua intenzione di candidarsi alla presidenza. Intanto le posizioni di Gianfranco Fini e dei suoi sono oggetto di un nuovo attacco a parte dei vertici del partito: l'approccio del presidente della Camera e della sua fondazione Farefuturo è "infondato e rovinoso", ha scritto il ministro della Cultura e coordinatore Pdl, Sandro Bondi, sul sito dell'organizzazione Promotori della Libertà nell'ambito della quale ricopre il ruolo di responsabile cultura e formazione. In serata Fini ha incontrato il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, e il governatore del Piemonte, Roberto Cota. L'incontro si è svolto negli uffici di Fini e al centro del colloquio c'è stato il tema del federalismo. Tornando a Bocchino, si tratta di una sfida in piena regola perché, è la tesi del deputato ex An, se cade il vice anche il presidente deve rassegnare le dimissioni e i vertici vanno rinnovati in toto. "Simul stabunt, simul cadent", scrive il vicecapogruppo del Popolo della libertà nella sua missiva rispolverando una frase che gli annali legano a Claudio Martelli e Bettino Craxi. Le sue dimissioni saranno formalizzate nell'assemblea del gruppo da convocare al più presto. Nella lettera Bocchino ha chiesto anche di incontrare il premier Silvio Berlusconi. "Ti prego di favorire un incontro con il presidente Berlusconi - è l'invito che il vicecapogruppo rivolge a Cicchitto – anche alla presenza del coordinatore Verdini affinché si possa dar vita a un chiarimento politico che faciliti il difficile percorso che il gruppo dovrà fare". Le ragioni del suo gesto Bocchino le ha spiegate nella stessa lettera. La mia candidatura, scrive, sarà presentata "non per distanza politica o personale da te, ma per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo, di verificare le sue forze e conseguentemente di rivendicare gli spazi corrispondenti al suo peso". Cicchitto, dal canto suo, preferisce prendere tempo. "Ci siamo scambiati i rispettivi punti di vista sulla situazione politica – ha spiegato il capogruppo – e anche sullo statuto del gruppo. È evidente che il problema delle dimissioni di Bocchino deve essere esaminato anche dal gruppo dirigente del partito. Di conseguenza si è deciso di prendere il tempo necessario per un esame della situazione". Chi dei due ha ragione? L'ufficio stampa del Pdl corregge Bocchino. "L'articolo 8 del regolamento - è la tesi del gruppo – non lega affatto il destino del presidente e del vicepresidente vicario, a meno che ovviamente non sia il primo a dare le dimissioni dalla sua carica". La partita, però, sembra destinata a non chiudersi qui. Perché, poco dopo la lettera di Bocchino, anche il sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia, ha lanciato la sua candidatura. "Lo farò anch'io", scrive il finiano che però sottolinea il clima, non disteso, che regna nella pattuglia di parlamentari vicini all'ex leader di An. "Non so quale consenso egli pensi di avere – sottolinea Menia -, ma non ha certo il mio né di quello di molti che con lealtà seguono Fini e con altrettanta lealtà sostengono il governo Berlusconi e non si prestano al gioco delle tre carte". Bondi su Fini: "Approccio infondato e rovinoso" L'approccio di Gianfranco Fini e della sua fondazione Farefuturo è "infondato e rovinoso" perché "non prevede un necessario lavoro comune che, pur nelle differenze, conduca ad un esito, ad un'unità più alta, a possibili cambiamenti, a innovazioni auspicabili e possibili", ma "scommette sulla frattura, sull'ipotesi di una storia nuova e diversa rispetto a quella nella quale siamo impegnati oggi". Lo scrive il ministro della Cultura e coordinatore Pdl, Sandro Bondi, sul sito dell'organizzazione Promotori della Libertà nell'ambito della quale ricopre il ruolo di responsabile cultura e formazione. Bondi esorta i Promotori della Libertà che si riconoscono "nel messaggio politico e nei valori di Silvio Berlusconi, a rivendicare con orgoglio l`appartenenza ad una storia che non tolleriamo venga giudicata in modo tanto rozzo e sbrigativo quanto infondato e ingeneroso". Il coordinatore del Pdl, infatti, ribadisce che "le posizioni critiche di Fini possono diventare un motivo di arricchimento e di forza del nostro partito, a condizione che non siano impostate come un continuo, sistematico, pretestuoso distinguersi dalla linea maggioritaria del partito, dalle decisioni assunte dal governo e dalla leadership di Silvio Berlusconi, come purtroppo è avvenuto fino ad ora". Secondo il ministro il punto decisivo di disaccordo è "come si possa concepire un confronto che si sviluppi non in continuità politica, ideale e programmatica con l'opera del suo fondatore, bensì in radicale alternativa ad esso. Tutto il ragionamento di Campi e di Farefuturo è su questa lunghezza d'onda: dimostrare che "il finismo è altro dal berlusconismo", che "un'altra destra, un'altra politica, un'altra Italia" è possibile dopo che finirà, secondo Alessandro Campi, l'incantesimo che avvolge l`Italia. E qui si avverte chiaramente il vero e proprio fastidio, l'avversione nei confronti dell'attuale destra e delle "truppe vocianti del Cavaliere"". Napolitano: "La magistratura faccia una seria riflessione critica su se stessa" Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione 27 aprile 2010
Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 27 aprile 2010 Calderoli rilancia il federalismo fiscale: l'alleanza con Fini non è in discussione "Dai nostri archivi" Federalismo, prove d'intesa Federalismo, Bankitalia: aumentare l'autonomia impositiva degli enti locali Ritmi serrati per il federalismo Calderoli: "Ridurremo l'Irap rafforzando i controlli sull'Iva" Federalismo: in settimana al via l'iter del Ddl in commissione La nuova tassa sarebbe legata ai servizi che l'ente locale gestisce
Nessuna reintroduzione dell'Ici da parte del Governo, ma piuttosto l'introduzione di una "service tax" legata ai servizi che gli enti locali gestiscono e offrono al cittadino. Non si ritornerà, dunque, all'Ici, ha ribadito il ministro per la Semplificazione, normativa, Roberto Calderoli, nel corso dell'audizione sul federalismo demaniale dinanzi alla Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, presieduta da Enrico La Loggia. "Intendo ribadire ancora ufficialmente e definitivamente - ha detto Calderoli - che nessuno intende reintrodurre l'Ici. Il nostro obiettivo non è solo l'autonomia impositiva ma anche la semplificazione di numero delle entrate, tributarie e non, degli enti locali. La nostra idea è quella di arrivare a una unificazione, una così detta service tax legata ai servizi che l'ente locale gestisce e offre al cittadino e in questo senso stiamo facendo un lavoro di sfoltimento. Non si può infatti semplificare a livello statale e lasciare una serie infinita e non sempre classificate di entrate a livello di ente locale". L'alleanza con Fini non è in discussione. Il ministro della Semplificazione normativa, poi, non crede che le tensioni nel Pdl abbiano messo fine all'alleanza con Gianfranco Fini. "Non c'è nulla in discussione del genere. Credo ci sia un po' di assestamento rispetto alla riunione di giovedì, ma mi sembra si stia andando nella direzione giusta". Nessun rischio per la coesione sociale. C'è stata da sempre la volontà di affrontare la questione del federalismo, ha detto Calderoli, "in termini di garanzia della coesione sociale". Il provvedimento sul federalismo demaniale, ha detto il ministro, ha avuto una condivisione a tutti e tre i livelli di governo ottenendo un parere favorevole anche se condizionato, un coinvolgimento non solo dal punto di vista degli enti locali e delle Regioni ma anche in senso geografico, avendo raggiunto in tutte le occasioni l'unanimità delle votazioni". Codice delle autonomie e riforme costituzionali di pari passo al federalismo. "Il federalismo fiscale da solo non basta - ha sottolineato Calderoli - funziona se si fanno insieme il codice delle autonomie e le riforme costituzionali". Per quanto riguarda le riforme costituzionali Calderoli ha sottolineato che esiste già una condivisione su temi come la fine del bicameralismo perfetto e della riduzione del numero dei parlamentari. Calderoli si è detto favorevole a un'ipotesi di "bicameralismo paritario e specializzato" nel senso che "non ci sono camere di serie A e di serie B, ma i due rami del Parlamento svolgono compiti diversi". Secondo Calderoli, si deve pensare anche a un rivisitazione degli articoli 117 e 116 della Carta. Il ministro sottolinea che "la possibilità che alcune regioni possano avere ulteriori competenze rispetto ad altre è condivisibile, ma così come è conformato oggi no". (N.Co.) 27 aprile 2010
2010-04-26 Fini promette lealtà al governo nella riunione con i fedelissimi 26 aprile 2010 Fini promette lealtà al governo nella riunione con i fedelissimi (LaPresse) "Dai nostri archivi" Fini: pronto a gruppi autonomi Stop alle correnti e vincolo di scelte a maggioranza Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta" Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo" Duro scontro Berlusconi-Fini Il premier: si allinei o è fuori
La nostra permanenza nel Pdl e nella maggioranza non è in discussione. È questo il messaggio che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha consegnato ai suoi fedelissimi nella riunione convocata oggi pomeriggio nella sala Tatarella di Montecitorio. "Sono qui per ascoltarvi, per sapere cosa ne pensate. Per far capire a chi va in tv o fa dichiarazioni che il nostro comportamento è di assoluta lealtà nei confronti del governo e della maggioranza, di rispetto del programma elettorale". L'ex leader di An prova così a stoppare le accuse di quanti, dentro il Pdl, continuano a parlare di una sua precisa volontà di mettere in difficoltà la maggioranza con possibili imboscate parlamentari. Per questo Fini ha ribadito che anche "il massimo rispetto del programma sottoscritto dagli elettori deve essere un punto fermo in assoluto". Sul tavolo della riunione ci sono poi le dimissioni, pronte, del vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino. Dentro la compagine del presidente della Camera continuano comunque le fibrillazioni e le prese di distanza. Oggi è stata la volta di Amedeo Laboccetta. Che si è tirato fuori sostenendo che non ci sta a seguire chi, "come Italo Bocchino, è un elemento di rottura" . Conversando con i cronisti a Montecitorio, mentre é in corso la riunione tra Fini e i suoi fedelissimi, il deputato ha ribadito che il vice capogruppo vicario alla camera deve rimettere l'incarico. "Bocchino è un soggetto che divide, che lacera- spiega- non è uno che sa mediare. Non sono di quelli che dicono che gli va tagliata la testa, ma indubbiamente, visto che si fanno tentativi di ricucitura,dovrebbe dimettersi". E anche il sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia, critica le ultime sortite dell'ex leader di An. "Ma dove vogliamo andare a sbattere? Una settimana fa si parlava di gruppi autonomi, e quindi si prefigurava un certo tipo di quadro che oggi non c'è". Anzi, dice, c'è "un palese rinculo". 26 aprile 2010
2010-04-25 Fini: "Non ci saranno imboscate. Ora tre anni per le riforme" 25 aprile 2010 "Dai nostri archivi" Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo" Duro scontro Berlusconi-Fini Il premier: si allinei o è fuori Fini: non esco e non starò zitto Bossi: riforme o si va a votare E su Fini: "È un problema" Inizia la sfida tra Berlusconi e Fini nella direzione del Pdl. Il premier: congresso entro l'anno "Vorrei innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco: non ho alcuna intenzione di fondare altri partiti". Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo a In mezz'ora su Rai 3. Fini ha ribadito di aver intenzione di "discutere dentro il Pdl su problemi politici perchè penso che così il Pdl ci guadagna". Nessuna contestazione, poi, sulla leadership di Berlusconi: "credo che sia emerso dalla televisione che non si tratta di questioni personali e io non ho mai messo in discussione la leadership di Berlusconi. Lui è il leader, è il presidente del Consiglio, e ha diritto di governare". "È da irresponsabili il solo parlare di elezioni anticipate perchè gli italiani non capirebbero e sarebbe il fallimento di Berlusconi che ha una maggioranza come non si vedeva da tempo - ha proseguito - non ci saranno imboscate, noi saremo leali e faremo la nostra parte". "Abbiamo davanti tre anni di Legislatura per fare le riforme" ha poi detto Fini. Sullo scontro avvenuto in Direzione il presidente della Camera ha spiegato: "Non mi sono pentito, credo che anche il premier si sia accorto che non potrà mai essere vero che il presidente della Camera si dimetta perché ha opinioni diverse dal partito e dal presidente del Consiglio". "Io mi sento sereno - ha aggiunto Fini - perché credo di aver fatto ciò che dovevo fare anche come punto riferimento della destra. Non mi sono pentito di aver fatto il Pdl, voglio aiutare Berlusconi a migliorare. E quindi perché sentirsi pentiti o pensare di essersi suicidati?". Perché non volano le rondini delle riforme (di Gianni Riotta) VIDEO / Fini: "Nessuna ipotesi di elezioni anticipate" VIDEO / Fini: "Non voglio fondare un nuovo partito" VIDEO / Fini: "Io rappresento una destra moderna" Bersani alle opposizioni: uniti, situazione imprevedibile Bossi: riforme o si va a votare. E su Fini: "È un problema" SONDAGGIO / Crisi Pdl e stabilità di governo 25 aprile 2010
Perché non volano le rondini delle riforme di Gianni Riotta 25 Aprile 2010 Tra Berlusconi e Fini, perché non volano le rondini delle riforme Nella primavera del 2006 gli elettori italiani diedero una maggioranza, pur sottile al Senato, al centro sinistra di Romano Prodi. In breve fu smarrita la rotta, il paese tornò alle urne nel 2008 e stavolta il consenso in parlamento fu solido per Silvio Berlusconi. Dopo qualche chiacchiera di dialogo tra Partito democratico e Pdl sulle riforme, l'insuccesso in Sardegna persuase alle dimissioni il segretario fondatore del Pd Veltroni e nel 2009 il premier, il Pdl e gli alleati, si trovarono padroni del ring. E le elezioni regionali del 2010 confermavano il feeling tra Berlusconi e settori chiave del paese, mentre la Lega Nord guidata dal suo Kagemusha Umberto Bossi, indebolito ma guerriero indomito, guadagnava terreno tra i ceti moderni, perfino quelli un tempo vicini alla sinistra. Qualcuno ha azzardato - contando sui tre anni da qui al 2013 senza confronti alle urne - il sogno di 36 mesi per avviare finalmente le riforme, economiche e istituzionale, di cui il paese ha bisogno da una generazione. Il confronto promosso a Parma da Confindustria, con le conclusioni della presidente Marcegaglia davanti al premier Berlusconi, poneva dati inequivocabili su un sistema Italia a rischio di gripparsi. Come dimostra l'articolo di Marco Fortis in questa pagina non c'era derby ottimisti-pessimisti: da una diversa lettura dei dati, gli studiosi concludevano che è comunque l'ora di muoversi. E martedì sul Sole 24 Ore, Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti proveranno a articolare in proposta l'analisi. Ma né l'urgenza della crisi economica, né quella istituzionale, né il miraggio dei tre anni di "pace", hanno reso stabile il nostro sistema. Altri si diletteranno a calcolare, dopo l'aspra frizione tra il premier e il presidente della Camera Gianfranco Fini, quanti seguiranno l'uno o l'altro, quanti video YouTube rappresenteranno meglio lo scontro, se il duello finirà in tregua armata, in guerriglia parlamentare o - come accennato da Bossi - perfino in un voto anticipato. Perdersi in un gioco di personalismi "quei due non si sopportano più", come tante vecchie volpi spelate di Roma fanno, è ridicolo: Berlusconi e Fini sono veterani politici, ogni loro parola e gesto fanno parte di un complesso "body language" né più né meno di un documento, una nomina, un discorso. E ora? Se era ingenuo aspettarsi riforme dopo la meschina campagna delle regionali, sperare adesso che leader di maggioranza e opposizione, sotto l'egida del capo dello stato, pongano mano al lavoro indispensabile sembra miraggio. Le elezioni precoci sono l'ultima scena di cui il paese ha bisogno, e a che pro del resto? Per ritrovare una maggioranza di centro destra che, perduto Casini perda anche Fini, in un distillarsi di purezze e fedeltà sempre più angosciante, che non riesce però a sostituire un disegno di governo? L'opposizione, Bersani al centro, resta guardinga, suggerisce schieramenti, ma continua a cercare la soluzione nella somma di sigle, non nelle proposte sociali ed economiche per i ceti del Nord e del Sud, tra ricchezza e arretratezza, ostili o indifferenti alla proposta riformista. È curioso che il Pd, partito erede di Dc e Pci, resti ipnotizzato davanti ai nuovi bisogni del paese: eppure l'Aldo Moro capace con il celebre discorso di San Pellegrino di tessere tra politica e società, è padre nobile del Pd! La Lega di Bossi può sognare un futuro inedito, il successore di Bossi come Nick Clegg a Londra, incomodo tra laburisti e conservatori, o se preferite come i democristiani Csu della Baviera, contrappeso moderato della Cdu nazionale. E sarà - anche qui - curioso che Nord d'Italia e Sud tedesco condividano un sistema gemello. Fini sa di dover camminare su un filo sospeso nel vuoto. È un Capricorno raziocinante e non avrà vertigini: non conta affatto su questo o quel reduce del Msi-An. Scommette sulle conseguenze dell'immobilismo che ci tormenta dal 2006, sa che non basta più vincere ogni elezione, contare su un'opposizione inerte e sulla solerzia degli yesmen: il paese ha bisogno di ripartire e premia Berlusconi perché spera rimetta in moto l'economia. Giocherà dunque d'attesa: decise di far politica da ragazzo per godersi in pace il film "Berretti verdi", il Vietnam di John Wayne, ora alternerà lui tregua e guerriglia. Quanto al ministro Giulio Tremonti, bene accorto a confermare solidarietà al premier ma senza toni servili contro Fini, tanti condividono ora quel che questo giornale ha scritto quando non era troppo di moda. Trichet, Barroso, l'editore di Repubblica Carlo De Benedetti in un saggio sul Foglio di Giuliano Ferrara, riconoscono che il suo rigore è stato utile. E sentire Tremonti che ricorda alla troppo timida cancelliere Merkel che "quando la casa del vicino brucia occorre dare una mano" a proposito di Grecia fa piacere. Ma, con il governatore di Bankitalia Mario Draghi a ricordarci che "i prossimi mesi saranno decisivi", e De Benedetti che lancia la sfida al Pd su tasse, riforme ed economia, anche Tremonti sa che la guerra di posizione non gli basterà nel 2010. Se ha a cuore - e noi crediamo di sì - una nuova fase politica per il suo destino, tra non molto dovrà muoversi: e dare quella scossa che a Parma gli è stata chiesta. Per ultimo tocca a Silvio Berlusconi. Più di una volta, meritoriamente, il suo braccio destro Gianni Letta gli ha impedito lo scatto che avrebbe bruciato i ponti. Dovrebbe temere come i peggiori nemici i sicofanti che lo assediano a ogni passo, a Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. Un ceto politico che gli deve tutto e che in cambio non avrà mai il coraggio di dirgli la verità: "Presidente il consenso resta forte, la maggioranza degli italiani è con lei, non sarà certo un franco dibattito o un partito capace di dividersi sulle prospettive il pericolo, ma se restiamo per tre anni immobili, concentrati solo sulle rivalse interne, può darsi che non sia malissimo per lei, o per il partito o magari anche per il governo, ma sarà un disastro per il paese". Parlando ieri a Milano in occasione del 25 aprile, commosso con il pensiero a Toscanini e Pertini, il presidente Napolitano ha chiesto ancora quello scatto di orgoglio nazionale che sarebbe indispensabile. Niente ci condanna al declino, niente ci fa presagire un esito greco. Niente però ci salverà dal perdere le posizioni di oggi, a Nord come a Sud, se impiegheremo i prossimi mesi tra velleità elettorali e manovre ciniche. Un esito che premier, governo, maggioranza e classe politica tutta devono scongiurare, se non vogliamo che la prossima generazione si ricordi della nostra con disprezzo e ilarità. gianni.riotta@ilsole24ore.com twitter@riotta25 Aprile 2010
Berlusconi sul 25 aprile: ora scrivere pagina condivisa di Enrico Bronzo 25 aprile 2010 "Dai nostri archivi" Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile" Perché non volano le rondini delle riforme Garanzia per Expo, in arrivo la firma 25 aprile, Berlusconi: "Sempre grazie a gli Usa" Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna" "La sfida è ora. Bisogna scrivere insieme una nuova pagina condivisa della storia della nostra democrazia e della nostra Italia, sempre nel rispetto dei principi di democrazia e libertà". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel videomessaggio trasmesso in occasione della ricorrenza della liberazione. Berlusconi indica qual è l'obiettivo, andando oltre il compromesso trovato dai padri costituenti per scrivere la Carta: "Rinnovare la seconda parte della Costituzione del '48, già in parte modificata, per definire l'architettura di uno Stato moderno più vicino al popolo, su basi federaliste, di uno Stato moderno più efficiente nell'azione di governo, più equo nell'amministrazione della giustizia veramente giusta". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo aver deposto una corona di alloro all'Altare della patria a Roma, ha incontrato al Quirinale le rappresentanze delle Associazioni combattentistiche, d'arma e partigiane decorando di medaglia d'oro al merito civile (alla memoria) Zosimo Marinelli - fucilato il 27 gennaio 1944 al poligono di tiro di Borgo Panigale - e i gonfaloni dei comuni di Sasso Marconi e di Castelnuovo di Garfagnana. Il presidente ha sollecitato "un clima di serenità che può e deve circondare ovunque le celebrazioni del 25 aprile": A Roma la presidente della Regione Lazio Renata Polverini - che oggi ufficializzerà i nomi dei componenti della giunta - è stata contestata con fischi e lanci di oggetti mentre partecipava alla manifestazione a Porta san Paolo a Roma in occasione dell'anniversario della Liberazione. La presidente è stata bersagliata da urla "buu, buu" e lancio di uova e frutta e alcuni fumogeni. Un frutto ha colpito all'occhio il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che le era accanto. Polverini è stata contestata già mentre saliva sul palco per tenere il suo discorso che non ha svolto lasciando la manifestazione immediatamente tra i fischi dei presenti. Tra le frasi rivoltele "Polverini vattene a Casa Pound, fascista e ipocrita". Anche Zingaretti, che porta visibile il segno dell'oggetto che l'ha colpito in volto, ha lasciato Porta san Paolo. A Milano il sindaco di Milano, Letizia Moratti, entrata nel corteo in corso Vittorio Emanuele all'altezza della chiesa di San Carlo, è stata accolta da fischi, insulti e slogan da giovani dei centri sociali con gli slogan "Fuori i fascisti dal corteo", "Vergogna, vergogna", "La resistenza è partigiana, Moratti te ne devi andare". La Moratti, scortata dalla polizia, è rimasta nel corteo insieme al presidente della Provincia Guido Podestà. VIDEO / 25 aprile, il messaggio di Berlusconi IL PUNTO / Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna" (di Stefano Folli) Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile" Berlusconi: d'accordo con Napolitano. Fini? Mai litigato Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa" 25 aprile 2010
STEFANO FOLLI Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna" 25 aprile 2010 Mai come quest'anno Giorgio Napolitano è riuscito a fare del 25 aprile la festa dell'Italia "riunificata". La guerra aveva lacerato e distrutto il paese, lo aveva spezzato a metà. E oggi, 65 anni dopo, il giorno della Liberazione ha un senso soprattutto se serve a riunire una nazione sfilacciata e corrosa da un male oscuro. Aiutandola a ritrovare il senso di un'identità profonda, al di là delle polemiche politiche. Si poteva immaginare che il capo dello Stato non si sarebbe limitato a commemorare una data storica. Ma il discorso di Milano ha avuto uno spessore civile che contrasta in modo evidente con la povertà e l'astiosità del dibattito politico. A un'Italia in cui la memoria storica evapora e in cui qualcuno crede che il Tricolore sia una moda di cinquant'anni fa, Napolitano ha offerto una lettura del 25 aprile come festa non di parte (e perciò obsoleta), bensì come autentico giorno della nazione. Proprio perché la Liberazione è anche riunificazione. In altre parole è la riscoperta di ciò che unisce gli italiani, anzi di ciò che li ha riuniti dopo un immenso trauma. Tutto questo è stato detto senza retorica e con vera commozione, come estremo messaggio a un paese distratto e nevrotico. E non è un caso che il presidente abbia rievocato il discorso di Berlusconi, un anno fa, a Onna, la cittadina abruzzese devastata dal terremoto. Quell'intervento viene considerato ancora oggi come un punto alto della lunga stagione politica del presidente del Consiglio. L'uomo che in precedenza aveva sempre ignorato il 25 aprile, in quanto festa "comunista" e quindi ostile, l'anno scorso fece della ricorrenza un motivo di riconciliazione, con parole misurate e attente che furono apprezzate anche dall'opposizione. Dopodiché si entrò, di lì a qualche settimana, nel tunnel buio delle Noemi e più tardi delle "escort". Lo spirito di Onna si dissolse e con esso la vaga speranza che la volontà di riconciliare il paese fosse tradotta in gesti concreti. Ora Napolitano cita Onna per stimolare sia Berlusconi sia l'opposizione a ritrovare quel clima. Ovviamente non è affatto semplice, dato che in questi dodici mesi il confronto pubblico si è piuttosto degradato. Ma è l'unico modo per non arrendersi al manierismo per cui tutti invocano le riforme, meglio se "condivise", ma nessuno compie passi concreti per individuare un minimo di convergenza in Parlamento. Nel frattempo aumentano i rischi di strappi e forzature di tipo politico-istituzionale. È noto dalle indiscrezioni che il capo dello stato ha osservato con inquietudine lo scontro dell'altro giorno tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera: due politici rivali, certo, ma anche due tra le massime cariche istituzionali. Il rischio di confondere i piani, in una foga polemica sempre più veemente, è reale. Il che aprirebbe scenari ambigui che Napolitano di sicuro non gradisce. Si torna a parlare di legislatura fallita e di elezioni anticipate. E sappiamo quanto il Quirinale sia attento alla difesa delle sue prerogative al riguardo. Ma l'unico modo per evitare nuove tensioni e magari pressioni improprie ai vertici delle istituzioni consiste nel tentare sul serio e non solo in forma propagandistica la via delle riforme, nei fatidici tre anni che abbiamo davanti. Il senso di questo 25 aprile, in cui la memoria del passato si fonde con le ansie del presente, è tutto qui.
Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile" 24 aprile 2010 Napolitano: "Unità d'Italia conquista irrinunciabile" "Dai nostri archivi" Berlusconi sul 25 aprile: ora scrivere pagina condivisa Per riunire l'Italia il Quirinale vorrebbe lo "spirito di Onna" 150 anni Italia Napolitano scrive a Berlusconi: "Serve chiarimento" Il Vietnam cerca in Italia la porta d'accesso all'Europa Unità d'Italia: via dal comitato Maraini e Zagrebelsky Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha confessato la sua "sincera emozione" a intervenire a Milano alle celebrazioni del 25 aprile. Il capo dello Stato ha spiegato la sua emozione "per quel che Milano ha rappresentato in una stagione drammatica, in una fase cruciale della storia d'Italia. E tanto più forte è l'emozione nel rivolgere questo mio discorso dal palcoscenico del glorioso teatro la Scala, che seppe risollevarsi dai colpi distruttivi della guerra per divenire espressione e simbolo del mondo intero, della grande tradizione musicale e culturale italiana". Unità d'Italia irrinunciabile. L'unità d'Italia "rappresenta oggi, guardando al futuro, una conquista e un coraggio irrinunciabili. Non può formare oggetto di irrisione, nè considerarsi un mito obsoleto, un residuo del passato". "Solo se ci si pone fuori dalla storia e dalla realtà si possono evocare con nostalgia, o tornare a immaginare, più entità statuali separate nella nostra penisola. Se non si consolidasse questa unità - ha concluso - finiremmo ai margini del processo di globalizzazione che vede emergere nuovi giganti nazionali in impetuosa crescita e anche ai margini del processo di integrazione europeo". Il presidente della repubblica si è commosso due volte ricordando il ruolo di Pertini nella lotta contro l'occupazione tedesca. "L'immagine conclusiva del suo impegno - ha ricordato con voce spezzata - come poi dirà la motivazione della medaglia d'oro al valore militare è rimasta consegnata alla fotografia che lo ritrae mentre tiene il suo primo discorso dopo decenni di privazione della libertà". Uscire dalla spirale delle contrapposizioni. Giorgio Napolitano dice che in Italia si sono accumulati "nei decenni" problemi complessi, "talvolta per eredità di un più lontano passato", e per risolverli occorre "un grande sforzo collettivo, una comune assunzione di responsabilità". Occorre, sottolinea, "uscire da una spirale di contrapposizioni indiscriminate". Standing ovation. La conclusione del discorso di Giorgio Napolitano è stata accolta da un lunghissimo applauso di tutto il pubblico che si è levato in piedi ed ha applaudito per cinque minuti. Ad applaudire, fra gli altri, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha scambiato qualche battuta amichevole con la vicepresidente della Camera Rosy Bindi. Quando Napolitano è rientrato in sala ed ha scambiato una stretta di mano con Berlusconi, da alcuni palchi si sono levati dei fischi. Napolitano si è congedato ed è partito per fare rientro in serata al Quirinale. Berlusconi: d'accordo con Napolitano. Fini? Mai litigato Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa" 24 aprile 2010
2010-04-24 Berlusconi: d'accordo con Napolitano. Fini? Mai litigato 24 aprile 2010 "Dai nostri archivi" Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo" Dimenticate Lady D e Charles, ora litigano Veronica e Silvio Dimenticate Lady D e Charles, ora litigano Veronica e Silvio Fini e Berlusconi sfidano Casini Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha negato di essere stato protagonista in questi giorni di "burrasche" politiche. "Io - ha detto Berlusconi - non sono mai stato protagonista di burrasche. Io non ho mai litigato perchè per litigare bisogna essere in due. È questo che ho detto anche a chi ha tentato di dire che ho litigato. Io sono assolutamente sereno, non ho mai dato nessuna risposta piccata in tanti mesi e continuo ad essere sereno, convinto di ciò che sto facendo". Quanto al passaggio del discorso del capo dello Stato che invitava le forze politiche a superare le contrapposizioni per il bene comune del Paese, il miglioramento del clima tra loro, Berlusconi ha detto: "Ne sono assolutamente convinto. Opero e mi attivo in quella direzione da sempre". 24 aprile 2010
Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa" 24 aprile 2010 Cirielli cancella la Resistenza "Liberi solo grazie agli Usa" "Dai nostri archivi" La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile" Fini: non esco e non starò zitto Il doppio incarico dell'onorevole a volte diventa triplo Cesaro in vantaggio di 24 punti. Stop all'era del centro-sinistra
Alla vigilia del 25 aprile, scoppia il "caso Salerno". Il presidente della provincia Edmondo Cirielli, ex deputato di An (oggi Pdl) e presidente della commissione Difesa della Camera – accusa il centrosinistra – ha "cancellato" la Resistenza e la lotta di liberazione dall'occupazione nazifascista dal manifesto celebrativo della provincia: resta solo un elogio all'esercito americano per un intervento "che ha salvato l'Italia dalla dittatura comunista". "La Resistenza – si difende Cirielli – era un movimento composito che intruppava anche persone che non combattevano per la libertà e per la democrazia, ma per instaurare una dittatura comunista in Italia; se ci avesse liberato l'Armata rossa, anziché gli americani, per 50 anni non saremmo stati un paese libero". 24 aprile 2010
Bersani alle opposizioni: uniti, situazione imprevedibile 24 aprile 2010 Bersani alle opposizioni: uniti, situazione imprevedibile "Dai nostri archivi" Ora Bersani offre la "sponda" a Fini D'Alema: ora liberiamo i prigionieri del Pdl Ora Bersani offre la "sponda" a Fini Bersani: il premier non dialoga Berlusconi: no a correnti nel Pdl "Le tensioni nella maggioranza in futuro sono certe, gli esiti imprevedibili. Le forze di opposizione non possono sottovalutare i rischi che Berlusconi per un verso e la Lega per l'altro possono dare per accelerare una situazione che non riescono ad affrontare. Per le forze di opposizione serve una responsabilità nuova". Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, in un intervista all'Ansa, chiama all'unità le forze di opposizione. "Serve un impegno più forte - sostiene Bersani - a discutere e concertare l'azione parlamentare e un lavoro per stringere i contenuti dell'alternativa". Per "accelerare" il confronto con le opposizioni, il leader Pd, che nei giorni scorsi ha già incontrato il leader Idv, Antonio Di Pietro, continuerà "colloqui e verifiche" con le altre forze di opposizione dentro e fuori il parlamento. "Siamo di fronte - sostiene Bersani analizzando la tensione nella maggioranza - ad una situazione estremamente confusa. Il paese, pieno di problemi, assiste attonito a lacerazioni molto profonde nella maggioranza che in un colpo solo ha distrutto tutta la retorica berlusconiana dei cieli azzurri e dei mondi felici". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini "con i suoi ha sostenuto e votato tutte le decisioni di questo e degli altri governi del centrodestra ma ora propone con nettezza un'altra piattaforma: nella politica economica, nei rischi di deriva plebiscitaria, nel tema dell'unità del paese". Temi, ribadisce il segretario Pd, "assolutamente veri e assolutamente irrisolvibili nel Pdl e nella maggioranza dove Fini si trova". Da qui l'imprevedibilità dello scontro nel centrodestra e la necessità per Bersani di accelerare il confronto nelle opposizioni. 24 aprile 2010
Bongiorno: "Sabotare? Mai fatto né lo faremo" di Donatella Stasio 24 aprile 2010 "Dai nostri archivi" L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione "Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini Duro scontro Berlusconi-Fini Il premier: si allinei o è fuori Il duro botta e risposta tra Fini e il Cavaliere Stop alle correnti e vincolo di scelte a maggioranza "Sabotare? Non lo abbiamo mai fatto e non abbiamo intenzione di farlo neanche in futuro". Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della camera e alter ego di Gianfranco Fini sulla giustizia, rivendica il ruolo "costruttivo" svolto finora dall'ala finiana del Pdl e considera "offensivo" che si possa soltanto ipotizzare - come ipotizzano i fedelissimi di Silvio Berlusconi - un'azione di sabotaggio. Giovedì, però, Fini ha marcato una netta distanza dal leader del Pdl, che sembra preludere a una strada in salita per alcune riforme. Fini ha esclusivamente posto questioni politiche e ha chiesto attenzione per queste questioni, che peraltro segnala da tempo e che sono state sempre minimizzate. Come il dissenso? Come la mancanza di un vero e proprio dibattito all'interno del Pdl; il ruolo trainante della Lega; il problema dei decreti attuativi del federalismo fiscale. Oltre a indicare contenuti, ha fatto anche presente che è fondamentale affrontare i problemi e che è necessario esprimere il dissenso, quando c'è. Ciò non significa mettere in discussione la leadership di Silvio Berlusconi né trasformare il dissenso in una sorta di arbitrio assoluto. Perciò non capisco perché si tema il sabotaggio. Si parla di rivedere la geografia di alcuni posti chiave, come la presidenza delle commissioni parlamentari. Lei, che non è molto amata dal premier, si sente precaria? In questi giorni abbiamo letto sui giornali e sentito dire che ci sarebbe questa volontà. Ma finora non ci è arrivata alcuna richiesta ufficiale in tal senso. Il tema, però, è questo: nessuno può sostenere che la nostra condotta abbia mai ostacolato l'azione di governo. Personalmente, ho votato tutti i provvedimenti, che mi piacessero o no, dopo aver partecipato a discussioni per approfondorli. Ma allora, che cosa volete, esattamente? O meglio, come pensate di continuare a coabitare nel Pdl? Potrei riassumerla così: la confutazione, diceva Platone, è la più grande e potente forma di purificazione. E dunque? Criticare un argomento aiuta di fatto a liberarlo da errori. Quel che per voi è un errore, per Berlusconi è spesso essenziale. Basti pensare alla giustizia. Lo spirito che ci ha costantemente animato è sempre stato costruttivo: rispetto a un determinato obiettivo, abbiamo prospettato alternative possibili o segnalato problemi... Problemi, appunto. Berlusconi dice di lei: "Crea sempre problemi sui testi di legge"... Lui dice che io creo problemi; io dico che i problemi li vedo. Li ho visti in alcuni testi, finché mi venivano sottoposti. La mia partecipazione ai "tavoli" ha sempre avuto questa funzione: portare con me l'esperienza maturata nelle aule di giustizia e cercare di trasferire il dato di esperienza in modo da valutare le conseguenze e l'impatto dei provvedimenti. Anche il consigliere giuridico del premier, Niccolò Ghedini, dovrebbe avere questa funzione. Spesso voi due siete stati in conflitto. Non c'è dubbio che su alcune questioni abbiamo avuto diversità di vedute e abbiamo discusso; ma alla fine io ho sempre votato i provvedimenti, anche se non ho raggiunto l'obiettivo che mi prefiggevo. Piuttosto, è singolare leggere, il giorno dopo le riunioni, virgolettati attribuiti al premier del tipo: "Levatemela dai piedi". Si stupisce? Sì che mi stupisco. Perché considero mio dovere portare il contributo che ho sempre portato. Anche se mi scontro con il tecnico del premier, non significa che sia una sabotatrice. Però, quando Berlusconi voleva la "prescrizione breve" (taglio di 1/4 della prescrizione per i reati con pene fino a 10 anni commessi entro maggio 2006) o insisteva per sfilare la corruzione dalle intercettazioni, lei si è sempre opposta e,con Fini, lo avete messo nell'angolo. Anzitutto ricordo che Fini ha sempre riconosciuto che nei confronti di Berlusconi c'è un accanimento giudiziario, tant'è che il lodo Alfano lo abbiamo votato senza problemi. Ma di fronte a provvedimenti - come la prescrizione breve - che, per raggiungere un obiettivo rischiava di spazzar via 600mila processi, è doveroso segnalare il rischio di un'amnistia mascherata e battersi per evitarlo. Ecco, a questo ruolo non rinunciamo. Anzi: lo rivendichiamo. Un ruolo doveroso di segnalazione degli eventuali problemi che possono sorgere. Sulla corruzione avete avuto gli scontri maggiori. Sì perché per me la corruzione è un reato rispetto al quale, ad esempio, non si può rinunciare all'uso delle intercettazioni, come si vorrebbe fare. È un reato molto grave e, per farlo emergere, le intercettazioni sono indispensabili non foss'altro perché corrotto e corruttore spesso si accordano proprio al telefono. Io, però, sono sempre stata contraria all'abuso delle intercettazioni e, quindi, ho proposto una ricetta diversa per evitarne gli eccessi. Per farlo, non c'è bisogno di toccare i reati, ma soltanto di evitare la spropositata dilatazione del ricorso a questo strumento investigativo. Però non è mai riuscita a convincere il premier. Negli incontri in cui c'era anche lui, ho sempre espresso le mie perplessità tecniche e, per la verità, non ci sono mai stati violenti litigi. Ma dalla lettura dei giornali del giorno dopo capivo che no, proprio non l'avevo convinto e che, anzi, chiedeva di farmi togliere di torno. Tanto non l'ha convinto, che al senato il governo ha presentato emendamenti al ddl intercettazioni per cancellare, ad esempio, le modifiche introdotte alla camera con la mediazione dei finiani, in particolare sul bavaglio alla stampa. Che farete quando il testo tornerà a Montecitorio così modificato? Finché non leggo il testo e, soprattutto, finché non sarà stato approvato dal senato, non posso e non voglio esprimere giudizi. Al momento opportuno valuteremo. Piuttosto, dico fin d'ora che condivido, e spero sia approvato al più presto, il ddl "svuotacarceri" sulla detenzione domiciliare, su cui c'è stata, in commissione giustizia, una presa di distanza della Lega, che ha espresso perplessità e posto alcuni problemi, al contrario del Pdl. Si sta togliendo un sassolino? No, ma solo perché si dice sempre che la Lega è un alleato fedele. Non credo che queste cose mettano in crisi un rapporto. Io stessa, ad esempio, ho dovuto prendere atto che la maggioranza è contraria a un provvedimento per me importantissimo, la legge sul doppio cognome, che introdurrebbe davvero un mutamento culturale. Ne ho preso atto, e basta. IL PUNTO / Bossi guida il treno che corre verso le elezioni anticipate (di Stefano Folli) Bossi: riforme o si va a votare. E su Fini: "È un problema" Gli squilibri nel Pdl pesano sulla giunta del Lazio Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera" BERLUSCONI / "Buona la prima", il premier esclude un nuovo predellino VISTI DA LONTANO / "Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini (di Elysa Fazzino) SONDAGGIO / Crisi Pdl e stabilità di governo 24 aprile 2010
Stefano Folli Bossi guida il treno che corre verso le elezioni anticipate 24 aprile 2010 È singolare come Umberto Bossi sappia rivelarsi sincero, il che per un politico è spesso più un difetto che una virtù. Ma il capo della Lega sa essere diretto come nessun altro quando è in gioco il rapporto con il suo mondo, il suo elettorato. Perciò vale la pena leggere con attenzione l'intervista alla Padania di ieri. È il vero manifesto politico del centrodestra, annunciato dall'autentico vincitore, se così si può dire, di questa fase convulsa. Perché Berlusconi può aver dimostrato ai telespettatori che è ancora lui il capo incontrastato del Pdl, come tale in grado di sgominare il ribelle Fini. Ma la verità è che il partito di maggioranza relativa si ritrova adesso con un'immagine incrinata. In direzione non si è discusso, si è litigato ferocemente: e pochi hanno capito su cosa. Il grande progetto del Pdl risulta quanto meno offuscato. Persino Berlusconi avrà bisogno di un po' di tempo per risalire la china nei sondaggi. Per cui la Lega può a buon diritto considerarsi la beneficiaria del putiferio nel partito alleato. S'intende che a questo punto la legislatura è come una nave inclinata su un fianco. Non è ancora affondata, ma si avvia a esserlo. Per rasserenare il clima il presidente del Consiglio usa senza risparmio la retorica delle riforme da fare al più presto, addirittura "condivise" con l'opposizione. Ma tutti sanno che l'agenda delle cose possibili è ormai ridotta a poca cosa. E non solo per responsabilità (presunta) del gruppo dei dissidenti finiani e del loro "filibustering parlamentare", come dice Franco Frattini in anticipo sugli eventi. La vera ragione è che sulle riforme non c'è mai stata chiarezza. Tanto è vero che il primo a non credere al "presidenzialismo" nelle varie versioni proposte è proprio Berlusconi. In fondo, per quanto sia paradossale, l'unico punto fermo del premier (e di Bossi) è una non-riforma: ossia l'assoluta intangibilità della legge elettorale attuale. Non a caso uno dei punti di maggiore dissenso proprio con Fini. Per il resto, c'è il tema della giustizia, cui è annesso di fatto il disegno di legge sulle intercettazioni. È una bandiera importante per Berlusconi, ma anche un eccellente pretesto per consumare prima o poi un'eventuale rottura in Parlamento con il gruppo di Fini. Un "casus belli" che potrebbe portare alla chiusura anticipata della legislatura. E in fondo le elezioni anticipate appaiono sempre più come l'esito plausibile di una stagione in cui le riforme sono invocate e propagandate, ma restano virtuali. Qui torniamo all'intervista di Bossi. E al punto cruciale del federalismo, cavallo di battaglia leghista. Il leader usa parole definitive: "Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita per ciò che non siamo riusciti a fare". E ancora: "Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione...". È un'intervista amara, in cui si capisce che Bossi è deluso e infastidito anche dal modo in cui Berlusconi ha gestito il caso Fini. Al punto da dare per morto il governo ("ha subito un crollo verticale") e in crisi persino l'alleanza tra Pdl e Lega. In sostanza si tratta di un addio alla legislatura e dell'annuncio che ci si prepara alla battaglia elettorale, anche se è presto per dire quando. Di sicuro su Fini e sulle sinistre si riversa ogni responsabilità. Ma è anche la conferma che non ci sarà più una delega in bianco a Berlusconi su nessuna questione.
Gli squilibri nel Pdl pesano sulla giunta del Lazio 23 aprile 2010 Gli squilibri nel Pdl pesano sulla giunta del Lazio. Nella foto Renata Polverini Nessuna conseguenza. È questo il leit motiv che i neo governatori di centrodestra vanno ripetendo a poche ore dalla rottura tra Fini e Berlusconi, mentre la Lega già preme per un redde rationem. Ma è davvero ipotizzabile che questo polverone politico non impatti sui governi regionali? Lo scenario appare diverso. Anzi, a livello regionale lo strappo consumatosi nel Pdl ha come conseguenza più evidente quella di riaprire un nuovo caso Lazio. Qui le previsioni davano a 5 il numero degli ex An in predicato per un posto da assessore, due dei quali in quota Augello, finiano doc. Ed era stato lo stesso Fini a volere candidare Renata Polverini. Stamattina la presidente ha gettato acqua sul fuoco, assicurando che la nuova giunta si farà a breve e "non ci sarà nessuna ripercussione e cambiamento di equilibrio". Una linea confermata anche in serata. Prima, però, la presidente del Lazio è andata da Berlusconi a Palazzo Grazioli e lì dello scontro tra il premier e il presidente della Camera si è parlato "abbastanza", come lei stessa ha ammesso. Perchè "bisogna mantenere unita bla forza politica". In agguato c'è anche l'Udc, che la Polverini l'ha sostenuta, scegliendo in Lazio di affiancarsi al Pdl, e che proprio ora chiede il conto. In termini di assessorati. "La Polverini rispetti gli impegni assunti prima, durante e subito dopo" il voto, ha detto il segretario nazionale, Cesa, al termine di una riunione del nuovo gruppo consiliare in Regione. Altrimenti l'Udc è pronta a passare all'appoggio esterno. "Leale e sereno", ma esterno. Salendo al nord, in Lombardia nessun finiano entrerà in giunta. E neppure in Consiglio. Non è una novità, era già accaduto cinque anni fa. All'indomani dell'infuocata direzione nazionale del Pdl si replica. Formigoni ha presentato oggi la sua 'squadrà di 18 elementi: due sono ex An (erano 3 nel 2005) ora in forza al Pdl e vicini a La Russa (uno, Romano, è fratello del ministro). La Lega raddoppia con 5 assessori e un sottosegretario. Tutto il resto è del Pdl. Zaia in Veneto e Cota in Piemonte hanno già fatto la giunta nei giorni scorsi. La compagine di Cota include 4 leghisti e 8 azzurri, tre dei quali hanno militato nelle file di An. Lo scontro Berlusconi-Fini, assicura il governatore, "non avrà alcun riflesso". Con un cambio in corsa, invece, ha già dovuto fare i conti Zaia: le deleghe sull'Agricoltura, ufficiosamente appaltate in un primo tempo a Massimo Giorgetti sono poi andate al leghista Franco Manzato. Giorgetti, oggi nel Pdl, proviene da Alleanza nazionale. Alberto Giorgetti, suo fratello, anche lui ex An, attuale coordinatore del Pdl veneto e da sempre vicino a Fini, chiede oggi di "ricucire lo strappo" in casa Pdl, rilancia l'idea di una "sincera alleanza con la Lega" condita però da una "competizione sulle proposte" per i cittadini e assicura che per la giunta veneta non c'è nulla da temere. Al Sud, in Calabria, la giunta è operativa da una settimana: Scopelliti, in passato segretario del Fronte della gioventù, l'ha messa su in 48 ore. Nell' esecutivo sono entrati gli assessori del Pdl ampiamente annunciati alla vigilia, eccetto Franco Morelli, ex An, fedelissimo di Gianni Alemanno. In Campania, nella giunta a cui sta lavorando il neo governatore Stefano Caldoro, non sarebbe previsto nessun assessore riconducibile al presidente della Camera. Da approfondire, invece, le posizioni nel gruppo consiliare del Pdl, dove Fini dovrebbe contare su due-tre consiglieri. 23 aprile 2010
Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera" 23 aprile 2010 Il presidente della Camera: "Sulle riforme ognuno rinunci a piantare la propria bandiera" (Ansa) Sulle riforme istituzionali "ognuno deve rinunciare a piantare la propria bandiera" e questo "vale tanto per il centrodestra quanto per il centrosinistra". Lo sostiene il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un intervento all'Istituto Stensen di Firenze. Intervistato dal docente di Relazioni Internazionali, Luciano Bozzo, Fini ha spiegato che "questo dibattito oggi non appassiona più perché non ha dato frutti. Nel 1983 c'era già la prima commissione bicamerale per le riforme, siamo nel 2010 e siamo sempre a parlare di riforme". Invitando le parti in causa al dialogo evitando riforme a colpi di maggioranza, Fini ha aggiunto che "più che contrapporre questo a quel modello, dobbiamo bandire riforme che siano convenienti ad una parte e non gradite ad un'altra". Tra le priorità istituzionali il presidente della Camera ha riconosciuto che "bisogna definire con chiarezza quali sono le competenze dello stato e quali delle regioni". L'argomento più difficile su cui "far convergere centrodestra e centrosinistra", ha riconosciuto Fini, "resta quello della forma di Governo. Non è una difficoltà insormontabile, comunque, se si lavora con una certa buona volontà. Però ognuno deve rinunciare a piantare la propria bandiera". 23 aprile 2010
"Buona la prima", il premier esclude un nuovo predellino 23 aprile 2010 Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi alla presentazione del suv della Uaz da lui acquistato per una scommessa con Vladimir Putin (Infophoto) Un altro predellino? "No, certe cose non si ripetono mai. Buona la prima". Silvio Berlusconi il giorno dopo lo scontro pubblico con Gianfranco Fini trova il modo di ironizzare sul discorso del predellino che fondò il Pdl. Il presidente del consiglio alla presentazione del suv della Uaz da lui acquistato per una scommessa con Vladimir Putin, osserva la nuova jeep prodotta in joint venture dalla Fiat e commenta: "c'è anche un meraviglioso predellino", ma ai fotografi che gli chiedono di salirci sopra per una foto risponde con un sorriso "no, certe cose non si ripetono mai". Il premier in mattinata ha avuto una serie di colloqui con ministri ed esponenti del Pdl. E al termine della seduta del Consiglio dei ministri ha brevemente salutato Umberto Bossi, mentre nella sede del Governo si sono fermati anche i ministri della Giustizia, Angelino Alfano, della Gioventù, Giorgia Meloni e della Difesa, Ignazio La Russa. Il premier ha ricevuto inoltre i capogruppo di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri. A gettare acqua sul fuoco, dopo una riunione a palazzo Chigi è il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il quale si dice convinto che "non ci saranno ripercussioni sul governo e nemmeno sulla tenuta della legislatura". E ai cronisti che gli chiedono quali sviluppi avranno le tensioni tra Berlusconi e Fini, risponde: "dobbiamo riflettere su come uscirne". Renato Schifani si augura che "dopo la tempesta, come sempre, arrivi la quiete". Per il presidente del Senato ora tutto dipenderà "dall'atteggiamento che la componente minoritaria che ieri si è disegnata nella direzione nazionale avrà in Parlamento". Si dice preoccupata Renata Polverini, perché "un grande partito che si è diviso anche in maniera molto plateale non può che destare preoccupazione". La presidente della regione Lazio però crede che una ricucitura sia possibile. Il giorno dopo lo strappo Gianfranco Fini non si scompone e nei suoi uffici a Montecitorio riceve la visita inattesa di alcuni suoi fedelissimi, che probabilmente gli hanno voluto dimostrare fiducia e solidarietà per lo scontro con il premier e per gli attacchi rivoltigli da alcuni quotidiani. Il presidente della Camera ha incontrato, tra gli altri, il presidente della commissione Lavoro Silvano Moffa, il deputato Benedetto Della Vedova e il vicepresidente dei deputati del Pdl Italo Bocchino. Ma a far visita a Fini sono stati anche altri fedelissimi, certificando la compattezza della componente. Non si è trattato, in ogni caso, di riunioni o summit di corrente che alimenterebbero soltanto polemiche interne al Pdl. Intanto Italo Bocchino dal sito di Generazione Italia, chiede uno statuto dell'opposizione interna. "Vogliamo il diritto di discutere sull'attuazione del nostro programma elettorale. E vogliamo farlo nelle sedi di partito, a partire dalla Direzione nazionale e dai gruppi parlamentari", scrive il vice presidente dei deputati Pdl. 23 aprile 2010
"Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini di Elysa Fazzino 23 aprile 2010 "Senza precedenti" il match urlato tra Berlusconi e Fini Una scena "senza precedenti", un "match urlato", una "rottura in diretta tv". La stampa straniera ne ha certamente viste tante in Italia, ma lo scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini alla direzione nazionale del Pdl ha sorpreso anche gli osservatori più blasé. "La faida interna di Berlusconi esplode in uno scontro tv" è uno dei titoli sul sito web del Financial Times. Le divisioni nel partito sono esplose in un congresso "degenerato in un match urlato", scrive Guy Dinmore. "Le scene di disunione senza precedenti" –continua - seguono mesi di tensione tra i due alleati su "questioni fondamentali di politica e identità", che, secondo i leader di partito, rischiano di portare a elezioni anticipate se Berlusconi dovesse perdere la sua maggioranza parlamentare. Il Ft descrive un Berlusconi "chiaramente furibondo" di fronte al "lungo ed emotivo" discorso in cui Fini ha attaccato la sua leadership. Fini, spiega Dinmore, ha le sue radici in un movimento che vuole "uno stato e un governo centrale forte". Questo lo pone in rotta di collisione con la Lega Nord. E "senza la Lega Nord, il centrodestra perderebbe la sua maggioranza in Senato". I toni gridati dello scontro e la gestualità dei reciproci attacchi sono in evidenza in tutte le cronache. In particolare una Reuters sottolinea che le tensioni minacciano la stabilità del governo italiano, parla di "raro dibattito pubblico" nel quale Fini ha criticato "lo stile e la sostanza della leadership di Berlusconi", mentre un "irato" Berlusconi cercava di interromperlo. Il lancio d'agenzia è ripreso sui siti dell'Independent e del Telegraph e, oltre Atlantico, su quelli del New York Times e del Washington Post. Lo spagnolo El Pais mette la notizia in rilievo sulla homepage del suo sito: "Berlusconi e Fini rompono". I cofondatori del Popolo della Libertà "inscenano la loro rottura davanti alla televisione e al partito". Per Miguel Mora, la democrazia italiana ha vissuto una giornata storica. Berlusconi e Fini si sono lanciati "critiche, rimproveri, panni sporchi e frecce avvelenate". La lite ha messo in piazza la "profonda divisione" del partito di governo e Fini ha dimostrato che "la battuta che lo definisce come capo dell'opposizione contiene gran parte di verità". Il quotidiano spagnolo ricorda la contrapposizione tra "lo stile elegante e riflessivo" di Fini e "il carisma aggressivo e populista" del primo ministro. Se la "teatrale messa in scena" sfocerà in una crisi definitiva, scrive El Pais, Fini può contare su una cinquantina di parlamentari che abbandonerebbero il Pdl. "Una cifra sufficiente per frenare le riforme costituzionali di segno autoritario che Berlusconi vuole portare avanti, il che potrebbe convincere il Cavaliere a optare per elezioni anticipate" . "Convertito in squalo dopo essere stato delfino", osserva ancora El Pais, "Fini almeno ha ottenuto un obiettivo minimalista: ridare un poco di dignità alla politica italiana". El Mundo vede i due alleati "sull'orlo della separazione". Berlusconi e Fini "sfilato i coltelli in pubblico", titola il sito spagnolo Abc descrivendo "un triste spettacolo di attacchi, grida e gesti di disprezzo" davanti alla platea de loro partito e alle telecamere della tv, "per la prima volta ammesse in un dibattito interno". Alla fine, Berlusconi ha dato "una specie di ultimatum" a Fini, che ha detto di non avere nessuna intenzione di lasciare la presidenza della Camera. Il sito di Les Echos parla di "battibecco" nel titolo di un pezzo Afp che racconta come Berlusconi abbia mostrato i muscoli e lanciato una sorta di ultimatum a Fini. Le tensioni ricorrenti tra i due si sono rafforzate – osserva l'agenzia – dopo l'affermazione della Lega Nord alle regionali. Secondo Fini, spiega, una parte del Pdl si preoccupa del prezzo che la Lega farà pagare a Berlusconi per continuare a dargli un sostegno sempre più indispensabile. 23 aprile 2010
2010-04-21 Berlusconi: no a correnti nel Pdl di Celestina Dominelli 21 Aprile 2010 "Dai nostri archivi" IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl? Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni "Opa" di Bossi sulle banche del Nord La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile" Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto" Per la resa dei conti finale e per sapere come il premier Silvio Berlusconi risponderà all'ultima mossa di Gianfranco Fini, bisognerà attendere la direzione nazionale di domani. Ieri, però, una certezza è emersa dal vertice che si è tenuto a Palazzo Grazioli: il Cavaliere non è disposto a dare alcun riconoscimento formale alla minoranza che Fini si appresta a varare. Una posizione granitica che il premier ha consegnato ai due coordinatori, Sandro Bondi e Denis Verdini, ai capigruppo del partito Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, al vicecapogruppo a Palazzo Madama Gaetano Quagliariello, al ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli e al sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Unico assente, Ignazio La Russa: a trattenerlo lontano da Roma nessuna incertezza politica, ma solo la sua Inter schierata a San Siro per la Champions League. Chi ha visto il premier ieri sera lo descrive comunque molto cupo e deciso a rispondere colpo su colpo alle richieste messe nero su bianco da Fini. Non a caso agli organizzatori della mega-riunione di domani Berlusconi ha posto un paletto imprescindibile: il suo intervento dovrà essere l'ultimo, per consentirgli di replicare a tutte le contestazioni dell'ex leader di An. Ieri a palazzo Grazioli il Cavaliere ha anche incontrato una rappresentanza del Carroccio (i due ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni e la vicepresidente del Senato, Rosy Mauro) per definire la contropartita dopo l'ok leghista all'avvicendamento tra Luca Zaia e Giancarlo Galan al ministero dell'Agricoltura. A qualche agenzia che aveva accomunato le due riunioni, Calderoli ha poi precisato che non c'è stato alcun vertice tra Lega e Pdl e che l'incontro (durante il quale Berlusconi ha detto sì alla richiesta leghista di avere gli assessorati all'agricoltura nelle regioni del Nord) era stato programmato da giorni. A far crescere l'ira del premier ha poi contribuito la notizia che il finiano di punta, Italo Bocchino, avrebbe partecipato la sera al programma Ballarò. Una scelta che il Berlusconi non ha affatto gradito, tanto da aver provato, fino all'ultimo minuto, a bloccarla, senza successo. Così il Cavaliere ha preso atto di questo ulteriore "sgarbo" e ha ribadito ai suoi di non essere assolutamente disposto a dare legittimazione a una corrente interna che faccia capo a Fini perché un'apertura di questo tipo si tradurrebbe in una battaglia campale dentro il parlamento. Con i berlusconiani e gli ex An staccatasi da Fini costretti a trattare su ogni tema con la pattuglia del presidente della Camera. Ma con quale posizione si presenterà il Cavaliere domani alla direzione Pdl? Il premier non vuole ingessare la discussione interna nel partito in un meccanismo di correnti. Un conto è la libertà di dissenso, il confronto libero tra opinioni diverse che il Cavaliere, almeno a parole, vuole garantire. Altra cosa è formalizzare una minoranza e riconoscerle diritti di espressione e di rappresentanza all'interno del partito. Se Fini vorrà portare fino in fondo la sua sfida, la risposta di Berlusconi non potrà dunque che essere durissima, fino all'estromissione dal partito nel caso in cui la frattura non si potesse più ricomporre. "Non posso permettere che qualcuno tenti di logorarmi e non voglio più trattare con certe persone", è la riflessione di Berlusconi. Per il momento, però, il Cavaliere preferisce rimandare qualsiasi decisione. A dissuaderlo soprattutto Umberto Bossi. "Non possiamo rompere, occorre trovare un accordo", continua a ripetere il Senatur, preoccupato che una rottura tra Fini e Berlusconi possa vanificare tutto il lavoro svolto sul federalismo fiscale. In serata, poi, Berlusconi ha partecipato al quinto anniversario dell'elezione di Benedetto XVI al soglio pontificio dove ha avuto un breve colloquio con il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Se guerra alla fine sarà, dunque, lo si saprà solo domani. Ma qualcuno, come il ministro Matteoli, continua a sperare in una riconciliazione. "Dalle dichiarazioni di chi ha partecipato oggi alla riunione con Fini emerge che ci sono tutti i presupposti affinché il partito resti unito e auspico che questo avvenga per la mia storia e perché il partito vince". Più tranchant, invece, il ministro La Russa. "Le vicende interne di questi giorni portano a una frammentazione del Pdl che torna utile alla sinistra e in qualche modo fa sorridere anche gli alleati della Lega. Ciò poteva essere facilmente evitato". Un chiaro messaggio al suo ex segretario. © RIPRODUZIONE RISERVATA 21 Aprile 2010
Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl? 21 aprile 2010 Adesso che Gianfranco Fini ha fatto l'unica scelta logica (e prevedibile), decidendo di contare i suoi seguaci e di restare nel Pdl, sia pure in netta minoranza, la parola è al leader. Può tollerare Silvio Berlusconi l'esistenza di un dissenso organizzato dentro i confini della sua creatura politica? In termini politici la risposta dovrebbe essere affermativa. L'esistenza di una minoranza è fisiologica in un grande partito, a maggior ragione in un sistema bipolare, e il premier dovrebbe essere il primo a rallegrarsene. Ma la fisionomia del Popolo della libertà è peculiare, come insegna la storia del "predellino". E di sicuro Berlusconi non ha mai contemplato l'ipotesi di una fronda. Non stupisce quindi che abbia reagito con stizza agli ultimi avvenimenti. A esser precisi, il presidente del Consiglio vede la corrente finiana alla stregua di un cavallo di Troia incuneato nel fortilizio del Pdl. Già immagina i guerrieri del rivale uscire dalla pancia del quadrupede e sabotare il programma di governo. Probabilmente Berlusconi sta commettendo un errore e qualcuno, a cominciare proprio da Umberto Bossi, glielo sta facendo notare in queste ore. Del resto la riunione cruciale della direzione è convocata per domani: c'è tempo per rasserenare il clima, sempre che si voglia farlo. La verità è che il Pdl non è abituato al dibattito interno. Sotto questo aspetto il partito berlusconiano è tutt'altra cosa rispetto ai conservatori inglesi o ai democristiani tedeschi. Tanto più che l'ambizione di Fini è molto alta: aprire il confronto fra le due destre con l'obiettivo di farne prevalere una, la sua. Ossia – nel suo schema – la destra liberale e moderata, attenta ai vincoli costituzionali, rispetto alla destra legata al carisma del leader, plebiscitaria e poco incline a lasciarsi frenare dal quadro istituzionale. È ovvio che il rapporto di forza è tutto a favore di Berlusconi, come dimostra il documento dei 75 parlamentari ex An che non aderiscono alle posizioni di Fini e che hanno voluto confermare la loro fedeltà al premier. Ma è la prima volta che le due anime della destra si misurano in campo aperto, sia pure nella cornice dello stesso partito. Può essere l'occasione di chiarire molti equivoci che la nascita del Pdl si è portata dietro. Berlusconi ha ragione nell'intravedere rischi per la buona navigazione del governo. Specie al Senato dove i numeri della maggioranza sono più esigui. Ma una resa dei conti con i ribelli, che sulla carta chiedono solo rispetto per le loro idee, sarebbe un sicuro lasciapassare per l'instabilità e forse per la crisi ravvicinata dell'esecutivo. Tutto lascia pensare quindi che il presidente del Consiglio, per quanto contrariato, lascerà che il gruppo dei finiani si organizzi ed esponga le sue tesi a partire da domani. La condanna degli eretici e il successivo rogo sarebbe in questa fase un atto di autolesionismo con effetti negativi anche sul piano istituzionale. Si dimostrerebbe che non è possibile nel centrodestra la convivenza di opinioni diverse. Di conseguenza anche il tragitto delle riforme sarebbe ostruito. Del resto Berlusconi vede con crescente sospetto proprio il capitolo delle riforme istituzionali. Giudica la questione del presidenzialismo una trappola di Fini, un modo per far passare una nuova legge elettorale. E si mette in guardia. Ma come gli ripete Bossi, in questo frangente non c'è che tentare la coabitazione con il presidente della Camera. La coesistenza delle due destre.
La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile" Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva commenti - 4 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile" "Dai nostri archivi" Fini: non esco e non starò zitto Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta" Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto" La delusione di Fini: elusi i problemi Berlusconi: no a correnti nel Pdl "I partiti possono sempre organizzarsi in correnti, ma mi sembra che il primo a considerarle non positive sia stato proprio Fini". Così il ministro Ignazio La Russa, uno dei tre coordinatori del Pdl, ha bocciato in tronco la posizione assunta dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, suo ex "capo" quando era leader di Alleanza nazionale. Concetto ribadito da un maggiorente ex aennino a margine del vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli nel pomeriggio. "Non credo che (una corrente, ndr) sia una cosa che si può ipotizzare, non ha alcun senso". Il Pdl, del resto, rappresenta "una scelta giusta ed irreversibile". E' quanto si legge in un documento firmato dagli ex colonnelli di An - Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, che direttamente o indirettamente hanno preso parte al vertice di maggioranza a Palazzo Grazioli nel pomeriggio - e da 75 parlamentari in tutto (tutti provenienti da An). "Vogliamo contribuire ulteriormente a rafforzare il PdL restando all'interno del partito", proseguono i 75 (tra questi anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni). Tagliente la replica di Fini alla Velina Rossa di Pasquale Laurito: "Credo che in cuor loro siano d'accordo con me, ma ufficialmente non vogliono che si sappia". Tuttavia secondo i 75, scelta "giusta e irreversibile" non significa "ignorare i problemi politici e organizzativi che il Pdl deve affrontare procedendo nella sua strada, e le stesse osservazioni avanzate dal presidente della Camera Gianfranco Fini che debbono ovviamente essere oggetto di corretta valutazione. Quindi, per difendere e rafforzare l'unità del Popolo della Libertà, è necessario dare luogo ad un costante, libero, proficuo confronto di idee, che si basi sul regolare e sempre più frequente incontro degli organi statutari del partito e dei Gruppi parlamentari. Lì le idee e i progetti si devono confrontare per attuare, integrare e aggiornare il programma elettorale e le decisioni politiche scaturite dal congresso di fondazione". "Vanno garantiti il massimo della democrazia interna e il rispetto di tutte le posizioni, affidando le decisioni finali, impegnative per tutti, agli organi di volta in volta competenti", sottolineano i parlamentari ex An. "Il progetto del Popolo della Libertà - affermano i 75 nel documento - contribuisce in maniera decisiva alla costruzione di una democrazia bipolare, nella quale le istanze e i valori del centrodestra hanno raccolto la maggioranza dei consensi degli italiani. Alla netta affermazione alle elezioni politiche del 2008, hanno fatto seguito le vittorie alle regionali in Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Sardegna nonché le ultime elezioni regionali e significative affermazioni nelle città e nelle province. Risultati che rappresentano un chiaro giudizio positivo sul Governo guidato da Silvio Berlusconi. Pertanto, in ogni caso siamo fermamente convinti che il PdL rappresenti una scelta giusta ed irreversibile. Vogliamo contribuire ulteriormente a rafforzare il PdL restando all'interno del partito". "Questo - proseguono - non significa ignorare i problemi politici e organizzativi che il Pdl deve affrontare procedendo nella sua strada, e le stesse osservazioni avanzate dal Presidente della Camera Gianfranco Fini che debbono ovviamente essere oggetto di corretta valutazione. Quindi, per difendere e rafforzare l'unità del Popolo della Libertà, è necessario dare luogo ad un costante, libero, proficuo confronto di idee, che si basi sul regolare e sempre più frequente incontro degli organi statutari del partito e dei Gruppi parlamentari. Lì le idee e i progetti si devono confrontare per attuare, integrare e aggiornare il programma elettorale e le decisioni politiche scaturite dal congresso di fondazione". "Vanno garantiti - sottolineano - il massimo della democrazia interna e il rispetto di tutte le posizioni, affidando le decisioni finali, impegnative per tutti, agli organi di volta in volta competenti. Deve essere valorizzata l'azione delle rappresentanze elettive, a livello centrale e a livello locale, e intensificata l'opera di proselitismo, tesseramento, radicamento del Partito, con la piena funzionalità degli organi comunali, provinciali e regionali, anche attraverso i congressi previsti dallo statuto, affinché sul territorio una scelta democratica prenda il posto delle prime designazioni avvenute tenendo conto delle 'quote di provenienza' tra gli ex di An e di Forza Italia. Queste quote devono essere superate definitivamente attraverso la convocazione di un nuovo Congresso nazionale da celebrare nei tempi più rapidi possibili". "Deve essere difeso il sistema bipolare - insistono i 75 - aprendo la stagione delle riforme istituzionali per il rafforzamento della democrazia diretta che consente ai cittadini di scegliere i massimi vertici del governo e delle istituzioni e per garantire una effettiva governabilità al Paese. Deve essere forte e ricca di contenuti l'azione del Popolo della Libertà su tutto il territorio nazionale e per i temi di principale interesse dei cittadini. È evidente che le questioni dell'economia e del lavoro, dello sviluppo del Sud, della sicurezza e del contrasto all'immigrazione clandestina, della tutela della vita e della famiglia, devono vedere protagonista il Popolo della Libertà, prima forza politica italiana e guida della coalizione di centrodestra". Secondo il documento degli ex aennini "deve essere centrale la nostra vocazione a tutela dell'unità nazionale nel rispetto delle specificità locali e delle diversità territoriali. Per questo è necessario attuare, insieme al presidenzialismo, il federalismo fiscale in modo efficace e solidale con un forte snellimento del sistema burocratico per ridare slancio all'economia dei territori, in particolare quelli del Nord, da sempre locomotiva dello sviluppo. Non deve essere trascurato, o peggio ancora accresciuto con messaggi equivoci, il disagio dei cittadini a fronte dei guasti provocati dall'immigrazione clandestina". "L'unità del Popolo della Libertà, il bipolarismo, il rafforzamento della democrazia interna, i valori della destra, la modernizzazione dell'Italia attraverso una forte agenda di riforme, sono obbiettivi e contenuti che quanti provengono dalla esperienza di An, decisiva per l'affermazione del centrodestra e per la nascita del Popolo della Libertà, ritengono prioritarie ed essenziali". I firmatari del documento sono: Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Giorgia Meloni, Francesco Amoruso, Francesco Aracri, Filippo Ascierto, Alberto Balboni, Antonio Battaglia, Viviana Beccalossi, Domenico Benedetti Valentini, Anna Maria Bernini, Filippo Berselli, Francesco Bevilacqua, Maurizio Bianconi, Francesco Biava, Giorgio Bornacin, Alessio Butti, Antonino Caruso, Giuseppina Castiello, Maurizio Castro, Basilio Catanoso, Carlo Ciccioli, Edmondo Cirielli, Manlio Contento, Gennaro Coronella, Massimo Corsaro, Riccardo De Corato, Cristiano De Eccher, Mariano Delogu, Fabrizio Di Stefano, Egidio Digilio, Giovanni Dima, Vincenzo Fasano, Andrea Fluttero, Tommaso Foti, Paola Frassinetti, Alessandra Gallone, Pierfrancesco Gamba, Agostino Ghiglia, Alberto Giorgetti, Domenico Gramazio, Giorgio Holzmann, Pietro Laffranco, Mario Landolfi, Maurizio Leo, Gianni Mancuso, Alfredo Mantica, Alfredo Mantovano, Marco Marsilio, Marco Martinelli, Riccardo Migliori, Eugenio Minasso, Franco Mugnai, Bruno Murgia, Domenico Nania, Vincenzo Nespoli, Carlo Nola, Antonio Paravia, Vincenzo Piso, Carmelo Porcu, Fabio Rampelli, Luigi Ramponi, Michele Saccomanno, Stefano Saglia, Barbara Saltamartini, Filippo Saltamartini, Raffaele Stancanelli, Marcello Taglialatela, Achille Totaro, Michele Traversa, Giuseppe Valentino, Marco Zacchera. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione di Donatella Stasio commenti - 8 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 20 Aprile 2010 L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione "Dai nostri archivi" Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto" Giustizia: due anni dal rinvio a giudizio per la prescrizione "Vado in sala stampa e faccio l'annuncio" PILLOLA POLITICA /Fini-Berlusconi: il patto onorevole sulla giustizia e le distanze sul Pdl Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana Intercettazioni e prescrizione breve: è su questi due fronti che la finiana Giulia Bongiorno si è "guadagnata" l'antipatia di Silvio Berlusconi ("crea sempre dei problemi", "levatemela dai piedi"). Nell'uno e nell'altro caso, la presidente della commissione giustizia della Camera, alter ego di Gianfranco Fini sulla giustizia, ha mandato in fumo i programmi del presidente del Consiglio: lui spingeva per soluzioni radicali che tenessero fuori dalle intercettazioni il reato di corruzione; lei gli rispondeva che il malaffare non viene a galla senza le registrazioni; lui insisteva per azzerare con la "prescrizione breve" migliaia di processi, anche sulla corruzione, lei replicava che sarebbe stata un'amnistia mascherata. Il pomo della discordia era sempre lo stesso: il reato di corruzione. Due date, in particolare, hanno segnato il rapporto tra B e B, e misurato la loro distanza: il 21 gennaio 2009 e il 10 novembre dello stesso anno. In entrambe le occasioni, il premier capì che l'avvocato Bongiorno sarebbe diventato la sua spina nel fianco. E con lei il presidente della Camera Gianfranco Fini. Le cronache ricordano che il 21 gennaio 2009, durante una cena-vertice a palazzo Grazioli, si chiuse il braccio di ferro sull'esclusione o meno della corruzione dalla lista dei reati intercettabili. Prima della presentazione del Ddl Alfano, la Bongiorno aveva concordato con Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premier, una formula che non escludesse i reati contro la pubblica amministrazione (almeno quelli più gravi); ma subito dopo il varo del provvedimento, ricominciò il pressing di Berlusconi per far rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta. Doveva però superare l'ostacolo di Fini. Il 22 gennaio il premier si trovò di fronte la Bongiorno, che puntò i piedi sulla lista dei reati intercettabili, evitando che Berlusconi sfilasse corruzione e concussione. Ebbe la meglio (la lista, anzi, si allungò), anche se Berlusconi fece ingoiare a Fini una durata degli ascolti "limitata nel tempo" e, soprattutto, i "gravi indizi di colpevolezza", poi divenuti "evidenti" (ma destinati a tornare, in quest'ultimo giro di boa al Senato, "gravi indizi di reato"). L'ulteriore dispiacere dato al Cavaliere fu quando la Bongiorno, in una lettera al presidente dell'ordine dei giornalisti, annunciò che "un divieto totale di pubblicazione di atti giudiziari fino alla conclusione delle indagini o fino al termine dell'udienza preliminare" avrebbe "azzerato qualsiasi forma di conoscenza nelle prime fasi dell'attività giudiziaria relativa a delitti di grave allarme sociale". E dunque preannunciò alcune correzioni poi inserite al testo per attenuare il "bavaglio alla stampa". Ma lo scontro più forte tra B e B si consumò a Montecitorio il 10 novembre 2009, all'indomani della bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta. La presidente della commissione Giustizia affiancava Fini in quel faccia a faccia, uno dei più tesi che abbia avuto con il premier, a sua volta affiancato da Ghedini. Era presente anche Gianni Letta. Berlusconi si presentò con due testi, uno sul "processo breve" e l'altro sulla "prescrizione breve" (taglio di 1/4 della prescrizione per i reati puniti con non più di 10 anni commessi prima di maggio 2006). Il premier li voleva entrambi, in particolare il secondo, che avrebbe chiuso una volta per tutte i suoi processi in corso. Il Quirinale era in allarme, perché si prospettava la morte di circa 600mila processi. La Bongiorno obiettò a Berlusconi quello che in tanti, anche nel Pdl, pensavano ma non dicevano: sarebbe stata un'amnistia. E per di più, con dentro la corruzione. Come spiegarla agli Italiani? Fini fece muro: "Danneggerebbe i cittadini. Non si può fare". E il cavaliere incassò "soltanto" il "processo breve". Che però, dopo l'approvazione del Senato, è rimasto bloccato in commissione giustizia alla Camera. IL PERSONAGGIO Giulia Bongiorno Avvocato cassazionista e presidente della commissione giustizia di Montecitorio, ha da poco compiuto 44 anni. La sua notorietà risale a diversi anni fa, quando giovanissima (28 anni) fece parte del collegio di difesa di Giulio Andreotti, processato con l'imputazione di associazione mafiosa. La Bongiorno fu l'assistente del difensore principale, Franco Coppi. Nella sua carriera ha difeso, tra gli altri, Piero Angela (in un processo per diffamazione) e Sergio Cragnotti. IL PUNTO /A Fini conviene costituirsi minoranza nel Pdl. Pensando al futuro (di Stefano Folli) Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana (di Sara Bianchi) Rutelli (Alleanza per l'Italia): "Il terzo polo adesso è possibile" (di Alberto Orioli) Briguglio (Pdl): possibile un nuovo partito ispirato a Fini 20 Aprile 2010
Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana di Sara Bianchi commenti - 1 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 19 aprile 2010 Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana "Dai nostri archivi" Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta" Credibile e onesto ma meno simpatico I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto A Fini conviene costituirsi minoranza nel Pdl. Pensando al futuro Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" In attesa del confronto tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, finiani si preparano all'incontro di domani con il presidente della Camera, ma l'attivisimo è alle stelle anche tra gli aennini che non stanno con l'ex leader. Ignazio La Russa e altri 17 parlamentari di Lombardia, Piemonte e Liguria hanno sottoscritto un documento in cui dichiarano che rimarranno all'interno del partito qualunque cosa accada, perché "è una scelta irreversibile". I finiani lavorano alla stesura del documento per la direzione nazionale di giovedì, quando i due leader si confronteranno apertamente. Una prova di forza che si annuncia più aspra del previsto, perché se nel documento inziale dei finiani i toni erano abbastanza concilianti ora le cose sembrano mettersi diversamente, con accenti più duri. Le ipotesi sul tappeto restano due: l'effettiva costituzione di una minoranza interna al Pdl, oppure la formazione di gruppi parlamentari autonomi, considerata dal presidente del Consiglio una scissione a tutti gli effetti. Scenario che potrebbe dare origine a un terzo polo con Casini, Fini e Rutelli. Idea quest'ultima lanciata dall'ex leader della Margherita dalle pagine del Sole 24Ore e che non raccoglie, almeno per il momento, grandi entusiasmi tra i possibili alleati. "Gianfranco Fini è stato categorico: appoggiamo questo governo, abbiamo ricevuto dai nostri elettori il mandato a governare con Berlusconi e comunque vadano le cose non li tradiremo", dice il Senatore Giuseppe Valditara. "La nostra volontà - sottolinea - è rafforzare il Pdl, non romperlo, far sì che il partito sia costruito in modo che ognuno si senta a casa propria". Valdirata ricorda come il Pdl sia composto da varie anime e "tutte devono essere rappresentate". E cita un recente sondaggio, secondo il quale il 38% degli elettori del Pdl preferisce Fini a Berlusconi: "si tratta dunque di una minoranza che va ascoltata". Intanto l'attesa per il confronto pubblico tra i due leader cresce. "Quella che stiamo vivendo grazie a Fini", dice Valditara "è una stagione decisamente affascinante: giovedì si confrontano per la prima volta nel nostro partito ai massimi livelli Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. È un dibattito che sarà di insegnamento anche per il Pd". E poi "un vero liberale appoggia le istanze di Fini, non le contrasta". Il Carroccio? "Le dichiarazioni di Bossi che considera la Padania una nazione sono la prova che la Lega non può esprimere il presidente del consiglio, il pilastro dell'alleanza resta il Pdl". Anche per Benedetto Della Vedova "la discussione è circoscritta al Pdl. Altre ipotesi non esistono. L'iniziativa è sul futuro del Pdl". Nemmeno l'Udc crede alla possibilità di realizzare un terzo polo con Casini, Fini e Rutelli. "È un'ipotesi fantasmagorica, un esercizio intellettuale notevole, ma non realizzabile", dice Luca Volontè. Il deputato centrista ricorda come il Pdl goda di un'ampia maggioranza in Parlamento e non vede alle porte una scissione che possa mettere in difficoltà la coalizione di governo. "Oltretutto - sottolinea - dai toni aspri tra i vari colonnelli si è passati ora a una discussione dentro gli organi di partito". Del resto la condizione politica di cui "soffre" il Pdl era già "stata denunciata dall'Udc mesi fa, perché la Lega è ormai di fatto alla guida della maggioranza". Insomma quello in atto per Volontè non è altro che "un aspro confronto" dentro il Pdl. Ora invece bisognerebbe pensare alle riforme: istituzionali, dello Stato sociale, del fisco. "Noi vogliamo lavorare per un'alleanza di centro, a partire dal territorio e dalle regioni e una sciossione nel Pdl non la auspico, come non auspicavo che avvenisse nell'Udc, perché una forza di centro non deve attendersi scissioni da altri soggetto per avere successo". 19 aprile 2010
Il terzo polo adesso è possibile di Alberto Orioli
18 Aprile 2010 Francesco Rutelli : "Il terzo polo adesso è possibile" Ha parlato con Fini e ha mandato un messaggio a Clegg, il leader dei Libdem che a sorpresa ha vinto il match televisivo in Gran Bretagna. Francesco Rutelli, fondatore dell'Api (Alleanza per l'Italia) dopo aver creato il Pd ed esserne rimasto presto deluso, vede un percorso possibile e più ravvicinato per la sua idea di terzo polo. "Clegg è mio buon amico, veniamo dallo stesso gruppo parlamentare europeo, sono molto contento del suo successo e dell'attenzione che ha catalizzato su di sé. Per me era fin dall'inizio la migliore offerta politica sul proscenio inglese". Parla di Clegg per parlare di lei? Tengo i piedi per terra. I libdem sono premiati per l'opposizione e le idee nuove. Quanto a noi, se guarda le 4 regioni dove Api si è presentata e somma i voti con l'Udc, già trova un risultato a due cifre. In pochi mesi, siamo già presenti in quasi mille consigli comunali. Sapevamo di dover nuotare contro corrente, però di fare la cosa giusta. E il tempo ci darà ragione. È vero che ha sentito Fini? Ci siamo parlati. L'ho trovato lucido sul senso della sua scelta, ma anche amareggiato per come viene percepita nel suo schieramento. Quello che non trova nel Pdl è il gioco di squadra. Non è un bluff dunque? Vede, la politica è una scienza esatta. Lo dico da tempo: se il Pd è un partito mai nato, il Pdl è un partito nato troppo. Fini non ha potuto dire di no nel momento del famoso discorso del predellino che di fatto ha sancito la nascita del Pdl. Ma è stato da subito un partito personale e ora questo nodo è arrivato al pettine nel momento in cui il suo leader finisce per appoggiarsi alla parte più estrema dello schieramento, cioè la Lega. C'è spazio per un terzo polo Fini-Casini-Rutelli? Non mi metterei a correre troppo. E non voglio in nessun modo inserirmi indebitamente nel confronto in atto nel Pdl, ma penso che ciò che oggi è minoranza può diventare in un tempo medio maggioranza. L'Italia non è più quella dei due poli, e tanto meno dei due partiti, che hanno perso milioni di voti in pochi mesi. L'astensione, poi, è un segno molto forte. Otto mesi fa ho lasciato il Pd sulla base di un'analisi poggiata su quattro convinzioni: che il Pd era destinato a restare un forza di minoranza assimilabile al Pds; che si sarebbe rafforzata l'ala giustizialista che pretende di liquidare il premier nelle aule di giustizia, mentre le soluzioni spettano alla politica; che il Pdl si sarebbe spostato sull'asse con la Lega; che Fini avrebbe rotto il fronte. Non mi sembra di avere sbagliato. Prima il centro destra era Berlusconi-Fini-Casini–Bossi, ora è solo Berlusconi-Bossi. La mossa di Fini ha accelerato o allontanato le riforme istituzionali? Le modifiche plebiscitarie fortunatamente vanno in archivio. Per fare le riforme istituzionali utili al Paese serve comunque un equilibrio che oggi non vedo. Ha ragione Fini a chiedere conto al Pdl, ad esempio, della mancata abolizione delle province: ma come – dice – è nel programma e nel momento in cui la Lega ne conquista qualcuna abbandoniamo tutto? Se Fini fa il suo gruppo, l'esito sono le elezioni anticipate? Non credo sia l'unico esito prevedibile. D'altro canto Fini ha subito annunciato la fedeltà allo schieramento del Pdl. Semmai mi colpisce come sia il Pd a dire che non vuole eventuali elezioni anticipate. È il primo caso al mondo di un partito di opposizione che non vorrebbe giocarsi la chance di ribaltare l'esito delle votazioni che lo ha visto perdere. Su che basi una nuova alleanza politica se non quella delle riforme che nessuno ha trovato il coraggio di fare o il consenso per farle? Certo: significa unirsi per fare le cose che servono davvero al paese in nome di un politica che non sia solo tattica. C'è una nuova pagina bianca da scrivere. Una terza forza è credibile solo così: se si resta ai Guelfi e ai Ghibellini vince sempre Berlusconi. Che però non riesce a riformare questo paese. Quali riforme allora? Io farei una nuova coalizione della crescita. È il primo vero punto su cui far convergere le energie del paese, tutte le migliori energie. Bisogna trovare il modo per tagliare la spesa e cambiare il fisco. E aggredire i nodi strutturali su cui Berlusconi (al governo ormai per otto anni negli ultimi 10) non ha fatto nulla: tasso di crescita, tasso di occupazione, livello di sommerso, tasso di produttività. Non ci sono i fondi, c'è il secondo debito pubblico del mondo e la concorrenza del debito di altri paesi. C'è il debito ma c'è anche la forte sensazione – corroborata dalle dichiarazioni più o meno esplicite che fanno anche alcuni ministri – di un titolare dell'Economia che ha fatto da sponda nella gestione dei fondi solo alla politica del territorio voluta dalla Lega strozzando le altre iniziative. Alla fine la spesa nelle amministrazioni pubbliche è salita del 4%, il conto della sanità è cresciuto ancora, la pressione fiscale è aumentata e allo sviluppo sono finite le briciole. Ora il tema è la riforma fiscale Per me la pagina più bella del fisco negli ultimi anni è la detrazione del 36% per i lavori di ristrutturazione: il gettito è aumentato, l'evasione diminuita, il volto del fisco è risultato più amichevole (e oggi dovremmo aggiornarla in chiave di modernità ecologica). Sono anche per una cedolare secca sugli affitti del 20% che avrebbe lo stesso esito (e non una diminuzione di gettito). L'Italia delle dichiarazioni dei redditi non è il paese reale: le aliquote vanno ridisegnate e va recuperata l'evasione fiscale anche creando il conflitto di interessi tra fruitori e prestatori di servizi. Se si dialoga con i professionisti a cominciare dai commercialisti – categoria molto matura – si potranno fare riforme importanti in questo campo e non solo. Penso ad esempio alle liberalizzazioni che i nostri governi hanno imposto senza dialogare con chi temevano avrebbe avuto una reazione corporativa. Ma è stato un errore. La Lega ora è il partito trionfatore. Anche il Carroccio vuole meno tasse sulle pmi e sul lavoro autonomo. La Lega è uno strano partito di governo: una miscela di gestione del potere e di opposizione permanente. Il paradosso è che ha successo perché rifiuta di avere un progetto nazionale. Il radicamento sul territorio ha premiato... È un falso mito quello di chi vuole dipingere la Lega come il nuovo Pci, quello delle sezioni. La Lega è un partito delle balere e dei bar, e non lo dico con disprezzo. Anzi, è un ottimo mezzo per arrivare alla gente, ma arrivarci dai bar radica gli amministratori, ma non aiuta a guardare l'interesse generale. Non c'è un progetto culturale o civile, una visione strategica, c'è solo un gran bel tifo. La Lega non c'è dubbio ha una classe dirigente nuova e giovane, ma forse non è un caso che qualunque giornale straniero la assimili al Fronte nazionale al Bnp o al Blocco xenofobo fiammingo. Insomma, alle formazioni di destra estrema. Ora ha conquistato la parte più ricca del paese e punta alla grande finanza. Io che mi sono battuto nel mio campo quando si ipotizzava di avere una banca rossa, resto sbalordito per il silenzio che circonda la rivendicazione di Bossi di voler suoi uomini ai vertici delle banche. Stiamo tornando alla parte peggiore degli anni 80 con grande disinvoltura. E con poche critiche. È la stessa disinvoltura con la quale la Lega è passata dal paganesimo del Dio Po al clericalismo di certa retorica sull'aborto. Non mi sono battuto contro i comunisti di ieri per plaudire ai nuovi leninisti padani oggi. 18 Aprile 2010 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fini: "Berlusconi accetti il dissenso, io non starò zitto" di Celestina Dominelli e Andrea Franceschi Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva commenti - 32 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 20 aprile 2010 Fini: "Berlusconi accetti<br/>il dissenso, io non starò zitto" "Dai nostri archivi" Fini: non esco e non starò zitto Gelo di Berlusconi, Fini alla "conta" IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl? Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana La Russa, Alemanno e altri 73 ex An: "Pdl scelta irreversibile" Nella riunione con i parlamentari a lui vicini il presidente della Camera ha detto che "si apre una fase nuova nel partito" escludendo però scissioni o voto anticipato. Il presidente del Consiglio incontrerà i coordinatori del Pdl, Bondi, Verdini e Larussa, alle 17 e 30
ROMA - Non ha intenzione di togliere il disturbo, né di stare zitto. Ma rimarrà con una propria corrente nel Pdl affinché si apra "una fase nuova con un confronto aperto nel partito". Esordisce così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nella riunione con gli ex parlamentari di An (circa 40 i presenti) convocata oggi nella sala intitolata a Pinuccio Tatarella. "Ci sono dei momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio. Decidere se si è disposti a rischiare per le proprie idee. Questo è il momento". Più o meno le stesse parole usate stamane, nel suo editoriale, anche dal direttore di Ffwebmagazine, il periodico on line di Farefuturo, la fondazione di Fini. "Arriva il momento in cui disobbedire è morale – scrive Filippo Rossi -. Arriva il momento delle scelte e delle decisioni. Arriva il momento in cui i nodi vengono al pettine". E quel momento sembra essere arrivato per il cofondatore del Pdl. Che ha deciso di svelare le sue carte e di portare avanti il progetto di una minoranza interna che servirà, lo aveva spiegato ai suoi nei giorni scorsi ma lo ha sottolineato anche oggi, "non per destabilizzare il Pdl, ma per rafforzarlo". "Questa è una fase complicata – aggiunge il presidente della Camera – non ce la facevo più a porre sempre le stesse questioni al presidente del Consiglio". Questioni che Fini ribadirà alla direzione di giovedì quando, davanti al premier Silvio Berlusconi, metterà in fila i motivi del suo dissenso e la necessità di un cambio di passo per il Pdl, troppo appiattito sulle istanze leghiste. Un partito in cui Fini non si riconosce più e ai parlamentari ex aennini lo dice senza troppi giri di parole citando il celebre aforisma di Ezra Pound. "Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui". Poi il messaggio al Cavaliere. Berlusconi, rimarca Fini, continua a pensare che si tratti "di incomprensioni", invece "il problema è solo politico". "Ci sono punti di vista diversi tra me e il premier", osserva ancora il presidente della Camera. "Se giovedì usciremo con un'ampia maggioranza sul documento del presidente nel Consiglio, ma con una pattuglia minoritaria in polemica con la maggioranza significa che ci sarà un confronto aperto. Il problema - aggiunge ancora Fini - che si porrà sarà: il dissenso interno può esistere o siamo il partito del predellino?. Sarà il momento della verità, un momento anche delicato", conclude Fini. Per la terza carica dello Stato, quindi, "la fase del 70 a 30 è finita. Spero che Berlusconi accetti che esista un dissenso, vedremo quali saranno i patti consentiti a questa minoranza interna". È questo dunque l'approdo finale del percorso del co-fondatore del Pdl. Che ha chiesto ai parlamentari presenti di firmare un documento di sostegno alle sue posizioni che saranno ribadite giovedì. Le tensioni e il documento Nessuna scissione, dunque, per il momento. Ma il clima tra i finiani è molto caldo e anche oggi, prima della riunione, è andato in scena un nuovo scontro tra il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino, e il sottosegretario all'Ambiente, Roberto Menia. "Ho detto senza peli sulla lingua a Bocchino di smetterla perché ha già fatto abbastanza danni". La tensione insomma resta alta. "Non ho nessuna intenzione di togliere il disturbo, nè tantomeno di stare zitto. E spero che Berlusconi accetti il dissenso. Qui si vedrà se siamo un partito in cui si discute liberamente e il dissenso è legittimo o se siamo il partito del predellino in cui tutti devono essere d'accordo e dire che va tutto bene". Lo ha detto Gianfranco Fini, secondo quanto viene riferito, nella riunione con i parlamentari a lui vicini (una quarantina di ex An secondo indiscrezioni ndr.).
Fini ha anche spiegato di "non aver mai parlato di scissioni o di voto anticipato: se qualcuno li evoca è perchè auspica che io me ne vada". A questo proposito, Fini ha anche criticato "chi in questi giorni ha cercato di interpretare il mio pensiero, andando da una parte all'altra in tv ad incendiare il dibattito". "Ora - ha concluso Fini - si apre una fase nuova", con l'esplicitazione di un dissenso interno nel partito, e "chi avrà più filo da tessere tesserà". A questo proposito ha osservato che "la componente ex An avrebbe dovuto restare unita, ma invece è andata diversamente". Ecco alcuni stralci del documento firmato dai fedelissimi del presidente della Camera. "In merito alle polemiche che l'incontro tra Fini-Berlusconi ha suscitato nei media e nell'opinione pubblica - si legge - riteniamo necessario esprimere solidarietà a Gianfranco Fini contro il quale sono stati espressi giudizi ingenerosi con toni a volte astiosi. Per parte nostra riteniamo che le questioni poste da Fini meritino un approfondimento e una discussione attenta nelle competenti sedi di partito. Nel corso della direzione di giovedì prossimo sarà lo stesso presidente della Camera a chiarire le sue proposte, aprendo un dibattito che ci consentirà di articolare e aggiornare un progetto di rilancio del Pdl, aperto alla partecipazione di tutte le componenti del partito". "La prospettiva di una escalation e anche il suo parlare di scissioni ed elezioni anticipate - è scritto ancora nel testo - risultano incomprensibili per noi e per l'opinione pubblica che invece si aspetta una fase più incisiva dell'azione del nostro governo. Bisogna quindi riportare il confronto sul piano costruttivo, isolando quanti più o meno consapevolmente stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl. Per questi motivi confermiamo la fiducia al presidente Gianfranco Fini a rappresentare tali istanze". Berlusconi: no a correnti nel Pdl IL PUNTO / Ora la palla è a Berlusconi: possono coesistere due destre nel Pdl? (di Stefano Folli) L'antipatica Bongiorno e gli stop sulla corruzione (di Donatella Stasio) Un terzo polo con Fini? Per ora resta un'ipotesi lontana (di Sara Bianchi) Rutelli (Alleanza per l'Italia): "Il terzo polo adesso è possibile" (di Alberto Orioli) Briguglio (Pdl): possibile un nuovo partito ispirato a Fini 20 aprile 2010
2010-04-17 Berlusconi elogia "San Tremonti" e dice che le riforme più importanti non sono quelle istituzionali commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 17 aprile 2010 Berlusconi in visita al Salone del mobile a Milano "Dai nostri archivi" Il Times elogia Tremonti, "buon candidato a miglior ministro delle finanze europeo" Caso Emergency, Berlusconi scrive a Karzai Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto "Opa" di Bossi sulle banche del Nord In visita al Salone del Mobile in corso a Milano, il premier Silvio Berlusconi elogia l'operato del ministro dell'Economia Giulio Tremonti: "Se i conti non fossero stati in ordine e gli investitori avessero potuto avere dei timori sulla tenuta dello Stato italiano - ha detto Berlusconi - poteva succedere quello che è successo in Grecia e avremmo avuto un esito che avrebbe distrutto la nostra economia e la nostra immagine nel mondo. Quindi... san Giulio Tremonti, un personaggio difficile con cui io mi trovo dialetticamente contrapposto tutti i giorni, anche perché è molto intelligente".
A seguire, Berlusconi ha detto anche che "le riforme istituzionali non credo siano la cosa più importante". Secondo il premier, dopo aver dato la possibilità all'elettorato di votare direttamente il loro sindaco e presidente di Regione, "poter scegliere anche il presidente dell'Italia credo sia un diritto in più per i cittadini". Il sistema delineato dalla Costituzione "risente del fatto che i padri costituzionali l'abbiano fatta dopo venti anni di dittatura ed avevano timore del ritorno di un regime e tutti i poteri sono stati dati all'assemblea parlamentare". La conseguenza, per il premier, è che quello italiano "è l'esecutivo con meno poteri al mondo". Il presidente del Consiglio "è un primus inter pares - ha concluso - vive solo della sua personale autorevolezza e infatti gli altri sono durati 11 mesi". In ogni caso, Berlusconi ha detto che le riforme costituzionali si faranno "sentendo tutti" e possibilmente "con l'assenso di una opposizione responsabile, se diventerà responsabile". "Nessuna critica - ha aggiunto - nei confronti dell'ottimo capo dello Stato". Infine, una nota di distensione sul confronto di questi giorni con Gianfranco Fini: "Sono quindici anni che andiamo d'accordo; cos'è sta roba che non andiamo d'accordo? Ma vediamo... questa settimana gli ho fatto la corte". 17 aprile 2010
Alfano non esclude il voto e dice che con Fini serve una soluzione definitiva 17 aprile 2010 Nella foto il ministro Angelino Alfano "Dai nostri archivi" Alfano rilancia sulla giustizia, Fini si smarca un po' Tornano i "gravi indizi di reato" Vuoti in procura: magistrati pronti allo sciopero Alfano: "Fatto gravissimo" Alfano attacca il Csm sull'inchiesta Agcom-Rai "Violata la Costituzione" Alfano: sì alla costruzione di nuove carceri "Lo strappo con Fini richiede una soluzione, ma deve essere una soluzione definitiva". E la strada potrebbe essere anche quella delle elezioni anticipate. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a margine della nona Conferenza nazionale della Cassa forense a Baveno sul lago Maggiore, afferma di fare fatica a trovare una spiegazione alla situazione di tensione che si è creata tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini. "Dopo tanti successi è difficile spiegare a noi stessi prima che ai nostri elettori quale sia la regione del contrasto dopo tanti successi elettorali – ha detto il Guardasigilli – ma se la maggioranza che ha vinto le elezioni non sarà più tale, si dovrà tornare a chiedere il consenso". Alfano si rammarica di una preziosa occasione che potrebbe essere sprecata - si è, infatti, dichiarato, "non certo" di una soluzione positiva - quella di tre anni senza elezioni da impiegare per fare delle riforme. Il Guardasigilli si è invece dichiarato tranquillo sulla posizione che la Corte costituzionale potrà prendere in merito alla compatibilità con la Carta delle norme sul legittimo impedimento. 17 aprile 2010
La delusione di Fini: elusi i problemi di Barbara Fiammeri commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci Sabato 17 Aprile 2010 "Dai nostri archivi" Gioco d'anticipo per evitare alla destra una lenta agonia Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" Fini: pronto a gruppi autonomi I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto Dal 7 al 14%: fondamentale il fattore tempo ROMA - La prima conta comincerà oggi, quando i senatori vicini a Gianfranco Fini si incontreranno a tavola per valutare le prossime mosse. Martedì sarà la volta dello showdown alla Camera, dove Fini ha convocato gli ex An. All'appuntamento avrebbero già aderito – secondo fonti vicine al presidente della Camera – una cinquantina tra deputati e senatori che alla fine della riunione firmerebbero un documento a sostegno delle posizioni espresse da Fini. Da quel momento partirà il conto alla rovescia che si concluderà giovedì, alla direzione del Pdl dove il presidente della Camera ha annunciato che interverrà e dove sarà chiaro se il Pdl è prossimo alla scissione. Al momento le posizioni restano le stesse. Fini attendeva risposte che non sono giunte. Berlusconi ritiene che non ci siano interrogativi da sciogliere.
Ma questa è la facciata pubblica. Dietro le quinte si sta trattando. L'ex leader di An chiede un "segnale di discontinuità". Che può anche tradursi in un avvicendamento, in un cambiamento dell'organigramma del Pdl. Non si tratta però di un mero gioco di poltrone. Il presidente della Camera chiede di essere rappresentato perché oggi coloro "che hanno ricevuto incarichi perché in quota come ex An" non sono affatto in sintonia con Fini. "È chiaro che il problema è tra gli ex An – spiega uno dei principali esponenti del Pdl presente all'ufficio di presidenza –. La Russa è coordinatore perché Fini lo ha indicato, non lo ha mica deciso Berlusconi d'autorità. Se vuole venire lui basta che lo dica!". In molti da una parte e dall'altra sono convinti che alla fine non si arriverà alla rottura. Gianni Alemanno è tra i pontieri in questo momento all'opera. Il ruolo di sindaco di Roma gli consente di giocare meglio di altri da battitore libero. Ieri ha incontrato Fini, ha sentito al telefono Berlusconi e il suo entourage, prima di entrare a Palazzo Grazioli per l'ufficio di presidenza che – a suo dire – rappresenta "un passo in avanti". "Come sempre ribadisco che il Pdl deve rimanere unito, rispettando i ruoli, quello di Berlusconi e quello di Fini", ha sottolineato. Ma è appunto sul ruolo di Fini e della sua linea politica che è cominciata questa partita dagli esiti alquanto incerti e sulla quale si sta spendendo non poco anche Gianni Letta, unico sempre presente ai colloqui tra l'ex leader di An e il premier.
Certo molto dipenderà da quanti finiani si presenteranno all'appello. Nei calcoli fatti a Palazzo Grazioli si fermerebbero al massimo a 30 alla Camera e a una decina o poco più al Senato. Troppo pochi per arrivare allo strappo? Forse. Certo è che sono numeri che potrebbero anche far venir meno la minaccia del voto anticipato. La conta dei finiani è ovviamente più ottimista: si parla di almeno 20 senatori e di 50 deputati. Si vedrà. Perché se fosse un numero tale da poter, anche solo per ipotesi, rendere possibile una maggioranza diversa il quadro potrebbe drasticamente cambiare. "Una concausa dell'attuale crisi politica del Pdl è dovuta al fatto che ambienti politici e giornalistici interessati hanno orientato Berlusconi sulla tesi di un Fini nemico e per di più con quotazioni al ribasso tra i parlamentari ex An", diceva ieri Carmelo Briguglio, tra i fedelissimi del presidente della Camera.
Adesso si tratta di capire se davvero Fini è intenzionato a compiere lo strappo finale, la costituzione di un gruppo autonomo che per Berlusconi significherebbe "la scissione". Ipotesi che è ancora oggi verosimile, nonostante le colombe – da una parte e dall'altra – stiano operando per scongiurarla. Del resto un piccolo esempio c'è già: in Sicilia esistono due gruppi del Pdl, una miniscissione che vede tra i suoi protagonisti tanto esponenti ex An che, primo fra tutti, il forzista Gianfranco Miccichè che ieri non a caso inviava al Cavaliere un messaggio per invitarlo a desistere perché "a rischio è il cammino cominciato nel '93". Sabato 17 Aprile 2010
D'Alema: ora liberiamo i prigionieri del Pdl di Lina Palmerini commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci Sabato 17 Aprile 2010 "Dai nostri archivi" Ora Bersani offre la "sponda" a Fini Ora Bersani offre la "sponda" a Fini Fini: il Pdl non è la fotocopia della Lega IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd Il Pd trova la "pax" sul modello inglese ROMA - La crisi del centro-destra non diventa un'opportunità per il Pd ma un ulteriore elemento divisivo. Perché proprio nella lettura di questa crisi della maggioranza e degli eventuali sbocchi si spaccano le due macro-areee del partito. I temi del contendere sono la fine del bipolarismo e l'offerta di una sponda a Fini per facilitare quel terzo polo con Casini. La tesi dalemiana riprende corpo con lo scontro tra premier e presidente della Camera, ma la minoranza franceschiniana-veltroniana si mette di traverso. Come farà oggi nella direzione aspettando al varco le conclusioni di Pierluigi Bersani. L'anteprima si è avuta ieri al meeting dei Liberal del Pd, a Valmontone, dove hanno duettato Massimo D'Alema e Dario Franceschini. Un duello dialettico che ha tirato dentro anche il moderatore della tavola rotonda, Stefano Menichini (direttore di Europa), bacchettato da D'Alema quando ha ricordato che la strategia delle alleanze non ha funzionato in Puglia ma ha funzionato Nichi Vendola. "Con Boccia e l'Udc avremmo vinto, stai dicendo una totale stupidaggine", lo ha rimbrottato il presidente del Copasir con il tono che lo distingue. Ma andiamo nel vivo del botta e risposta che, chi era a Valmontone, ha potuto gustare dal vivo. La lettura di D'Alema di questa crisi è che "Berlusconi può essere tentato da una soluzione plebiscitaria" e, di fronte a tale minaccia, il Pd non può rispondere con la difesa astratta del bipolarismo, che "in 15 anni non ha dato nessuna riforma" e che ributterebbe verso Berlusconi chi oggi sta scomodo nel Pdl. "Occorre rompere questa gabbia bipolarista in modo che certe forze si sentano libere". E chi non si sente libero? Per D'Alema è Gianfranco Fini, nonostante la sua provata fede al bipolarismo. Ma seguiamo il ragionamento dalemiano. "Ci può essere un'accelerazione della crisi se anche il Pd offrirà una sponda a Fini e Casini". L'approdo? "Una fase costituente democratica". Agli antipodi la visione di Dario Franceschini che difende il bipolarismo non soltanto perché solo in questo sistema ha senso la sopravvivenza del Pd, ma perché "non si può mettere in dubbio un meccanismo che esiste in tutte le democrazie mature solo per affidare tutto a partiti minoritari in grado di cambiare maggioranze anche durante la legislatura. Non si può vivere di tattiche e di alchimie". L'osservazione sembra infastidire molto l'ex ministro degli Esteri che scatta: "Franceschini la smetta di dire che c'è chi vuole l'innovazione e chi vuole le alchimie. Su questa linea comiziesca mi è difficile rispondere. E poi smettiamo di dire chi vuole le alleanze e chi il progetto, altrimenti ci portano alla neuro". Certo, il rischio paventato da D'Alema è concreto, perché ora sembra ci sia anche da decidere se siamo già – o non ancora – nell'emergenza democratica. Perché è su questa differenza che Franceschini costruisce il suo ragionamento sull'apertura a Fini: "Un conto è l'emergenza democratica verso cui tutte le forze devono fare fronte comune, altro conto è smontare l'attuale sistema bipolare che vede ancora Fini come un avversario". D'Alema, però, vede un altro spartito: "L'emergenza c'è già e Berlusconi tenterà di uscirne con una spallata plebiscitaria". Ecco dunque che occorre facilitare il gioco di Fini che "è un interlocutore attento sui temi dell'immigrazione e bioetica". L'evoluzione del quadro politico non è affatto nelle mani del Pd per quanto ieri Pierluigi Bersani abbia azzardato un "prendiamo in mano la situazione". Ma su due punti è stato chiaro: "le elezioni anticipate sono una pazzia" e serve un patto repubblicano "con tutte le forze che non accettano la deriva populista". E Fini? "Per ora non sta qua", diceva senza sbilanciarsi. Sabato 17 Aprile 2010
2010-04-16 Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 26 aprile 2010 Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" "L'invito che rivolgo al presidente Fini è quello di superare qualsiasi incomprensione". Lo afferma Silvio Berlusconi nel corso di una conferenza stampa al termine dell'Ufficio di presidenza del Pdl. Il premier precisa di aspettarsi "una risposta positiva, anche perchè l'invito è rivolto all'unanimità" Gianfranco Fini "desista dall'iniziativa" di formare dei gruppi autonomi e invece si impegni a "continuare insieme l'avventura storica" del Pdl. Così il presidente del Consiglio chiede al presidente della Camera di "superare le incomprensioni". E se anche Fini dovesse decidere di varare gruppi autonomi "il Governo andrà avanti per tutta la legislatura", ha detto il premier. Berlusconi ha poi preannunciato il congresso del Pdl tra un anno. Ma ha chiarito: "Se Fini farà gruppi autonomi allora si tratterà di scissione", è una posizione "condivisa da tutto il Pdl". L'invito a Fini a desistere dall'idea di creare gruppi autonomi è contenuto in un documento approvato all'unanimità dall'ufficio di presidenza del Pdl. Per il presidente del Consiglio il ruolo di presidente della Camera è incompatibile con la formazione di un gruppo parlamentare autonomo. La Lega? "È portatrice di esigenze che riguardano in modo particolare il Nord", ammette il premier ma "non c'é mai stato dissenso tra Pdl e Lega" sul programma di governo.
I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto Secondo il premier "Gomorra e Saviano promuovono la mafia" La posta in gioco (più poteri ai Finiani) all'Ufficio di presidenza del Pdl (di Celestina Dominelli) Galan al Quirinale per il giuramento da ministro dell'AgricolturaIl pm: no al rinvio dell'udienza Mills per il Consiglio dei ministrix\ Il procuratore generale di Palermo chiede 11 anni per Dell'Utri IL PUNTO / Una sconfitta per tutti una legislatura a rischio (di Stefano Folli) Gli scissionisti: siamo almeno 65 Berlusconi mette in campo le urne (di di Luca Ostellino) Ora Bersani offre la "sponda" a Fini (di Lina Palmerini) Bossi rilancia sulle banche del Nord INTERVISTA / "Lega legittima, ma non si torni indietro" (di Franco Locatelli) 16 aprile 2010
I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto di Celestina Dominelli commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 16 aprile 2010 I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto "Dai nostri archivi" Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva Berlusconi: "Anche senza Fini il Governo va avanti" "Vado in sala stampa e faccio l'annuncio" Fini: pronto a gruppi autonomi Per capire se oggi ci sarà l'atto finale della rottura tra i due cofondatori del Pdl o se invece proveranno a riavvicinarsi basterà attendere l'ufficio di presidenza del partito che è stato convocato a palazzo Grazioli alle 16 per "comunicazioni urgenti del presidente Silvio Berlusconi". Il nodo dell'incontro saranno ovviamente le richieste avanzate ieri dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, e soprattutto la minaccia di creare suoi gruppi parlamentari se il Cavaliere non lancerà segnali concreti. Che per Fini significano un deciso smarcamento del Pdl rispetto alle istanze leghiste e un maggiore rispetto di quel rapporto (70 per gli ex azzurri e 30 per gli ex aennini) che i due cofondatori del Pdl avevano fissato come metro di divisione delle poltrone al governo e dentro il partito. Una spartizione quasi cencelliana che, alla prova dei fatti, non si è mai verificata e che ora Fini esige sia messa in atto. Pena la scissione dentro il Parlamento che resta sempre dietro l'angolo. Non a caso oggi dopo le esternazioni della mattinata, quando aveva commentato positivamente la notizia della convocazione della direzione nazionale allargata per il 22 aprile ("una prima risposta positiva ai problemi politici che ho posto ieri"), il presidente della Camera Fini ha comunque continuato a vedere i suoi. Che alla spicciolata lo hanno raggiunto al primo piano di Montecitorio. Evidentemente l'operazione di conta dei fedelissimi prosegue anche oggi e va portata avanti con molta attenzione. Tanto più che alcuni deputati, inseriti ieri dalle cronache nella girandola dei finiani di più stretta osservanza, stanno cominciando a prendere le distanze. Ad ogni modo Fini e i suoi attendono la riunione di oggi pomeriggio prima di decidere la strategia. Ma la tensione resta altissima e certo le ultime affermazioni del premier, che dopo il Cdm ha liquidato la questione come "piccoli problemi interni a una forza politica", non contribuiscono a stemperare i toni. A far salire la temperatura ci si è messo poi anche il leader lumbard, Umberto Bossi, che agita lo spauracchio delle elezioni nel caso in cui la frattura tra i due cofondatori del Pdl non dovesse ricomporsi. "Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni", ha detto il Senatur. Salvo poi auspicare la pace tra i suoi alleati. "Silvio e Gianfranco farebbero bene a non strappare, farebbero bene a trovare l'accordo". Anche perché per il leader della Lega la priorità resta una sola. "L'importante è avere i numeri per fare il federalismo fiscale, qualunque altra cosa si risolve". Il premier è avvisato.
Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva commenti - 26 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 15 aprile 2010 Umberto Bossi e Silvio Berlusconi in un'immagine del 20 marzo scorso (Ansa) "Dai nostri archivi" I poteri dei finiani sul tavolo della presidenza del Pdl. Bossi non esclude il voto VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva Fini: pronto a gruppi autonomi "Vado in sala stampa e faccio l'annuncio" Berlusconi mette in campo le urne Interrogato in conferenza stampa il premier ha detto che su Fini ci sono "piccoli problemi interni a una forza della maggioranza", ma non ha voluto rispondere più approfonditamente. Oggi pomeriggio è previsto il consiglio di presidenza del Pdl per discutere della crisi interna. Secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore.com. I finiani chiedono, oltre a un ridimensionamento dell'influenza della Lega nord sulla maggioranza, un cambio della classe dirigente del Pdl, ovvero la sostituzione di Ignazio Larussa come coordinatore, visto che il ministro della Difesa non è più considerato rappresentante della minoranza finiana dai finiani stessi
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è pronto a rompere con Silvio Berlusconi e l'incontro di oggi con il premier non ha fatto altro che accelerare un progetto già allo studio del cofondatore del Pdl. Che è pronto a costituire un suo gruppo autonomo in Parlamento. Un'ipotesi è che il gruppo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia, riferiscono alcune fonti vicine all'ex leader di An. Secondo le stesse fonti i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 quelli al Senato. Il Cavaliere avrebbe risposto chiedendo a Fini di lasciare la terza carica dello Stato in caso di rottura. Tra i tanti motivi di attrito pesa oggi molto l'eccessivo appiattimento di Berlusconi sulle posizioni del Carroccio, uscito rafforzato dall'esito delle elezioni regionali. "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori", ha commentato il presidente del Senato Renato Schifani e anche il leader del Carrocio, Umberto Bossi, ha manifestato dubbi sulla possibilità che il premier e il presidente della Camera trovino un accordo. "Se le cose non si rimettono a posto ci sono le elezioni", ha ribadito anche il senatùr. Nela serata di ieri Fini aveva diffuso un comunicato per fornire una sua chiave di lettura dell'incontro. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - scrive il cofondatore del Pdl -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito". Un rafforzamento che secondo il presidente della Camera dovrebbe passare attraverso tappe precise. "Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi - conclude Fini -. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". Insomma, tra i due è sceso il gelo. D'altronde, quale sarebbe stato il menu del pranzo di oggi con il premier a Montecitorio lo aveva fatto già intendere. Perché il presidente della Camera va ribadendo da giorni ai fedelissimi la sua contrarietà rispetto all'asse sempre più saldo tra Berlusconi e Bossi. Un patto che, è il suo ragionamento, ha finito sì per emarginare lui (tanto da spingere il Cavaliere a fissare l'incontro solo dopo un secondo vertice con il Senatur), ma rischia di sconquassare lo stesso Pdl. Dove molti non fanno mistero di non sopportare l'eccessivo protagonismo della Lega, inaugurato dalla salita al Colle del ministro Roberto Calderoli con la bozza delle riforme e proseguito con le esternazioni di Bossi su banche e Palazzo Chigi. Così oggi i due cofondatori del Pdl si sono seduti allo stesso tavolo per scoprire le carte. Berlusconi non è disposto a inimicarsi il suo alleato più fedele e non ha gradito le ultime uscite di Fini sul semipresidenzialismo che la terza carica dello stato lega necessariamente a una modifica della legge elettorale. Anche se ha poi aperto alla possibilità di un modello tutto italiano smorzando in qualche modo i toni. Il pranzo, però, non li ha riavvicinati e i laconici commenti rilasciati alla fine con un rimpallo tra i due parlano da soli. Il portavoce del presidente della Camera ha subito detto che Fini non avrebbe rilasciato dichiarazioni. E anche Berlusconi si è limitato a un "ho mangiato benissimo". Evidentemente si riferiva solo alle portate e non allo scambio con Fini deciso ormai ad andare per la sua strada. Tanto che, poco dopo la fine del pranzo, i deputati più vicini alla terza carica dello stato si sono riuniti a Montecitorio. Obiettivo: una conta rapida per arrivare a un gruppo parlamentare autonomo. Il segno evidente di un divorzio irreversibile tra i due cofondatori del Pdl. In serata c'è stato un vertice a Via del Plebiscito tra Berlusconi, lo stato maggiore leghista e i coordinatori del Pdl Ignazio La Russa e Denis Verdini. La Russa inoltre intervenendo ad "Annozero" ha detto che "non c'è alcun contrasto tra Fini e Berlusconi, solo una questione politica, aggravata dal fatto che abbiamo fatto nascere un grande partito come il Pdl quando Fini è andato a fare il presidente della Camera". nterrogato in conferenza stampa il premier ha detto che su Fini ci sono "piccoli problemi interni a una forza della maggioranza", ma non ha voluto rispondere più approfonditamente. Oggi pomeriggio è previsto il consiglio di presidenza del Pdl per discutere della crisi interna. Secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore.com. I finiani chiedono, oltre a un ridimensionamento dell'influenza della Lega nord sulla maggioranza, un cambio della classe dirigente del Pdl, ovvero la sostituzione di Ignazio Larussa come coordinatore, visto che il ministro della Difesa non è più considerato rappresentante della minoranza finiana dai finiani stessi "Probabilmente, col senno del poi - ha aggiunto - sarebbe stato più adatto che Fini rimanesse al governo e al partito perché è difficile, ricoprendo un ruolo istituzionale, svolgere bene quel ruolo e intervenire in una fase così delicata com'è la costruzione del partito. In più Fini, in quel ruolo, ha proiettato il suo impegno più sul fare futuro che sul fare presente. Sulla situazione attuale - ha concluso - credo che bisogna operare per evitare conflitti insanabili". 15 aprile 2010
VISTI DA LONTANO / La stampa estera sente aria di rottura definitiva di Elysa Fazzino commenti - 3 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 16 aprile 2010 Berlusconi-Fini, riforme in pericolo "Dai nostri archivi" Fini? Berlusconi dice: piccoli problemi. Bossi: se le cose non vanno a posto possibili elezioni "Vado in sala stampa e faccio l'annuncio" Berlusconi mette in campo le urne Berlusconi mette in campo le urne Fini: pronto a gruppi autonomi Non è un cataclisma come l'eruzione del vulcano islandese, ma lo scontro tra Berlusconi e Fini si è guadagnato comunque un posto sulla prima pagina del sito web del Financial Times. "Crescono i dissidi nel partito di governo di Berlusconi", titola il quotidiano britannico, sottolineando il pericolo di una spaccatura dopo la tesa riunione tra il primo ministro e il cofondatore del Pdl. Le divergenze tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini erano evidenti da mesi, ricorda Guy Dinmore, ma hanno raggiunto un nuovo livello nell'incontro nel quale Fini ha minacciato di formare un suo gruppo parlamentare. Le tensioni- spiega il Ft - si sono inasprite per via delle accuse di Fini, secondo cui il partito si sta "subordinando" alle richieste della Lega nord. Le riforme sono a rischio: "Il dissidio crescente tra Berlusconi e Fini – che si estende alle ambizioni del primo ministro di rafforzare i poteri dell'esecutivo - probabilmente indebolirà la capacità del governo di mantenere la sua promessa di concentrarsi sulle riforme politiche ed economiche nei prossimi tre anni", avverte il Financial Times. Fini – conclude il Ft – che ha spostato Alleanza nazionale al centro allontanandolo dalle sue radici post-fasciste, "è considerato come uno dei vari contendenti alla successione di Berlusconi, anche se è dubbio che i suoi ex colleghi di partito lo seguiranno nella scissione". Nel richiamo sulla homepage, il quotidiano ripropone un commento di Geoff Andrews pubblicato online il giorno di Pasqua: "L'Italia ancora incapace di guardare oltre Berlusconi". L'elettorato – nota l'opinionista - ha deciso che non c'è nessuna chiara alternativa a Berlusconi. Tuttavia, l'obiettivo principale delle riforme sarà di "consolidare il suo potere e neutralizzare gi oppositori". E l'Italia non riesce a uscire dall'impasse. Del diverbio tra Berlusconi e Fini si occupa anche la stampa spagnola. "Crisi nell'alleanza di governo in Itali", titola El Pais. E' "crisi aperta" secondo Miguel Mora, che vede la rottura più vicina che mai. Il giornale parla di dialogo "tumultuoso" e riferisce che, secondo altri esponenti della maggioranza, il clima è di "rottura definitiva". La divergenza tra i fondatori del Pdl è "conosciuta", continua El Pais, ma le posizioni "si sono andate radicalizzando" e l'avanzata della Lega nord alle ultime elezioni "ha distanziato ancor più Fini dalla linea ufficiale del partito". El Mundo presenta la vicenda come un "ennesimo aggiustamento di conti": "Il numero due di Berlusconi minaccia di creare un suo proprio gruppo parlamentare", recita il titolo. I punti salienti sono così riassunti: Fini accusa il primo ministro di lasciarsi troppo influenzare dalla Lega nord, pretende che il Cavaliere sia "attento alla coesione di tutto il paese", il presidente del Senato minaccia elezioni anticipate. L'articolo riferisce che secondo i media italiani il capo del governo si prender 48 ore di riflessione. E ricorda che il ruolo della Lega si è rafforzato dopo il "trionfo" alle elezioni regionali. 16 aprile 2010
Secondo il premier "Gomorra e Saviano promuovono la mafia" commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 16 aprile 2010
La Piovra e Gomorra come enti di promozione della mafia nel mondo, dal momento che l'organizzazione criminale risulta sesta in classifica, ma senz'altro prima per notorietà nel mondo. Miscelando i dati degli osservatori istituzionali agli indicatori mediatici, Silvio Berlusconi è tornato a criticare i programmi basati sul storie di criminalità organizzata. La sua avversione per "La Piovra" era nota, oggi, dalla sala stampa di Palazzo Chigi, in "black list" finisce anche Roberto Saviano. Il presidente del Consiglio, con i ministri di Interno e Giustizia al suo fianco, osserva che la mafia ha goduto di "un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un fatto di giudizio molto negativo per il nostro Paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra, programmate dalle televisioni di 160 Paesi nel mondo, e tutto il resto, tutta la letteratura, il supporto culturale, Gomorra e tutto il resto". Inevitabili le polemiche. Secondo l'ex procuratore nazionale Antimafia, Pierluigi Vigna, le dichiarazioni di Berlusconi contro "Gomorra" sono "improprie perché il libro di Saviano ha aperto gli occhi a gran parte dell'opinione pubblica sulla camorra". Gomorra, continua l'ex procuratore nazionale Antimafia, "è molto utile. Certe cose non le sapevo e anche gli addetti ai lavori ne sapevano meno di quanto esposto con una prosa molto bella". Attacchi al premier anche da sinistra. "È davvero assurdo quanto dichiarato per l'ennesima volta oggi dal premier a proposito di Gomorra e Saviano. Manca solo che ora si metta ad accusare i magistrati, le forze dell'ordine e le associazioni anti racket e tutti coloro che combattono e lottano contro la criminalità organizzata", ha commentato la presidente del gruppo pd a palazzo madama, Anna Finocchiaro. Polemico Walter Veltroni: "Roberto Saviano - ha detto l'ex segretario del Pd - è uno dei protagonisti della lotta alle mafie e il presidente del consiglio del nostro Paese avrebbe il dovere di rispettarlo e non di attaccarlo e isolarlo". E Antonio Di Pietro ha chiesto al premier pubbliche scuse. "Berlusconi - dice Di Pietro - si scusi con Saviano che rischia la vita per le sue denunce e a tutti quegli operatori di giustizia che, nonostante le minacce in stile mafioso fatte da un Presidente del Consiglio, hanno ancora oggi il coraggio di tenere alto il senso dello Stato e delle istituzioni. Tra l'altro è singolare che Berlusconi parli di successi del governo nella lotta alla criminalità nel giorno in cui è stata chiesta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo luogotenente Marcello Dell'Utri. Infatti, se fosse stato realmente interessato alla lotta alla mafia, non lo avrebbe candidato per assicurargli l`impunità. Così come non avrebbe dovuto impedire l`arresto del suo sottosegretario Nicola Cosentino. Berlusconi, quando parla di lotta alla criminalità, farebbe bene a guardarsi allo specchio e darsi una ripulita". 16 aprile 2010
Galan giura al Quirinale come nuovo ministro dell'Agricoltura commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 16 aprile 2010 Galan al Quirinale per il giuramento da ministro dell'Agricoltura (ImagoEconomica) "Dai nostri archivi" Ai produttori agricoli piace Galan ministro Le elezioni regione per regione - Veneto Berlusconi a Venezia per cercare casa Il governatore Galan va a nozze, Berlusconi testimone. Colli euganei blindati Pdl veneto per Galan: "Pronti a correre da soli"
Giuramento al Quirinale per il nuovo ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, che prende il posto del neo governatore del Veneto Luca Zaia. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa mattina il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. All'incontro era presente anche il segretario generale della presidenza della Repubblica, Donato Marra. Napolitano ha quindi firmato il decreto con cui sono state accettate le dimissioni di Zaia ed é stato quindi nominato ministro Galan. 16 aprile 2010
Stefano Folli Una sconfitta per tutti una legislatura a rischio 16 aprile 2010 Se Berlusconi e Fini accettassero un consiglio, occorrerebbe dir loro: attenzione, siate prudenti. Perché la situazione nel Popolo della Libertà sta per sfuggire di mano ai due fondatori ed è plausibile che alla fine del braccio di ferro essi saranno entrambi sconfitti. Un punto è abbastanza certo: l'esasperazione del presidente della Camera aveva superato il limite, così come l'impossibilità per lui di influire sulla linea politica della maggioranza. Ma l'eventuale nascita di gruppi parlamentari autonomi promossi da Fini equivarrebbe a una scissione del Pdl, con tutte le conseguenze del caso. Saremmo di fronte a un singolare episodio di suicidio politico da cui l'unico a trarre vantaggio sarebbe Umberto Bossi. Se è vero che già oggi la Lega è in grado di condizionare le scelte del presidente del Consiglio, si può immaginare come crescerebbe il suo potere dopo il fallimento conclamato della fusione Forza Italia-Alleanza Nazionale. Il paradosso è infatti questo. La crisi nasce perché il Pdl sembra a Fini e ai suoi amici troppo incerto nella sua funzione di "grande partito nazionale attento alla coesione sociale dell'intero paese". In parole povere, troppo cedevole verso la Lega e distratto rispetto ai rischi del federalismo, in particolare a danno delle regioni meridionali. Ma se si dovesse davvero consumare la frattura, Berlusconi sarebbe più debole e non più forte nei confronti di Bossi. Questi potrebbe decidere di approfittarne, alzando il prezzo dell'alleanza, oppure al contrario potrebbe addirittura scegliere di svolgere in prima persona un ruolo di mediatore nel centrodestra. In un caso come nell'altro sarebbe padrone della scena più di quanto già non sia. È chiaro quindi che l'azzardo può costare caro a Fini, ma Berlusconi avrebbe poco da sorridere. I vari "falchi" del Pdl che cento volte hanno invitato il premier a saldare i conti con l'indocile presidente di Montecitorio, dovranno spiegare dove porta la strategia del pugilato permanente all'interno del partito di maggioranza relativa. La risposta è palese: porta solo al collasso della legislatura, dal momento che le fatidiche riforme, già difficili in tempi normali, diventeranno impossibili dopo la scissione. E una legislatura fallita a tre anni dalla sua conclusione rende pericolosamente reale l'ipotesi di elezioni anticipate. Come dire che il premier potrebbe cogliere al balzo la circostanza per spingere presto o tardi il paese verso le urne, attribuendo ogni responsabilità a Fini. Un gioco fin troppo facile, di cui s'intravedono già oggi evidenti indizi. È comprensibile, quindi, che il presidente della Camera si sia affrettato a precisare che "Berlusconi è stato eletto dagli italiani e deve governare fino al termine della legislatura". Ma la realtà è più complicata e una frattura verticale del Pdl cambierebbe lo scenario parlamentare. Del resto, se il problema è il populismo, la deriva presidenzialista senza controlli, il cedimento alla Lega, perché i "gruppi autonomi" finiani dovrebbero garantire sempre e comunque la loro lealtà a un premier così duramente criticato? D'altra parte, Berlusconi non può essere sicuro che gli elettori accetterebbero di buon grado l'ennesima corsa al voto provocata dall'insipienza di una maggioranza incapace di darsi una regola e un equilibrio; una maggioranza interessata a tutto tranne che a compiere scelte di governo responsabili in nome dell'interesse generale. Il paese è già abbastanza lacerato senza doverlo sottoporre a un ulteriore trauma, destinato peraltro – è probabile – a provocare un maggiore sbilanciamento. Sappiamo che la rottura tra Berlusconi e Fini è figlia di una lunga stagione di incomprensioni. Ed è anche, forse soprattutto, la prova che il Pdl era nato in modo facilone e approssimativo. Le contraddizioni ora esplose derivano dal famoso "predellino", celebrato a suo tempo come sinonimo di genialità politica. Ma forse l'attuale presidente della Camera avrebbe dovuto porre allora una serie di condizioni vincolanti, prima di "cofondare" il Pdl e di scoprire in seguito che la visione politico-istituzionale di Berlusconi e Bossi è diversa dalla sua. Ora si tratta di salvare il salvabile. Le riforme sono un processo complesso e il presidente della Camera ha rappresentato in queste settimane un punto di vista equilibrato che sarebbe assai pericoloso liquidare con un'alzata di spalle arrogante. Ad esempio sul ruolo essenziale del Parlamento e degli istituti di garanzia. O sulla legge elettorale. Quindi il presidente del Consiglio non può non essere consapevole di quali effetti avrà la scissione. D'altra parte, Fini ha il dovere del realismo: le impuntature sui principi non portano lontano. Se davvero il contrasto può essere ricomposto con una migliore distribuzione del potere al vertice del Pdl e dei gruppi parlamentari, in modo che il presidente della Camera si senta più rappresentato, forse il compromesso è possibile. Altrimenti, rassegnamoci al peggio. Ma in questo caso la classe politica, anziché rivolgersi di nuovo agli elettori, dovrà prima o poi chieder loro scusa.
"Lega legittima, ma non si torni indietro" di Franco Locatelli Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva commenti - | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 16 Aprile 2010 "Lega legittima, ma non si torni indietro". Nella foto Giuliano Amato "Dai nostri archivi" Bossi rilancia sulle banche del Nord Ciò che Bossi vuole è maggiore potere e identità ben distinta Uomini del Carroccio in corsa per il risiko Uomini del Carroccio in corsa per il risiko Ma le Fondazioni tengono (per ora) i "loro" banchieri "È del tutto legittimo che la Lega voglia essere pienamente partecipe del legame con il territorio che si realizza nelle Fondazioni bancarie e che cerchi più spazio all'interno di queste realtà. Ma mi auguro che comprenda l'importanza di non snaturare il ruolo delle Fondazioni stesse di investitori istituzionali di lungo periodo e di garanti della stabilità e dell'autonomia delle banche in cui sono presenti e che sono la condizione necessaria del loro successo". Nessuno meglio dell'ex premier Giuliano Amato, che è il padre delle Fondazioni con la legge che porta il suo nome, può valutare l'esatta portata del proposito di Umberto Bossi di lanciare la Lega alla conquista delle banche del Nord attraverso le Fondazioni. E anche stavolta, come emerge in questa intervista al Sole 24 Ore, le risposte di Amato, che da qualche settimana è tornato ad occuparsi direttamente di banche come senior advisor di Deutsche Bank in Italia, non sono né banali né scontate. Presidente, come interpreta la mossa di Bossi sulle banche? È un segnale prevalentemente politico rivolto all'elettorato e agli alleati di governo o è il preavviso dell'intenzione di rimettere le mani sul credito? Bossi è una persona troppo intelligente per pensare alla seconda delle due alternative. Credo che le sue parole sulle banche abbiano un senso più generale e vogliano sottolineare che la Lega è un partito che conta e che deve avere la sua parte nella distribuzione del potere. Bossi conosce perfettamente le ragioni per le quali i partiti sono stati esclusi dalla gestione del credito e penso che riconosca la bontà di quelle ragioni. Proprio ieri ho letto sul "Giornale" un articolo molto equilibrato dove si spiegava come i partiti possano avere con le Fondazioni un ruolo istituzionale nelle banche ma senza intervenire minimanente nella gestione del credito. Il senso delle riforme promosse negli anni Novanta era proprio questo: creare, da un lato, le banche spa e dall'altro le Fondazioni come enti no profit che garantissero la stabilità e l'autonomia delle banche come condizioni per generare i maggiori profitti attraverso i quali le Fondazioni stesse potessero ottenere le risorse necessarie alla promozione delle loro attività socio-culturali. Non teme che, al di là delle intenzioni, le Fondazioni possano diventare i cavalli di Troia della politica nel mondo del credito? Il rischio c'è sempre, ma basterebbe pensare ai danni che la politica ha creato ogni volta in cui ha pensato di intervenire direttamente nella gestione del credito per evitare di tornare indietro. Finora le Fondazioni si sono avvalse della lungimirante gestione di una dirigenza, composta per lo più da ex dc e di cui Giuseppe Guzzetti è l'emblema, che ha interpretato corettamente il ruolo di investitore istituzionale nelle banche: che cosa succederà quando questa generazione di gestori uscirà di scena? È un problema molto serio ed è giusto porselo. È stata una fortuna e insieme un grande vantaggio che la transizione dal vecchio al nuovo assetto bancario attraverso le Fondazioni fosse gestito da persone di grande esperienza politica ma senza più un partito alle spalle. Questo ha permesso alle Fondazioni di crescere interpretando perfettamente lo spirito della riforma e di garantire la massima autonomia alle banche, proprio perché i gestori delle Fondazioni come Guzzetti hanno compreso che il dividendo della redditività degli istituti di credito toccava anche a loro ed era la via per finanziare le attività sociali e culturali previste dagli statuti degli enti. E in futuro? Il passaggio dalla dirigenza delle Fondazioni di prima generazione a personale più giovane e legato a nuovi partiti può certamente comportare nuovi problemi, ma la Lega ha in generale allevato ottimi amministratori locali, se si eccettuano le impostazioni spesso sostenute sui problemi dell'immigrazione. Questi giovani amministratori conoscono i problemi del territorio e possono contribuire al positivo sviluppo delle Fondazioni se ne rispetteranno fino in fondo lo spirito e il ruolo. Come pensa che risponderanno le altre forze politiche alla mossa della Lega sulle banche? Ha già risposto l'elettorato, che ha dato alla Lega di Bossi i voti che sappiamo e che, dopo le recenti elezioni, l'autorizzano a chiedere un maggior spazio nei consigli d'amministrazione delle Fondazioni. L'offensiva della Lega si estenderà anche ai vertici delle ex municipalizzate e dei ricchi monopoli locali? Non è da escludere. Il cosiddetto socialismo municipale fa gola a tutti. Mi auguro però che la Lega non vada a caccia solo di posti ma si preoccupi della qualità degli uomini che manderà ai vertici delle società locali a controllo pubblico. Il ricambio ai vertici dei gruppi pubblici è un'esperienza che, a livello nazionale, abbiamo già vissuto nel '92-93 quando si decise di nominare manager scelti per merito e competenza al di fuori dei partiti. Già allora mi chiedevo se quell'esperienza così innovativa e legata alla delegittimazione dei vecchi partiti sarebbe stata transeunte o potesse mettere radici. La spartizione partitica che in molti casi avviene nelle Asl sembra autorizzare i peggiori pensieri. Quello della sanità è proprio l'esempio negativo dei guasti che può provocare la politica quando dimentica il merito e non premia le competenze. Però proprio la Lega, che è una forza giovane, potrebbe contribuire a voltare pagina e a ritrovare la virtù del merito e della competenza nella scelta degli amministratori e dei manager pubblici. C'è da augurarsi che comprenda le potenzialità di una scelta innovativa e che abbia la forza di sostenerla. Per molti anni la Lega ha costruito i suoi successi sulla diversità rispetto al resto del sistema politico, ma la mossa sulle banche è un atto che può portarla ad omologarsi alle altre forze politiche: come andrà a finire? Credo proprio che oggi la Lega sia al bivio tra omologazione e diversità e, al di là delle frasi ad effetto, spetterà ancora una volta a Bossi compiere la scelta che ne orienterà il futuro. franco.locatelli@ilsole24ore.com16 Aprile 2010
2010-04-15 Fini e Berlusconi verso la rottura. Schifani: "Non resterebbe che il voto" 15 aprile 2010 Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è pronto a rompere con Silvio Berlusconi e l'incontro di oggi con il premier non ha fatto altro che accelerare un progetto già allo studio del cofondatore del Pdl. Che è pronto a costituire un suo gruppo autonomo in Parlamento. Un'ipotesi è che il gruppo potrebbe chiamarsi Pdl-Italia, riferiscono alcune fonti vicine all'ex leader di An. Secondo le stesse fonti i deputati che ci starebbero sono circa 50, 18 quelli al Senato. Il Cavaliere avrebbe risposto chiedendo a Fini di lasciare la terza carica dello Stato in caso di rottura. Tra i tanti motivi di attrito pesa oggi molto l'eccessivo appiattimento di Berlusconi sulle posizioni del Carroccio, uscito rafforzato dall'esito delle elezioni regionali. "Quando una maggioranza si divide non resta che dare la parola agli elettori", ha commentato il presidente del Senato Renato Schifani. In serata Fini ha diffuso un comunicato per fornire una sua chiave di lettura dell'incontro. "Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani - scrive il cofondatore del Pdl -. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perchè ciò avvenga. Pertanto il Pdl va rafforzato, non certo indebolito". Un rafforzamento che secondo il presidente della Camera dovrebbe passare attraverso tappe precise. "Ciò significa scelte organizzative, ma soprattutto ciò presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell'intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalità e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto più possibile condivise. Ho rappresentato tutto ciò al presidente Berlusconi - conclude Fini -. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni". Insomma, tra i due è sceso il gelo. D'altronde, quale sarebbe stato il menu del pranzo di oggi con il premier a Montecitorio lo aveva fatto già intendere. Perché il presidente della Camera va ribadendo da giorni ai fedelissimi la sua contrarietà rispetto all'asse sempre più saldo tra Berlusconi e Bossi. Un patto che, è il suo ragionamento, ha finito sì per emarginare lui (tanto da spingere il Cavaliere a fissare l'incontro solo dopo un secondo vertice con il Senatur), ma rischia di sconquassare lo stesso Pdl. Dove molti non fanno mistero di non sopportare l'eccessivo protagonismo della Lega, inaugurato dalla salita al Colle del ministro Roberto Calderoli con la bozza delle riforme e proseguito con le esternazioni di Bossi su banche e Palazzo Chigi. Così oggi i due cofondatori del Pdl si sono seduti allo stesso tavolo per scoprire le carte. Berlusconi non è disposto a inimicarsi il suo alleato più fedele e non ha gradito le ultime uscite di Fini sul semipresidenzialismo che la terza carica dello stato lega necessariamente a una modifica della legge elettorale. Anche se ha poi aperto alla possibilità di un modello tutto italiano smorzando in qualche modo i toni. Il pranzo, però, non li ha riavvicinati e i laconici commenti rilasciati alla fine con un rimpallo tra i due parlano da soli. Il portavoce del presidente della Camera ha subito detto che Fini non avrebbe rilasciato dichiarazioni. E anche Berlusconi si è limitato a un "ho mangiato benissimo". Evidentemente si riferiva solo alle portate e non allo scambio con Fini deciso ormai ad andare per la sua strada. Tanto che, poco dopo la fine del pranzo, i deputati più vicini alla terza carica dello stato si sono riuniti a Montecitorio. Obiettivo: una conta rapida per arrivare a un gruppo parlamentare autonomo. Il segno evidente di un divorzio irreversibile tra i due cofondatori del Pdl. In serata c'è stato un vertice a Via del Plebiscito tra Berlusconi, lo stato maggiore leghista e i coordinatori del Pdl Ignazio La Russa e Denis Verdini. La Russa inoltre intervenendo ad "Annozero" ha detto che "non c'è alcun contrasto tra Fini e Berlusconi, solo una questione politica, aggravata dal fatto che abbiamo fatto nascere un grande partito come il Pdl quando Fini è andato a fare il presidente della Camera". "Probabilmente, col senno del poi - ha aggiunto - sarebbe stato più adatto che Fini rimanesse al governo e al partito perché è difficile, ricoprendo un ruolo istituzionale, svolgere bene quel ruolo e intervenire in una fase così delicata com'è la costruzione del partito. In più Fini, in quel ruolo, ha proiettato il suo impegno più sul fare futuro che sul fare presente. Sulla situazione attuale - ha concluso - credo che bisogna operare per evitare conflitti insanabili". 15 aprile 2010
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